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lunedì 28 settembre 2009

Ampi margini per una pronuncia di illegittimità

Lodo Alfano un'ipotesi paradossale.
Rassegna stampa - La Stampa, Stefano Passigli, 28 settembre 2009.

Ideato per rispondere all’esigenza tutta politica di «scudare» Silvio Berlusconi dal processo Mills, era forse inevitabile che, approssimandosi il giudizio della Corte Costituzionale, il Lodo Alfano tornasse a dar vita a un vivace scontro politico. Del tutto improprio ed evitabile era invece mescolare logica giuridica e considerazioni politiche come ha fatto la memoria dell’Avvocatura, assumendo di conseguenza l’aspetto di una indebita pressione sulla Corte. Distinguiamo dunque tra valutazioni giuridiche e giudizi politici e, lasciando questi alla coscienza di ciascuno, esaminiamo l’oggetto su cui la Consulta dovrà pronunciarsi.
Il Lodo Alfano nasce dai tre profili di incostituzionalità rilevati dalla Corte nel precedente Lodo Schifani, a sua volta erede della proposta Maccanico: una violazione del diritto alla difesa di quel Capo di Stato, presidente del Consiglio o delle Camere che volesse vedersi giudicato e assolto; una lesione del diritto della parte offesa a essere risarcita dei danni morali e materiali subiti; e, infine, una violazione del principio costituzionale di eguaglianza.
Il principio di eguaglianza
I primi due profili appaiono ai più tra i giuristi essere stati sanati dalla nuova formulazione del Lodo. Non così la violazione del principio di eguaglianza, da intendersi - si badi bene - non come eguaglianza tra i titolari delle massime cariche dello Stato e i cittadini, ma eguaglianza tra chi ha parità di status. Introdurre nella giustizia penale un trattamento privilegiato per chi ricopre particolari cariche istituzionali può ripugnare alla coscienza democratica e apparire anacronistico (e infatti un’immunità - anche solo temporanea - dal giudizio penale non esiste per alcun capo di governo di una democrazia, ma solo per la Regina d’Inghilterra, il Re di Spagna, e per il presidente francese quale Capo di Stato e non per le sue funzioni di governo) ma non contrasta necessariamente con il principio di eguaglianza. Quest’ultimo infatti impone che una norma si applichi in egual maniera a chiunque abbia eguale status, ma non preclude che norme diverse si applichino a chi ha status diversi.
Nel caso del Lodo Alfano, che al Presidente della Repubblica si applichi una norma diversa da quella applicabile agli altri cittadini può giustificarsi (ripeto: dal punto di vista della logica giuridica e non della teoria democratica) per l’unicità delle sue funzioni, ma è dubbio che ciò possa estendersi ai presidenti delle Camere (il cui status è diverso da quello degli altri rappresentanti solo per le funzioni svolte all’interno delle istituzioni parlamentari), ed è sicuramente non estensibile al presidente del Consiglio.
Il giudizio della Consulta
Nel nostro ordinamento, infatti, il cosiddetto «premier» resta formalmente, malgrado i recenti sviluppi della costituzione materiale, un primus inter pares all’interno di un Consiglio dei ministri che è organo collegiale. Il giudizio della Corte è dunque tutt’altro che scontato e vi sono ampi margini per una pronuncia di illegittimità.
Quali ne sarebbero in tal caso le conseguenze? Non credo quelle ad arte paventate dall’Avvocatura. All’indomani di un giudizio negativo della Corte, il premier potrebbe infatti forzare il governo e la sua docile maggioranza parlamentare (docile perché da lui stesso nominata grazie alla legge Calderoli) a estendere a tutti i ministri l’immunità prevista dal Lodo a suo favore, e - se reso necessario dalla sentenza - quella dei presidenti delle Camere a tutti i parlamentari, così reintroducendo rafforzata quell’immunità parlamentare cacciata a furor di popolo soltanto quindici anni fa. Paradossalmente, potremmo insomma assistere a un effetto opposto a quello auspicato dagli oppositori del Lodo. Ma come reagirebbe la pubblica opinione a una simile manovra elusiva di una sentenza? E alla luce delle crescenti tensioni nel PdL, esisterebbe ancora una maggioranza disposta a vararla? E ancora: i cittadini verrebbero informati a sufficienza dai media? Come si può vedere, il tema del conflitto di interessi resta attuale. E il tema di una riforma elettorale che restituisca autonomia al Parlamento sempre più urgente.
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Basta il pensiero per far scorrere l'acqua

Serena Dandini torna con un nuovo programma: "Ma siamo un po' intimiditi...".
Rassegna stampa - l'Unità, Roberto Brunelli, 28 settembre 2009.

Un bagno principesco, tutto stucchi e splendidi ori. Il wc, quando lo apri, addirittura promana luci celestiali. «Non c'è nemmeno bisogno della catenella, basta il pensiero per far scorrere l'acqua...», dice una delle due ragazze - belle e truccatissime - che si aggirano al suo interno armate di cellulare. «Fatti fotografare accanto al phon di Putin», dice una all'altra. «E tu di dove sei?» «Di Bari». «Escort?». «No, di Bari!». Questa è una delle scene di Lost in Wc, la fiction-tv a pillole che si potrà vedere solo (...se tutto va bene) a "Parla con me", che riparte martedì sera, come sempre su Rai3.
Praticamente un regalo di compleanno, dato che proprio oggi cade il genetliaco di Re Silvio, il settantatreesimo. E ci saranno tutti alla festa: Serena Dandini, ovviamente, e Dario Vergassola, e sinanche Elio e le Storie Tese, i quali per l'occasione ripropongono una versione aggiornata di 29 settembre di Battisti: invece che «seduto in quel caffé...» canteranno «seduto in quella sala "travaglio" aspettavo la nascita del presidente del consiglio...".
Clima allegro, ieri a Viale Mazzini, per la presentazione della nuova stagione del programma dandinesco. «Perchè a essere cambiati non siamo noi, ma il mondo intorno a noi». Per questo Serena parteciperà alla manifestazione di sabato sulla libertà di stampa: «Per noi non c'è nessuna censura o bavaglio, fino a prova contraria. Noi lavoriamo in grande serenità grazie al direttore di Rai3, Paolo Ruffini: speriamo di andare avanti così». Eh sì, perché questa serenità non è concessa a tutti: «Sono d'accordo con quello che dice Roberto Saviano, quando sostiene che la censura non è tanto la chiusura di un programma, ma è anche non farti lavorare serenamente. Siamo arrivati al ridicolo: ho visto avvicendarsi tanti direttori, capistruttura e tanti schieramenti politici, ma una situazione così astiosa della politica nei confronti della tv non l'avevo mai vista. Effettivamente siamo un po' intimiditi. Certo, mandare il governo a controllare un programma in ogni suo anfratto toglie serenità».
Riferimento non casuale a Santoro e Fazio, «professionisti che hanno fatto la storia della Rai, e che oggi devono sentirsi "tollerati" all'interno dell'azienda», come spiega il coatore del programma, Andrea Salerno. Intimidazioni, pressioni, polemiche. Come quella lanciata dai giornali di destra sul canone: «Attenzione - dice Serena - sarebbe interessante provare di chiedere al pubblico per cosa vorrebbe pagare il canone e per cosa no: si potrebbero avere delle sorprese».
Compito arduo del direttore Ruffini è di ricordare quella che una società avanzata dovrebbe ssere un’ovvietà, e cioè che «la ricchezza di un paese si misura sulle pluralità di idee. In questo sta la nostra essenza, l'essere servizio pubblico».
Festa di Silvio a parte, il programma metterà a dura prova i fremiti censorii. Ci sarà anche il Trio Medusa, per esempio, che si cimenterà nell'impervio compito di aiutare il Tg1 a dare tutte le notizie. Cose come « i sindacati che si pongono il problema dei tacchi a spillo in Inghilterra sui posti di lavoro», oppure uno speciale sugli aeroplanini di carta. Ci sarà Ascanio Celestini, ovvio, il cui volto questa volto rimarrà chiuso in una specie di teatrino dei burattini «per dire che la tv è morta, non esiste», ci sarà Max Paiella sempre nei panni di Maurizio Belpietro ma anche, "new entry!", in quelle di Paolo Crepet («Di questi tempi abbiamo tutti tutti bisogno di terapia psicanalitica, no?», chiosa Serena), e naturalmente ci saranno pure Andrea Rivera («voglio iniziare dall'Aquila per vedere se ci sono i citofoni»), Neri Marcoré e la strepitosa Caterina Guzzanti.
Compito ingrato quello di Diego Bianchi in arte Zoro, cui spetta l'onere di sviscerare «il ventre molle della sinistra», tra primarie, congressi, mozioni, candidati e quisquilie varie: «Sarò un po' bersaniano, un po' franceschiniano, un po' mariniano...». "Lost in Pd", insomma. a far da speculare opposto alle ragazze «lost in wc». Avviso per gli eventuali censori: il nome del premier e la sua augusta residenza, Palazzo Grazioli, non vengono mai nominati, le musiche che si sentono in sottofondo sono del celebre menestrello Apicale. Ogni assonanza o riferimento a fatti realmente o ipoteticamente accaduti sono del tutto casuali.


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Le accuse di Maroni ai giudici

Immigrazione, Caselli: tutti magistrati applicano legge.
Il procuratore capo di Torino annuncia che quelle lanciate alle toghe dal ministro Maroni "sono accuse senza fondamento e lo proverò con documenti alla mano".
Il Csm ha aperto un fascicolo su di lui.
VideoPost - Sky Tg24, 27 settembre 2009.



Il Csm, il Consiglio Superiore della Magistratura, ha aperto un fascicolo su Giancarlo Caselli per verificare se nella procura di Torino, da lui diretta, si applichi la legge sul reato di clandestinità. Il procuratore risponde senza alcun dubbio: "Tutti i processi vengono trattati. Sono accuse senza fondamento e lo proverò con documenti alla mano. Non c'è nessun magistrato che non applichi la legge".
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Divieto di gossip

Berlusconi convinto che tutti gli italiani vorrebbero essere come lui. Una sorta di retrogrado manuale di galanteria, firmato dal maggior editore di gossip.
Il seduttore e le donne-ornamento, il nuovo galateo secondo Silvio.
Rassegna stampa - La Repubblica, Gad Lerner, 28 settembre 2009.

Il governo italiano ha stabilito che parlare in televisione del rapporto tra Silvio Berlusconi e le donne, dopo l'avvio delle pratiche di divorzio da parte di sua moglie Veronica, sarebbe di per sé un atto eversivo. Si tratta di una scelta inusitata ma obbligatoria per chi vuole perpetuare la relazione carismatica fra il premier e i cittadini, fondata su un assunto potentissimo da lui più volte ribadito: "La maggioranza degli italiani vorrebbe essere come me" (Mattino Cinque, lunedì 7 settembre 2009). Ciascuno di noi viene chiamato a porsi una semplice domanda: ma se avessi i soldi e il potere di Berlusconi, per soddisfare i miei desideri non mi comporterei anch'io come lui? Tale interrogativo riguarda innanzitutto gli uomini, ma esercita un influsso suggestivo anche tra le donne di ogni età. Perché se Berlusconi è convinto che tutti gli uomini, potendolo, farebbero come lui, la sua esperienza di vita lo induce anche a pensare che alle donne piaccia essere considerate prede da conquistare.
All'indomani della conferenza stampa congiunta dello scorso 10 settembre alla Maddalena, Luis Zapatero sentì il bisogno di precisare: "Tutti conoscono la mia opinione sull'eguaglianza fra uomo e donna, ma fra governi abbiamo buone relazioni". Purtroppo in Italia è mancato un confronto pubblico sulla differenza d'opinioni fra Zapatero e Berlusconi riguardo all'"eguaglianza fra uomo e donna".
Peccato, perché il lungo monologo di Berlusconi alla Maddalena sul suo rapporto con le donne costituisce un documento memorabile: non è esagerato definirlo un nuovo galateo che modernizza il celebre trattato cinquecentesco di monsignor Giovanni Della Casa.
In apertura di quella conferenza stampa, il nostro presidente del Consiglio si accalorò rispondendo a una giornalista spagnola che gli chiedeva conto del suo giudizio sul governo Zapatero, composto per metà da donne, e perciò da lui definito "troppo rosa". Replicando, Berlusconi disse testualmente: "Ora io sono stranoto per essere un grande ammiratore dell'altra metà del cielo e quindi immaginate come da me potessero venire delle espressioni negative nei confronti di rappresentanti dell'altra metà del cielo sedute su poltrone ministeriali".
Il compiacimento con cui il nostro premier rivendica la sua fama di seduttore di fronte alla giornalista spagnola, subito dopo lo conduce a confidarle cosa siano per lui le donne: "Siete il regalo più bello che Dio ha dato a noi uomini". Le donne un regalo agli uomini? In che senso? Dissipa ogni possibile equivoco la frase successiva: "Quindi come potevate pensare che il presidente italiano, la patria dei grandi amatori, la patria dei Casanova, la patria dei play boy, diciamolo chiaro, potesse dire qualcosa di negativo nei confronti di donne che fanno i ministro?". In effetti lo dice chiaro, autodesignandosi leader della patria dei Casanova, e per di più chiedendo un applauso per questa sua sortita. Cosa accadrebbe se Zapatero definisse la Spagna "la patria dei Don Giovanni"? Dubito che potrebbe poi rivendicare l'eguaglianza fra uomo e donna.
Più tardi è Miguel Mora, giornalista di "El Pais" a introdurre il tema della prostituzione e delle veline. Prontissimo, Berlusconi lo interrompe: "È invidioso, eh?". Non mi risulta che Bill Clinton reagisse così ai giornalisti che gli chiedevano conto della sua relazione impropria con Monica Lewinsky. Il nostro viceversa insiste, convinto di trovare unanime complicità maschile: "Abbiamo molte turiste straniere che hanno prenotato le vacanze del prossimo anno". Quando poi deve giustificare la presenza alle sue cene di numerose giovani donne convocate da Gianpaolo Tarantini, di nuovo ammicca agli uomini presenti: "Alzi la mano, tra i maschi miei colleghi, a dire che non è una cosa gradevole quello di sedersi a un tavolo e invece di trovarsi soltanto persone lontane dall'estetica se invece gli occhi si possono posare su delle presenze femminili gradevoli e simpatiche".
Fin qui la donna come ornamento e oggetto del desiderio, proprio come nella televisione che ha plasmato a sua immagine e somiglianza. Ma dopo avere minacciato di denunciare Patrizia D'Addario, Berlusconi viene al punto, la sua idea di conquista: "Io non ho versato un euro per avere una prestazione sessuale e allora confermo che nella mia vita io non ho mai neppure una volta dovuto dare dei soldi a qualcuno per una prestazione sessuale. Le dico anche perché. Perché a chi ama conquistare, la gioia e la soddisfazione più bella è la conquista, se tu paghi mi domando che gioia ci potrebbe essere".
Questo uomo prossimo a compiere 73 anni ha la necessità vitale di credere, e di far credere, che delle donne più giovani di mezzo secolo lo desidererebbero per amore e non per soldi, per ricerca di lavoro, per richieste di favori. È la bugia più grande di tutte, quella che il Berlusconi seduttore sente il bisogno di propinare innanzitutto a se stesso. Ma è anche la bugia che ci riporta alla domanda iniziale: la maggioranza degli italiani vorrebbe essere come lui?
Sarebbe cioè desiderosa di fondare sistematicamente la relazione sessuale e sentimentale fra uomo e donna sul fascino dominatore del potere? Di certo la nostra cultura popolare è fondata su tale presupposto. Sapienti inventori della nuova lingua volgare hanno da tempo realizzato la trasposizione televisiva della cultura ereditata dall'Italia delle case chiuse degli anni Cinquanta, in cui signorine discinte, possibilmente ebeti e comunque sottomesse, si aggirano scodinzolando fra maschi attempati che si danno di gomito. Sarebbe interessante verificare i guasti prodotti da tale concezione dell'erotismo non solo nella civiltà del rapporto fra generi, ma perfino nelle patologie del desiderio sessuale. Mi accontento per ora di constatare l'evidente correlazione di questa cultura della diseguaglianza fra uomo e donna con le penalità inflitte all'universo femminile italiano in campo sociale, professionale, politico. Il governo ha deciso di impedire un confronto pubblico su questi temi, liquidandoli come gossip. È paradossale che tale "divieto di gossip" venga promulgato dal principale editore del gossip italiano. Ma dovrebbe essere ben chiaro a tutti che il retrogrado galateo di Silvio Berlusconi non ha proprio nulla a che fare con il pettegolezzo.
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L'ossessione di far chiudere le gazzette della sinistra

L'analisi.
La resa dei conti con l'informazione.

Rassegna stampa - La Repubblica, Curzio Maltese, 28 settembre 2009.

Comincia nel peggiore dei modi la settimana della difesa della libertà di stampa che si chiuderà con la manifestazione di sabato in Piazza del Popolo. Comincia con Berlusconi che, liquidato con due vecchie e sciocche battute l'incontro con Obama e signora, torna sulla sua ossessiva battaglia per far chiudere le "gazzette della sinistra" e i pochi programmi televisivi che danno ancora voce a mezzo Paese. Con un governo che, per iniziativa del ministro Scajola, pretende contro la legge di stabilire direttamente i palinsesti della tv pubblica. Con una destra che, dalle colonne dei due giornali più diffusi e obbedienti al premier, Giornale e Libero, lancia una campagna per boicottare gli abbonamenti Rai.
La posta in gioco non è la sopravvivenza di Annozero, cui neppure i record di ascolti garantiranno la messa in onda giovedì prossimo. Piuttosto la sopravvivenza economica e politica nell'Italia berlusconiana di un'informazione critica e di opposizione. Ovvero l'essenza di una democrazia. Se qualcuno o addirittura la maggioranza pensa ancora che tutto questo sia normale, allora significa che la democrazia in Italia non ha un gran futuro. Il presente è già inquietante.
Non è normale in nessuna democrazia che un governo rivendichi la concessione di nullaosta per questo o quel programma della tv pubblica. Per la verità, sarebbe illegale anche da noi, visto che la vigilanza sulla Rai spetta di diritto alla commissione parlamentare. Che è sempre presieduta da un esponente dell'opposizione, proprio per garantire l'indipendenza della tv pubblica dal potere esecutivo. Così era quando la destra era all'opposizione. Ma ora che è al governo, Berlusconi ha deciso che le garanzie non valgono più e deve essere il governo a vigilare sulla Rai, su se stesso, su tutto, e a decidere quali programmi mandare in onda. Per farlo ha mandato in campo il ministro dello Sviluppo Economico, Scajola, il quale, invece di occuparsi di uno sviluppo che non c'è, apre un'inchiesta sull'ultima puntata di Annozero. Accusata dal medesimo di spargere "spazzatura, vergogna, infamia, porcherie".
L'accusa è talmente generica che si ha quasi voglia di dar ragione al ministro. In effetti nell'ultima puntata di Santoro hanno parlato quasi soltanto voci del centrodestra: il presidente del Consiglio, il ministro Renato Brunetta, il direttore del Giornale, Vittorio Feltri, l'ex opinionista di corte Filippo Facci e la famosa Patrizia D'Addario, che come qualcuno forse non ricorda, oltre a essere un'amante del premier, è stata candidata del centrodestra alle elezioni amministrative della primavera scorsa. Sono questi "spazzatura, vergogna, infamia, porcherie"? Può darsi, Ma si tratta di spazzatura portata sulla scena pubblica da Berlusconi, compreso l'amico Giampaolo Tarantini, oggetto del ben documentato monologo di Marco Travaglio.
Ma si tratta appena di un pretesto. Con la sua iniziativa Berlusconi, attraverso il ministro Scajola, vuol imporre qualcosa di ancora peggio di una censura. Vuole stabilire un precedente sulla base del quale da ora in poi sarà il governo, cioè il premier, a stabilire i palinsesti Rai. Contro la legge, la decenza (Berlusconi è sempre il padrone di Mediaset) e la celebre volontà popolare, certificata dal primato di audience, della quale all'occorrenza il plebiscitario leader dimostra di fregarsene altamente.
Non bastasse, il padrone ha dato ordine ai giornali sottostanti, Giornale e Libero all'unisono, di lanciare una campagna contro il canone Rai. Anche questa indecente e illegale, perfino per una maggioranza amica degli evasori fiscali, coccolati con infiniti condoni. Come vogliamo chiamarla, ministro Scajola, porcheria o infamia? Qualcuno poi dovrebbe spiegare come mai il ministro dello Sviluppo, il sottosegretario alle Comunicazioni, la stessa Rai, perfino il cacciatore di fannulloni Brunetta, non aprono una bella inchiesta sui collaboratori di Giornale e Libero che con la sinistra lestamente prendono lauti stipendi da viale Mazzini e con la destra firmano per giornali impegnati nel boicottaggio della Rai. Tanto per non far nomi, il neo vice direttore di RaiUno, Gianluigi Paragone, autore di un editoriale che campeggia nella prima pagina di Libero dedicata a "come non pagare il canone". Non solo la destra ha piazzato nella mangiatoia della tv pubblica lottizzati d'infimo profilo, ma pretende pure che a pagarli siano i soli elettori del centrosinistra.
L'obiettivo di imbavagliare la stampa d'opposizione viene perseguito con questi metodi frettolosamente sgangherati, quasi provocatori, da servitù affannata per esaudire, in un modo o nell'altro, i desideri del capo. L'urgenza di Berlusconi di nascondere la sua vera "storia di un italiano" è tale che non c'è più tempo per mediazioni, per i ricami diplomatici di un Letta o i cavilli giuridici di un Ghedini. Il potere berlusconiano va avanti di spada per tagliare l'ultimo nodo democratico, la stampa d'opposizione, che lo separa dall'egemonia assoluta. Si tratta di un disegno tanto chiaro che potrebbe capirlo perfino l'opposizione politica, pur nel suo marasma ideologico. Un'opposizione cui ormai il premier, nel delirio polemico, attribuisce finanche le scritte sui muri di Milano contro i parà uccisi. Se passano questi sistemi, non ci sarà più margine di trattativa, ma una disonorevole resa. Si gioca molto o tutto in pochi giorni, da qui a sabato. Poi rimane solo il cartello di fine trasmissioni.
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Berlusconi non la racconta tutta

Kabul, Napolitano: "Fondamentale sostegno dell'opposizione".
Dopo le accuse di Berlusconi, il capo dello Stato risponde a Casini che aveva chiesto l'intervento del Colle: "Il sostegno ai militari in missione all'estero, condiviso dalle opposizioni, è un dato che non può essere scalfito da una becera contestazione".
VideoPost - Sky Tg24, 28 settembre 2009.



Continuano a far discutere le dichiarazioni del presidente del Consiglio Berlusconi che ha accusato l'opposizione di aver gioito per la morte dei soldati italiani a Kabul. Parole che hanno scatenato la reazione di tutto il centrosinistra e del laeder dell'Udc che ha chiesto l'intervento del capo dello Stato. E il presidente Napolitano, oggi ha risposto all'onorevole Casini: "posso confermare che ho sempre messo in luce l'importanza del larghissimo sostegno dell'opinione pubblica e delle forze politiche all'impegno di militari italiani in missioni di pace all'estero. E si tratta di un dato rilevante e importante, conclude Napolitano, che non può essere scalfito da episodi di becera e indegna contestazione ai quali non può essere attribuito alcun peso e rilievo effettivo".
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Brunetta e i mostri

Dopo i "fannulloni" i magistrati. Brunetta attacca: "L'Anm è un mostro, va tagliato".
Rassegna stampa - l'Unità.it, 28 settembre 2009.

Come Berlusconi, oltre Berlusconi. Dopo i «fannulloni» e «certa sinistra» nel mirino di Renato Brunetta finiscono i magistrati. E, in particolare, il loro sindacato, definita un «mostro» che finisce con l'avere effetti anche sul funzionamento del Csm, l'organo di autogoverno della magistratura. Brunetta annuncia il suo programma: «Bisogna tagliare questa cinghia di trasmissione». L'ultima sceneggiata del ministro è avvenuta a margine della presentazione del libro di Stefano Livadiotti «Magistrati l'ultracasta». Brunetta ha spiegato che «le correnti dell'Anm di fatto decidono gli equilibri all'interno del Csm e qui si produce il mostro, con effetti sulle questioni economiche, disciplinari e di carriera della categoria, che sono determinate per via sindacale». Quindi, «per risolvere il problema bisogna tagliare questa cinghia di trasmissione».
«Il 90% dei problemi della giustizia in Italia sono organizzativi - ha detto ancora Brunetta - e sono risolvibili con l'information and communication technology: anche per i magistrati si può pensare a badge, controllo delle presenze, controlli di produttività e controlli dei ritardi». «Se si va in qualsiasi tribunale italiano si trova il caos e dalle 14 non c'è più nessuno - ha detto poli polemicamente - e più il sistema di lavoro è complesso più ha bisogno di organizzazione scientifica, che nella magistratura e nella produzione della giustizia non c'è: il settore è opaco». Parole evidentemente dettata dalla scarsa conoscenza che Brunetta ha del lavoro dei giudici.
Brunetta, che da tempo si incarica di parlare alla pancia del Pdl, ha rilanciato la vecchia ossessione berlusconiana contro i giudici. «I magistrati - dice - sono servitori dello Stato come tutti gli altri, forse si sono montati un pò la testa».
Il vicepresidente dall'Anm, Gioacchino Natoli, sfortunatamente presente alla presentazione del libro è stato costretto a replicare, soprattutto alla contestazione sui tribunali vuoti nel pomeriggio: «Questo succede perchè un suo collega di governo ha tagliato gli stanziamenti per gli straordinari». «Lei dice cose non vere», è stata la risposta di Brunetta. I due contendenti si sono poi accordati per fare un giro dei tribunali italiani («a sorpresa», ha precisato Brunetta) per verificare sul campo la situazione.
«Brunetta, dopo aver tentato di delegittimare la Pubblica amministrazione, ora allarga le sue provocazioni anche al mondo della Giustizia». Lo dice Donatella Ferranti, capogruppo del Pd nella commissione Giustizia di Montecitorio, replicando al ministro Brunetta che ha definito l'Anm un mostro dentro il Consiglio Superiore della magistratura. «Il ministro dovrebbe sapere - sottolinea Ferranti - che la legge in base alla quale sono eletti i componenti togati del Csm è stata voluta dall'ultimo governo di centro destra. Quindi, di eventuali storture non può che accusare se stesso e la sua maggioranza».
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Senza senso non pagare il canone contro Santoro

L'editoriale.
Una Tv che parli al paese.

Rassegna stampa - Il Tempo, Fabrizio Dell'Orefice, 28 settembre 2009.

Che senso ha? Che senso ha proclamare l'ennesimo sciopero del canone (miseramente falliti tutti i precedenti)? L'iniziativa è di Daniela Santanché, protagonista di mille sortite anche condivisibili. L'ultima, che è stata fortemente sponsorizzata da Libero e Giornale, non ha né capo né coda. Si può spiegare solo in un modo. C'è una parte d'Italia che si sente offesa, dalla tv di Michele Santoro, che si sente vilipesa da altre trasmissioni, che non si riconosce in molti programmi della tv pubblica. È quella parte del Paese maggioritaria nelle urne, minoritaria nelle élite culturali. Élite, quelle italiane, che hanno anche una specificità particolare: sono probabilmente le uniche in Europa che negli ultimi cinquant'anni, dai carriarmati in Ungheria, sono puntualmente dietro ai partiti, sono più retrograde della politica, vorrebbero tornare indietro, vivono ancora negli anni Settanta, pensano che gli anni di piombo non sono finiti e sotto sotto vorrebbero che ritornassero a fiorire quelle stagioni. La risposta a questa parte del Paese che usa la clava, alle volte pare incivile, che sogna le teste rotolanti, il sangue che scorre, ebbene la risposta, non può essere sedersi a tavola e mettersi a fare rutti, sputare in faccia, ai commensali. No, non può farlo un partito di governo come il Pdl. Non può il Pdl, il partito degli italiani, mettersi a scioperare contro la tv degli italiani.
Non può l'area politica che ha espresso la maggioranza nel consiglio d'amministrazione della Rai, il direttore generale, tutti i principali direttori delle testate giornalistiche, non può quest'area attuare una protesta che di fatto sarebbe contro se stessa. Al contrario. Sarebbe ora che quest'area dimostri di essere capace di metter su una sua capacità editoriale.
Maurizio Gasparri, capogruppo del Pdl al Senato, ha detto di aspettarsi un Santoro di destra, una Gabanelli di destra. È una sintesi forse un po' rozza ma efficace. Anche se il ragionamento è più profondo. Non si tratta solo di metter su una trasmissione che spedisca inviati a Bari per sputtanare quella parte della sinistra compromessa dalle inchieste sulla malasanità o a Napoli a vedere come dopo i rifiuti s'è concretizzato il sacco della sanità.
C'è bisogno anche di questo. Ma non solo. Sarebbe opportuno imporre programmi, ma anche temi, argomenti, concetti. Quelli della politica del fare, delle istituzioni che parlano poco e realizzano. Le istanze della famiglia. Il senso della Patria e dell'unità d'Italia. La riscoperta della letteratura. Della nostra storia.
Dopo le bandiere rosse, è arrivato il momento di elogiare il manufatto italiano, il secondo di Europa, raccontare come «fare all'italiana» è tornato ad essere - e lo si è visto in Abruzzo - simbolo di ben fatto, di fatto a regola, d'arte. Come fino due secoli fa, i giardini all'italiana, erano il simbolo di bello. Non si tratta di fare messe cantate. Si tratta di avere la capacità di dar voce, di raccontare quella, parte del Paese maggioritaria ma che non esiste. Solo negli schermi della tv, al cinema, nelle fiction. Insomma la destra la smetta di lamentarsi e affronti seriamente la battaglia delle idee.

Il centrodestra va avanti sul caso "Annozero" e minaccia di cambiare il contratto di servizio. Scajola convoca Viale Mazzini. Zavoli: il governo non può censurare.
Rassegna stampa, La Repubblica, Luca Iezzi, 28 settembre 2009.

«La visione di Annozero ha fatto esplodere in me la convinzione che bisogna proteggere i telespettatori, specie i più deboli, invece mi pare che non ci sia abbastanza attenzione, che prevalga il senso della cattiveria, della rabbia, della deformazione». Il ministro per lo Sviluppo economico Claudio Scajola convocherà i vertici Rai appena rientrato dalla sua trasferta negli Usa: il 7 o 8 ottobre: «C'è un contratto di servizio, in particolare all'articolo 3 si parla di equilibrio e qualità, verificherò con i vertici il perché di eventuali inadempienze, se il contratto non è chiaro lo riscriveremo, visto che scade a dicembre, in modo che non ci siano equivoci».
Quali siano i problemi di qualità Scajola li esplicita parlando anche di "Report" che potrebbe partire senza tutela legale: «Un giornalista deve essere responsabile di quello che fa, come ognuno di noi. Non ci deve essere un'immunità a dire e fare quello che si vuole, ad avere lauti guadagni e non pagare mai il conto». Anche se poi specifica: « È lontanissimo da me e dal governo, in primis dal presidente Silvio Berlusconi, l'idea di censurare l'informazione».
Il ministro già da tre mesi ha insediato una commissione per rinnovare il contratto di servizio e per questo difende i suoi poteri: «Molti dei critici di questi giorni nemmeno sapevano che c'è un sistema di garanzia che non è rappresentato soltanto dalla commissione parlamentare di Vigilanza. Sfido chiunque a dimostrare che il mio intervento sia fuori dalle mie prerogative». Il viceministro alle Comunicazioni Paolo Romani se la prende con l'ex ministro Gentiloni: «Questo contratto di servizio è stato firmato da lui e dunque non può non saperlo». Il segretario Pd Dario Franceschini definisce la mossa di Scajola «un atto anomalo: c'è la commissione di vigilanza. Si tratta di una strategia di intimidazione. Quello a cui stiamo assistendo è un attacco al sistema di informazione, che per metà è coinvolto dal conflitto d`interessi, mentre l'altra metà è costantemente sotto intimidazione».
Costretto a intervenire nuovamente il presidente della Vigilanza Rai, Sergio Zavoli: «Provvederò senza indugi a convocare l'ufficio di presidenza e la commissione. Senza entrare qui nel merito, non sarebbe legittimo trasformare una facoltà di cui il governo ha il pieno diritto in qualcosa che configurasse atteggiamenti censori». E il leader del1'Udc Pierferdinando Casini: «La Dc non ha mai pensato di spegnere le voci di contestazione».
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Si ripianterà l'albero del gemellaggio

Lavori in corso in vista dell'incontro con gli amici francesi.

In Piazza Europa si lavora per ripiantare il castagno, l'albero del gemellaggio strappato in un giorno di follia, da vandali che hanno danneggiato anche l'indicazione stradale dono del Comune di Saint-Christo. I francesi saranno da noi il 2, 3 e 4 ottobre prossimi.




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Pd. A Brembio voto bulgaro per Bersani

Il politico piacentino sfiora il 57 per cento. Santantonio: «Lega pigliatutto nel centrodestra, guardiamo a nuove alleanze».
Pd, nel Lodigiano è tripudio per Bersani.
L’ex ministro nei congressi stacca Franceschini che però vince a Lodi.
Rassegna stampa - Il Cittadino, Cristina Vercellone, 28 settembre 2009.

La maggioranza sceglie Bersani. L’ex ministro è risultato in testa nella sfida congressuale del Partito democratico. Confermando così il dato nazionale. A dargli la maggioranza dei voti sono stati gli iscritti di 26 circoli su 36. In dieci sezioni, invece, è stato Dario Franceschini a raccogliere la maggioranza dei consensi. In alcuni circoli lodigiani, quest’ultimo ha raccolto gli stessi voti di Ignazio Marino. In totale, Bersani ha collezionato 655 voti, con una percentuale del 56,98 per cento; 406, invece, e una percentuale del 35,87 i voti di Franceschini e 81 quelli di Marino con una percentuale del 7,16. Nel Lodigiano hanno votato 1132 iscritti su 2.126 aventi diritto, ovvero il 53,24 per cento. In cima ai circoli che hanno scelto Franceschini, in controtendenza, si è piazzato quello del capoluogo. Qui, grande sostenitore del candidato del Pd era e resta il sindaco Lorenzo Guerini. La mozione di Franceschini, a Lodi, si è meritata 118 preferenze, contro le 101 di Bersani e le 13 di Marino. Stessa maggioranza anche a Cavenago, Ossago, Graffignana, San Fiorano, Cornogiovine, Mulazzano, Cervignano, Terranova e Boffalora. La mozione Bersani ha entusiasmato in particolare, invece, il circolo di Brembio (65 preferenze per lui e una a testa per gli altri due candidati), Bertonico, Castiglione, ma anche Borghetto, poi Senna (con 32 voti per Bersani e 5 per Franceschini) e San Rocco (19 a Bersani, 1 a Franceschini e 5 a Marino). A Casale e Zorlesco, sono stati 70 i voti per Bersani, 55 per Franceschini e 9 quelli per Marino. Giudizio positivo da parte del primo cittadino di Lodi. «C’è stato un clima positivo, senza polemiche - commenta il primo cittadino -. A contare saranno le primarie del 25 ottobre. Lì potranno intervenire tutti quelli che si dichiarano votanti del Pd. Mi è piaciuta la discussione che si è fatta venerdì, sono stati evidenziati tutti i punti critici e le debolezze del governo Berlusconi. Non possiamo però sperare in eventuali scossoni di questo governo, dobbiamo indicare le nostre proposte alternative e andare avanti, ripartendo dai militanti e dagli elettori. Aldilà dei tre leader che comunque appartengono allo stesso scenario politico, la cosa importante è la convergenza e la coerenza con il programma del Pd. Non dobbiamo tornare alle esperienze passate e al centro-sinistra con il trattino. Dobbiamo togliere quel trattino in mezzo, questa era l’idea originaria del Pd, un partito che accoglie le diverse anime». Per quanto riguarda l’alleanza con l’Udc, secondo Guerini è positiva, ma «non deve essere un’ossessione. Se dall’opposizione al governo Berlusconi - dice - possono nascere confronti sono soddisfatto, ma non dobbiamo costruire il partito partendo dalle alleanze». Parole di soddisfazione sono arrivate anche dall’ex capogruppo provinciale Giuseppe Cremonesi: «Abbiamo superato la soglia di partecipazione degli iscritti - commenta -; in passato eravamo fermi al 30 per cento, adesso abbiamo superato il 50. Ci auguriamo che le primarie confermino questo risultato. Bersani è stato individuato come un leader autorevole, in grado di rilanciare questo progetto. Si tratta di ridare senso alla storia del riformismo italiano che aveva visto cattolici e socialisti uniti sul tema del lavoro. Dobbiamo ridare dignità al lavoro, non solo a quello dipendente». Secondo Fabrizio Santantonio, sostenitore di Franceschini, l’importante è che non si perda di vista «il motivo che ha dato origine al Pd: doveva essere la novità - dice - diventare il primo partito e semplificare il panorama. Doveva essere un partito inclusivo in un paese complesso: un partito democratico senza l’etichetta, ma che si denomina per ciò che fa e ciò che dice. Oggi siamo l’unico grande partito in Italia che vota per i propri organi dirigenti. Il Pd non deve recludersi dentro il “cul de sac” della sinistra, ma deve essere il partito moderno che risponda alla società moderna. Nel nord e nel Lodigiano la Lega sta prendendo consensi ovunque e mettendo in crisi anche l’alleanza nel Pdl. Dobbiamo tenerne conto».
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Il caso dei «farabutti»

Il movimento dei farabutti.
Rassegna stampa - La Repubblica, Ilvo Diamanti, 28 settembre 2009.

Strani giorni. Chi avrebbe mai immaginato che l'opposizione, per trovare senso, parole e significato dovesse ispirarsi a Berlusconi? Non ci riferiamo a ieri. Perché è noto che i partiti di centrosinistra hanno da tempo imitato il modello espresso dal premier. Hanno abbandonato il territorio e la partecipazione per tuffarsi nei media e soprattutto nella tivù. In nome della personalizzazione e del marketing. Con risultati, fino ad oggi, modesti. Ci riferiamo, invece, a oggi: alla "nuova" opposizione dei nostri giorni. In larga parte "suggerita" e ispirata - proprio dall'esperienza politica di Berlusconi. Assistiamo, da un lato, al rovesciamento del meccanismo che ha tradotto il privato in un fatto pubblico. Politico. Fino a ieri: usato dal leader del PdL (prima, di FI) per coltivare consenso e fiducia. Oggi: dagli avversari politici contro di lui. Privato e pubblico, retroscena e ribalta. Tutt'uno. A flusso continuo. D'altro canto, il confronto politico si è spostato -totalmente - sui media. Che sono divenuti l'unico vero campo di battaglia politica. Tivù e stampa. Stampa e tivù. Giornali e tele-giornali. Opposti fra loro. Visto che le informazioni in tivù, in molte reti, sono filtrate. Con l'alibi di non sovrapporre pubblico e privato. Politica e gossip. Come se fossero cose diverse. Come se la ribalta e il retroscena fossero ambienti separati. (Come se le interviste "politiche" del premier non fossero ospitate da Chi e annunciate in copertina da foto di famiglia. Nonno Silvio insieme a figli, figlie e nipoti).
Da ciò l'ostilità di Berlusconi verso la stampa. E verso i giornalisti della carta stampata. In particolare (ma non solo) verso un giornale. La Repubblica (dei veleni). Che si trova, più che dalla parte dell'opposizione, a fare l'opposizione. Scavando nel privato-pubblico del premier. Il quale è bersaglio ma anche attore di ogni polemica. Che concorre a rilanciare e a moltiplicare. D'altronde, sarebbe difficile ricordare le precise, specifiche vicende che lo riguardano se non fosse per la sua determinata scelta di ribattere colpo su colpo. Anche perché in tivù quasi non se ne parla. Perché è Berlusconi a scrivere l'agenda politica. A determinarne i temi e il linguaggio. Senza, però, riuscire a controllarne sempre le conseguenze. Tanto che egli stesso contribuisce a promuovere l'opposizione. Non solo: ne suggerisce le esperienze e le novità. Dà loro nome e significato. È il caso dei "farabutti". Da cui il premier si sente circondato, "sulla stampa, in tivù e nella politica", come ha affermato a Porta a Porta. Farabutti. L'insulto si è trasformato subito in un segno di riconoscimento, per un numero crescente di persone. Che hanno affollato uno spazio appositamente dedicato dall`edizione online di Repubblica. Dove, un giorno dopo l'altro, migliaia di persone hanno inviato e continuano a inviare la propria foto. Al posto del nome, la scritta: farabutto. Esibita orgogliosamente come un marchio. Una sorta di movimento di opposizione cresciuto dentro a quello che il leader considera il principale soggetto di opposizione. Se scorriamo le pagine dell'album fotografico, in continua evoluzione ed espansione, possiamo cogliere alcune informazioni utili a definire il profilo, non solo fisiognomico, ma sociale, culturale e politico di questa popolazione. Senza pretese, ovviamente, di rigore scientifico. Ci sarà tempo per analisi più raffinate. Anzitutto, si tratta perlopiù di giovani. Spesso di giovanissimi. Accanto a molte persone adulte e di mezza età. Molto poche della mia generazione: "anziani" che si ostinano a definirsi giovani (non è il mio caso). Poi: vi sono molte donne. Anzi: più donne che uomini. I "farabutti" si presentano raramente da soli. Qualche volta in coppia, ma quasi sempre in gruppi più numerosi. A volte intere famiglie. Diverse generazioni riunite. Genitori, figli di età diverse. Qualche volta i nipoti. Questo fenomeno riflette diversi linguaggi e diversi tipi di azione. E all'incrocio fra il movimento e il social network. Fra i girotondi e Facebook. Tra la manifestazione di piazza e Twitter. Unito da un comune obiettivo: la libertà di informazione. Ma esprime, al tempo stesso, una domanda di opposizione. Aperta e condivisa. Orientata dal "mezzo" di cui si serve. La rete. Permette di esserci, di esprimersi, con la propria faccia, con il proprio gruppo di riferimento. Senza censure. I "farabutti", d'altronde, sono competenti nelle tecnologie della comunicazione. Sono quelli che navigano in internet, si scrivono per e-mail, chattano attraverso Messenger e si parlano con Skype. Quelli che propongono il loro profilo su Facebook, dove coltivano relazioni vecchie e nuove. Quelli che guardano Fazio, la Gabanelli, Floris e la Dandini. Quelli di (centro) sinistra. Lettori di Repubblica (e non solo). Una comunità specifica. Larga e stretta al tempo stesso. "Esuli". Del Pd, in cui faticano a riconoscersi. Di un paese nel quale stentano a sentirsi cittadini. Spaesati. Di incerta identità. Berlusconi ha contribuito a dar loro un nome. Farabutti. Un titolo - rivendicato con tono di sfida che alcuni perfezionano aggiungendo: "coglioni" (così, nel 2006, Berlusconi definì gli imprenditori intenzionati a votare per il centrosinistra). E altri ancora: "fannulloni" (gli statali, secondo Brunetta). E il meccanismo mimetico che produce nuove forme di opposizione. Inventate, in modo involontario, dalla maggioranza. Dal premier e dai suoi consiglieri. Che forniscono a molte persone, a molti giovani, parole d`ordine ma anche senso di appartenenza. L'identità che i partiti di sinistra non riescono più a offrire. Tanto meno a imporre.
Il che suona come avvertimento e ammonizione.
Senza identità, senza bandiere, senza parole da dire. Senza simboli da esibire e senza riti da celebrare. Senza faccia e senza nome. Senza identità. Un soggetto politico non può esistere. Così, ci pensa Berlusconi. E quelli che un tempo si chiamavano - o si dichiaravano - "compagni", oppure "amici", oggi si chiamano - e si dichiarano - "farabutti". Etimologicamente: pirati. Che sfidano l'onnipresenza del Pmm - Partito mediale di massa - e del suo leader. Trasformano gli insulti in segni di riconoscimento. Parole che rendono meno opprimente l'afasia dell'opposizione.
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In edicola oggi

28 settembre 2009.
Le prime pagine dei giornali.





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«Farabutti» non furbetti

Istigazione "criptata" all'evasione.
L'articolo di ieri di Franco Bechis su "Libero" indica la possibilità di beffarsi del canone Rai.



La strada è quella dei 600 mila vecchi abbonati che nel triennio scorso, dice Bechis, hanno smesso legalmente di pagare il canone. Poco importa che si sia sottoscritto un modulo in cui si dichiara di concedere l'autorizzazione alla Agenzia delle Entrate o alla Guardia di Finanza ad accedere alla propria residenza per far suggellare il televisore; in cui si dichiara inoltre di non possedere altri televisori e che gli appartenenti al proprio nucleo familiare che dimorano presso di voi non posseggono altri televisori. Poco importa che si dichiari di essere a conoscenza delle sanzioni penali previste per chi fa dichiarazioni mendaci, falsità negli atti, uso ed esibizione di atti falsi o contenenti dati non più rispondenti a verità. E che si siano sottoscritte tali dichiarazioni sotto la propria responsabilità.



Poco importa, perché c'è solo da aspettare che il funzionario SAT [dello Sportello Abbonamenti Tv dell'Agenzia delle Entrate] o la Guardia di Finanza su incarico della SAT, dice Bechis, "venga a suonare il campanello di casa vostra per chiedervi il televisore da infilare nel sacco di iuta". Ma... e dopo no guardo più la Tv? Tranquilli, il buon Bechis vi dice tra le righe che potrete tranquillamente continuare a farlo, anche a guardare Santoro, Floris, Fazio e compagnia bella (già, perché il problema non è Santoro, ma il canone: è il canone che dà fastidio al padrone del vapore, e dunque, perché non sfruttare l'odiato Santoro, Travaglio, Vauro, quanti sputtanano quotidiamente papi sul servizio pubblico, per creare difficoltà di finanziamento al concorrente Rai?). Ma leggiamolo Bechis che lancia così da Libero il tormentone della campagna dei due giornali filo-papi: «Fate quel che volte, ma non in nome mio. E soprattutto non con i miei 107,50 euro all'anno».
«E - rassicura Bechis - si può fare in modo del tutto legale, spiegato per filo e per segno anche sul sito Rai dedicato agli abbonati, senza avere paura delle conseguenze. Basta avere un quarto d'ora di tempo, inviare una raccomandata alla Agenzia delle Entrate e attendere l'unica pena possibile: un finanziere che metta un sacco di iuta sigillato intorno alla vostra Tv». Sì, va be' ma il televisore non lo guardo più! E no, dice Bechis: «Accade in un caso su dieci e normalmente dopo due o tre anni». Capito?! E ancora Bechis: «A quel punto per togliere la iuta dalla vostra Tv basta tornare a pagare il canone. Ma intanto ci si è tolti la soddisfazione di unviare un bel "vaffa" (come quello che augurava Beppe Grillo) ai vari Santoro e a chi li impone in onda». Vuoi mettere la soddisfazione!
Prima di proseguire nel riportare e chiosare stralci dell'articolo del geniale Bechis, riporto un'obiezione d'un ingenuo pieno di buon senso: "Ma perché devo mettere in piedi tutto questo quando basta semplicemente cambiar canale, non guardare Santoro e soci?" Troppo semplice amico, troppo semplice, ripeto Santoro è l'arma usata non l'obiettivo da colpire. Obiettivo non è la sinistra in Tv, l'obiettivo è il canone ( di conseguenza la privatizzazione necessaria della Rai).
Ma ritorniamo a Bechis che riconosce che l'idea proposta non è nuova: «Altre volte partiti e movimenti politici hanno iniziato campagne che invitavano alla disobbedienza fiscale sul canone Rai. Ma il prezzo da pagare è stato alto: l'Agenzia delle Entrate si è messa alle costole del nuovo evasore, e se prima non si desisteva dal proposito, arrivava una bella cartella fiscale con tutto il suo carico di conseguenze. Perfino il fermo amministrativo di beni (auto, moto, altre proprietà) che non potrebbero più essere usati né rivenduti. Rischio dunque altissimo, e molte campagne (dai radicali alla Lega Nord) contro il canone Rai sono finite nel nulla per una comprensibile e motivatissima paura degli abbonati». Dei "pirla" questi, fa capire Bechis, perché per la loro idealità politica la protesta contro il canone la facevano davvero. Qui invece si tratta di un'azione di disturbo contro un concorrente agguerrito che fa soldi di pubblicità proprio con trasmissioni come quelle messa da Berlusconi all'indice.
Ed ecco il didascalico Bechis a suggerire la via di quanti vogliano difendere papi dalle truppe di Santoro e il peculio Mediaset dalla Rai. «Ma se anche pochi la conoscono esiste una via legale alla disdetta del canone», eccoci qua. «È tutto in regola, tanto è che è la stessa Rai a spiegare come fare nel suo sito dedicato agli abbonamenti. Per non pagare più il canone c'è una sola precondizione: quella di essere in regola con i pagamenti passati. Poi bisogna dichiarare di non volere più un televisore a colori in casa. Se lo si aveva (il canone è una sorta di tassa di possesso dell'apparecchio), bisogna autocertificare di averlo distrutto o rottamato oppure venduto, donato ad altri di cui bisogna indicare le generalità. Ma non è necessario avere un "complice". Si può anche semplicemente dichiarare che non si vuole più utilizzare quel televisore». Per fare quesro c'è ovviamente un'apposita procedura da seguire le cui indicazioni si trovano facilmente su Internet.
«Nel modulo di disdetta il canone chiederà all'erario di venire a suggellare uno o più televisori presenti nella propria abitazione. Per ognuno degli apparecchi in possesso dovrà pagare per l'ultima volta una mini-tassa di 5,16 euro attraverso un vaglia postale (...). A questo punto si potrà non pagare più il canone per il resto della vita». Ancora, ma se mi sigillano il televisore come mi guardo "Uomini e donne" o "Il grande fratello"?
È qui che ha il sopravvento quella moralità tanto reclamata per sé e i propri tirapiedi da Berlusconi ieri a Milano. Leggete attentamente ciò che Bechis continuando scrive: «E gli apparecchi tv possono restare in funzione fino a quando non saranno messi i suggelli da parte dei funzionari dell'Agenzia delle Entrate. Verranno? L'esperienza di centinaia di migliaia di cittadini che ha già seguito la via legale del divorzio dal canone Rai dice che è altamente improbabile. Ancora più improbabile se questo tipo di disdette arriva a pioggia».Capito? Solo se siete sfigati di natura non provateci.
Continua Bechis: «La legge prevede infatti che non sia l'Agenzia delle Entrate ad occuparsi della suggellazione degli apparecchi, ma la Guardia di Finanza». E qui il giornalista dà il meglio di sé come assiduo appassionato di Law & Order: «I militari non possono entrare in casa di un cittadino se non glielo permette il diretto interessato. Se insistono, si ha diritto a chiedere visione del mandato loro consegnato. Si può chiedere di ripassare con regolare mandato (che non potranno avere) o portargli in strada un apparecchio per compiere la procedura. Loro lo infileranno in un sacco di iuta che verrà richiuso con i sigilli. In qualsiasi momento questi potranno essere tolti tornando a pagare regolarmente il canone di abbonamento Rai». Ma Bechis fa capire che il furbetto può dormire sonni tranquilli se il suo cruccio è la paura di perdere "C'è posta per te", anzi: «Ma si può in genere dormire sonni tranquillissimi: la Guardia di Finanza ha ben altro da fare che correre in giro con quei sacchi di iuta. Di questi tempi poi è caccia grossa ai grandi evasori, ai paradisi fiscali, alle finte residenze e gli apparecchi Rai da suggellare rischiano di finire davvero in fondo alla lista delle comande e spesso per essere del tutto dimenticati». Non so come si chiami questo, ma ho qualche vago sospetto. E qualche imbecille l'accoppiata Belpietro-Feltri anche lo troverà. Qualcuno disposto a fare il barricadiero per mandare «un messaggio a chi amministra e gestisce la Rai con una limitatissima pena del contrappasso. Peraltro se il pressing delle disdette avrà successo e la tv di Stato tornerà alla sua unica vera missione, che è di svolgere un servizio per e non contro il pubblico [dove la parola pubblico in questo contesto significa - si è ben ciechi a non vederlo - Berlusconi], si potrà anticipare qualsiasi missione a scoppio ritardato delle fiamme gialle tornando a pagare il canone meno a malincuore». Ah, vuoi mettere la soddisfazione di dire, e di raccontare domani ai nipotini, "sono stato di aiuto a Silvio".
E per chi avesse qualche legittimo tentennamento, Bechis chiude: «Nel solo 2007 le disdette legali al canone sono state oltre 250mila. I sigilli messi agli apparecchi dalla Guardia di Finanza meno di 10mila». Amici miei anti-italiani, questo sì che significa essere "italiano". Mi consenta: W Berlusconi.

Feltri vuole "oscurare" Mediaset

C'è chi ci prende per fessi. Forse è giusto ricordarlo ancora: "farabutti", non fessi.

È evidente. Il postulato fondamentale su cui si fonda l'attività giornalistica di Feltri è che i suoi lettori siano, se non proprio degli imbecilli, quantomeno degli incalliti distratti poco avezzi ad approfondire con la mente ciò che vedono con gli occhi. Forse è gente frettolosa che legge solo i titoli, cui bastano (e avanzano) solo i titoli; forse per questo le questioni che interessano il padrone sono sparate a tutta pagina, per far colpo, perché si fissino bene nella mente. Poco importa ciò che si scrive sotto perché chi lo legge? Slogan dunque, un giornale di slogan non di cronaca argomentata. L'esempio è l'edizione di ieri, che ormai esce in concorrenza con Libero (chi copia non si sa, ma forse la velina è la stessa), diretto da un altro ex del Giornale che ha raccattato attorno a se gli esuli del quotidiano della famiglia Berlusconi, "fuggiti" all'occupazione della direzione da parte del lanzichenecco pronto al sacco della politica e della stampa italiana per conto del Cavaliere Nero. Mettere a ferro e fuoco la democrazia con ogni mezzo, anche con lo "spararsi nelle palle" (e forse questo è l'argomento giusto per far riflettere il papi d'Arcore che lasciare senza guinzaglio un pitbull eccitato in mezzo alla folla non è forse alla fin fine una buona idea). Perché dico questo? Procediamo con ordine.
Ieri Il Giornale e a ruota Libero (indipendentemente o velinamente insieme poco importa) hanno individuato il problema vitale per il Paese: il canone Rai.





Il motivo della rivolta - neppure originale, va detto: è da una vita che i consumatori chiedono l'abolizione del canone, ma senza masochismi - è alla fine il solito Santoro che sta evidentemente nelle palle del duo "voce del padrone" perché riversa sull'amato datore di lavoro ogni sorta di sconce verità, verità comunque. Si cavalca insomma la tigre di un idem sentire diffuso sul canone Rai per scaldare gli animi contro gli oppositori, contro chi mostra che il re è nudo, che il mago di Oz è un imbroglione, che il grande fratello nero-azzurro tiene un paese soggiogato con cerone e trucco televisivo.


«Basta. Ho deciso di non pagare più il canone Rai. Mi ribello alla tassa inflitta a chiunque possegga un apparecchio televisivo. C'è chi va in piazza per difendere la libertà di stampa, che nessuno minaccia (semmai qualcuno ne abusa), e io sto a casa mia fermamente intenzionato a difendere la mia - la nostra - libertà di non finanziare le bischerate di Santoro e Floris.
«Per quale arcano motivo devo passare del denaro agli imbonitori della sinistra che insultano coloro i quali non la pensano come loro, li diffamano e li descrivono quali nemici della democrazia? Già l'idea in sé di un abbonamento imposto ai telespettatori è assurda in un mercato basato sulla concorrenza; se poi quell'abbonamento non è legato a una scelta - come è il caso di Premium o di Sky - bemsì alla sola proprietà di un televisore, non ci sto.
«Non ci sto perché ci sono programmi che non voglio vedere né giustificarne la messa in onda contribuendo a finanziarli.
«Con il canone Rai acquisti in blocco tutto un palinsesto e non ti è permesso scartare le trasmissioni odiose, riducendo il prezzo, e opzionare quelle di tuo gradimento. Ciò non va bene, è disonesto. Non compro un prodotto a scatola chiusa. E se mi obbligano a farlo, protesto.
«Se la proposta è: o l'intero pacchetto o nulla, propendo per il nulla. Rinuncio anche a ciò che mi piace: le partite di calcio, Porta a Porta, i documentari storici. Pussa via, respingo il servizio pubblico perché pubblico non è. Desidero non essere complice di Santoro, di Fazio, Floris e Bignardi - per citarne alcuni - e reclamo il diritto a non retribuire il lavoro di chi offende e mi dà sui nervi. Naturalmente (...)»
Ecco fermiamoci qui, come qui si ferma l'articolo di Vittorio Feltri in prima pagina su Il Giornale.
Più sintetico il "concorrente" Belpietro che in prima pagina inserisce solo questo frammento dell'articolo di Franco Bechis sul tema: «Addio Rai, non ti guardo più. C'è un modo solo per staccare la spina ai Michele Santoro, ai Marco Travaglio, ai Fabio Fazio, ai processi nelle piazze virtuali, ai maldipancia e alle offese patite dai teleschermi della tv di Stato: non pagare più il canone (...)»
Ma è Feltri che fa addirittura la "figata" di mettere in prima pagina un fax-simile di modulo per disdire il canone, svelando però così l'inganno mediatico, che la sua cioè è pura sola propaganda.



Ma se il diavolo fa le pentole, il proverbio dice che non sa fare i coperchi e il troppo finisce con lo stroppiare. Dunque, dove sta l'offesa all'intelligenza del lettore? La svelano queste poche righe del modullo:

Per farla breve, poiché il canone è tassa non sulla Rai, ma per la Rai, nel senso che i proventi vanno alla Rai: il canone è tassa sul possesso di un apparecchio televisivo, questo è. E, dunque, rinunciando al canone non si rinuncia solo a Santoro, Floris Fazio e compagnia, non si rinuncia al calcio, a Vespa o alle altre amenità offerte dalla televisione pubblica. Si rinuncia a qualunque trasmissione televisiva, anche a quelle di Mediaset. Ci si oscura totalmente, globalmente. Si ritorna ad una situazione idilliaca senza il piccolo schermo, al tempo pre "Lascia e radoppia". Il nulla insomma. Un muoia Sansone Santoro ma con tutti i filistei televisivi, comprese le reti Mediaset. Che bello! abbiamo scoperto che sotto sotto anche Feltri è un anti-berlusconiano! Chi sa come sarà contento papi Silvio di nutrirsi la serpe in seno.
Ma proprio leggendo gli articoli citati sorge il dubbio che si suggerisca una furbata all'italiana della serie fatta la legge trovato l'inganno. Una rischiosa operazione aggiramento. Ed è questo ciò che più sconcerta. Chiedere di abolire il canone si può, raccogliere firme si può, fare i furbetti del televisorino, no, direi proprio di no.
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