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mercoledì 11 novembre 2009

Non più veline e meteorine ad personam

Televisione. Le nuove regole riguardano anche la scelta di veline e ospiti. E Piersilvio dimezza le meteorine di Fede. Mediaset centralizza la selezione delle ragazze.
Rassegna stampa - Corriere della Sera, Angela Frenda, 11 novembre 2009.

Basta con la se­lezione di veline, ospiti e me­teorine «ad personam». Da ora in avanti chi vorrà inse­rirle nei programmi di infor­mazione Mediaset dovrà «ne­cessariamente» passare attra­verso l’ufficio casting. «L’effetto Noemi» arriva a Cologno Monzese. Dopo le polemiche sui provini da me­teorina fatti alla ragazza di Napoli da Emilio Fede e le cronache dei mesi scorsi le­gate alle feste di palazzo Gra­zioli e villa Certosa, residen­ze del premier, l’azienda di­retta da Fedele Confalonieri e Piersilvio Berlusconi ha va­rato un regime di austerity. Decisione legata sia a un pia­no di contenimento costi, sia a una volontà di controllo della qualità ma soprattutto della provenienza degli ospi­ti. In particolare, di sesso femminile. Così Mediaset ha inviato qualche settimana fa una circolare interna a tutto il mondo delle News, nella quale si ribadisce che per questo tipo di selezione ci si dovrà rivolgere solo all’uffi­cio del personale. Dove perio­dicamente vengono selezio­nate figure femminili, ma an­che maschili, da inserire nei programmi.
Era un richiamo ufficial­mente indirizzato a tutti, ma che molti in Mediaset hanno letto come rivolto soprattut­to a Emilio Fede e a un «com­missariamento » del suo spa­zio-meteorine. E infatti il di­rettore del Tg4 sarebbe stato l’unico delle News a chiede­re un chiarimento a Piersil­vio Berlusconi, ribadendo la necessità di preservare la sua «invenzione». Fede, vete­rano dell’azienda — ha da po­chi giorni festeggiato il ven­tennale — è abituato a gesti­re il suo tg in grande autono­mia. E le meteorine, le giova­ni annunciatrici delle previ­sioni del tempo che hanno sostituito qualche anno fa i più noti «colonnelli» in tv, sono state proprio una sua trovata. Era l’autunno del 2003 quando comparvero al­l’interno del Tg4, ma qual­che tempo invece ne sono ap­pendice finale. Per ragioni di­verse, alcune di loro sono di­ventate anche famose. L’ex miss Italia Eleonora Pedron, ad esempio; o le gemelline Manuela e Marianna Ferrera, scovate da Fede un giorno per la strada e successiva­mente avvistate d’estate a Vil­la Certosa, e che al loro de­butto in tv annunciarono: «La nostra missione? Portare il sole nelle famiglie italia­ne ».
Insomma, le meteorine ben presto hanno fatto scuo­la. Al punto che anche la Rai, con la 30enne tenente del­l’Aeronautica Stefania Verga­ri, e poi Sky hanno scelto di affidare a donne giovani e possibilmente carine l’an­nuncio del meteo. Un succes­so che Emilio Fede si attribui­sce senza esitare: «Lo share ci ha premiato: vuol dire che ci avevo visto giusto». Pub­blicamente, però, il direttore del Tg4 non polemizza. Anzi, interpellato, butta acqua sul fuoco: «Sì, c’è questa circola­re, ma è normale che un’azienda voglia contenere i costi e inviti a usufruire di personale che è già a libro pa­ga. Io però ci tengo a ribadi­re che i miei provini erano se­rissimi, che avvenivano sem­pre alla presenza di altre per­sone e che puntavo a selezio­nare volti giovani e puliti. Ho fatto solo da talent scout, e sono stato il primo, mode­stamente, ad eliminare i ma­schietti dal video».
Alle sue ragazze, racconta, Fede chiede «sobrietà, com­petenza e sorriso finale». Ma da questo momento la sua carriera di «selezionatore» è finita: dovrà passare dall’uffi­cio del personale. Il nuovo corso è cominciato già lune­dì, con il ritorno dello spa­zio- meteorine e l’esordio in video di Francesca Lete, ex valletta di Gerry Scotti, che era a disposizione dell’azien­da. Via, poi, la meteorina dal Tg4 delle 13. Fede si dovrà accontentare: resta solo quel­la della sera.


La "meteorina" Valentina Avanzi (TG4 del 28 agosto 2006).
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Come ti propagando un libro

Lupi: «non è satira, solo spazzatura». L'autore: «Mi attaccano? caciottari arricchiti». Fumetti contro la Meloni, «ministronza». Il ministro incassa solidarietà bipartisan. Carfagna: «Ennesimo picco di volgarità». Pd: «È tenace, perciò la attaccano». Lei: tanti messaggi, grazie a tutti.
Rassegna stampa - Corriere.it, 11 novembre 2009.



Piena solidarietà, da destra e da sinistra. Al ministro Giorgia Meloni, protagonista suo malgrado di un libro a fumetti ora in libreria intitolato «La ministronza» (di Alessio Spataro, edizioni Grrrzetic), arriva sostegno da entrambi i poli. «Il nostro Paese assiste all’ennesimo imbarbarimento dello scontro, che nulla ha a che vedere con la politica, e in mezzo ci finisce per l'ennesima volta una donna» denuncia la collega Mara Carfagna, parlando di «nuovo picco di volgarità».
«Vignette volgari» - Un'altra ministra, Stefania Prestigiacomo, parla di opera «indecente e volgarissima». Per Fabrizio Cicchitto, capogruppo del Pdl alla Camera, «il libello composto da vignette volgari e offensive contro il ministro qualifica chi l'ha fatto. A Giorgia Meloni, che con intelligenza e grande passione svolge il suo impegno politico, va la mia piena solidarietà». E il vicepresidente della Camera Maurizio Lupi: «Quella di Spataro non è satira, è solo spazzatura. Esprimo tutta la mia solidarietà al ministro Meloni, oggetto di un attacco volgare che offende lei e le donne e che ferisce la dignità della persona».
PD: «È tenace» - Per il Pd parla Rosy Bindi, presidente del Pd: «Al ministro Meloni va la mia solidarietà di donna e di vicepresidente della Camera. La satira diverte, morde e può anche far male. Ma in questo caso si tratta solo di volgare maschilismo che offende tutte le donne». Sempre nel Pd parla la senatrice Vittoria Franco: «La Meloni è una giovane volitiva con una lunga esperienza in politica motivata dalla passione, dunque è facile immaginare che proprio per queste sue caratteristiche possa diventare bersaglio di critiche». Solidarietà anche da Fausto Raciti, segretario nazionale dei Giovani Democratici: «Pensiamo che le offese rivolte alla sua persona non siano satira, ma attacchi stupidi e volgari». Silvana Mura (Idv): «Mi sembra che si sia sconfinati nell'offesa feroce e gratuita, oltre che in una volgarità sicuramente inaccettabile. A Giorgia va la mia solidarietà convinta».
Meloni: «Grazie a tutti» - La ministra ringrazia tutti: «Per intimidirmi ci vuole molto, ma molto di altro. Mi ero ripromessa di non fare alcun commento su questa allucinante vicenda, ma di fronte alle enorme mole di messaggi di solidarietà che mi ha raggiunto in queste ore, non posso esimermi dal ringraziare tutti - scrive in una nota -. In particolare mi rivolgo alle donne e a tutti coloro che, pur non condividendo la mia posizione politica, hanno comunque sentito il bisogno di esprimermi stima e affetto. Credo si possa dire che sia stata questa una bella pagina perché tutti, in particolare le donne, hanno voluto e saputo distinguere la politica da ciò che con la politica non c'entra niente. Ne sono stata davvero molto felice, grazie davvero».
Il disegnatore - Raggiunto al telefono dall'agenzia Dire, Spataro sembra stupito: «Si occupano di me? Come se li pagassimo per questo, come se il loro stipendio giustificasse questa perdite di tempo...». Pentito? «Io non mi vergogno di nulla, rispondo solo del rapporto con i miei lettori e con la mia casa editrice. C'è gente che non si vergogna di cose ben peggiori, perché mi dovrei vergognare io?». Ma perché nel mirino è finita proprio Giorgia Meloni? «Perché ha la mia stessa età e perchè io non ho mai camuffato il mio curriculum». Ovvero: «Sulla biografia che ha sul sito del ministero dice di essersi diplomata in lingue, ma se è uscita dall'alberghiero?». Nelle pagine della 'Ministronza', Meloni parla romanesco e viene dipinta in una serie di scene trash. «Sembrano dei caciottari arricchiti - dice ancora Spataro - che hanno scoperto la manna dal cielo dell'uomo più ricco d'Italia. Li ha portati al governo e non potevano crederci neanche loro...». A chi lo accusa di maschilismo, ribatte: «Ho lettori di entrambi i sessi, uomini e donne, che mi fanno molti complimenti. Ho dipinto Meloni nuda o che fa sesso? Non c'è nulla di strano, la satira da secoli fa uso anche della scurrilità».
Vignette sul blog - Il libro del disegnatore nasce da una serie di vignette pubblicate sul blog dell'autore e a novembre è arrivato negli scaffali delle librerie. A sollevare il polverone è stato il quotidiano Il Secolo d'Italia. «Fosse stata Rosy Bindi la protagonista de La Ministronza - scrive il quotidiano -, Repubblica avrebbe già lanciato una raccolta di firme online, le donne del Pd avrebbero presentato un'interrogazione parlamentare e qualcuno, a sinistra, avrebbe già chiesto il sequestro del libro. Speriamo che non lo faccia nessuno a destra». Sulla copertina compare la versione fumettistica della Meloni nelle fogne accanto a un topo, mosche e scarafaggi. Accompagnata da un testo per niente criptico: «Fascisti, carogne, tornate nelle fogne». Nelle storie, spiega il Secolo, «la ministronza parla in greve dialetto romano, non si lava, passa tutto il tempo parlando con topi e facendo sesso con suoi ammiratori dediti a perversioni dannunziane».
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Le scuse alla famiglia

Carlo Giovanardi. «È morto perché drogato». Bufera sul padre della legge.
Rassegna stampa - il manifesto, E. Ma., 10 novembre 2009.

Stefano Cucchi è morto perché era un «drogato, anoressico e sieropositivo», uno delle «migliaia di persone» che a causa della droga «diventano larve, zombie». Non solo: uno così non ha una volontà «chiara». Anzi, un caso come questo dimostra che i medici non devono sempre «prendere per oro colato le presunte volontà» del paziente. Per i familiari del ragazzo morto in carcere, e non solo, le parole pronunciate ieri da Carlo Giovanardi, sottosegretario alla presidenza del consiglio con delega alle tossicodipendenze, sono come un pugno in faccia. «Sono dichiarazioni a titolo gratuito che si commentano da sé», ribatte la famiglia Cucchi: «Che Stefano avesse problemi di droga, noi non l'abbiamo mai negato, ma questo non giustifica il modo in cui è morto. Siamo sempre in attesa di giustizia». In parlamento e sui media scoppia la polemica, ma non c'è nulla di nuovo: è il Giovanardi di sempre, proibizionista convinto, quello della «droga che provoca buchi nel cervello», quello del «nuovo diritto alla libertà dalla droga» coniato a marzo scorso nell'ultima conferenza governativa di Trieste. Da sempre, il coestensore della vigente legge sulle droghe, la 49/2006, che equipara tutte le sostanze stupefacenti e di fatto il consumo allo spaccio, fomenta la demonizzazione dei «drogati» e tifa per la «cristoterapia» come cura alla tossicodipendenza.
Solo che questa volta Giovanardi va decisamente oltre il seminato quando dai microfoni di 24 Mattino, su Radio 24, dice: «Stefano Cucchi era in carcere perché era uno spacciatore abituale. Poveretto, è morto - e la verità verrà fuori - soprattutto perché pesava 42 chili. La droga ha devastato la sua vita, era anoressico, tossicodipendente, sieropositivo, poi il fatto che in cinque giorni sia peggiorato... certo bisogna vedere come i medici l'hanno curato. Ma sono migliaia le persone che si riducono in situazioni drammatiche per la droga, diventano larve, diventano zombie: è la droga che li riduce così». Troppo per chiunque. Tanto che né dal Pdl né dall'ex partito del sottosegretario, l'Udc, si levano voci in suo sostegno. «No comment» anche dall'altro autore della Fini-Giovanardi: il presidente della Camera infatti preferisce non aggiungere altro all'auspicio «che non cali il silenzio e si faccia al più presto piena luce sulla vicenda» espresso giovedì 29 ottobre ricevendo la famiglia Cucchi. Certo, nessuno si aspettava che Giovanardi cambiasse idea, magari partendo dai dati snocciolati da molte associazioni proprio durante la conferenza di Trieste che parlano di un aumento del numero di tossicodipendenti in carcere (+8,4% nel 2008 rispetto a prima dell'indulto). Ma forse nemmeno si poteva immaginare il tenore della replica ufficiale del sottosegretario, dopo le proteste sollevatesi da più parti alle sue esternazioni mattutine. «Sono stato il primo ad esprimere solidarietà alla famiglia del giovane Stefano Cucchi per quello che di certo c'è nella sua tragica fine: e cioè che nei giorni della degenza ospedaliera si è permesso che arrivasse alla morte nelle terribili condizioni che le foto testimoniano», è la nota ufficiale con la quale Carlo Giovanardi conferma «il ruolo determinante svolto dalla droga», «perché è stata la causa della fragilità di Stefano, anoressico, tossicodipendente e soggetto a crisi di epilessia, secondo le sue dichiarazioni». Ma, conclude Giovanardi tornando su un argomento sempre più caro e strumentalizzato da una parte del suo schieramento politico, «proprio le sue patologie non dovevano e non potevano indurre i medici a prendere per oro colato le sue presunte volontà. Qui sta il nodo: secondo me hanno perfettamente ragione i familiari che pretendevano di essere coinvolti, ma anche i medici sono oggi in difficoltà davanti a chi sostiene che la volontà del paziente deve sempre essere rispettata. Ma la volontà di Stefano, in quelle condizioni, era davvero così chiara?».



Caso Cucchi: Giovanardi, chiedo scusa alla famiglia.
Passo indietro del sottosegretario in merito alla morte del ragazzo. “Si tratta di un fatto gravissimo, intollerabile che per 5 giorni Stefano non sia stato curato. È entrato in ospedale che pesava 43 chili e ne è uscito che ne pesava 36".
Dalle Agenzie - Sky Tg24, 11 novembre 2009.

"Quando ci sono dei fraintendimenti, soprattutto se offendono la sensibilità di una famiglia, è giusto chiedere scusa": così il sottosegretario Carlo Giovanardi, intervistato da Barbara Palombelli nel corso della trasmissione "28 minuti" su RadioDue", a proposito della morte di Stefano Cucchi, ha risposto alla domanda se volesse chiedere scusa alla famiglia. Giovanardi ha però subito aggiunto che "ci tengo a ribadire che è un fatto gravissimo, intollerabile, che per cinque giorni Stefano non sia stato curato, è entrato in ospedale che pesava 43 chili ed è uscito che ne pesava 36 chili, non è stato nutrito. E la famiglia - ha continuato il titolare delle politiche antidroga - ha ragione a chiedere il motivo per cui non è stata coinvolta. Perchè non sono stati chiamati gli psicologi, perchè i medici non lo hanno curato? Una persona così debole e fragile non è stata aiutata. Questa è la cosa più grave". "Il resto, percosse o altro - ha concluso - ribadisco che, come Dipartimento e come Presidenza del Consiglio siamo disposti a costituirci parte civile nel processo se dovessero emergere responsabilità di qualche pubblico ufficiale nel corso della vicenda". Le parole di scusa del sottosegretario arrivano dopo giorni di pesanti polemiche provocate proprio dalle parole di Giovanardi, che avevano suscitato l'ira della famiglia e l'indignazione di molti esponenti del mondo della politica e delle istituzioni.
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Urina e pelo alla patria

Caso Cucchi. La droga di Giovanardi.
Rassegna stampa - il manifesto, Franco Corleone, 11 novembre 2009.

Il piccolo zar antidroga con una dichiarazione insultante contro Stefano Cucchi ha superato ogni limite di decenza. In poche righe Carlo Giovanardi è riuscito a condensare il suo livore verso le persone di cui dovrebbe, per il suo incarico, occuparsi e preoccuparsi. «Era in carcere perché era uno spacciatore abituale. Poveretto, è morto soprattutto perché pesava 42 chili». Il sottosegretario trascura il dettaglio, di cui si sta occupando la magistratura, della causa e delle responsabilità delle gravi lesioni sul suo corpo e della violazione del suo diritto di difesa. Giovanardi ha spesso attaccato i giudici in nome del garantismo, ma solo per difendere i suoi amici; quando si tratta di un soggetto fragile, "tossicodipendente", le garanzie non valgono più e lo si può calpestare e violentare perché si tratta di un cittadino di serie B. Per l'ex ministro non è importante scoprire le ragioni della morte di un giovane inerme, prigioniero dello Stato a causa di leggi criminogene. No, quello che gli interessa è incolpare la droga (quale?) che riduce le persone come larve, che «diventano zombie».
Chi conosce bene Giovanardi non si stupisce delle sue affermazioni, che sono proprie del suo stile di finta bonomia e di peloso buonsenso; il nostro rimarrà addirittura sbigottito delle tante reazioni che arrivano giustamente a chiedere le sue dimissioni, perché penserà di aver detto pane al pane e vino al vino. D'altronde il suo approccio scientifico è dimostrato dal rifiuto della distinzione fra droghe leggere e pesanti, che per il sottosegretario non esiste perché "tutto fa brodo" quando si tratta di stordire il proprio cervello con sollecitazioni chimiche psicoattive (citazione testuale tratta dalla presentazione dell'ultima relazione al Parlamento sullo stato delle tossicodipendenze in Italia).
Forse una ragione in questa uscita così rozza esiste. Giovanardi teme che finalmente qualcuno chieda conto di cosa ha prodotto la legge che porta il suo nome: il numero sempre più alto di tossicodipendenti in carcere, ben 30.528 (dal 27% del 2007 al 33% del 2008). Se a questi si aggiungono altri 26.931 incarcerati per spaccio si capisce bene la criminalizzazione di massa che la legge produce. Ma queste sono inezie per chi ha assunto il ruolo di salvatore dei giovani dal male assoluto, dal vizio e dalla malattia che la droga rappresenta. Non importa se il costo di salvare le anime è lo schiacciamento dei corpi. Purtroppo l'elenco delle vittime diventa sempre più lungo e troppo spesso la persecuzione è dovuta al consumo dell'innocente marijuana. La campagna moralistica e ideologica si è arricchita in questi giorni del test antidroga ai parlamentari. La crisi forse irrimediabile della politica si è mostrata plasticamente nella coda dei rappresentanti del popolo così terrorizzati e ricattati da offrire la propria urina e il proprio pelo sull'altare della demagogia.
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Togliere la croce aumenta la lontananza dei popoli

Marocchini contro Strasburgo: «La croce rappresenta la pace».
Rassegna stampa - Il Cittadino, Paola Arensi, 11 novembre 2009.

Anche i marocchini contestano la sentenza di Strasburgo: «Noi non crediamo alla necessità di togliere il crocifisso dalle scuole italiane per non urtare la sensibilità religiosa degli alunni». Il presidente dell’associazione casalese Dialogo Abdelkarim Elmardadi spiega: «Tanti connazionali immigrati sono rimasti allibiti per la decisione della Corte. Togliere un Crocifisso dalle scuole o eventualmente da altri luoghi pubblici fa fare al mondo passi indietro e aumenta la lontananza dei popoli». Poi il rappresentante della comunità marocchina prosegue: «Io sono arrivato in Italia nel 1992, abito a Somaglia e i miei figli, che frequentano le scuole, non sono mai stati disturbati in alcun modo dai simboli o dai riti della religione cristiana. La croce rappresenta la pace e nasconderla non farà del bene a nessuno. Eventualmente si potrebbe decidere di affiancarla a simboli di altre religioni». Elmardadi apprezza il rispetto che la maggior parte delle istituzione e degli italiani garantiscono ai suoi connazionali: «Mi piacerebbe ci fosse più rispetto per le religioni in generale. È normale che, emessa la sentenza, i cristiani si siano sentiti offesi. Proviamo la stessa cosa quando qualcuno ci attacca o critica perché le nostre donne decidono di portare il velo o per altre usanze musulmane. Sarebbe meglio concentrarsi sul risolvere problematiche reali piuttosto che distruggere quanto costruito fin’ora e alimentare la xenofobia».
Il portavoce sottolinea come sia stata una cittadina italiana di origini finlandesi a far togliere il crocifisso da scuola e non un marocchino mussulmano: «Infatti è nostra abitudine rispettare gli altri e quando ci facciamo sentire è soltanto perché, come dice la Costituzione italiana, ognuno ha diritto di professare la propria religione liberamente e in luoghi adatti. Ciò non toglie che qualcuno di noi a volte si comporti in modo sbagliato così come accade a qualche italiano». Poi Elmardadi ha concluso: «Io in Marocco abitavo in un paese dove c’erano una moschea, una chiesa e una sinagoga vicine. Lo spettacolo era incantevole. Inoltre mi sono trovato d’accordo, nel 2004, con la modifica del codice della famiglia moudawana che ha abolito la poligamia avvicinandoci di più agli ordinamenti degli stati occidentali. Però voglio ricordare che, al di là dei pregiudizi, certe regole erano state portate da condizioni, oggi per fortuna scomparse, che non si potevano ignorare. Per esempio all’epoca delle guerre morivano molti uomini e la poligamia è nata affinché i pochi rimasti potessero prendere in cura più donne possibili strappandole alla povertà».
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Testimoni della legalità

La carovana contro le mafie ha fatto tappa in città ieri: hanno parlato l’attore minacciato dai boss e il regista Figazzola. «Non è un merito essere sotto scorta». Cavalli: «Il contrasto alle cosche deve essere un’attività condivisa».
Rassegna stampa - Il Cittadino, Matteo Brunello, 11 novembre 2009.

La lotta alla criminalità organizzata non deve essere un atto eroico e solo di alcuni, ma un costume ordinario che riguarda tutti. Un sussulto di «dignità» che si muove nel pieno rispetto della Costituzione, che invita i cittadini a contribuire «al progresso morale» della società. È questo l’appello che l’attore e regista Giulio Cavalli ha rivolto agli studenti dell’Itis ieri mattina. Un intervento pubblico all’interno della tappa lodigiana della carovana antimafie, che ha in programma due giorni di dibattiti e incontri sulla legalità. «Il contrasto alle cosche dovrebbe essere un’attività del tutto ordinaria e condivisa. Per questo se sono sotto scorta non è da ritenersi un merito, ma un demerito di tutti gli altri - spiega l’uomo di spettacolo, colpito da minacce mafiose e protetto da alcuni agenti - è come se mi fossi chinato un attimo per raccogliere un accendino e improvvisamente mi sono accorto che gli altri avevano fatto un passo indietro». L’appuntamento per riflettere su giustizia e diritti, oltre che sul contrasto alle mafie, è cominciato dalle scuole. Dal mattino molti degli alunni del liceo Gandini e istituto Itis del capoluogo si sono confrontati con alcuni personaggi impegnati nella società e nel mondo della cultura. Dopo un’introduzione del dirigente scolastico Itis, Luciana Tonarelli («è un orgoglio per noi ospitare questa iniziativa, che invita tutti ad essere testimoni della legalità»), e la presentazione da parte di un’insegnante e rappresentante dell’associazione Adelante, ha preso la parola all’istituto tecnico l’attore sotto scorta Giulio Cavalli. E ha ricostruito la genesi della sua opera, nata dalla volontà di sbeffeggiare il falso onore degli uomini mafiosi. Capi molto rispettati, che guardati con attenzione si rivelano «davvero comici»: «Basti pensare a Provenzano con i suoi celebri pizzini, oppure a Totò Riina, una persona che in vita sua non deve aver mai preso un congiuntivo», dice l’attore lodigiano. E ancora ha puntato il dito sulle diverse ramificazioni dei clan che arrivano fino a noi, con i sospetti di infiltrazioni che raggiungono anche il Lodigiano. Poi ha preso la parola anche il regista Roberto Figazzolo, coordinatore di un cortometraggio dal titolo “Librino? Una favola”, racconto-testimonianza di un’esperienza svolta in una località alle porte di Catania, grazie all’apporto di alcuni bambini del posto. Infine al Gandini di Lodi le classi sono state divise in gruppi e sono stati realizzati dei laboratori tematici con gli alunni, guidati da personaggi come la direttrice del carcere, Stefania Mussio e Adriana Cippelletti del comune di Casale, che ha introdotto al tema dei beni confiscati alla mafia, oltre ad altri ospiti illustri. Sempre al mattino si è tenuto anche un incontro alla casa circondariale di via Cagnola con l’autore Carlo Barbieri, autore di “Le mani in pasta”.



Durante il confronto tra “Avviso pubblico” e amministratori si è parlato di un tavolo istituzionale sul territorio. La legalità va riconquistata anche in Lombardia. L’allarme: «Nella regione una presenza stabile della criminalità organizzata».
Rassegna stampa - Il Cittadino, Matteo Brunello, 11 novembre 2009.

«Costituiremo un tavolo istituzionale sui temi della legalità, con la partecipazione di rappresentanti degli enti locali del territorio». La proposta è dell’assessore del comune di Lodi, Andrea Ferrari, al termine dell’incontro con gli amministratori del Lodigiano e referenti di “Avviso pubblico”, associazione che si occupa di formazione civile contro le mafie. La tavola rotonda si è svolta ieri pomeriggio nell’aula consiliare di palazzo Broletto, nell’ambito della carovana antimafie. Diverse gli esponenti degli enti locali del territorio che hanno dato la propria adesione all’iniziativa (una trentina di amministrazioni locali, stando agli organizzatori). «Siamo un’associazione che si occupa di promozione alla legalità, attraverso corsi di formazione, sensibilizzazione su buone prassi amministrative e iniziative di sostegno nella lotta alle mafie», spiega Pierpaolo Romani, coordinatore di “Avviso pubblico”.
Come informato dai referenti di questo gruppo (tra ha partecipato all’incontro anche il vice presidente Roberto Montà), nel Paese sono 175 le realtà tra comuni, province e regioni che hanno ufficialmente aderito all’associazione. «Il nostro ruolo è quello di sostenere gli amministratori nella lotta alla mafia e fornire anche elementi per leggere i fenomeni di infiltrazione delle cosche - specifica Romani - ad esempio alcune spie da tenere in debita attenzione, sono la gestione dei fallimenti aziendali, poi processi per truffa e altre fattispecie che abbiamo cura di segnalare». Per aderire è necessario un atto ufficiale dell’ente, che verrà esaminato dall’ufficio di presidenza dell’associazione. In Broletto era presente anche il coordinatore lombardo di “Libera”, associazione promotrice della carovana, Lorenzo Frigerio: «Nella regione abbiamo ormai una presenza stabile delle cosche. Per questo mi auguro che la risposta degli enti locali sia una risposta alta e partecipata. Le mafie non si battono solo con risposte repressive, seppur fondamentali, ma con un cambio di mentalità forte. Un passo importante è già riconoscere di avere il problema anche qui da noi».
Infine nella prima giornata di carovana sono stati organizzati due banchetti della legalità, al Circolo Arci di Lodi e Lodi Vecchio. Poi è stata anche presentata la mostra fotografica, “Il profumo della libertà”, con immagini sulla Sicilia, organizzata da Coop Lombardia, all’interno del centro commerciale MyLodi. E, tra i molti promotori dell’evento (tra cui comune di Lodi, Arci, “Libera” e altre realtà e associazioni), con la tappa lodigiana del tour antimafia si riparte questa mattina all’Itis. Incontrerà gli studenti, Francesco Galante del consorzio di cooperative “Libera Terra Mediterranea”.
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Il fenomeno delle frodi informatiche nel Lodigiano

A vigilare sui banditi del web è un pool di investigatori di Milano che controlla buona parte del territorio regionale. Reati informatici: Lodigiano nel mirino. Almeno 250 i casi all’anno trattati dagli esperti della Procura.
Rassegna stampa - Il Cittadino, Aldo Caruso, 11 novembre 2009.

Il fenomeno delle frodi informatiche, con l’aumentata diffusione dell’utilizzo dei computer, risulta essere in continua crescita anche nel Lodigiano. Questa circostanza ha reso necessaria, in alcune Procure, la creazione di un gruppo specializzato in questo tipo di reati. Presso la Procura della Repubblica di Milano, competente sul territorio della provincia di Lodi per quanto riguarda questa materia, esiste uno di questi pool composto da magistrati ed ufficiali di Polizia Giudiziaria in possesso delle necessarie competenze tecniche.
Territorialmente questo tipo di crimine è trattato diversamente da quanto avviene normalmente; infatti la Procura di Milano copre tutto il territorio del distretto di Corte d’Appello di Milano compresa Lodi, Sondrio, Varese, Pavia, Lecco e Monza. Quindi nonostante in queste città esista un ufficio di Procura la tipologia di reato relativa al mondo del web viene trattata solo a Milano.
Il metodo che ancora oggi risulta più diffuso ed usato è quello delle e-mail spazzatura, in gergo spam che vengono inviate a milioni ogni giorno sperando che nel mucchio qualcuno ci caschi. Questi messaggi, da un iniziale livello di rozzezza che li faceva subito individuare come fasulli anche grazie al loro italiano approssimativo, stanno diventando sempre più raffinati e simili a comunicazioni veritiere utilizzando una migliore proprietà di linguaggio e dei loghi grafici identici a quelli autentici. I malcapitati che “cascano nella rete” sono ancora tanti e, fornendo le informazioni richieste nei siti su cui vengono indirizzati, permettono la creazione di carte di prelievo che vengono subito usate presso gli sportelli Bancomat. Spesso vengono utilizzati i punti Atm situati nei Casino che hanno come limite massimo di singolo prelievo tremila euro invece dei consueti cinquecento.
Ancora può accadere che il contenuto del conto corrente di cui si sono ottenute le credenziali venga riversato su carte prepagate ottenute con documenti falsi dagli hackers. I finti siti web delle banche a cui vengono indirizzati gli “ingenui” sono realizzati in maniera molto fedele a quelli originali, di cui ricalcano esattamente la grafica, e possono facilmente trarre in inganno.
Altro fenomeno fraudolento molto diffuso è quello rappresentato da mail che offrono un lavoro di “financial manager” che consiste essenzialmente nel fornire un conto corrente su cui ricevere e bonificare a terzi indicati di volta in volta delle somme di denaro trattenendo una commissione. Sostanzialmente è un’attività di riciclaggio. Per affrontare queste problematiche, l’Autorità Giudiziaria deve instaurare procedimenti giudiziari molto complessi non esistendo una normativa internazionale sulla materia. I server utilizzati sono sempre all’estero e prevalentemente nei paesi dell’Est oppure oltreoceano. Bisogna quindi avvalersi dello strumento giuridico della rogatoria internazionale e sperare in una rapida collaborazione dell’autorità giudiziaria straniera. Altra difficoltà è rappresentata dalla circostanza che la legge italiana non prevede l’ipotesi di reato di “phishing” quindi bisogna “adattare” le leggi esistenti. Le norme applicate e recepite in due importanti sentenze del Tribunale di Milano che adesso costituiscono un precedente di cui tenere conto, o come si dice tecnicamente “fanno giurisprudenza”, sono la legge 146 del 2006 che introduce il concetto di reato transnazionale ovvero commesso in uno stato ma preparato, diretto o controllato in un altro paese e l’articolo 648 bis del codice penale che punisce il reato di riciclaggio con la detenzione da quattro a dodici anni.
Il numero di procedimenti penali di questo tipo trattati dal pool milanese è di circa 250 all’anno ed ognuno coinvolge spesso centinaia di persone. Uno dei magistrati del pool, Francesco Cajani, da sempre ritiene che il fenomeno andrebbe affrontato con maggiore attenzione dagli istituti di credito che dovrebbero fornire ai propri clienti più informazioni di carattere cyber-comportamentale ed investire sempre di più in sistemi di home banking all’avanguardia sotto il profilo della sicurezza per i correntisti. Questo potrebbe essere il moderno modo bancario di farsi concorrenza.
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La diatriba "Gibelli"

L’intervista rilasciata al «Cittadino» e gli stati generali tenuti dalla Lega Nord a Graffignana riscaldano il clima elettorale. «Gibelli, un po’ di pudore non guasta».
Manfredi del Pd attacca il parlamentare leghista dopo le recenti accuse.

Rassegna stampa - Il Cittadino, 11 novembre 2009.



«Considero del tutto ingeneroso il giudizio espresso dall’onorele Gibelli nella intervista rilasciata al direttore del Cittadino giovedì 5 novembre. Ingeneroso perchè nel corpo dell’intervista, al fine di valorizzare il proprio ruolo, l’onorevole appare molto compiaciuto del fatto che il neo presidente della Provincia vada ad occupare la nuova prestigiosa sede di via Fanfulla, che sappiamo essere un’opera frutto delle scelte del centro sinistra. Fuorviante, in quanto basato su una analisi della realtà del nostro territorio, ed in modo particolare, della sua struttura produttiva del tutto datata e non rapportata alla situazione attuale della Provincia di Lodi». Parola di Alessandro Manfredi, esponente di spicco del Partito democratico lodigiano e storico componente dell’anima diessina del Pd.
L’intervista di Gibelli ha scatenato un putiferio. Apparsa sul Cittadino di giovedì scorso, ha fatto registrare le alzate di scudi di Gianpaolo Colizzi presidente del consiglio comunale di Lodi e dell’assessore alla cultura del Comune di Lodi, Andrea Ferrari. Adesso ci sono le risposte piccate di Manfredi. «Gibelli - afferma Manfredi - dichiara che in passato il Lodigiano “è stato territorio di conquista delle multinazionali che adesso delocalizzano, chiudono qui e aprono altrove. È quanto accaduto, ad esempio, alla Lever di Casalpusterlengo ed alla Akzo Nobel di Fombio”. Per chiunque conosca minimamente la realtà del nostro territorio e la storia delle fabbriche citate, ma se ne potrebbero aggiungere altre, non può sfuggire che questi insediamenti si sono realizzati fra gli anni 50 e 60 del secolo scorso, in un’epoca in cui il Lodigiano era considerato ancora area depressa». «Inoltre - è sempre Manfredi che parla - è alla metà degli anni 90, con l’avvento della Provincia di Lodi, che si decise di non ricorrere più a strumenti tipici delle aree sottosviluppate, ma, attraverso il Patto territoriale di puntare a “fare sistema” fra i soggetti economici e sociali per valorizzare un tessuto economico fatto prevalentemente di aziende di piccole e medie dimensioni, contribuendo in questo modo a costruire una nuova identità per il lodigiano». «Non so - riprende Manfredi - se l’onorevole Gibelli ha avuto la possibilità di leggere le “Linee programmatiche di mandato Amministrazione Provinciale 2009-2014 Presidente Pietro Foroni”, per accorgersi che buona parte dei contenuti di queste linee di mandato, per me non meno del 90%, rappresentano un dato di continuità con quanto è stato fatto dalle precedenti amministrazioni del centro sinistra. Ciò prescindendo, chiaramente, dal titolo riportato nel Sommario: “Il Lodigiano vera Provincia e non più succursale della Provincia di Milano”». Alessandro Manfredi rincara la dose: «C’è ancora qualcuno disposto a credere che se ciò fosse vero, la Provincia di Lodi avrebbe potuto spuntare l’insediamento dell’Università, del Parco Tecnologico, del Centro Polivalente per le Pmi, gli investimenti sulle infrastrutture, l’essere fra i soggetti promotori del Sistema Turistico “Po di Lombardia, quale primo sistema turistico lombardo” per cui “i finanziamenti ottenuti complessivamente dal sistema hanno determinato un significativo salto di qualità per il territorio e garantito l’attività promozionale...”(Linee di mandato pag. 24 di 31) non solo della raspadura, aggiungo io». «Certo la Lega Nord, ed i suoi esponenti - attacca Manfredi - vogliono dare la linea, e ne hanno facoltà, visto il peso che hanno nella nostra Provincia, in Regione e nel Governo di Roma, e tutti ci auguriamo che possano produrre ulteriori risultati positivi per il territorio. Inoltre vogliono attrezzarsi per nuove e importanti conquiste. Ma anche in questo caso un po’ di pudore non dovrebbe guastare». Infine, ecco la chiosa di Manfredi, questa volta indirizzata ai contenuti degli “stati generali” che la Lega ha tenuto nel fine settimana a Graffignana: «Che ci sia il segretario provinciale della stessa Lega Nord che si permette di giudicare i compagni di strada che si sceglie il sindaco di Lodi considerandosi “un cattolico più attento di un sindaco del capoluogo che ha intenzione di ricandidarsi sostenuto da alcuni atei comunisti”, al di la del rispetto che dovrebbe essere dato in uno stato laico anche a chi non intende fare professione di fede, lascia allibiti quando viene dal segretario di un partito che ancora qualche settimana fa ha celebrato il rito pagano del versamento dell’ampolla delle acque del Po».L’attacco a questo punto è ovviamente rivolto a Umberto Bossi, che, dichiara Manfredi, «ha propagandato per i suoi esponenti il rito del matrimonio celtico ed appellava i ministri della Chiesa cattolica con il dispregiativo appellativo di “vescovoni”».



Ma cosa aveva detto Gibelli nella sua intervista rilasciata a Ferruccio Pallavera? Ecco il testo di quell'articolo.
«Il moderno Polo tecnologico di Lodi non può essere ridotto al luogo delle gite delle delegazioni che vanno a visitarlo». Gibelli: «Cambiare rotta al Lodigiano». Il parlamentare: «Nessuno ha valorizzato le potenzialità del territorio».
Rassegna stampa, Il Cittadino, Ferruccio Pallavera, 5 novembre 2009.

Andrea Gibelli è nato a Codogno il 7 settembre 1967. Laureato in architettura, è stato eletto per la quarta volta deputato al Parlamento (legislature: XII, XIV, XV, XVI). Iscritto al gruppo parlamentare della Lega Nord Padania, dal 22 maggio 2008 è il presidente della X Commissione (attività produttive, commercio e turismo).
Onorevole Gibelli, da quando è in Parlamento?
«Dal marzo 1994».
Ininterrottamente?
«No. Da allora si sono succedute cinque legislature. Io ne ho fatte quattro».
Ne ha saltata una, quindi.
«Sì, la tredicesima. Sono mancato dal parlamento dal 1996 al 2001, ma questa interruzione è stata la mia fortuna».
Perché?
«Ho lavorato per la Lega Nord, prima come responsabile del settore urbanistica e poi degli enti locali. Ho vissuto da protagonista la costruzione dell’alleanza in Regione Lombardia tra Formigoni e la Lega, nell’anno 2000. Il programma elettorale che scandì quell’alleanza l’abbiamo scritto io e Raffaele Cattaneo, in soli 15 giorni».
E questo le è servito?
«Moltissimo. Quando sono tornato a Roma, nel 2001, mi portavo dietro il grande bagaglio culturale della conoscenza approfondita dell’intera Lombardia».
Hanno detto che lei non ha mai mosso un dito per favorire il nostro territorio. È vero?
«Lo chieda ad Ettore Albertoni. Quando era in Regione Lombardia lavorai al suo fianco per fare in modo che venisse stanziato un congruo finanziamento destinato a realizzare l’attuale sede della provincia di Lodi. Poi quel mio interessamento ci portò bene. La nuova sede della provincia adesso è utilizzata da Pietro Foroni e dalla sua giunta. Feci la stessa cosa quando Boni era presidente dell’Aipo, ottenendo un suo corposo intervento a favore delle difese spondali della città di Lodi. E non è tutto».
Perché?
«Sono intervenuto per il finanziamento della Lodi-Crema e per il ponte di Sant’Angelo Lodigiano. Gli ultimi due corposi interventi realizzati grazie al mio diretto interessamento sono stati il recupero dell’Ospedale Soave di Codogno e la ristrutturazione di Villa Trecchi a Maleo. Anche quest’ultima opera pubblica ha portato bene a Foroni, diventato appunto sindaco di Maleo».
Lei ha occupato posizioni rilevanti a livello parlamentare.
«Dal 2005 sono stato capogruppo della Lega alla Camera dei deputati. Nessun lodigiano ha mai ricoperto un ruolo così rilevante in un partito di governo. Oggi sono presidente di una commissione parlamentare, l’unico presidente di commissione espresso dal nostro territorio nel corso della sua storia».
Quale commissione?
«La commissione attività produttive della Camera dei deputati».
È vero che state lavorando sulla localizzazione delle future centrali nucleari?
«Sì».
Mi racconta qualche chicca in proposito?
«Sono andato in Francia per apprendere come sono stati individuati i siti che ospitano le centrali».
Cos’hanno fatto in Francia?
«In Francia c’è una legge sulla trasparenza, che regola i rapporti tra gli impianti e le ricadute di questi ultimi sulla popolazione locale».
C’è qualcosa che l’ha colpito?
«In Francia hanno istituito commissioni locali che hanno il compito di sorvegliare tutto il cammino che porta alla realizzazione delle centrali».
E da chi sono composte? Mi lasci indovinare: sindaci, politici, qualche tecnico e qualche scienziato… Giusto?
«Sbagliato».
Perché?
«Le commissioni sono composte da medici, da giornalisti e da sindacalisti. I rapporti con le istituzioni vengono dopo. Queste commissioni hanno libero accesso a tutti i dati che riguardano le centrali. I loro componenti sono messi in grado di poter valutare i vari gradi di rischio. Vengono messi al corrente dei contenuti delle singole procedure, e su come viene gestito l’impianto».
Cosa pensa di queste commissioni?
«La loro istituzione in Francia ha pagato moltissimo. Credo che possa avvenire la stessa cosa in Italia».
Posso farle una domanda bollente?
«Me la faccia pure, posso immaginare cosa sta per chiedermi».
L’impianto di Caorso sarà riattivato? Il Lodigiano tornerà ad avere una centrale nucleare sull’altra sponda rive del Po?
«È ancora presto per dirlo».
La sua è una risposta diplomatica.
«No, gliel’assicuro. Le centrali saranno individuate attraverso criteri che utilizzano standard internazionali».
E quali sono gli standard principali?
«Sono tre. La vicinanza alla rete elettrica. Devono sorgere in zone non sismiche. Deve esserci una forte disponibilità idrica».
Sono tre requisiti che Caorso possiede.
«Glielo ripeto: la decisione per il sì o per il no alla riattivazione di Caorso è ancora molto lontana. Lo scriva per favore».
Cosa state valutando?
«Ad esempio, se le centrali nucleari dovranno essere costruite lontano dal mare oppure no. E poi non saremo noi a individuare i siti».
Chi li deciderà?
«Nelle macroaree previste, a scegliere le localizzazioni saranno le aziende che si impegneranno a realizzare gli impianti. Saranno queste aziende a stabilire dove sarà più conveniente costruire le centrali nucleari, e lo faranno in base alla tecnologia in loro possesso».
E Caorso…
«Quando decisero di costruire una centrale a Caorso c’erano altri nove siti individuati come tali. Non posso ecludere che a Caorso possa essere insediata una centrale nucleare, ma non lo posso neppure confermare».
Cambiamo argomento. Parliamo del Lodigiano. Cosa la sta impegnando maggiormente in questo periodo?
«Mi sta impegnando la situazione occupazionale del nostro territorio».
Siamo messi meglio o peggio di altri territori?
«Il Lodigiano, nel panorama della crisi economica, qualche vantaggio ce l’ha».
Quale, ad esempio?
«Quello di essere al centro delle vie di comunicazione più importanti del Paese. Questo può favorire una ripresa economica dell’intero territorio».
E gli svantaggi? Ce ne sono?
«Il Lodigiano non ha una propria identità economica rilevante».
A cosa si riferisce?
«Al fatto che in passato è stato territorio di conquista delle multinazionali, che adesso delocalizzano, chiudono qui e aprono altrove. È quanto è accaduto, ad esempio, alla Lever di Casalpusterlengo o alla Akzo Nobel di Fombio».
Il nostro territorio cosa potrebbe fare per opporsi a queste dismissioni?
«Niente. Quando hai a che fare con l’amministratore delegato di una multinazionale che chiude e apre aziende muovendole come pedine sulle scenario del mondo, non riesci a fare nulla a livello locale. Sei considerato poco anche a livello regionale. L’unica voce in capitolo riesci ad averla solo a livello di governo».
Appunto. E lei, quale presidente della commissione attività produttive del governo…
«Quando mi sono recato al ministero per chiedere informazioni circa la vicenda della Akzo Nobel, mi hanno risposto che sui 183 tavoli che erano stati aperti circa le aziende italiane in crisi occupazionale, non c’era quello della Akzo. Né i sindacati né l’azienda avevano attivato le procedure necessarie. Nessuno, capisce? Aggiunga lei i commenti del caso».
E lei cosa ha fatto?
«Sono stati il prefetto e il presidente della Provincia di Lodi ad attivare le procedure ministeriali. Il prossimo 11 novembre a Roma, presso il ministero, si affronterà la vicenda dell’Akzo Nobel. Io li ci sarò. Non farò come Rosy Bindi, che si è limitata a fare un giro davanti all’azienda di Fombio. Il giro sono capaci tutti di farlo. Io non sono andato a Fombio, ma sarò presente all’incontro di Roma».
Prima ha detto che il Lodigiano non ha una propria identità economica rilevante. Cosa significa?
«Questo territorio necessita di “fare sistema”. Le aree che rispondono meglio alle crisi economiche sono quelle che hanno una vocazione economica specifica, il Lodigiano non ce l’ha».
Un esempio?
«Gliene faccio due. Il primo: è stato importante realizzare a Lodi il Polo tecnologico, a fianco dell’università. Ma quali vantaggi ne trae Lodi? Cosa sta facendo il Polo tecnologico? È chiaro che non può essere il luogo delle gite delle delegazioni che vanno a visitarlo».
Il secondo esempio?
«Lodi progress. È stata realizzato nel posto sbagliato. Perché uno dovrebbe costruire una fiera locale in un posto situato in mezzo ai capannoni, alla periferia di Lodi, in un posto irraggiungibile? E poi, cosa si sta facendo per interagire con le grandi fiere, facendo in modo che Lodi ospiti a ricadute quelle iniziative che altrove non trovano posto?».
E lei cosa farebbe?
«Un anno fa io, Pietro Foroni che non era ancora diventato presidente della Provincia e Guido Guidesi segretario provinciale della Lega, ci siamo trovati a chiacchierare sul futuro del territorio, constatando che nel Lodigiano nessuno aveva avviato iniziative rilevanti, in grado di accendere su di esso i riflettori del grande pubblico».
Si spieghi meglio.
«L’Umbria si è inventata Umbria Jazz. Mantova ha la fiera del libro. Siena e Legnano hanno il palio. E Lodi? E il Lodigiano? Niente. Il Lodigiano da quando c’è la Provincia di Lodi che idea ha dato di sé? Come ha promosso la sua immagine in Italia? Niente, non è stato fatto niente. Eppure il Lodigiano ha potenzialità enormi».
Del tipo?
«I nostri castelli. Le chiese. L’ambiente naturale. I prodotti della nostra terra. La rete dei piccoli musei. La presenza di alcune centinaia di ristoranti e di piccole trattorie sparse per il territorio. Nessuno ha mai sfruttato queste potenzialità».
Eppure ogni domenica c’è parecchia gente che lascia Milano per arrivare nel nostro territorio.
«Non è con il turismo domenicale fuoriporta che porteremo ricchezza al Lodigiano. Occorre sfruttare al meglio il turismo culturale e ambientale, ma per farlo abbiamo bisogno di servizi. Servizi che non abbiamo. Le faccio un esempio».
Dica.
«Quando nel mese di febbraio il Comune di Maleo è arrivato alla Camera dei deputati presentando ai parlamentari la qualità dei prodotti del nostro territorio, abbiamo registrato un successo inimmaginabile. Tutti i parlamentari sono rimasti impressionati dalla qualità dei nostri prodotti. Hanno gustato la raspadura, mi hanno chiesto in tanti dove avrebbero potuto acquistarla, in Roma. Ho risposto che la puoi comprare solo… nel Lodigiano».
Allora...
«Lodi è a 20 minuti dall’aeroporto di Linate, ha un casello dell’autosole, ha una stazione ferroviaria dove tra poco transiterà la metropolitana leggera. È raggiungibilissima, così come lo sono tutti gli altri centri del territorio. Ma perché mai dovrebbero venire a Lodi o nel Lodigiano, se non offriamo iniziative qualificate per attirare i turisti?».
Lei si aspettava un risultato così marcato alle elezioni provinciali di giugno? Era sicuro del successo riscontrato da Foroni?
«In politica devi rischiare sul tuo potenziale. Le scelte che abbiamo compiuto hanno pagato. E poi dicoamolo: abbiamo vinto per i nostri meriti, ma anche per i demeriti degli altri».
Quali sarebbero stati questi demeriti?
«Le rispondo con un esempio. Non serve a nulla inaugurare l’imbarcadero sulle rive del Po, ai Morti della Porchera, se non lo inserisci in un contesto più ampio, se non attivi un percorso turistico collegato a quell’imbarcadero. Altrimenti l’imbarcadero, che è un’iniziativa importante, non dà i frutti che dovrebbe fornire. Resta una cosa a sé stante».
Quindi chi ha amministrato prima ha compiuto scelte sbagliate.
«Io non contesto le singole scelte delle precedenti amministrazioni provinciali. Prese singolarmente, le posso anche condividere. Ma diventano scelte inutili se non vengono inserite in una visione d’insieme».
Tra cinque mesi Lodi avrà già votato per il futuro sindaco.
«Felissari in Provincia si è trovato a dover realizzare scelte decise da chi l’aveva preceduto. Ad esempio Lodi Progress. La provincia di Lodi dal 1995 a oggi non ha saputo caratterizzarsi, non ha saputo darsi un disegno che facesse parlare di sé. Quando a Roma parli di Lodi, non c’è nessuno che la collega a un grande evento di marketing».
Tipo?
«I tartufi in Piemonte, il torrone a Cremona. Uno a Perugia ci va perché c’è la fiera del cioccolato, poi si ferma non solo per il cioccolato, ma va a visitare i musei, i palazzi, si ferma a mangiare nei ristoranti. Se uno va a Rimini non trova solo il mare. Mi dice perché mai uno dovrebbe venire a Lodi o nel Lodigiano?».
E quindi?
«L’amministrazione comunale di Lodi non ha saputo caratterizzare la città con un grande evento».
Tipo il festival delle donne inventato da Giuseppe De Carli?
«Quello ha riscontrato un grande successo. È stata fatta la prima edizione. Poi più nulla. Era un’idea da portare avanti. Nessuno ha fatto nulla per promuovere l’immagine della città in un contesto più ampio».
Ne è sicuro?
«Uno della Germania non viene a Lodi appositamente per visitare la chiesa dell’Incoronata. Viene a Lodi se è attirato da qualcosa che fa parlare di sé, e poi quando è in città va anche a vedere l’Incoronata».
Per concludere?
«I territori di maggiore successo sono quelli che si sono caratterizzati in maniera originale. Qui non si è fatto niente. Né per la provincia né per la città di Lodi».
E allora?
«Serve un mutamento di rotta».
Avevamo pubblicato già una prima risposta all'intervista, quella di Andrea Ferrari, in "Gibelli necessita di un rinnovato bagno nell'Adda". Il Cittadino ha pubblicato il 6 novembre anche un altro articolo reltativamente alle reazioni all'intervista, che riportiamo sotto.
Esplode in città il dibattito sul futuro di Lodi dopo l’intervista al parlamentare e alla vigilia delle elezioni comunali. «Gibelli? Nessuna proposta, solo critiche inutili». Colizzi e Ferrari replicano al deputato leghista: «Da lui neppure un’idea».
Rassegna stampa - Il Cittadino, Matteo Brunello, 6 novembre 2009.

«Nessuna proposta per il territorio e solo critiche distribuite a pioggia. Crediamo che il Lodigiano abbia diritto a una migliore considerazione». Così il presidente del consiglio comunale di Lodi, Gianpaolo Colizzi, liquida le posizioni del deputato leghista, Andrea Gibelli. Il parlamentare in un’intervista al Cittadino aveva spronato il territorio a cambiare rotta, per valorizzare di più le sue potenzialità. E a stretto giro, arriva la replica di uno dei massimi esponenti del centro sinistra nel territorio e ai vertici di palazzo Broletto. «Ho letto con sorpresa l’intervista rilasciata dall’onorevole Gibelli, che mi ha fatto molto riflettere sull’irragionevole pessimismo che la stessa ha tentato di spandere. Noto che un parlamentare con quattro legislature alle spalle, al di fuori delle battute sulla raspadura e sulla torta di Maleo, che peraltro sono prodotti di ultranicchia anche nel Lodigiano, non pare puntare su altro». Il presidente del consiglio comunale ha poi preso in esame i vari temi esaminati dal parlamentare del Carroccio. In primo luogo il Polo tecnologico, che Colizzi ha ricordato essere stato fortemente sostenuto sopratutto dalla regione, «invece mi pare che Gibelli dica che sia soltanto un luogo dove ci passano le varie delegazioni». E ha attaccato: «Vuol forse dire che Formigoni ha speso male i soldi della regione? Vuol dire che crediamo nelle torte e nelle cultura e non nella valorizzazione tecnologica del territorio? Ricordo che Berlusconi dice che quando si parla male di lui si parla male dell’Italia. Parlando male del polo tecnologico si parla quindi male del Lodigiano. Faccio anche notare che le posizioni del parlamentare sono più vicine a quelle dell’estrema sinistra, che non a quelle del presidente della provincia Foroni». Altro argomento quello della possibile riattivazione della centrale a Caorso, che secondo l’esponente di centro sinistra è stato abilmente schivato da Gibelli. «Si è destreggiato nel non rispondere - esprime Colizzi -. Trovo peraltro singolare che si pensi che le localizzazioni e la tecnologia debbano essere decisi dai privati che fanno l’investimento, che è come dire che i sindaci e gli eletti del territorio vengano di fatto soppiantati dal capitale privato». E ancora il canale navigabile, che è una proposta della Lega, che secondo l’esponente di centro sinistra non è stata nemmeno citata dal presidente attività produttive della Camera e potrebbe avere l’effetto di tagliare in due il territorio. Infine la città di Lodi, che andrà al voto per il rinnovo dell’amministrazione comunale al prossimo marzo. «Sul tema non è fatto alcun accenno, evitando in maniera quasi religiosa di entrare nel merito di questi cinque anni di attività del sindaco Guerini e della giunta - commenta Colizzi -. Era troppo anche per Gibelli esprimere giudizi azzardati rispetto ad opere come l’argine della ex Sicc, recupero dei giardini, grandi investimenti sul verde e parchi».
È intervenuto anche l’assessore alla cultura del comune di Lodi e rappresentante Pd, Andrea Ferrari. «Dall’intervista dell’onorevole Gibelli ho tratto la sensazione che la sua perdurante assenza da Lodi per gli impegni parlamentari deve avergli fatto perdere un po’ il contatto con la realtà della città. In caso contrario, per esempio, non potrebbe ignorare che il Festival Internazionale di Letteratura e Creatività al Femminile “Da Donna a Donna” è una manifestazione biennale». Poi Ferrari ha continuato dicendo che «Lodi vuole porsi come “Città dei Festival” ritagliandosi un ruolo di originalità culturale e inedita nel quadro delle moltissime manifestazione analoghe che esistono in Italia».
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La lunga marcia elettorale del Pd sta per finire

Sarà eletto Mauro Soldati alla guida del Pd lodigiano.
Rassegna stampa - Il Cittadino, 11 novembre 2009.

La direzione provinciale del Pd lodigiano ha approvato il regolamento per la elezione dei coordinamenti e dei coordinatori dei circoli, e per la elezione del segretario e dell’assemblea provinciale: i congressi dei circoli si terranno probabilmente in una data unica, il prossimo 13 dicembre, coincidente con la data in cui si terranno le elezioni primarie per il segretario e l’assemblea provinciale. Segretario provinciale che, a quanto sembra, dovrebbe essere Mauro Soldati, ex assessore della provincia di Lodi. Lo spostamento dal 29 novembre, precedentemente indicata, al 13 dicembre è stata operata per permettere di ritirare la macchina organizzativa del partito a questo nuovo appuntamento. Entro le ore 18 di lunedì 16 novembre dovranno essere presentate le candidature a segretario provinciale, corredate dalle firme di almeno 60 iscritti. Entro le ore 12 di lunedì 23 novembre dovranno essere presentate le liste dei componenti della assemblea provinciale, collegate alle candidature dei segretari provinciali. Nella stessa seduta la direzione provinciale ha preso in esame i risultati delle elezioni primarie del 25 ottobre, esprimendo la propria soddisfazione per la forte partecipazione che si è realizzata ed il contributo dato dalla Provincia di Lodi alla elezione del segretario nazionale Pierluigi Bersani e del segretario regionale Maurizio Martina.
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Zorlesco discute i suoi problemi di viabilità

Domani la frazione incontra l’assessore Pea: «Un tavolo con i residenti». Dai guai del traffico agli accessi: tutti i nodi viabilistici di Zorlesco.
Rassegna stampa - Il Cittadino, Francesco Dionigi, 11 novembre 2009.

Un incontro pubblico sulla viabilità presente e futura della frazione di Zorlesco. Questo è il tema della convocazione pubblica dell’organismo di partecipazione della frazione zorleschina presieduto da Lorenzo Carpana presso la sala municipale della villa Vistarini-Biancardi per domani alle ore 21. L’ordine del giorno della riunione nasce di fatto dalla richiesta avanzata dai commercianti zorleschini all’amministrazione comunale guidata dal sindaco Flavio Parmesani per discutere e fare chiarezza sul tracciato della futura tangenziale della via Emilia, consapevoli che ormai l’iter progettuale sembra essere in dirittura d’arrivo, ma soprattutto preoccupati dal fatto che «l’eliminazione degli accessi oggi esistenti lascerà Zorlesco priva di collegamenti e di attraversamenti, con disagi per i residenti e impoverimento del tessuto economico». La richiesta è stata accolta e proprio della modifica al progetto di tangenziale si parlerà nell’ambito dell’incontro di giovedì sera che affronterà anche altri punti, sempre legati alla viabilità cittadina, dalla sosta degli automezzi in via della Pace, via IV Novembre e vicolo Volta fino al passaggio pedonale di via dei Pioppi.
«Vorremmo avviare - ci spiega l’assessore ai trasporti Pietro Pea, segretario cittadino dell’Udc - un confronto con i cittadini e con l’organismo di partecipazione di Zorlesco per una sistemazione viabilistica del paese. Basti pensare alle difficoltà quotidiane di transito, per esempio, in via della Pace dovuto al parcheggio degli automezzi che riducono la sede stradale e non consentono il traffico agevole nei due sensi di marcia. Occorre dare il via ad un confronto-riflessione sul da farsi: via della Pace potrebbe diventare un senso unico in sola uscita dal paese ma questo ridurrebbe gli accessi al solo ingresso, non certo agevole, di via Giuliano Negri».
Ecco quindi nascere l’ipotesi di un terzo ingresso dalla strada statale numero 9, la Via Emilia, alla frazione. Attualmente ci sono due accessi da e per la Via Emilia tramite gli incroci con via Giuliano Negri e via della Pace ma entrambi presentano problemi di scorrimento del traffico oltre ad “aprirsi” a nord e centro paese, senza di fatto considerare che il paese si sta sviluppando verso sud con nuove aree residenziali limitrofe a via Martiri della Resistenza. La zona è di fatto oggetto di una nuova espansione edilizia-residenziale ed in tale logica si potrebbe prevedere la realizzazione di un ponte sul Brembiolo che si colleghi con la via Emilia all’altezza del cimitero municipale, un accesso diretto che eviterebbe ai residenti di transitare in centro paese per raggiungere le loro abitazioni. Un nuovo accesso che sanerebbe anche la difficile attuale situazione con il pericoloso ingresso dalla via Emilia al borgo di Zorlesco in via Giuliano Negri attraverso una doppia curva cieca ad “esse”, su cui si va ad inserire un secondo ingresso dal quartiere laterale nato dal recupero dell’ex cascina Bella, dovrebbe essere modificato per ragioni di sicurezza, prima che succedano incidenti gravi. In questo caso è assolutamente da escludere l’ipotesi avanzata dell’acquisto da parte dell’amministrazione comunale di un caseggiato che ospitava una attività artigianale, sul lato destro dell’incrocio, da abbattere per ampliare l’accesso a Zorlesco.
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La Regione torna a rimborsare i pendolari

L’annuncio della Regione, che ha approvato in giunta il contratto di servizio con le società. Pendolari, riecco i bonus per i disagi. Sconto sugli abbonamenti per i ritardi patiti nel passato.
Rassegna stampa - Il Cittadino, Alberto Belloni, 11 novembre 2009.

Il Pirellone torna a rimborsare i pendolari, per i disservizi futuri e per quelli del passato. A comunicarlo è proprio la Regione Lombardia, che approvato in giunta il nuovo contratto di servizio con Trenitalia e con le Ferrovie nord, ha annunciato il ritorno da gennaio 2010 del cosiddetto “bonus pendolari” e la volontà di saldare i disagi sofferti dai viaggiatori lombardi anche per il 2008 e per il 2009. Quest’ultima questione, oggetto di una lunga controversia, beneficerà anche i molti pendolari lodigiani afflitti da un eccesso di ritardi e soppressioni sui convogli di competenza. Nello specifico, i passeggeri delle direttrici Milano-Codogno-Piacenza e quelli della Pavia-Casalpusterlengo-Codogno godranno di uno sconto del 20 per cento sull’abbonamento del prossimo dicembre per i disservizi patiti nei mesi di novembre e di dicembre del 2008; analogo sconto, ma valido tanto per dicembre 2009 che per gennaio 2010, sarà invece riservato ai pendolari lodigiani della direttrice Milano-Cremona-Mantova, i cui “standard di affidabilità”, tra treni in ritardo e soppressioni, sono stati giudicati insufficienti per almeno 4 mesi tra il gennaio e il dicembre del 2008. Per usufruire dello sconto, ai viaggiatori delle direttrici interessate basterà presentarsi alle biglietterie o nei punti vendita. Le direttrici “punibili” per il 2009 verranno invece ufficializzate solo ad anno finito. L’altra novità, come detto, è la riattivazione del bonus pendolari a partire dagli inizi del prossimo anno. Il meccanismo è semplice: ai pendolari delle linee che non rispetteranno gli standard di puntualità o il tetto massimo di convogli soppressi verranno successivamente riconosciuti sconti del 20 per cento sugli abbonamenti mensili e del 10 per cento su quelli annuali. Gli stessi standard, incrociati con i cosiddetti “obiettivi di qualità” (legati a vario titolo soprattutto al concetto di comfort), diventeranno peraltro più severi di quelli attualmente in vigore. Le soppressioni dei treni nelle ore di punta tra il lunedì e il venerdì dovranno per esempio diminuire del 30 per cento; mentre gli indici di puntualità dovranno salire al 75 per cento di media mensile ai cinque minuti nell’ora di punta dal lunedì al venerdì, all’80 per cento di media mensile per l’intera giornata su tutte le linee e all’85 per cento di media mensile per l’intera giornata. Incassata la soddisfazione dell’assessore regionale ai trasporti, Raffaele Cattaneo, la novità rallegra anche Francesco Andena dell’Associazione pendolari di Casale: «Mi sembra assolutamente una buona notizia - commenta a caldo il pendolare lodigiano -. In molti mi chiedevano come mai il bonus non fosse stato rinnovato, il 20 per cento di sconto è una goccia, ma è pur sempre qualcosa. È importante comunque l’accordo sul contratto di servizio in generale: voglio sperare che la regione abbia fatto anche gli interessi dei pendolari, ed è una cosa positiva».
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La Bassa Lega si riaggrega

La prima iniziativa il 18 novembre con la raccolta di firme contro la sentenza della Corte europea sul crocifisso nelle aule. La Lega nord si affida ad Andrea Negri. Il nuovo segretario: «L’obiettivo è il 25 per cento di consensi».
Rassegna stampa - Il Cittadino, Luisa Luccini, 11 novembre 2009.

«Il nostro primo obiettivo lo abbiamo chiaro: al voto regionale del 2010 portare la Lega in città al 25 per cento dei consensi». Ingrana la marcia d'accelerazione il Carroccio di Codogno e al volante pone il nuovo segretario di sezione: annunciata l'elezione del 34enne Andrea Negri, lunedì sera nominato ufficialmente nuovo leader della Lega locale durante il congresso cittadino che ha visto il rinnovo dei vertici di direttivo. Per questi incarichi di dirigenza, i nuovi eletti sono stati i codognesi Claudio Ganelli e Marco Ferrari. E dunque: priva di segretario dal 2006, la Lega di Codogno intende voltare pagina. Segnali in merito, peraltro, erano già arrivati nei mesi scorsi quando, sotto la reggenza provvisoria di Negri, la sede di partito aveva ripreso fiato e qualche militante era ricomparso con ritrovato entusiasmo. Con le nomine di lunedì, il nuovo corso leghista può però ora iniziare per davvero. Da seguire c'è una strategia precisa: quella del radicamento territoriale. In città ma anche nei comuni di riferimento. Negri conferma: «Gruppi di lavoro, referenti territoriali, gazebo e banchetti: queste le nostre mosse nei comuni che fanno capo alla nostra sezione, San Fiorano, Fombio, Senna Lodigiana e Somaglia». Per Codogno (dove la Lega alle elezioni provinciali dello scorso giugno ha ottenuto il 21 per cento dei consensi) il radicamento dovrà essere capillare, portato rione per rione. In questa direzione va l'iniziativa dei gazebo già comparsi nelle scorse settimane in centro: postazioni in cui raccogliere direttamente dai codognesi lamentele e suggerimenti su cosa non va (o potrebbe andare meglio) a Codogno. «Questa iniziativa è ora riconfermata - sottolinea Negri -. Dopo il centro, sarà avviata nei quartieri di periferia, a cadenza periodica - prosegue Negri -. Con due obiettivi: dare ascolto alle istanze della gente e trovare nuovi militanti. Siamo sempre in cerca di chi abbia buone idee da spendere sul territorio». Il primo banchetto è già in programma mercoledì 18 novembre, giorno di Fiera: al San Biagio i leghisti raccoglieranno le firme a sostegno del ricorso del Governo italiano contro la sentenza della Corte europea dei diritti dell'uomo che prevede la rimozione del Crocifisso dalle aule scolastiche. «Una sentenza irresponsabile, contro la nostra cultura» rimarca Negri. Che promette iniziative “ad hoc” per l'ambito culturale, tra cui un corso di dialetto con la collaborazione di enti locali, biblioteca e Pro Loco in testa. E le ronde? Al momento restano al palo (anche per i veti messi dagli alleati di centrodestra): «Se però i cittadini manifestassero disponibilità in merito, in noi troverebbero subito una sponda favorevole».
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Robin Hood alla rovescia

Casale. Fermati e multati altri tre vagabondi che chiedevano l’elemosina, la sinistra insorge: «Non c’è reato, dov’è la carità cristiana?». «Ingiusto confiscare i soldi agli accattoni». Pd e Comunisti lavoratori contro il provvedimento di Parmesani.
Rassegna stampa - Il Cittadino, Andrea Bagatta, 11 novembre 2009.

La polizia locale ferma degli accattoni al mercato e sequestra loro i proventi delle elemosine. L’operazione è fatta sulla base dell’ordinanza del sindaco dello scorso luglio, ma non manca chi la contesta politicamente e giuridicamente.
Lunedì mattina, nel corso del mercato settimanale, agenti della polizia locale in borghese hanno fermato e sanzionato con un verbale da 100 euro tre cittadini stranieri che chiedevano l’elemosina ai passanti. I cittadini colpiti da questo provvedimento sono C.V. di 18 anni e C.G di 51 anni, senza fissa dimora di nazionalità rumena, e A.E.E. nigeriano di 34 anni proveniente da Mantova, quest’ultimo già fotosegnalato dalle forze dell’ordine perché fermato a Codogno e sottoposto ad arresto in quanto non in regola con il permesso di soggiorno e quindi soggetto ad espulsione. Proprio A.E.E. era stato controllato a inizio mattinata da un vigile in servizio ma in quel momento non stava effettuando attività di accattonaggio. Dopo aver costatato che si trattava di soggetto noto, l’agente di polizia locale aveva fatto presente al nigeriano del divieto in vigore in città.
A tutti e tre è stata comminata una sanzione di 100 euro, ed è stato sequestrato il denaro in monete che avevano raccolto grazie all’elemosina in poco più di un’ora di mercato. Dopo gli accertamenti, in tutto la polizia locale ha depositato presso la sede della banca di servizio 61 euro affinché venga successivamente disposta la confisca. «Di sicuro continueremo con questi servizi perché siamo convinti che possano dare dei risultati - dice il sindaco Flavio Parmesani -. I protagonisti di queste attività che noi perseguiamo non sono casalini bisognosi, ma professionisti dell’accattonaggio, soggetti che chiedono elemosina girando di mercato in mercato nel Lodigiano, qualche volta rubando, spesso approfittandosi della gente».
Un punto di vista che non è condiviso dalle altre forze politiche, per le quali sarebbe necessario almeno un approfondimento della problematica. «Mi sembra che colpire gli accattoni con delle multe o con il sequestro dei proventi dell’elemosina sia un approccio semplicistico e superficiale a un problema più serio e profondo - dice il giovane consigliere di Casale Democratica Andrea Bossi, che anche in consiglio comunale ha preso posizione diverse volte sulla vicenda -. Inoltre non può definirsi nemmeno come una questione di sicurezza, perché la sicurezza non c’entra niente». Ancora più duro e tranciante il giudizio del Partito Comunista dei Lavoratori, che medita addirittura un esposto alla procura della Repubblica. «A che titolo quei soldi sono sequestrati? Che reato hanno commesso gli accattoni? Stiamo valutando un esposto alla procura perché l’azione compiuta dalla polizia locale proprio non quadra - dice Leopoldo Cattaneo -. Politicamente, il centrodestra fa tutto il contrario del buon senso: ruba ai poveri a livello locale, ma poi protegge i ricchi con lo scudo fiscale a livello nazionale. E poi fa le crociate per il crocefisso a scuola, ma dimentica gli insegnamenti cristiani sui poveri e sull’accoglienza».
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Uso domestico del gas - Le risposte

Risposta a Giulio Roversi.

Domanda: Sto seguendo gli interessanti articoli pubblicati sul vostro blog sugli impianti gas. Vedo che si insiste molto sulla sicurezza ma in definitiva mi si può dire che cosa si può fare per mantenere in regola il proprio impianto a gas?

Risposta.
Ho pensato di rispondere ponendo altre due domande con le relative risposte.
Innanzitutto, per mantenere l'impianto e gli apparecchi a gas in perfetta efficienza, è necessario verificare:
- le condizioni di pulizia e buona combustione degli apparecchi, spazzolando se necessario, i piattelli sugli apparecchi di cucina;
- l'efficienza delle prese d'aria, che non devono essere coperte od ostruite;
- l'efficienza di sistemi di scarico dei fumi, quali camini, canne fumarie, ecc.
Prima domanda: Si corre qualche rischio se non si eseguono queste verifiche?
Se non si osservano queste precauzioni, si possono verificare conseguenze anche gravi, dovute soprattutto alla formazione (durante la combustione) e diffusione nel locale di monossido di carbonio (CO), detto anche "killer silenzioso". Il CO, che costituisce la causa principale degli incidenti, è un gas inodore, incolore e tossico, letale anche in piccolissime concentrazioni.
Si può formare e diffondere nell'ambiente:
- se la combustione avviene in un locale insufficientemente aerato oppure
- per il cattivo funzionamento del sistema di scarico dei fumi.
Attenzione! Nel 2008 si sono verificati 110 incidenti dovuti a intossicazione di monossido di carbonio o per asfisia, incidenti che hanno provocato ben 11 decessi (Fonte C.I.G. - Comitato Italiano Gas).
Seconda domanda:
Quando è necessario chiamare un tecnico qualificato per un'adeguata manutenzione?
Il tecnico andrà chiamato nei seguenti casi:
- alle scadenze previste dal libretto di uso e manutenzione rilasciato dall’installatore dell’impianto (idraulico) o, in mancanza, dalle indicazioni rilasciate dal fabbricante della caldaia o, se non sono disponibili le indicazioni del fabbricante, dalle disposizioni emanate dalla delibera della Regione Lombardia, ovviamente per gli impianti termici installati nella nostra regione;
- quando si individuano fuliggine, sporcizia o macchie nell'apparecchio o nelle sue vicinanze;
- quando la fiamma, anziché tesa e azzurra, risulta irregolare e/o giallastra;
Infine è bene ricordare che le caldaie dovrebbero essere controllate e pulite ogni anno, prima dell'inizio del periodo di riscaldamento. In tal modo si eviteranno non solo possibili incidenti ma anche il rischio di rimanere "al freddo" proprio nel periodo dell'anno meno adatto.
Se una corretta conduzione (come prevista dal libretto di istruzioni) consente di mantenere efficiente l’apparecchio, di ottenere significativi risparmi sui consumi e contribuisce a tenere pulito l’ambiente, per la manutenzione periodica bisogna ricorrere all’opera di un tecnico qualificato. Ma, come già abbiamo detto nell’articolo, il problema manutenzione caldaie sarà oggetto della prossima pubblicazione.
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Dare la priorità alle nuove generazioni

Il «capitale umano» risorsa cruciale. Pensare il dopo-crisi puntando sui giovani.
Rassegna stampa - Avvenire, Giuseppe Pennisi, 11 novembre 2009.

Si può attuare una exit strategy dalla crisi che dia la priorità alle nuove generazioni? Un articolo pubblicato su oltre cento giornali in tutto il mondo dal premio Nobel Paul Krugman critica America ed Europa che starebbero attuando politiche di bilancio troppo timide; non tratta però del peso, sui giovani, dell’indebitamento causato dai crescenti deficit dei conti pubblici. Negli Usa, ad esempio, il debito totale interno supera già tre volte il Pil e questo avrà certo notevoli conseguenze per le generazioni più giovani.
' The Economist' ha fatto eco a questa analisi arrivando a esaltare il «declino della fertilità» , come «un regalo inatteso giunto alle società a basso reddito» , addirittura «un volano» per uscire dalla crisi. In sintesi, tanto il premio Nobel americano Krugman quanto il famoso settimanale inglese puntano su politiche che penalizzano i giovani di oggi ( adulti di domani) e riducono il numero dei loro fratelli più piccoli.
Queste idee serpeggiano, purtroppo, anche nel G20. L’accento sul breve termine e l’elogio della denatalità trovano, in quella sede, una corrente di pensiero che si sta irrobustendo.
Qui non vogliamo fare obiezioni etiche, ma dare una risposta imperniata su argomentazioni economiche. La forniscono due lavori recenti. Il primo, di Matthew Adler della University of Pennsylvania, è apparso nell’ultimo fascicolo della ' George Washington Law Review'. Nello studio si definisce, in termini rigorosamente tecnico- economici, come dare la priorità alle nuove generazioni sia nelle politiche sia nella valutazione di provvedimenti e investimenti pubblici. Sono temi specialistici poco adatti a essere sintetizzati su un quotidiano, ma sarebbe bene che lo leggessero attentamente gli uomini di governo italiani (e i loro sherpa) coinvolti nel G20. Il secondo lavoro, un’analisi effettuata dall’Università della Ruhr verifica, in base ai dati relativi ai nati in Germania Ovest dal 1966 al 2008, in che misura la disoccupazione giovanile influisce sul capitale umano ( la risorsa più preziosa di un Paese). Nei Länder presi in considerazione, il numero dei giovani al di sotto dei 25 anni alla ricerca di lavoro è passata dal 4% all’inizio degli anni Ottanta al 10,5% nel settembre 2009. Nonostante il miglioramento dei livelli d’istruzione nei quattro decenni in esame e i vasti programmi di formazione sviluppati da governo federale e Länder, il rischio di disoccupazione di massa tra i giovani minaccia un deterioramento dello stock di capitale umano (la sola forma di capitale che se non si utilizza, si erode) con conseguenze negative sul futuro dal punto di vista sia sociale sia economico. Lo conferma anche uno studio comparato del Cnr: la crisi sta riducendo l’innovazione in Europa pure a ragione dei suoi effetti sul capitale umano.
Cosa fare? Un’idea buona viene dal 'gruppo di Bruegel', l’associazione di economisti animata da André Sapir (la si può leggere nel sito www.bruegel.org). Alla vigilia delle 'nomine europee', il gruppo ha delineato le priorità economiche dell’Unione nel periodo 2010- 2015, basandosi su un principio semplice ma chiaro: l’Ue e i suoi organi devono guardare al lungo periodo – il ruolo dell’Europa nella globalizzazione, la perdita di capitale umano anche a causa dell’invecchiamento, l’innovazione tecnologica, l’approvvigionamento energetico – mentre i singoli Stati sono meglio atti a trattare gli aspetti di breve periodo. Ciò non vuol dire scaricare sull’Ue le politiche per le giovani generazioni ma dare loro una collocazione alta e appropriata. E i giovani di oggi sono 'più europei' dei loro padri.
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Crocefissi, oggi

Il caso.
Nord Iraq, allarme per i cristiani. «Una catastrofe dei diritti umani».
Rassegna stampa - Avvenire, 11 novembre 2009.

È un conflitto territoriale nascosto ma che continua a fare moltissime vittime quello in corso nel nord dell’Iraq e che vede soccombere soprattutto le minoranze etniche e religiose, tra le quali in particolare i cristiani. Un conflitto che vede per protagonisti da una parte il governo centrale arabo di Baghdad e dall’altra i curdi del governo regionale del Kurdistan, con rapporti tra loro talmente tesi che si rischia «un’altra catastrofe dei diritti umani per le piccole comunità di minoranza che hanno vissuto per anni in quei territori». A lanciare l’allarme con la pubblicazione di un nuovo rapporto è stata ieri l’organizzazione umanitaria Human Rights Watch, prima organizzazione laica a far ciò dopo le denunce di questi anni da parte di numerose associazioni religiose.
Nel documento dal titolo «On vulnerable grounds», l’Ong con sede a New York denuncia che le minoranze «sono prese a bersaglio nella lotta fra arabi e curdi per il controllo del territorio nella regione di Ninive», di cui Mosul è la capitale. Le minoranze prese di mira sono i 550mila cristiani, i 220 mila yazidi (setta accusata di essere adoratrice del diavolo) e i 60 mila shabaki (minoranza etnica), oltre che i turcomanni e i curdi kakai (comunità che pratica un culto sincretista). Queste minoranze, è scritto nel rapporto, «si ritrovano in una posizione sempre più precaria, mentre il governo centrale dominato dagli arabi e il governo regionale del Kurdistan lottano per il controllo dei territori contesi». Human Rights Watch accusa in particolare le forze curde di ricorrere «a detenzioni e arresti arbitrari, ad atti di intimidazione e in certi casi a violenze a bassa intensità contro le minoranze che sfidano il controllo del governo regionale sui territori contesi».
Viene ricordata inoltre la serie di attacchi contro i cristiani di Mosul nel settembre del 2008 che ha portato all’esodo di migliaia di cristiani dalla città, sottolineando che dal milione di cristiani presenti in Iraq nel 2003 si è passati ai 675mila del 2008 e che circa il 20% dei profughi nei Paesi confinanti sono cristiani. Human Rights Watch chiede quindi al governo regionale del Kurdistan «un’inchiesta imparziale e indipendente» sui responsabili delle violenze, «incluse le forze di sicurezza curde».

Il commento.
Siamo chiamati alla memoria e alla consapevolezza. Quegli «impossibili» martiri. E la nostra libertà talora sprecata.
Rassegna stampa - Avvenire, Marina Corradi, 11 novembre 2009.

«Davvero anche il nostro è tempo di màrtiri, per quanto ai popoli della libertà talora sprecata possa sembrare incredibile, e quasi impossibile». L’annotazione è nella prolusione del cardinale Bagnasco e commenta un massacro la cui notizia, data da Avvenire e poi filtrata nell’aula del Sinodo per l’Africa, non ha avuto grande eco: la morte per crocifissione di sette cristiani in Sudan. Ragazzi fra i quindici e i vent’anni uccisi in una macabra parodia del Golgota. Una sorte che, davvero, con gli occhi dell’Occidente pare «incredibile, e quasi impossibile». Come i massacri dei cristiani dell’Orissa; o in Pakistan dove può bastare una denuncia di blasfemia contro il Corano per essere giustiziati.
Incredibili, impossibili destini, allo sguardo dei «popoli della libertà talora sprecata». Noi: credenti o meno, o affatto, e però cresciuti nell’alveo accogliente di un Occidente da quasi duemila anni cristiano. Alveo in cui si è sedimentato, come un limo, l’idea cristiana di persona e di libertà e di diritti dell’uomo. Così che è ovvio, indiscusso che ciascuno preghi il suo Dio, o non ne preghi nessuno. In Stati laici maturati elaborando faticosamente nella storia il confronto con quella grande originaria matrice che è il cristianesimo. E, dunque, «impossibile, e quasi incredibile» oggi per noi la notizia di quelle sette croci innalzate in Sudan.
Noi, siamo i popoli liberi. Appena ieri a Berlino abbiamo festeggiato i vent’anni della caduta del Muro. Alle spalle, ormai, oltre sessant’anni di pace; e cos’è stato il totalitarismo in Europa, i nostri figli lo sanno appena. Guardano Schindler’s list come guarderebbero delle cronache marziane. Loro, sono nati liberi.
Ma, in questa libertà ereditata, scontata, qualcosa può perdersi. Prima di tutto, proprio la coscienza che niente è per sempre garantito, e che la ogni libertà va nutrita e cresciuta. In quanti ormai non andiamo nemmeno, disamorati, a votare. Don Carlo Gnocchi scriveva con passione di come l’occuparsi del «bene comune» fosse un obbligo morale dei cristiani. (Ma lui era stato sul Don con gli Alpini, nel fondo del massacro; lui aveva visto come finisce, quando un popolo abdica alla propria libertà).
Altro rischia anche di perdersi, nella libertà ricevuta senza una adeguata memoria. Il senso stesso del fare comune, del costruire insieme, che si frammenta in una galassia di individuali interessi. Leciti, oppure no. Ma comunque nella logica di un fare solo per sé. L’essere insieme, la relazione con l’altro impoverita a una, a volte infastidita, pura coabitazione. Nelle porte chiuse e anonime di mille quartieri dove, magari educatamente, ci si ignora.
Noi, popoli della libertà talora sprecata, la sera davanti alla tv, che ci insegna – lei veramente grande maestra – cosa fare, del nostro tempo e del nostro denaro. Che instilla desideri e imperativi. Che spiega che è naturale che i matrimoni finiscano, e che ora, ragazze, per abortire basta una pillola: è il progresso, che procede inarrestabile. Schiamazza dallo schermo la compagnia sguaiata del Grande Fratello: in sei milioni la contemplano e sognano di essere, un giorno, fra gli eletti.
C’è ancora tuttavia, nelle scuole e negli ospedali di questa Italia, appeso al muro un crocifisso. È Cristo in croce, e in quello scabro segno è rappresa, tacita, per molti quasi inconscia, la memoria dell’Occidente cristiano. Che sia tolto da lì, ha ordinato una Corte di sette saggi da Strasburgo – dal cuore dell’Europa, di quell’Europa dove ogni città s’è allargata attorno alla sua cattedrale come una vite dal tronco.
E noi qui a discettare se quella croce sul muro urti la libertà. Se non comprima le giovani coscienze. Quei là in Pakistan e in Orissa e in Iraq, perseguitati, nascosti. E quelle sette croci in Sudan, il martirio che matura di nuovo nel deserto del fondamentalismo, dell’odio, della negazione dell’uomo. Noi, popoli della libertà talora sprecata, che guardiamo vacui e distratti: «incredibile, quasi impossibile», che queste cose accadano ancora oggi, e davvero.
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Il carcere non può essere un luogo fatale

A proposito di Cucchi.
Intervista. Andreoli: «Troppe morti in carcere. Ambiguità e inefficienze».

Da Avvenire, Andrea Galli.

La morte dopo uno sciopero della fame nella casa circondariale di Pavia del tunisino Sami Mbarka Ben Garci. La fine ancora oscura di Stefano Cucchi a Regina Coeli. Il suicidio di Diana Blefari Melazzi a Rebibbia. «Ci ricordiamo del carcere con i casi che fanno notizia, ovviamente» chiosa lo psichiatra Vittorino Andreoli, che del problema è un esperto: «Se sommassi tutto il tempo che ho passato nelle carceri italiane, sarebbe quello di una condanna robusta…».
Professore, dobbiamo abituarci alla morte in prigione?
«Il carcere non può essere un luogo fatale. Certamente è un luogo di pena e lo deve essere. Ma in Italia abbiamo avuto una personalità come Cesare Beccaria che ci ha ricordato che la pena deve essere al contempo riabilitativa. Punizione ed educazione».
Realisticamente: è possibile recuperare autori di violenze efferate?
«La mia risposta, decisa, è sì. In alcuni casi può essere molto difficile, ma mai si può dire che sia impossibile. Pensi a Gesù sulla croce. Il ladrone è un condannato alla pena di morte. Cristo gli dice 'oggi sarai con me in Paradiso' senza chiedergli cosa ha fatto, se ha rubato o se ha ammazzato sua madre. Io in carcere non ho mai trovato un mostro, ho sempre trovato un uomo che ha bisogno di aiuto».
Punizione e aiuto: cosa manca perché ciò avvenga?
«Le carceri italiane non funzionano perché non sono né punitive, né rieducative. Vivono in una dimensione liquida, ambigua».
La punizione, visti anche i casi recenti, non sembra mancare.
«Mi spiego. Un carcerato ha il diritto di cucinarsi da solo. Se è vegetariano ha il diritto di nutrirsi alla vegetariana. C’è un regolamento che garantisce a ogni cella una tv a colori. C’è una sensibilità di questo tipo… per una pena che dev’essere compatibile con la dieta vegetariana. Poi magari manca un’adeguata assistenza psicologica. Generalmente per ogni carcere ci sono uno o più psicologi convenzionati, che non fanno parte della struttura, che vanno lì qualche ora. Quindi, da una parte la sensibilità per la dieta vegetariana a cui uno ha diritto, dall’altra parte una persona che non riesce a vivere, non viene aiutato, ma lo si lascia crepare. Tra l’altro, a proposito di assistenza psicologica, mi lasci esprimere un desiderio rivolto alle diocesi e alle parrocchie»
Dica.
«Oggi abbiamo un prete, come cappellano, per carcere. Ma con trecento detenuti può fare poco. In prigione c’è un enorme bisogno di incontri, relazioni… che bello se più preti potessero andarci, con un regolamento che lo permettesse, perché oggi per farlo devono rivolgersi al magistrato».
Qual è il tasso di violenza in carcere?
«Alto, se lo consideriamo nei suoi diversi aspetti. C’è un problema di sovraffollamento: i posti sono 40mila per quasi 60mila detenuti, una situazione ingestibile. Poi c’è la violenza vera e propria. Fino a 15 o 20 anni fa uno che entrava avendo fatto del male ad un bambino veniva giustiziato, per una sorta di codice interno. E questo spesso accadeva con la complicità degli agenti di polizia penitenziaria. Oggi avviene molto meno. Però ci sono ancora carcerati che vengono picchiati».
Quanto incide la droga nel degrado generale?
«Beh, com’è possibile chiamare carcere un luogo dove la droga gira più intensamente che in qualsiasi piazza d’Italia nota come luogo di spaccio? La droga è qualcosa che viene dato quasi per scontato. Gli interventi dei medici delle carceri per collassi o problemi legati agli stupefacenti sono frequentissimi ».
La situazione carceraria italiana è peggiore che altrove oppure no?
«Diciamo che in una classifica dei Paesi cosiddetti civili siamo a un livello basso. Altrove la situazione è stata migliorata, pensi un po’, dando la gestione delle carceri ai privati. Ci sono esempi interessanti in Spagna e in Inghilterra».
Non è rischioso?
«Le faccio solo un esempio, perché il discorso è complesso. Sa cosa costa un carcerato al giorno, mediamente? Poco meno di 500 euro. Un anno di galera fa su per giù 180mila euro. Vuole che con 180mila euro non ci sia la possibilità di attivare qualcosa che sia efficace e utile umanamente per chi sta scontando una condanna?».
Qualcuno ha giustificato lo sciopero della fame di un detenuto, anche se arriva alla morte. Cosa ne pensa?
«È un diritto scioperare, ma non morire. Il digiuno può essere un mezzo per comunicare un bisogno, chiedere aiuto, ma non per suicidarsi. Non è possibile che una persona sia abbandonata, in questa sua richiesta, nella sua cella. Nessuno ha diritto di suicidarsi».
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