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«Noi che siamo celti e longobardi, non siamo merdaccia levantina o mediterranea, noi la Padania bianca e cristiana, bianca e cristiana, quelli di Lepanto con le bandiere, nel cuore crociato, noi che noi diventeremo mai islamici, noi, noi seguaci di Bossi fino alla fine.»
Un documento purtroppo di pessima qualità e parzialmente manipolato: Umberto Bossi alle sorgenti del Po il 13 settembre 1996, a compiere il suo rito celtico. Una piccola scheggia della stessa cerimonia anche nel primo dei tre video che chiudono questa puntata.
Un documento, che c'entra poco con la politica, per certi versi poetico, per altri lascio a voi. Dovrebbe comunque far riflettere e molto.
Il video mostra il "matrimonio celtico in stile padano-piemontese celebrato il 07 luglio 2007 a Moncenisio da Ariobrigo. Tarbh e Uria convogliano a nozze in un suggestivo luogo sulle Alpi Cozie". Chiudo con un trittico che è la summa del pensiero leghista sul cattolicesimo e la chiesa.
La giunta leghista "invita" i cittadini a comunicare tempestivamente la presenza di "clandestini" nel territorio. San Martino all'Argine editto razziale. Rassegna stampa - Liberazione, Stefano Galieni, 24 novembre 2009.
Il comune che ha iniziato è stato quello di Cantù, prima ancora che la legge 94, meglio nota come "Pacchetto sicurezza" venisse approvata in parlamento. Accadeva ad inizio settembre 2008, il sindaco del paese in provincia di Como, con un ordinanza, istituiva un "numero verde anticlandestini". Bastava chiamare e denunciare l'immigrato/a sospetti di non essere in regola con i documenti per far scattare l'intervento della polizia municipale. La denuncia (delazione?) poteva avvenire anche in forma anonima. Per il sindaco era uno strumento di partecipazione e di fatto la popolazione partecipa, tanto che attualmente il numero verde vanta una ventina di chiamate giornaliere. Il sistema è stato esportato in numerosi paesi e città, anche a Milano il vice sindaco De Corato ha provveduto in maniera simile, spacciandolo per un numero anti tratta e anti degrado. Dopo l'entrata in vigore del "reato di clandestinità" (8 agosto 2009) i Comuni ad amministrazione leghista ma non solo si sono sbizzarriti nell'emanazione di ordinanze simili, quella promulgata dal comune di S. Martino All'Argine, provincia di Mantova ha ancora più il sapore dell'editto razziale. Un Comune di 1800 abitanti, bassissima la presenza di immigrati, meno del 5%, eppure sufficiente a produrre un manifesto, affisso per le vie del paese, che ricorda un macabro passato. Il vice sindaco leghista, Alessio Renoldi, operaio metalmeccanico trova giustificazione nel fatto a S. Martino si verifica almeno un furto alla settimana. L'invito che si rivolge consiste nel fatto che, in nome dell'applicazione della legge, i cittadini sono tenuti a comunicare tempestivamente la presenza di "clandestini" nel territorio, al sindaco o alla polizia municipale che provvederà secondo norma a risolvere il problema. In maniera quasi naive, forse non rendendosi conto appieno di quanto dice, lo stesso vicesindaco si proclama stupito di tanto clamore e afferma che quello che si chiede ai cittadini è di aiutare il Comune a garantire un buon funzionamento. Si deve segnalare l'immigrato sospetto come si deve far presente che c'è un marciapiede rotto o un albero caduto. Un paragone agghiacciante. Nel manifesto si citano gli art 14 e 18 del pacchetto sicurezza, il primo ricorda che "chiunque a titolo oneroso, al fine di trarre ingiusto profitto, dà alloggio ovvero cede anche in locazione un immobile ad uno straniero che sia privo del titolo di soggiorno al momento della stipula […] è punito con la reclusione da sei mesi a tre anni", il secondo ricorda che l'iscrizione anagrafica può dar luogo alla verifica delle condizioni igienico sanitarie dell'immobile. Se il manifesto di S. Martino ha avuto l'onore della cronaca lo stesso invito alla delazione, utilizzando la minaccia del pacchetto sicurezza, è stato fatto proprio dal comune di Ceresara, sempre nel mantovano. Scegliendo un profilo più basso l'ingiunzione è stata rivolta ai cittadini utilizzando il "Notiziario Ceresarese". Fortunatamente a Mantova opera già da un anno l' "Osservatorio Art.3". Nato nel 2008, in seno al tavolo permanente per le discriminazioni del giorno della Memoria, con lo scopo di legare la memoria e la storia delle discriminazioni e delle persecuzioni volute dal nazifascismo, in cui convivono diverse realtà che operano nel campo della lotta alle discriminazioni. Gli esponenti di Art 3, hanno fatto anche presente, attraverso un numero speciale della loro newsletter, che l'obbligo di comunicare la notizia di reato, anche per la legge 94 non spetta al cittadino ma alle autorità di pubblica sicurezza. Non si può quindi chiedere al cittadino di segnalare la semplice presenza sul territorio comunale di esseri umani, questo attiene alla sua coscienza e si configura per come prospettato come un vero e proprio invito alla delazione. Matteo Gaddi, responsabile "Progetto Nord" del Prc fa una analisi complessiva: «Si tratta di un area geografica territoriale nella quale non si sono mai registrati problemi di convivenza. C'è invece una urgenza sociale data dai tantissimi lavoratori e lavoratrici in cassa integrazione o a rischio licenziamento. La Lega sta accelerando in maniera impressionante la focalizzazione sulla questione immigrazione perché è assolutamente incapace di fornire la benché minima risposta alla crisi economica e sociale. Sono pochissimi i presidi di fabbrica in cui sono passati i leghisti, dove lo hanno fatto non avevano nulla da dire. La Lega paga la sua contraddizione strutturale, credere nel blocco dei produttori, alleanza fra lavoratori e padroni, per questo bisogna sfidarla a muso duro sui contenuti». Le iniziative dei due sindaci leghisti sono partite una settimana fa. Finora nessuno ha proceduto segnalare presenze non gradite. Forse una notizia consolante.
Dopo la violenza sessuale a Rovato. Razzismo e sessismo: tensione a Coccaglio e nei paesi vicini. Rassegna stampa - Liberazione, PZ Redattore Radio Onda d'Urto, 24 novembre 2009.
Cresce ancora, pericolosamente, la tensione a Coccaglio e nei paesi della Franciacorta. A far alzare il tono delle polemiche non sono purtroppo le bollicine dei vini locali, conosciuti e pubblicizzati in mezzo mondo come simbolo dell'eccellenza made in Italy (anche se sono mani in gran parte migranti quelle che, ogni settembre, ne raccolgono gli acini lavorando per ore nei vigneti): di mezzo c'è la crisi economica travolgente che è ormai diventata crisi politica e sociale in una terra, l'opulento ovest bresciano, dove sono come sempre i più deboli ad avere la peggio: siano esse donne, lavoratori e/o migranti. Ad accendere il fuoco che covava sotto la cenere è stato, la scorsa settimana, lo scellerato provvedimento contro i migranti elaborato dall'Amministrazione leghista di Coccaglio, 8mila abitanti a mezza strada fra Brescia e Bergamo. Secondo quanto rilanciato dai giornali di mezza Italia il sindaco, Franco Claretti, e l'assessore alla sicurezza, Claudio Abiendi, avevano avuto la malsana idea di procedere a controlli casa per casa contro i soli cittadini migranti. Al provvedimento, già di per sé duramente contestabile, era poi stato un nome, "White Christmas", ovvero Bianco Natale, dagli evidenti intenti discriminatori e xenofobi. Per protestare contro l'azione dell'Amministrazione a guida Lega - PdL, domenica decine di migranti e antirazzisti hanno volantinato in paese durante la festa patronale. Aldilà della realtà preconfezionata di certi programmi televisivi, come quello di Barbara d'Urso su Canale 5, la risposta della popolazione è stata incoraggiante: «La crisi colpisce tutti - dicono i migranti della comunità di Coccaglio -, non demonizzate e ghettizzate centinaia di persone». Rincuorati dall'iniziativa di domenica, mercoledì i migranti e gli antirazzisti hanno in calendario una nuova iniziativa di protesta, alle 18, in concomitanza con il consiglio comunale di Coccaglio. Sabato 28 novembre, invece, grande manifestazione antirazzista: partenza alle ore 14.30 dalla stazione ferroviaria di Coccaglio «per ribadire - dice il comitato promotore, formato da decine di sigle differenti - che al bianco Natale noi preferiamo gli United Colours of Christmas, ossia i colori unitari dell'antirazzismo». Il clima contro i migranti, in Franciacorta, rimane comunque pesante anche a causa della strumentalizzazione di alcuni gravi fatti di cronaca. La notte fra venerdì e sabato, nel confinante paese di Rovato - 17mila abitanti e dati record in tutto il Bresciano per depositi bancari pro capite - una 28enne e un 19enne del paese sono stati protagonisti loro malgrado di una notte da incubo: mentre si trovavano appartati, attorno alle due di notte, sono stati aggrediti da un uomo che ha prima accoltellato gravemente il giovane e poi ha investito, violentato e sequestrato per almeno 5 ore la ragazza. Nel pomeriggio di sabato i carabinieri di Rovato e Chiari hanno arrestato un 24enne cittadino di origine marocchina, residente regolarmente nel vicino comune di Corte Franca. La violenza, brutale e sessista, ha scatenato a Rovato una sorta di caccia alle streghe: alcune decine di persone, amici della coppia, hanno cercato a viva forza di sottrarre ai carabinieri il presunto aggressore. Il giorno seguente, domenica, la tensione nella capitale della Franciacorta era altissima: difficile trovare per strada un migrante, che qui rappresentano oltre il 15% della popolazione. Oggi, martedì, alle ore 20 un corteo partirà dal piazzale della piscina comunale di Rovato, dove si è consumata la prima parte dell'aggressione. La manifestazione non è indetta da una sigla specifica ma nasce attraverso un tam tam sul web, ed in particolare su Facebook, dove già fioccano i gruppi razzisti relativi alla violenza sessista di Rovato.
Fini parla di immigrati e Costituzione, attacchi dalla Lega ma anche dal Pdl. L'ex leader di An soffia sulla fiamma, la maggioranza la riaccende. Rassegna stampa - Liberazione, Frida Nacinovich, 24 novembre 2009.
Bene, bravo, bis. Gianfranco Fini parla di immigrati e Costituzione. I primi devono essere accolti come cittadini di domani, la seconda va difesa. Insiste Fini, non si cura delle risposte al vetriolo dei leghisti, di Umberto Bossi, Roberto Maroni e Roberto Calderoli. Da giorni il presidente della Camera batte sullo stesso tasto. Esprime concetti elementari, che nelle democrazie occidentali dovrebbero essere considerati semplici dati di fatto. Dovrebbero. Invece nell'Italia del 2009 alle parole di Fini fanno da contraltare le immediate prese di distanza non solo della Lega ma anche di un pezzo del suo partito, il Popolo delle libertà. Normalità vuole che la terza carica dello Stato difenda la Costituzione della Repubblica. Quella su cui ogni ministro e ogni parlamentare giura all'atto dell'insediamento della carica. Normalità vuole che l'integrazione fra indigeni e migranti sia un obiettivo delle politiche governative. Normalità appunto. Ma oggi in Italia non funziona così. Il presidente della Camera si esprime come gli suggerisce il ruolo istituzionale, affronta il tema dell'immigrazione con un mix di buon senso e carità cristiana. Tanto basta per far traballare i sempre più precari equilibri su cui si regge il governo Berlusconi. L'opposizione applaude, i media si schierano: quelli orientati sul centrosinistra evidenziano lo spessore politico e culturale del presidente della Camera, la sua indubbia statura istituzionale, quelli di centrodestra accusano Fini di remare contro il governo, di essere un volta gabbana, di fare il gioco della sinistra, attaccano il "compagno Fini". Nei palazzi della politica l'argomento del giorno è lui, Gianfranco Fini. Da giorni, settimane, mesi. Francesco Rutelli, fresco ex del Pd, coglie la palla al balzo per sentenziare: «Fini non può stare con la Lega». Andrea Ronchi, ministro per le politiche europee, risponde a stretto giro di posta: «L'amico Rutelli dimentica la grandissima lealtà di Gianfranco Fini, una lealtà che è nel suo dna: il dibattito serve ad allargare e a rafforzare il Popolo delle libertà». Acqua sul fuco insomma. Di un incendio che però sta diventando ogni giorno più grande. A riprova, un altro ministro della Repubblica, Roberto Calderoli, è letteralmente furibondo: «L'atteggiamento di Fini è incomprensibile». Il numero due del Carroccio non si spiega come il coautore della legge Bossi-Fini si possa esprimere in questi termini. Integrazione? La Lega non ne vuol neppure sentir parlare. «L'Italia non è il paese del bengodi», dice chiaro e tondo Calderoli. Sarà la campagna elettorale per le regionali? Sicuramente c'entra. Ma non esaurisce la questione. Perché, in ultima analisi, Fini (e i suoi fedelissimi nel Pdl) e la Lega in questo momento sono politicamente su fronti opposti su un tema importante, delicato, come quello dell'immigrazione. Silvio Berlusconi non se ne cura, ha altro (la giustizia) a cui pensare. Il Cavaliere minimizza («la maggioranza è solida») e derubrica il tutto a normale dialettica interna. «Le notizie sugli scontri del governo che arrivano da Roma? Lasciamole a Roma». Nella maggioranza berlusconiana è in corso anche una "franca discussione" fra il ministro Brunetta e il ministro Tremonti sui finanziamenti che il Tesoro lesinerebbe ai vari dicasteri. Insomma voltano gli stracci. Nel governo si litiga, Fini e Giorgio Napolitano, cioè la terza e la prima carica dello Stato, intervengono nel dibattito politico per dire fondamentalmente cose di buon senso. Un esempio? Il presidente della Camera nel suo intervento, all'Università di Trieste spiega: «E' doveroso, prima ancora che necessario, richiedere a coloro che vivono tra noi, e non sono ancora cittadini italiani, l'adempimento di tutti i doveri che le leggi e la Costituzione prescrivono». E ancora: «Si tratta di chiedere loro di coltivare quegli obblighi di rispetto e di solidarietà cui essi stessi hanno pieno diritto in quanto persona, al di là di essere o meno cittadini. Solo così si può dare piena attuazione a politiche basate sul "pieno sviluppo della persona umana", secondo quanto sancisce l'articolo 3 della nostra Costituzione». Da parte sua il capo dello Stato lancia l'ennesimo appello alla coesione nazionale: «Si realizzi - spiega Napolitano in visita ad un'industria vicino Roma - il massimo possibile di unità delle forze politiche e istituzionali. Sugli investimenti pubblici e privati per la ricerca e lo sviluppo ci giochiamo il nostro futuro. A parole nessuno lo nega. Poi tra parole e fatti spesso ci sono differenze notevoli». Renato Schifani, seconda carica dello Stato, l'unica volta che è intervenuto ha provocato un patatrac. Lo ha fatto per dire in sostanza che se Fini avesse continuato a turbare la serenità di palazzo Chigi non restava altra strada che il voto anticipato. Salvo fare marcia indietro ventiquttr'ore dopo. Cartoline dal paese anormale.
«Bene Fini. La cittadinanza questione fondamentale». Rassegna stampa - Liberazione, Castalda Musacchio, 24 novembre 2009.
«Certo, il Presidente della Camera ha utilizzato un'espressione "colorita", ma, per quanto "colorita", anche i recenti fatti come le contestazioni negli stadi lasciano intendere che sia giusta». Alessandro Campi, professore di Storia delle dottrine politiche nell'Università di Perugia, nonché "voce" della Fondazione Farefuturo, entra nel vivo delle polemiche scatenate da quell'epiteto "stronzi" indirizzato dal Presidente della Camera ai razzisti. Polemiche che, in verità, celano ben altro. «Che Fini possa in qualche modo essere autore di un complotto ai danni di Berlusconi mi sembra incongruo. Che, al contrario, esprima una sua posizione culturale che non è alternativa al Pdl ma propositiva è un dato di fatto. Ed ora? E' al vaglio delle Camere anche la questione della cittadinanza proposta dalla terza carica dello Stato». Professore, partiamo dagli ultimi fatti di cronaca. Qualche giorno fa Fini ha dato degli "stronzi" ai razzisti. Non è un linguaggio "anomalo" per il Presidente della Camera? In linea astratta ha usato un espressione "colorita". Il vero problema è che alla luce di quel che accade continuamente mi sembra che quell'espressione sia giusta. Ha scatenato solo l'ultima delle polemiche di cui Fini è stato oggetto negli ultimi tempi. Non le sembra una novità che sia continuamente nel mirino del "Giornale" o di "Libero"? Non è certo una novità, dato che non si tratta di uno o due articoli di stampa. E' una campagna mediatica costante che dimostra solo la virulenza e la confusione politica di questi ultimi tempi. Che Fini possa essere capofila di un complotto per far cadere Berlusconi mi sembra a dir poco incongruo. Il Presidente della Camera esprime solo una linea culturale che non è alternativa al Pdl ma propositiva. Invece di accettare la discussione, alcuni, evidentemente, preferiscono partire al contrattacco. Negli ultimi tempi, comunque, c'è stato un cambio di registro significativo se persino Sacconi ha fatto sua la questione della cittadinanza accogliendo i rilievi di Fini. Resto comunque convinto che questa campagna denigratoria finirà presto. Di malumori all'interno del Pdl ce ne sono tanti. Si parla, ormai, di un "tutti contro tutti". Non è d'accordo? Ritengo che i contrasti all'interno del Pdl siano anche molto enfatizzati dal fatto che non ci sia alcuna dialettica tra opposizione e maggioranza, nel senso che il Pd non mi sembra ancora uscito dal lungo tunnel nel quale si è ficcato da più di un anno per questioni interne. Di conseguenza mi sembra evidente che, se nel dibattito pubblico, esistono solo le posizioni del Pdl che fa da maggioranza e da opposizione tutto questo naturalmente enfatizza certi contrasti che, pure, esistono. Ma non si tratta di una divisione che può preludere ad una crisi. Esclude quindi il ricorso ad elezioni anticipate? Secondo me è stata solo una minaccia ventilata dai falchi del berlusconismo. Un modo per mettere in difficoltà gli oppositori interni alla maggioranza. Non c'è nessuna ragione seria dal punto di vista politico per andare alle urne. E poi ci sono le Riforme da fare. Riforme su cui si litiga continuamente all'interno del Pdl. Si pensi alla legge sull'immigrazione per esempio, la Bossi-Fini...o ancora la riforma della Giustizia... Sulla questione immigrazione ora si sta discutendo sulla questione della cittadinanza, proposta avanzata da Fini. Si tratta di iniziative parlamentari che hanno anche metodologicamente un significato diverso. Dopo mesi che ci si è lamentati che il Parlamento è stato esautorato del suo ruolo, finalmente se n'è riappropriato. Oggi comincia l'iter della riforma sulla Giustizia. C'è sicuramente bisogno di una riforma; eppure partire dal processo breve desta più di una perplessità. Lei cosa ne pensa? Sul processo breve c'è stato un accordo. E questa che si è intrapresa può essere la strada per fare innanzitutto una cosa: iniziare un processo di riforma della giustizia tante volte annunciato e mai avviato. Naturalmente questo discorso del "processo breve" ha sicuramente a che fare con le vicende giudiziarie del premier. Cerca di sanare il suo contenzioso. il problema è che si tratta di una strada molto delicata, bisogna evitare di forzarla o di stravolgerla. Per esempio evitando dei blitz che possano modificare il senso di questa legge e che, magari, dal processo breve si arrivi per esempio alla prescrizione breve. Vorrei fare un'ultima riflessione. Prego... Il tema delle riforme istituzionali dovrebbe essere il cuore di questa legislatrua ma è stato continuamente tralasciato. Bisognerebbe trovare il modo per riprendere il filo del discorso. Anche sulla legge elettorale, auspico che si rimetta mano alla faccenda dei parlamentari nominati dai vertici dei partiti. Un parlamento così poco considerato dagli elettori non c'è mai stato nella Storia Repubblicana. Occorrerebbe un atto di responsabilità politica perché bisogna assolutamente tornare a forme di rappresentanza che siano espressione diretta degli interessi sociali. Un parlamento così composto impedisce di fare moltissime cose. Si era parlato di ripristinare l'immunità che non è una opzione così peregrina ma che diventa impraticabile se il parlamento viene nominato dall'alto. Significherebbe che, nel prossimo, verrebbero automaticamente mandati a fare i deputati tutti coloro che hanno problemi con la giustizia.
Odio per gli immigrati chiamiamolo razzismo. Ormai è cultura di popolo. Rassegna stampa - Liberazione, Tonino Bucci, 24 novembre 2009.
Il sindaco leghista di Coccaglio, provincia bresciana, manda i vigili nelle case degli stranieri residenti per controllare se sono in regola col permesso di soggiorno. A San Martino dall'Argine, venticinque chilometri da Mantova, l'amministrazione comunale Lega-Pdl ha firmato e diffuso un manifesto in cui invita la popolazione a denunciare eventuali «immigrati clandestini» presenti sul territorio. E, se non bastasse, a Milano la Regione Lombardia ha promosso il progetto di vigilanza di quartiere sostenuto dal Pdl lombardo (qualcuno dice in concorrenza con le ronde leghiste) perché siano gli stessi cittadini residenti a segnalare «auto e persone sospette». Casi di cronaca, ma non solo. L'equazione immigrato uguale clandestino uguale criminale è l'asse della politica della destra nelle amministrazioni locali. Si potrebbe minimizzare la questione dicendo che Lega e Pdl fanno demagogia e alzano il tiro della propaganda per uscire dal logoramento dei rapporti interni alla maggioranza di governo. Per guadagnare qualche consenso in più. L'impressione, invece, è che ci sia dell'altro. Che il razzismo non riguardi più soltanto la propaganda di qualche forza politica (minoritaria o no, poco importa) e che sia ormai entrato nella (sotto)cultura di massa di questo paese per diventarne una componente costitutiva. Lo dimostra il fatto che i sindaci leghisti non hanno alcun bisogno di mascherare le politiche razziste con l'alibi della sicurezza. Cacciare via gli immigrati, anzi, è cosa da rivendicare apertamente se ci si vuole mettere in linea con gli umori popolari. Ne parliamo con Annamaria Rivera, antropologa e docente di Etnologia all'università di Bari. Fioccano iniziative sul modello di Coccaglio. Segno che ad esse fa riscontro un'adesione popolare. O no? L'iniziativa della Regione Lombardia dimostra in modo perfetto ciò che vado sostenendo da tempo. La "comunità razzista" è anche un surrogato della comunità solidale. Laddove si sono inaridite le relazioni sociali basate sulla reciprocità e la solidarietà, laddove non c'è più buon vicinato perché è prevalsa la cultura dell'individualismo, del consumismo, dell'egoismo, del sospetto verso chiunque "altro", attecchisce l'ideologia leghista. Che offre non solo un surrogato di socialità ma anche identitario. Il "noi" si coagula così intorno al sentimento dell'avversione verso gli "estranei", verso gli occupanti abusivi del "nostro territorio". Parafrasando Michel de Certeau, si potrebbe dire che l'identità degli "altri", drammatizzata, serve a compensare la propria indifferenziazione. L'immigrato diventa l'antidoto dell'anonimo. I territori non sono luoghi del buon vicinato. Anzi, l'unico legame tra residenti è la paura per l'immigrato. Non è così? Un tempo i rapporti di vicinato erano uno dei pilastri della socialità e della costruzione di comunità solidali. E' davvero paradossale che essi vengano riproposti in funzione sicuritaria e xenofobica. Laddove si è spento o attenuato il conflitto di classe, il conflitto prende di mira il compagno di lavoro, il "meteco", più vulnerabile perché privo di diritti di cittadinanza. Anche questo può contribuire a spiegare perché tanti operai votino per la Lega Nord: è il principale imprenditore della xenofobia, che promette di difendere i loro interessi contro quelli degli ultimi arrivati. Il razzismo è oggi cultura di massa? Non è la prima volta nella storia che dei ceti popolari si fanno interpreti attivi delle campagne xenofobiche contro gli ultimi arrivati o i "nemici interni". Basta ricordare, fra i tanti, il pogrom del 1893 ad Aigues-Mortes che fece morti e feriti fra i lavoratori italiani delle saline. Gli esecutori materiali di quel pogrom furono degli operai francesi. E quanto al nazismo tedesco, sappiamo bene che le posizioni ultranazionaliste e antisemite avevano conquistato non solo gruppi conservatori ma anche una parte delle classi popolari, colpite dalla terribile crisi economica che agitava il paese. Forse il razzismo ha conquistato le classi popolari perché non ci sono altri modelli culturali, no? Io credo che la situazione italiana odierna sia caratterizzata dalla saldatura fra razzismo istituzionale e razzismo "ordinario" o popolare. In certe aree del Nord sembra essere anche una connessione "sentimentale". Non voglio sostenere che la xenofobia o il razzismo riguardino la maggioranza delle classi popolari. Ma certo una parte di esse, non rappresentata e privata della lingua del conflitto sociale, indirizza la propria frustrazione, rabbia, rancore verso lo straniero, che diventa il capro espiatorio. Il ruolo della Lega nella costruzione di un razzismo popolare è innegabile. Non dovremmo parlare di un partito con chiari accenti nazisti? È soprattutto il leghismo che ha offerto un codice alternativo a quello del conflitto sociale. Per questo non può essere derubricato a fenomeno goliardico. La Lega ha esercitato ed esercita una pedagogia di massa e per le masse. Ha reso dicibile ciò che era indicibile, ha detabuizzato l'interdetto della razza. E lo ha fatto pescando a man bassa nei repertori più classici del razzismo, fino a quello nazionalsocialista. Il leghista Salvini, che afferma che i topi sono più facili da debellare degli zingari perché sono più piccoli, ripete, credo consapevolmente, una delle metafore zoologiche più tipiche dell'antisemitismo nazista. È esatto parlare di razzismo quando non è in gioco un'esplicita dottrina della razza fondata su tratti somatici? O il termine ha un significato più largo? È molto riduttivo, per non dire altro, sostenere che si può parlare di razzismo solo in presenza di una dottrina delle gerarchie fra le razze, intese in senso biologico, oppure in presenza di una fissazione sulle differenze somatiche. Anche perché nel discorso neorazzista categorie come "etnia" o "cultura" possono essere sostituite a "razza" con lo stesso significato e funzione. E di fatto questo avviene… "Non c'è razzismo perché non c'è dichiarata superiorità di una razza su un'altra" è un luogo comune, che di tanto in tanto riemerge, anche per opera di studiosi o comunque persone colte. Lo ha riproposto di recente il presidente della Camera, la cui evoluzione nel senso dei principi liberali pure è apprezzabile. Il dibattito sul neorazzismo ha quasi quarant'anni. Nel lontano 1972, una grande studiosa francese, Colette Guillaumin, in un bel libro sull'ideologia razzista, mai tradotto in Italia, aveva sostenuto che quel che conta sono i processi di "razzizzazione", cioè di considerazione e trattamento degli "altri" come se appartenessero a razze inferiori. E avvertiva che qualunque gruppo può essere razzizzato, indipendentemente dalla sua differenza somatica o culturale. Basta pensare all'antisemitismo. Ma anche il razzismo contemporaneo funziona così: in Italia di volta in volta vengono razzizzati gli albanesi, gli "slavi", gli "islamici", i rumeni, i rom… Termini come "xenofobia" non sono altrettanto validi quanto "razzismo"? Il luogo comune del quale ho detto interdice la possibilità di comprendere il razzismo contemporaneo, perfino di coglierlo, alimentando una sorta di negazionismo. Certo, a creare confusione c'è anche l'etimologia di "razzismo". Dovremmo sforzarci di inventare un'altra parola, ma non riduttiva come "xenofobia" o "intolleranza". Per me la parola "razzismo" indica un sistema di idee, norme e pratiche sociali. Un sistema che attribuisce a dei gruppi umani differenze essenziali, generalizzate, definitive, naturali o quasi-naturali, allo scopo di legittimare pratiche di stigmatizzazione, discriminazione, sfruttamento, segregazione, esclusione o sterminio. È una definizione approssimativa, come tutte le definizioni. Ma almeno coglie uno dei dispositivi-cardine del razzismo: la naturalizzazione, cioè la riduzione a natura di ciò che è sociale, culturale, storico. Quella di Salvini non è solo una boutade o una metafora: penso che egli sia convinto dell'inferiorità naturale e della sterminabilità degli "zingari" come dei topi. C'è una sottovalutazione del fenomeno? Avere una buona teoria del razzismo può aiutare non solo a riconoscerlo, ma anche a dargli il giusto peso e a combatterlo. Io ritengo che la gravissima crisi democratica italiana si manifesti soprattutto attraverso la forma del razzismo, come ha scritto fra gli altri Giuseppe Prestipino. Non conviene sottovalutarlo. Sarebbe ugualmente nefasto sottovalutare come goliardia venata da xenofobia l'ideologia e la politica della Lega. Le nuove leggi razziali (il pacchetto-sicurezza) sono in una certa misura il risultato del ricatto e dell'oltranzismo leghisti. Perfino quello che chiamiamo "razzismo democratico" è stato influenzato dall'opera di avvelenamento quotidiano svolto dalla Lega.
Singolare sortita del ministro Rotondi sulla pausa pranzo. Chi si ferma è perduto. Ma fermarsi (a volte) fa bene. Rassegna stampa - Avvenire, Umberto Folena, 24 novembre 2009.
Chi si ferma è perduto. Osservate i maratoneti: al posto di ristoro rallentano appena, si gettano il bicchier d’acqua in faccia e qualcosa gli arriva perfino in bocca, ma non mollano, loro: bravi. I ciclisti riescono a infilarsi una banana nell’esofago in una sola plastica mossa, oplà, e con tutto quel potassio pedalano fino all’arrivo belli pimpanti. Guardate il ministro Rotondi: lui il pasto lo salta proprio: «Non mi è mai piaciuta questa ritualità che blocca tutta l’Italia» ha dichiarato ieri mattina, salvo poi correggere il tiro: «Non ho detto di voler abolire la pausa pranzo. Ma ciascuno dev’essere libero di farla, o uscire un’ora prima. Io l’ho abolita da vent’anni perché è l’ora più produttiva. Si capisce che i lavoratori devono prendersi le loro pause e mangiare. Ma ognuno a modo suo». Rotondi è ministro per l’attuazione del programma. Il programma del governo. Quindi se la prende con la buvette: «Costa troppo e fa ingrassare». Chi si ferma è perduto, ma chi non si ferma mai è perduto ancor di più. E niente è più sbagliato che applicare la stessa regola a casi diversi. Un muratore o un metalmeccanico, dopo quattro ore di lavoro ininterrotto, forse hanno bisogno di più di un quarto d’ora di pausa, e per loro saltare il pasto perché un ministro assicura che dall’una alle due si è più produttivi, beh, sa di beffa. A tutti, ieri, è venuta il mente la celebre scena di 'Tempi moderni' (1936), in cui su Chaplin, addetto alla catena di montaggio, viene sperimentata una innovativa Macchina da Nutrizione del tutto automatica, che consente al lavoratore di sfamarsi senza abbandonare la sua postazione. Un colletto bianco potrebbe optare per un’insalatina con carota, germi di soia e rucola, accompagnata da bresaola o ricottina scremata; provate a proporre lo stesso menù a chi lavora in fonderia. Chi si ferma è perduto, ma fermarsi fa bene alla stessa produzione. I dipendenti hanno bisogno di staccare, ogni tanto; e di conoscersi, guardarsi in faccia, dialogare. Per poter diventare squadra. Il 'pranzo' serve a non arrivare a sera con una voragine nello stomaco, ma soprattutto a stare insieme, per tornare al lavoro ricaricati. La pausa serve, o servirebbe, a dimenticare per qualche minuto il lavoro, la produzione, i problemi da risolvere, per rituffarvisi con maggiore freschezza. Rotondi forse ignora la ricerca condotta da un canale tv culinario in 97 uffici italiani nel primo semestre del 2009. Ormai, il 59 per cento degli impiegati ricorre a quella che a Milano si chiama schiscetta, nome curioso, un tempo limitato al pranzo al sacco del muratore, oggi esteso a tutte le forme di spuntino fai-da-te. La schiscetta sarebbe il nome di un gioco molto comune tra i bambini, noto anche come 'ce l’hai' o 'darsela'. Chi è toccato 'ce l’ha' e deve passarla a qualcun altro toccandolo a sua volta. Nei paesi anglosassoni si chiama packet lunch ma la schiscetta, al suo confronto, è roba da alta gastronomia. Insomma, chi se la porta da casa 'ce l’ha', gli altri vanno al baretto o al self service. Dall’indagine risulta che le donne spesso si limitano a un frutto o a uno snack; mentre gli uomini virano verso insalatone con tonno e mozzarella, frittatine alle erbette profumate, spaghetti al pomodoro… Pare esista uno scaldavivande collegabile alla presa usb del pc, forse è a forma di mouse… Rotondi approverà, purché ci si sbrighi. Se state leggendo questo articolo tra l’una e le due, sappiate che dovete scegliere: o il fondo o la fondina, nutrire il cervello o nutrire la pancia. Fate entrambe le cose nello stesso tempo? Bravi. Fermarsi, senza perdersi… È come se, giocando a 'darsela', l’aveste passata al ministro.
I beni confiscati segno del «patto» con chi resiste. Non si metta all’asta la lotta alla mafia. Rassegna stampa - Avvenire, Domenico Delle Foglie, 24 novembre 2009.
Sì, questa volta lo Stato corre davvero il rischio di giocarsi la faccia. La vicenda è nota: un emendamento governativo alla Finanziaria, approvato dal Senato, rende possibile mettere all’asta gli immobili confiscati alla mafia. Si stabilisce, infatti, un termine di 90 giorni, centottanta nei casi più complessi, perché l’Agenzia del demanio assegni agli enti locali gli immobili requisiti. Se questo termine scade, ecco avviata la procedura dell’asta. Poiché i tempi di destinazione degli immobili sono già oggi molto più lunghi di tre mesi e le procedure farraginose, è purtroppo facile immaginare che ben presto un gran numero di questi beni sottratti ai patrimoni mafiosi finirà all’incanto. Con il serio pericolo che a tornare in possesso di quei beni possano essere proprio i mafiosi, attraverso i prestanome (che al Sud, e non solo, non mancano mai). Anche perché, ci si chiede, chi mai avrà il coraggio di andare a contendere un bene mafioso messo all’asta, sapendo che c’è un qualche interesse del capobastone locale? E poi, chi in Italia ha tanto denaro liquido da investire in zone 'problematiche'? A tutto questo va aggiunto che si fa fatica ad argomentare una qualche opposizione alla scelta dei senatori che dovrà essere confermata alla Camera, sapendo che i fondi ricavati dalle aste andrebbero destinati proprio alle forze di polizia e alla macchina della Giustizia che ne hanno un gran bisogno. Ecco perché, se diciamo la nostra, non è per criticare aprioristicamente una scelta dettata anche da pressanti esigenze di bilancio che dovranno pur essere soddisfatte, quanto per chiamare alla riflessione più attenta e soprattutto per ricordare a tutti noi, cittadini, come si porrebbe questa novità rispetto alla Legge Rognoni-La Torre che per prima ha aggredito i patrimoni mafiosi. Una legge vecchia di 27 anni, ma 'rivisitata' nel 1996 con una grande iniziativa di popolo, tale cioè da saldare il rapporto fra Stato e cittadini nella lotta alle mafie che infestano il Paese e che continuano a distendere i propri tentacoli. Ricordiamo, solo per scrupolo, che le organizzazioni malavitose sono cresciute e si sono arricchite a dismisura con le droghe, e che hanno crescenti problemi ad allocare le ingenti risorse finanziarie accumulate. E le aste, per la 'mafia finanziarizzata', sarebbero oggettivamente un’ottima occasione. Con la scelta della vendita all’incanto dei beni mafiosi si rischia, insomma, di rompere un patto virtuoso sottoscritto fra lo Stato e i cittadini. Un patto che, in nome del comune impegno contro le mafie, prevedeva che i beni confiscati tornassero al servizio del territorio, con la loro trasformazione in scuole, comunità di recupero, case per anziani, strutture di formazione. Ma anche sedi istituzionali o di pubblica sicurezza. Giusto quanto serve per dare fiducia a quelle generazioni di giovani (e meno giovani) meridionali che hanno il fiato delle mafie sul collo, ma non si arrendono e, soprattutto, non si lasciano 'arruolare' nelle schiere della manovalanza criminale. Quel patto, ora a rischio d’essere incrinato, mette in fuorigioco le organizzazioni malavitose e le costringe a masticare amaro. Che smacco per il capomafia vedere, nella 'sua' villa, installarsi una scuola professionale. Roba forte, che forse avrebbe strappato un sorriso contento anche a uomini come Leonardo Sciascia, se solo avesse potuto vederlo. Tutto questo non può essere compromesso, per il bene della società civile meridionale e per la sua tenuta nella lotta alle cosche. Talvolta un piccolo gesto, anche ben motivato socialmente, può avere effetti disastrosi e vanificare, in un attimo, la costruzione di un sentire condiviso. Non consentiamo, lo chiediamo sommessamente a chi ha le chiavi di questa operazione, che il sogno si trasformi in incubo. Pensateci: guai a dare occasioni di rivalsa ai mafiosi.
Far saltare i «format» dello scontro perché ogni piazza torni a essere luogo del confronto. Rassegna stampa - Avvenire,Gabriele Gabrielli, 24 novembre 2009.
La 'piazza' ha avuto sempre un grande fascino e svolto un essenziale ruolo politico e sociale. Ma in questo periodo sembra averne acquisito uno ancora più ridondante. Sono numerosi quelli che la prendono in considerazione per farne luogo e strumento di mobilitazione dei tanti 'popoli' che la frequentano 'a chiamata'. E sono in molti anche quelli che vi ricorrono davvero. Non si è ancora spento del tutto l’eco della manifestazione organizzata dalla Cgil, qualche giorno fa, per urlare a gran voce che la crisi non è finita e che ora investirà soprattutto i lavoratori, che già se ne profila un’altra. Anche se di diversa natura, per provenienza e per scopi. Si tratta del 'No-B-Day' lanciato in rete per il 5 dicembre da alcuni blogger per sollecitare le dimissioni del premier Silvio Berlusconi e sostenuto dall’Italia dei valori di Antonio Di Pietro. È una iniziativa che, al di là delle sue finalità, sta provocando un acceso dibattito in casa del Partito democratico. Ci si domanda, infatti, se sia opportuno o no aderire a questa iniziativa «promossa da altri». Pierluigi Bersani non la ritiene una mossa corretta e in cuor suo, si dice, pensa a una diversa mobilitazione, promossa questa volta dal Pd. Dall’altra parte, ossia nel PdL, qualcuno sta pensando di organizzare una risposta di piazza di segno opposto a quella voluta contro Berlusconi, per misurare le forze in campo e dimostrare la superiorità. Non è da escludere, poi, se le risposte di politica economica e fiscale non risultassero soddisfacenti, che i sindacati possano lavorare concretamente per organizzare uno sciopero generale. Iniziativa ritenuta da molti una buona occasione per riprendere la strategia sindacale unitaria, dopo l’interruzione avvenuta a seguito dell’accordo separato sul modello di contrattazione. E poi c’è anche chi pensa, come la Uil di Angeletti, di mobilitare i dipendenti pubblici per il rinnovo del contratto. In tanta diversità di soggetti, approcci e obiettivi del ricorso alla 'piazza', è possibile trovare però alcuni tratti comuni. Cresce la voglia di urlare e alzare la voce per non far sentire quella degli altri. Mentre c’è poca (o nessuna) voglia di provare a mettere insieme più voci. Prevale così la prospettiva isolata e l’obiettivo di 'segnare' il terreno. La piazza diventa più un luogo per marcare le identità alzando steccati, che per mettere insieme le forze valorizzando ciò che unisce. È luogo di 'scontro', più che di 'incontro'. Si replicano in questo modo comportamenti che purtroppo caratterizzano l’agire politico e sociale in diversi ambienti e anche molti programmi tv costruiti su 'format' il cui successo mediatico poggia proprio sulla capacità di esaltare le urla e la voce grossa, piuttosto che l’offerta di dibattiti utili alla formazione di opinioni consapevoli. Questa 'voglia di piazza' e le modalità con cui si manifesta, nascono, forse, proprio dalla mancanza di luoghi reali e diffusi dove potersi confrontare in modo aperto, dialogando civilmente e ascoltando le posizioni degli altri. Per far questo occorrerebbe un grande senso di responsabilità – sorretto dal senso di urgenza di un cambiamento – che dovrebbe prendere forma a cominciare dalla costruzione di un’agenda politica e parlamentare vicina ai bisogni della gente, prossima alle preoccupazioni dei tanti cittadini semplici, coerente con le loro aspettative. Si tratta di una vera e propria sfida di 'educazione civica' per recuperare un capitale di valori e di comportamenti, come quelli che premiano la vicinanza e il confronto, che altri prima di noi ci hanno lasciato. Occorre rifondare le premesse per un dialogo civile a tutti i livelli, come è stato auspicato a più riprese e con autorevolezza dalle voci della Chiesa e sulle stesse colonne di questo giornale. Sarebbe un investimento redditizio e duraturo; anche a vantaggio delle generazioni future. Richiede però una 'ristrutturazione' profonda e significativa. Esige per esempio che molti 'format' saltino, e non soltanto quelli televisivi. Si discute molto oggi se sia bene o no educare i giovani ai valori della Costituzione. Cominciamo da qui e non solo tra i giovani. Lavoriamo perché tutte le piazze, non solo quelle che abbelliscono le nostre città, ritornino a essere tali e, quindi, luogo di incontro e confronto civico.
Una strada cittadina bloccata per un’intera mattina.
È stata bloccata da una grossa gru, per tutta la mattina, via Monte Grappa all’altezza del civico N°5 per consentire lo smontaggio della gru nel cantiere edile adiacente, adibita alla costruzione del nuovo insediamento, creando non poco disagio alla viabilità. Nel primo pomeriggio, tolto il blocco, la viabilità è ripresa normalmente.
Nord - Bossi punta sui pm per cambiare nomi. L'inchiesta sulla sanità che Formigoni teme. Rassegna stampa - il manifesto, Ernesto Milanesi, 22 novembre 2009.
«Ci sono i barbari alle porte». La frase è attribuita a Giancarlo Galan che ormai non perde occasione di dimostrarsi il paladino del Veneto anti-leghista. A costo di dichiararsi per la prima volta in perfetta sintonia con il vescovo di Padova Antonio Mattiazzo sul crocifisso. Tutto pur di «scomunicare» il sindaco-deputato leghista Massimo Bitonci che a Cittadella lo brandisce contro la minaccia islamica. «Decide solo Bossi, come sempre. E stupirà tutti, una volta di più». Sibillino l'amministratore locale «padano» sa bene che la Lombardia vale più di Piemonte e Veneto messi insieme. E applaude Franco Manzato, vice presidente della regione, che scandisce: «Dopo due mandati, a casa. Vale per Galan come per Formigoni». Nel Pdl veneto, gli ultras delle sette province hanno già paradossalmente iniziato a «tifare» per la magistratura che in Lombardia scandaglia il «lato B» di Comunione e liberazione. Se uno schizzo arriva fino a Roberto Formigoni (nonostante la mobilitazione di Maurizio Lupi e Mario Mauro), scatta l'effetto Cosentino e si libera la poltrona d'oro a beneficio della Lega. Eppure, nella politica del post-Tangentopoli il «tandem dei berluscones» ha monopolizzato il lombardo-veneto. Con il Carroccio marginalizzato in provincia e l'asse Forza Italia-An (con o senza Udc) alla guida delle regioni economicamente impareggiabili. È la parabola di 15 anni interpretata personalmente da Formigoni e Galan. Il massimo leader politico ciellino e il solo dei padri fondatori del partito del Cav ancora in sella. Uno da mesi nel mirino della Lega di Pontida, l'altro che potrebbe rivelarsi il vero obiettivo di Umberto Bossi. Anche la mezza crisi di governo passa attraverso il verdetto sul cattolicissimo Roberto e sul liberalissimo Giancarlo. Mai ministri, al massimo sottosegretario o senatore incompatibile. Solo governatori, con Berlusconi testimone di nozze dell'amico dei bei tempi di Publitalia. Partita a scacchi che muove pezzi da novanta sul fronte di banche, imprese e finanza. L'Expo di Milano vale sulla carta 20 miliardi di euro: affare che sul tavolo istituzionale non registra la presenza della Lega. La candidatura di Venezia alle Olimpiadi 2020 (ma con Padova e Treviso) è contabilizzata in 15 miliardi solo in impianti sportivi. E coinvolge, al contrario, gli amministratori locali del Partito democratico e del Carroccio. Dopo le Regionali, ci saranno appalti e operazioni immobiliari tutti «da bere» come nella stagione di Craxi, ma anche la progettazione di Marco Polo City a Tessera insieme alla vera infrastrutturazione del Veneto centrale. Nessuno ama accendere i riflettori, meno che mai sulla sanità. La Lombardia ha applicato a tutto campo la «sussidiarietà» che si traduce spesso nell'eclissi del pubblico dentro la galassia ben radicata nella Compagnia delle Opere. Grazie a Formigoni, un giro d'affari che vale circa 5 milioni di euro. E ben si sposa con le Scarl (coop a responsabilità limitata) che operano nei servizi sociali, senza dimenticare la nicchia della formazione con il Consorzio scuole e lavoro in grado di fatturare oltre 60 milioni. Il «modello veneto» della sanità resiste sull'asse universitario Padova-Verona con le punte dell'eccellenza pubblica. Lo stesso fratello di Giancarlo Galan guida un'equipe oculistica all'ospedale Sant'Antonio da sempre all'avanguardia e capace di attirare pazienti da tutt'Italia. Ma il vero business è rappresentato dalla costruzione di nuovi nosocomi: fresco di inaugurazione quello di Mestre che si affaccia su via don Giussani; al centro di polemiche e non solo il progetto di Schio (Vicenza); di fatto, già assegnato al pool di imprese che fa capo a Gemmo l'ospedale della Bassa padovana; all'orizzonte il project financing da 1,5 miliardi per traslocare la «fabbrica della salute» di Padova nell'area vicino allo stadio delle tangenti. Nell'era Formigoni, si sono imposti all'attenzione due top manager ciellini dal passato di sinistra. Massimo Ferlini, bocconiano ex migliorista del Pci, presidente della società di ingegneria Sinesis (vocazione alle grandi opere e al trattamento dei rifiuti) e di CdO Milano. Antonio Intiglietta ha invece invertito due lettere: da Lotta continua a Cl con tappa intermedia a palazzo Marino come vice sindaco. Presidente di CdO Lombardia, si è specializzato nel social housing che tradotto significa edilizia «sussidiaria», come in zona Bicocca. Con il doge Galan, i poteri forti dell'economia veneta hanno spesso fatto scintille (gli industriali di Vicenza in prima fila) e non sono mancate faide spietate nelle Autostrade (capro espiatorio il post-doroteo Vittorio Casarin). Tuttavia sul Passante che ha rivoluzionato la viabilità e sul rigassificatore che ha rianimato il Polesine, l'uomo del «Nord Est sono io» ha dimostrato di saper vincere scommesse da vero leader. Ed è prontissimo a resistere anche alle pretese della Lega. Magari strizzando l'occhio a Flavio Zanonato. In fin dei conti, la Lega delle cooperative controlla il 71% della sanificazione in appalto dalle Usl.
1969-2009. La radiazione del manifesto, 40 anni fa. Rassegna stampa - il manifesto, Valentino Parlato, 22 novembre 2009.
Cari compagni e cari lettori di questa domenica, martedì 24 novembre, andando all'edicola, dovete chiedere (è gratis) un nostro supplemento molto importante che ricorda la «radiazione» dal Pci del gruppo del manifesto, avvenuta 40 anni fa, esattamente il 24 novembre del 1969. Da allora molte cose sono cambiate (in peggio) e molte sfide ci pone l'avvenire. Vorrei che questo supplemento fosse letto non solo dai vecchi, partecipi e osservatori di quella storica «radiazione», ma anche dai più giovani per i quali il ricordo del passato può essere uno stimolo ad impegnarsi per un avvenire diverso da quello che oggi prospetta la politica italiana e non solo. «Le radici di un'eresia comunista» è il titolo dell'articolo di apertura firmato da Rossana Rossanda e Luciana Castellina. Quell'«eresia» fu il tentativo di liberare i partiti comunisti dei vincoli ecclesiastici del cosiddetto «comunismo reale». Il tentativo di non buttare a mare la ricchezza feconda della rivoluzione d'ottobre, della guerra contro il fascismo e la resistenza, ma di ridargli nuova vitalità prima che «la spinta propulsiva dell'Urss» (credo di citare Berlinguer) si esaurisse. Il gruppo del manifesto così diede vita a una rivista mensile, che ebbe grande ascolto, poi al quotidiano - che il prossimo 28 aprile 2010 compirà 39 anni - e a un partito, il Pdup che, benché minoritario, ebbe un ruolo positivo nella politica italiana. Sono passati 40 anni, molte cose sono cambiate e alcuni dei protagonisti di quell'impresa non sono più tra noi, ma resta l'impegno a fare: ricordare per fare. Martedì 24 novembre fatevi dare il nostro supplemento, leggetelo, pensateci. Questo manifesto che, con molta presunzione, si autodefinisce «quotidiano comunista» pensa che dalla memoria possano venire stimoli a fare. Il capitalismo invecchia, non è eterno, ma la sua crisi può portare al peggio se non si costruisce una cultura non solo antagonista ma feconda, capace di rendere gli ideali obiettivi realistici. Non dimentichiamo - lo scrivono sul manifesto eccellenti economisti - forse siamo alla crisi storica più grande del capitalismo e della favola del «libero mercato».
Alcuni articoli "storici" della rivista di allora saranno inseriti nella nostra Biblioteca Digitale.
Cgil, Cisl e Uil chiedono un incontro al prefetto, sotto accusa il conguaglio di inizio anno che provocherà decurtazioni. Tagli sulla pensione per 70mila lodigiani. A gennaio da 10 a 25 euro in meno sul libretto, i sindacati protestano. Rassegna stampa - Il Cittadino, Greta Boni, 24 novembre 2009.
A gennaio i pensionati potrebbero trovarsi il libretto più “leggero”. Sul conto potrebbero mancare 10, 15 o 25 euro a seconda dei casi, una “sorpresa” che sicuramente non sarà accolta di buon grado dai diretti interessati, soprattutto in tempi di crisi. In questo caso, poi, i “diretti interessati” sono circa 70mila in tutta la provincia: un esercito. Spi Cgil, Fnp Cisl e Uil pensionati hanno deciso di denunciare la situazione, proprio per questo motivo hanno chiesto per la giornata di giovedì un incontro al prefetto di Lodi, Peg Strano Materia, un’occasione per manifestare al Governo la rabbia e la frustrazione dell’intera categoria. I guai dei pensionati sarebbero causati dai meccanismi di calcolo, che per il mese di gennaio faranno registrare un conguaglio negativo su tutte le pensioni italiane. «Tutti si troveranno una decurtazione - afferma Loris Manfredi, segretario provinciale dello Spi Cgil -, proprio mentre è stato approvato lo “scudo fiscale” che premia evasori e bancarottieri. I pensionati non sapranno nemmeno il perché e si precipiteranno nelle nostre sedi a chiedere spiegazioni».
Un lodigiano con una pensione lorda di mille euro, senza famiglia a carico, potrebbe trovarsi 14 euro in meno sul conto. «I conti non sono ancora stati del tutto completati - aggiunge Ugo Menin, segretario provinciale della Fnp Cisl -, bisognerà vedere se quel punto percentuale che si deve recuperare in base all’inflazione sarà recuperato in una o due mensilità, oppure se si deciderà di soprassedere o di dilazionare la somma. È chiaro che altrimenti ci saranno perdite rilevanti per i pensionati». Nonostante la preoccupazione per le pensioni, Cgil, Cisl e Uil possono vantare in questi giorni un’importante vittoria: a livello regionale è stato firmato un accordo che garantirà in Lombardia lo stanziamento di 50 milioni di euro a favore delle persone non autosufficienti. I soldi serviranno per incrementare i servizi domiciliari sul territorio, al momento non è stata ancora stabilita la cifra esatta destinata al Lodigiano. Per far conoscere ai cittadini i contenuti della trattativa, i sindacati allestiranno un gazebo nel centro storico per la mattinata di giovedì e distribuiranno i volantini. «Si tratta di risorse in più oltre a quelle dei fondi nazionali - specifica Manfredi -, inoltre è prevista l’istituzione di un tavolo di confronto permanente che avrà lo scopo di verificare l’utilizzo dei fondi e l’attività dei distretti. È doveroso sottolineare che i non autosufficienti non sono solo gli anziani, ma anche le persone in coma o i malati di Sla». Questo significa che le malattie più gravi saranno prese in carico totalmente dal sistema sanitario regionale. «Il risultato raggiunto è significativo - conclude Menin -, anche perchè in ogni distretto nascerà un centro in grado di assicurare le risposte più adeguate ai bisogni dei non autosufficienti».
Ossago, lettera ai cittadini: «Entrate nelle commissioni». Rassegna stampa - Il Cittadino, Antonio Leccardi, 24 novembre 2009.
Ossago - La proposta è simpaticamente curiosa, forse già attuata in altri paesi, di certo originale per il Lodigiano. Stiamo parlando della composizione delle famose commissioni comunali che, nella logica delle municipalità, dovrebbero essere di conforto, a livello locale, del lavoro delle istituzioni ufficiali, vale a dire il consiglio comunale e la giunta. Ebbene, il sindaco di Ossago Angelo Taravella, dovendo procedere dopo la sua conferma alla guida del comune alla promulgazione delle commissioni (di solito composte da consiglieri comunali in percentuale maggiore come espressione della maggioranza ed in quella minore come delegati delle opposizioni), ha dato uno schiaffo a questa tradizionale abitudine spedendo a tutte le famiglie della borgata una bella lettera-invito. «Cari concittadini, desidero rivolgervi un caloroso e cordiale invito: se avete idee o proposte da realizzare, se avete un poco di tempo da dedicare alla vostra comunità, se più semplicemente vi interessa la vita pubblica e desiderate essere coinvolti, non dovete fare altro che chiedere di partecipare ad una commissione: recatevi o telefonate in municipio, lasciate il vostro nome e recapito telefonico, comunicando la vostra disponibilità a partecipare ad una commissione, sarete messi in contatto con me personalmente, oppure con uno degli assessori, oppure ancora verrete rapidamente contattati ed in seguito potremo incontrarci e decidere in quale commissione vi interessa lavorare».
Per la cronaca, le commissioni si occupano dei più svariati argomenti: istruzione e cultura, biblioteca, sport, giovani, urbanistica, ambiente, lavori pubblici, servizi sociali e via elencando.
Secugnago. A regime sarà composto da magazzini, centro direzionale, zona di servizi per gli autisti e terminal ferroviario. Tolto il velo al maxi polo della logistica. Sorgerà nella zona industriale e diventerà operativo a primavera. Rassegna stampa - Il Cittadino, Andrea Bagatta, 24 novembre 2009.
Secugnago - Nasce ufficialmente sabato prossimo, in occasione dell’assemblea di fine anno dei soci, il polo logistico di Secugnago di Federtrasporti. Sarà operativo nella primavera prossima con il trasferimento degli uffici da Lodi e i primi 20mila metri quadrati di magazzino adibiti allo stoccaggio e alla movimentazione delle merci. Il polo si trova nella zona industriale di Secugnago, a ridosso del confine con Brembio, e a regime sarà composto da magazzini modulari per 50mila metri quadrati, un centro direzionale da 1.800 metri quadrati, una zona di servizi per gli autisti in transito, 35mila metri quadrati di terminal ferroviario, di cui oltre 3mila di banchine per lo scarico delle merci. Il terminal e i magazzini saranno raccordati alla linea ferroviaria Milano-Bologna e il centro potrà ricevere convogli lunghi fino a 500 metri. Proprio l’integrazione del trasporto su rotaia e gomma è il valore aggiunto di questo centro di logistica e la parte ancora tutta da sviluppare del progetto. L’obiettivo è quello di costruire nel tempo sinergie importanti in un ottica di logistica integrata. Il complesso sarà gestito direttamente da Federtrasporti Spa, la società che da un anno a questa parte aggrega le aziende operative nell’ambito della logistica e dei trasporti. Il cuore di questa logistica avanzata che punta a creare valore aggiunto, e se possibile qualche posto di lavoro, saranno i magazzini, tutti modulari, che saranno posti in servizio a mano a mano del crescere dell’attività. Per ciascuno di essi l’altezza sottotrave raggiungerà i 13 metri e gli edifici saranno coibentati per lo stoccaggio di merci molto diverse le une dall’altra. Il taglio del nastro avverrà sabato mattina quando il progetto sarà illustrato a partire dalle 10.30 in municipio dal presidente di Federtrasporti Emilio Pietrelli e dal sindaco di Secugnago Mauro Salvalaglio. Al termine della presentazione è prevista una breve cerimonia nei pressi del magazzino già realizzato. «Per Secugnago si tratta di un’opportunità importante che potrebbe avere in futuro anche eventuali sviluppi nell’occupazione e in generale a vantaggio delle attività lavorative - commenta il primo cittadino Salvalaglio -. Si tratta di una parte rilevante di quelle risorse strutturali che dobbiamo dare al paese per continuare a poter offrire servizi di qualità ai cittadini». Quello di Secugnago è il secondo polo logistico in Italia per Federtrasporti e la piena operatività sarà raggiunto nel tempo a partire dall’anno prossimo: a gennaio saranno trasferiti gli uffici, la sede di Federtrasporti e il piccolo magazzino oggi ubicati a Lodi, a seguire entrerà in funzione con la primavera il primo magazzino di 20mila metri quadrati. Successivamente, secondo le richieste di mercato, saranno messi in servizio gli altri moduli disponibili.
I nostri sondaggi online non hanno un valore statistico, si tratta di rilevazioni non basate su un campione elaborato scientificamente. Hanno l'unico scopo di permettere ai nostri lettori di esprimere la propria opinione sui temi diversi. Le percentuali non tengono conto dei valori decimali. In alcuni casi, quindi, la somma può risultare superiore a 100.
Se avete votato Berlusconi lo rivotereste oggi, o se non lo avete votato lo votereste oggi?
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