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lunedì 14 settembre 2009

Italia Politica, n. 1 - 14 settembre 2009

Italia Politica
Numero 1, 14 settembre 2009

Una Carfagna sempre disponibile.
Il ministro per le Pari opportunità Mara Carfagna disponibile a una candidatura alla presidenza della Regione Campania. Ieri la Carfagna ha annunciato: «Non rientra tra le mie ambizioni. Ma in politica non si può solo prendere, bisogna anche dare. E quindi sono disponibile a candidarmi se il partito me lo chiederà».

Capezzone “la voce del padrone”.
«Alcuni esponenti politici tornano, oggi, a parlare di bipolarismo in crisi. È, da parte loro, un errore, oltre che una valutazione priva di sintonia con la stragrande maggioranza degli elettori. Un chiaro sistema bipolare è nel cuore degli italiani, che non hanno alcuna intenzione di rinunciarvi; semmai, sarebbe un clamoroso e grave ritorno all'indietro ritrovarsi con maggioranze parlamentari costruite dopo il voto, magari alle spalle di quanto gli elettori hanno deciso nelle urne». Lo ha affermato Daniele Capezzone, portavoce del Popolo della Libertà aggiungendo: «È per questo che le ragioni e gli obiettivi moderati e centristi devono trovare un loro luogo di espressione in uno dei due maggiori schieramenti: e ragioni politiche e numeriche chiarissime fanno del centrodestra guidato da Silvio Berlusconi lo spazio in cui tantissimi elettori moderati, cristiani e liberali, hanno già trovato casa, e con cui altre forze di centro avrebbero tutto l'interesse, anche strategico, ad allearsi».

Le “intimidazioni mafiose” di quel “pierino” di Feltri.
«Inserire in un articolo che si riferisce a vicende politiche e al presidente Gianfranco Fini una allusione generica ad “un fascicolo del 2000 su faccende a luci rosse” che riguarderebbero personaggi di Alleanza Nazionale, è un fatto gravissimo che lede la reputazione del Presidente della Camera dei Deputati. Valuteremo quali iniziative assumere in sede giudiziaria». È quanto ha dichiarato in una nota la deputata Pdl Giulia Bongiorno, in qualità di legale di Gianfranco Fini.
«Nel Pdl non solo volano gli stracci, ma ora siamo arrivati alle intimidazioni mafiose. La minaccia, o avvertimento, da parte del “Giornale”, di pubblicare dei dossier su scandali sessuali di personaggi di Alleanza Nazionale se Fini dovesse continuare ad attaccare Berlusconi è gravissima ed ha dell'incredibile. Dimostra anche che i giornali e le televisioni del capo del governo sono una clava al servizio del padrone e non dell'informazione. Questa vicenda conferma ancora una volta anche la necessità di una legge sul conflitto d'interessi. La politica delle minacce, degli scandali e dei dossier è squallida e non serve a risolvere i problemi reali del Paese, che è ancora attraversato da una profonda crisi economica». Lo ha affermato il capogruppo Idv alla Camera Massimo Donadi.
«Il direttore del Giornale, Feltri spieghi a cosa fa riferimento quando parla, nel suo editoriale dedicato anche oggi al presidente della Camera, di “un fascicolo del 2000 su faccende a luci rosse riguardanti personaggi di Alleanza nazionale”. Se ha elementi concreti, li tiri fuori: altrimenti si scusi, perché queste allusioni e mezze parole non solo non fanno parte della buona informazione, ma costituiscono una seria minaccia, anche di rilievo penale, a un'alta carica dello Stato». È quanto ha affermato, in una nota, il presidente dei senatori dell'Udc, Gianpiero D'Alia.
«Un tentativo di intimidazione che non fa paura a nessuno». Con queste parole Fabio Granata, deputato del Pdl vicino a Gianfranco Fini - interpellato da Marco Esposito durante Titoli in onda su RED tv - definisce l'editoriale odierno di Vittorio Feltri sul giornale.«È chiaro che ne abbiamo passate di ben altre per farci intimidire da un editoriale di Feltri - precisa Granata -; da questo punto di vista siamo assolutamente sereni. Per quanto mi riguarda e per quanto riguarda altri parlamentari vicini al presidente Fini non abbiamo ritenuto nemmeno di scomodare un'agenzia per poter rispondere ad una provocazione di bassissimo profilo».
«Vedo che non ci si ferma nemmeno davanti alle più alte cariche dello Stato. Lo stesso Presidente della Camera viene investito da messaggi criptati. Quel che sta succedendo nel centrodestra è un segno evidente di nervosismo. Ormai non sono capaci di indicare nulla al paese che non sia uno scandalo quotidiano”. Lo afferma Pier Luigi Bersani, candidato alla segreteria del Pd.
«Se, come dice Capezzone, bisogna supportare tutti l'azione governativa e politica di Berlusconi, credo che la sua dichiarazione sull'articolo di fondo di Feltri di oggi vada in direzione opposta e sia profondamente sbagliata». È quanto afferma il coordinatore nazionale del Popolo della Libertà e ministro della Difesa, Ignazio La Russa che intervistato da AffariItaliani chiarisce: «Ipotizzare che possa essere condiviso, specie nella parte finale, l'articolo di Feltri, letto da tutti come un attacco minaccioso a Fini, significa mettersi nella lista di chi cede all'imbarbarimento della politica e che, oggettivamente, allontana quella serenità all'interno del Pdl ancora oggi facilmente raggiungibile sol che lo si voglia. Mi aspetto che Capezzone rettifichi e chiarisca il suo pensiero».

Boicottiamo Vespa e il “vespasiano”.
Domani su Rai3 alle 21:10 andrà in onda il film «La caduta - Gli ultimi giorni di Hitler» al posto di Ballarò. È quanto emerge dalle variazioni della programmazione diffuse dalla Rai.


«Sulla vicenda dello spostamento di Ballarò è necessario chiarire una cosa: il punto della questione non è Porta a Porta. Bruno Vespa come sempre fa egregiamente e con grande professionalità il suo lavoro, garantendo la diretta tv in un momento importantissimo. Il problema è che gli italiani devono poter scegliere di guardare anche altre trasmissioni di informazione che affrontino lo stesso evento con un punto di vista diverso». Lo afferma Roberto Rao, capogruppo Udc in commissione di vigilanza Rai aggiungendo che «mai come negli ultimi mesi è diventato centrale il tema della “democrazia del telecomando”. In qualsiasi altro paese, di fronte ad un'azienda di servizio pubblico che agisce in questo modo, la concorrenza avrebbe di corsa organizzato un programma di informazione alternativa. Ma, in Italia, dubitiamo che questo avvenga».
«Il rinvio di Ballarò per favorire la trasmissione di Porta a Porta sul terremoto e la consegna delle nuove case ai danneggiati del sisma è una scelta irrispettosa verso il pubblico». È quanto afferma il segretario generale della Federazione Nazionale della Stampa Italiana, Franco Siddi, che in una nota aggiunge: «Se c'è chi vuole la monofrequenza lo dica chiaramente e si confronti, sul piano delle idee e delle progettualità, con chi invece ritiene insopprimibile il pluralismo, non solo politico ma anche quello dei cittadini all'opzione sulla base di un'offerta plurale. E questa offerta deve essere garantita e non compressa dal servizio pubblico. Se qualcuno vuole la monofrequenza, e la tv monocorde, abbia il coraggio di dirlo e di misurarsi con chi ritiene che questa non sia la scelta giusta. Certo è che non ha precedenti la scelta di rimandare una trasmissione di informazione, che ha un suo pubblico consolidato e che, nella circostanza, andava lasciato libero di scegliere se sintonizzarsi su Ballarò o cambiare e, per una volta, fare una scelta diversa. Oggi tutto ciò è impedito con una decisione aziendale che non ha precedenti». «Non si tratta di discutere la bontà o meno dell'unica trasmissione informativa, di prima serata del servizio pubblico tenuta in programmazione per domani sera, né si può ridurre a dispute di conduttori quanto accade; tanto fuori luogo e sciagurata appare la scelta» prosegue Siddi, che osserva: «Bene ha fatto il Presidente Zavoli a convocare subito la Commissione di Vigilanza ma, chi può e deve, meglio farebbe a correggere, perché ancora in tempo, le decisioni prese».
Rinviate le puntate di Matrix previste per domani e venerdì. Lo annuncia Mediaset in un comunicato. «Per ragioni tecniche legate all'allestimento del nuovo studio e alla realizzazione della nuova scenografia del programma - si legge nella nota - le puntate di Matrix previste per martedì 15 e venerdì 18 settembre non andranno in onda». Matrix «partirà lunedì 21 settembre nella consueta collocazione di seconda serata su Canale 5. Le due puntate slittate verranno recuperate nel corso della stagione autunnale».

Berlusconi “ci copre di vergogna”.
«Ancora una volta l'Italia dei Valori aveva visto giusto: è necessario contrastare con durezza questo Governo sulla politica per l'immigrazione». Lo afferma il capogruppo al Senato dell'IdV, Felice Belisario, ricordando come «la condanna dell'Onu non fa che confermare quanto abbiamo sempre detto, e cioè che l'Italia in questi ultimi mesi effettuando i respingimenti ha costantemente violato tutti i diritti fondamentali dell'uomo». Secondo Belisario quella messa in piedi dal governo Berlusconi-Bossi-Tremonti «è una politica miope e assurda, che ci copre di vergogna, perché oltre a non rispettare il diritto internazionale non tiene in alcun conto neppure i più elementari diritti umanitari come quello di asilo per le migliaia di disgraziati che fuggono da fame, guerra e carestie».
«Berlusconi è talmente abituato a vivere al di fuori della realtà, contornato da nani, ballerine e servitori, da non rendersi conto della miseria altrui. Né sono serviti i moniti della Chiesa, i cui esponenti sono anzi stati derisi e sbeffeggiati dalla maggioranza. Adesso - conclude Belisario - vedremo cosa il Governo risponderà alle accuse fatte, ma già ci immaginiamo che il premier se la caverà con qualche battuta da operetta che ci farà scendere ancora più in basso nella classifica delle democrazie occidentali».
«Grazie alla Lega l'Italia è diventata sinonimo di pizza, mandolino e manganello. Mi auguro che ora il Governo rifletta su quanto denunciato dall'Onu evitando tuttavia di gettare benzina sul fuoco con le solite improbabili smentite. In questo momento di così grave difficoltà per l'immagine del nostro Paese all'estero, dovuta a una politica sull'immigrazione del tutto condizionata dai ricatti del Carroccio, non abbiamo bisogno di un incidente diplomatico con le Nazioni Unite». Lo ha dichiarato il deputato dell'Unione di Centro Savino Pezzotta.

Dal Il Mattino del 14 settembre 2009

Alla cassa con la coscienza pulita

Un modo eco per far tornare i conti della spesa.
Una notizia ripresa da "Io Donna" del Corriere della Sera.

La spesa del sabato mette a dura prova la nostra coscienza di consumatori consapevoli, sempre alla ricerca di prodotti "eco". Ai dilemmi del carrello ora c’è una soluzione: apre al pubblico a Milano, in via Novara, il primo supermercato “verde a 360 gradi”, un punto vendita Simply Sma che promette di conciliare sogni e bisogni, il consumismo con la sostenibilità. Che siate fedeli al modello hard discount – sono in vendita anche prodotti sfusi - o al credo bio-equo-solidale, alla cassa arriverete con la coscienza pulita. Avrete infatti fatto la spesa in un supermercato a ridotto impatto ambientale, che sfrutta al massimo la luce naturale ed è stato edificato con materiali riciclati. I carrelli sono di plastica rigenerata. I sacchetti sono biodegradabili. Lampade a led illuminano la superficie di vendita, mentre celle e banchi frigo sono muniti di speciale coibentazione per risparmiare energia. Gli impianti refrigeranti, poi, collegati a pompe di calore, assicurano anche il riscaldamento. In più un dipendente accompagna i non vedenti durante la spesa, mentre i cibi con data di scadenza ravvicinata vengono ritirati e consegnati al Piccolo Cottolengo di Don Orione. Simply Sma estende il circolo virtuoso della sostenibilità, preoccupandosi di raccogliere e smaltire merci ad alto rischio ambientale come pile esaurite e cellulari in disuso. Adesso sì che tornano i conti della spesa. Più eco sostenibile.
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Rifiuti, più competenze alle regioni

Cinque pronunce della Corte costituzionale ridisegnano i ruoli stato-enti locali nel dlgs 152/2006.
Ambiente, più spazio alle regioni.
Riassegnate le competenze nell'attuazione dei piani sui rifiuti.

Rassegna stampa - ItaliaOggi, Vincenzo Dragani, 14 settembre 2009.

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Una vera integrazione è possibile

Fini: non bisogna aver paura degli immigrati.
Il presidente della Camera con Nancy Pelosi a Villa Sant'Angelo, uno dei Comuni nella Provincia de L'Aquila: "Bisogna avere fiducia nel futuro".
VideoPost - SkyTg24, 14 settembre 2009.



"Non aver paura dell'immigrazione e non dubitare sulle possibilità della vera integrazione". Dopo che Umberto Bossi sul tema del voto agli immigrati alle amministrativa aveva detto che "ognuno può suicidarsi come vuole", Gianfranco Fini coglie l'occasione della visita all'Aquila insieme a Nancy Pelosi, presidente della Camera degli Stati Uniti, per tornare sul tema dell'immigrazione. "Le stesse radici dello speaker del Congresso statunitense risalgono a un piccolo paese abruzzese, e questo dimostra come si possa essere orgogliosi delle proprie radici italiane, a non aver paura degli immigrati e a non dubitare delle possibilità di una vera integrazione", ha spiegato.
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Dalla Lega parole chiare e definitive

L'editoriale. Adesso si scherza con il fuoco.
Rassegna stampa - Il Tempo, Roberto Arditti, 14 settembre 2009.

Se Umberto Bossi parla della Padania come «Stato libero, indipendente e sovrano», occorre dirgli chiaro e forte che questo modo di fare danneggia il governo di cui è ministro e la maggioranza di cui la Lega è parte essenziale. Le chiacchiere stanno a zero: la secessione non è nel programma con cui lui e Berlusconi si sono presentati agli elettori nel 2008 e non può essere messa nell'agenda politica di soppiatto, poiché si finisce per fare danni e basta.
Questo inizio d'autunno politico si sta rivelando tutto in salita per il Cavaliere, complice il fatto che la sinistra è entrata in un coma tanto profondo da sembrare irreversibile. In questa situazione impazza Di Pietro, Casini trova modo di sventolare la bandiera (assai logora in verità) del Grande Centro, Fini prende ogni possibile distinguo dal suo partito e dalla sua maggioranza. Tutti elementi che inducono Bossi ad alzare i toni, anche perché le regionali si avvicinano e lui vuole la presidenza del Veneto.
Al tempo stesso però occorre ricordare che a tirarla troppo la corda si spezza.
Già il Pdl mostra fibrillazioni notevoli in Sicilia, ci manca soltanto rispolverare il tema della secessione del Nord per aprire nuovi fronti polemici di cui nessuno sente il bisogno.
Qui non si tratta di fare a Bossi il banale richiamo ai doveri del suo ruolo di ministro. Questo è argomento stucchevole e di scarsa valenza politica. Il punto è un altro ed è di ben maggiore portata. Qui si tratta di chiarire una volta per tutte se questa legislatura è capace di essere quella della svolta, nella quale la maggioranza di governo mette tutta la sua forza numerica al servizio delle riforme che da troppo tempo sono lettera morta.
Avanti allora con il federalismo fiscale, con un Parlamento meno pletorico e più efficiente (abolendo il bicameralismo perfetto), con la contrattazione locale sulle retribuzioni per tenere conto del costo della vita, con un Pubblica Amministrazione al servizio dei cittadini invece del contrario, con scuole ed università dove il merito la fa da padrone, con l'abolizione delle province, con l'avvio di un serio progetto di riduzione delle tasse.
C'è tanto da fare che bisognerebbe tenere deputati e senatori a votare dal lunedì al sabato, per sperare di approvare tutto entro la fine della legislatura.
C'è insomma bisogno di una politica che cerca di fare qualcosa di buono oggi e non di chi butta in campo sogni discutibili.
Il secessionismo appartiene al vecchio armamentario della Lega, che oggi è un grande (e serio) partito di governo. È un fantasma che va bene per il comizio, ma che finisce per dare fiato ai già numerosi nemici dell'esecutivo in carica. È prodotto spendibile in campagna elettorale, non quando devi governare. A meno che Bossi abbia altro in testa, ma allora ha il dovere di dirlo con parole chiare e definitive.
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Lega e Udc forze antagoniste

Mappe. Tra il Grande Nord e il Grande Centro.
Rassegna stampa - La Repubblica, Ilvo Diamanti, 14 settembre 2009.

Sono passati 13 anni da quando la Lega tentò di "strappare" l'Italia. Mobilitando il suo popolo, in marcia lungo il Po fino a Venezia. Dove, da allora, si riunisce puntualmente, ogni anno, a rinnovare il rito padano (e pagano) che vede Umberto Bossi versare in laguna l'ampolla con le acque del Po (ma anche del Piave e dell'Olona) per rammentare che l'indipendenza della Padania resta il vero orizzonte della Lega.
Anche se il fallimento della manifestazione del 1996 ha costretto la Lega ad accantonare la secessione tornando all'obiettivo del federalismo. Distintivo originario dell'esperienza leghista. Non più rivoluzionario come in origine. Anche per questo la Lega ha spostato, rapidamente e decisamente, la sua offerta politica, concentrandola sui temi della sicurezza. Intorno alle paure prodotte dalla criminalità e dall'immigrazione. Ha anche ridefinito i riferimenti del territorio. I nemici: non più (solo) Roma, ma il Mondo. La globalizzazione. L'Europa larga. I paesi dell'Est. La Cina.
Oggi la Lega è tornata forte come nel 1996, dal punto di vista elettorale. Ha ottenuto oltre il 10% alle europee. Un dato che i sondaggi confermano stabile e, semmai, in ulteriore crescita. Ma, dal punto di vista politico, molto più forte di allora. È Lega di governo. Alleata del Pdl di Berlusconi. Meglio: di Berlusconi e del suo Pmm (Partito mediale di massa). Ma, soprattutto, è la principale artefice dei temi che caratterizzano l'agenda di governo. Tremonti si occupa della crisi economica e finanziaria. Opera importante, ma impopolare. Brunetta insegue i fannulloni che affollano gli uffici pubblici. Ma le questioni che preoccupano maggiormente i cittadini le affrontano gli uomini della Lega. In primo luogo, Roberto Maroni, titolare dell'Interno. Il "ministro della paura", per citare il personaggio interpretato da Antonio Albanese. Ma anche Zaia, vista l'importanza assunta dalle minacce "alimentari". La Lega oggi è soprattutto il "partito securitario". E ciò le ha permesso di sfondare anche nelle zone rosse. In molte province della Toscana, dell'Emilia Romagna e delle Marche. Le più simili alle zone pedemontane del Nord dove è maggiormente radicata. Le aree di piccola e piccolissima impresa. Per altri versi, però, la Lega si è "normalizzata". È l'ultimo partito di massa. L'unico sopravvissuto al crollo della prima Repubblica (a cui ha contribuito attivamente). Ha un'organizzazione diffusa, una base di militanti fedeli - estesa e presente sul territorio. Un giornale, alcune emittenti. Governa in centinaia di comuni piccoli e medi. Ha anche appreso dai "vizi" dei partiti tradizionali, che un tempo contestava fieramente. Ha coltivato un ceto di professionisti politici. Inseriti negli enti e nelle amministrazioni, a livello locale e nazionale. Anche a Roma ladrona. Basta vedere come ha gestito la vicenda delle nomine Rai. La Lega oggi è un partito forte politicamente. Nel Nord come a Roma.
Ma ciò può sollevare qualche problema. Perché rischia, appunto, di normalizzarla. Farla apparire un partito come gli altri. I suoi obiettivi caratterizzanti non la caratterizzano più. Il federalismo è stato raggiunto, anche se non è chiaro cosa significhi. Il suo linguaggio, i suoi proclami, anche i più scandalosi, non scandalizzano più. D'altra parte, dopo le ronde, i respingimenti e il reato di clandestinità, non è chiaro quali altri obiettivi possano scaldare gli animi dei suoi elettori e degli antagonisti. E poi le parole più violente e le iniziative più grevi tendono a perdersi nel rumore di fondo che segna il dibattito politico - in questi tempi tristi. Quando tutti gridano e urlano. E i media frullano in modo indistinto ogni offesa e ogni minaccia, anche la più turpe. Da ciò il richiamo esplicito all'indipendenza padana. Espresso ieri ad alta voce da Bossi. Con echi secessionisti che non si udivano da un decennio. Non a caso. Perché, come nel 1996, il federalismo non basta più.
Inoltre, l'etichetta di partito populista e securitario - o xenofobo - non scandalizza nessuno. Ma, anzi, rende più confusa la sua missione originaria. La rappresentanza del Nord. Peraltro, non è casuale anche la sfida lanciata da Casini. Alla Lega e agli altri partiti maggiori. Nello stesso giorno in cui Bossi riprendeva il tema della secessione. Perché c`è simmetria fra la Lega e l'Udc. Anzitutto dal punto di vista territoriale. Perché l'Udc è impiantata nel Sud, dove alimenta, a sua volta, forti spinte autonomiste. Una minaccia per il Pdl, che nel 2008 ha raccolto oltre metà dei voti nel Mezzogiorno e nel Lazio ma solo un terzo nel Nord padano.
L'Udc, inoltre, nel Nord fa concorrenza alla Lega. Nel 2006 è cresciuta nelle zone dove è calata la Lega. Viceversa nel 2008. Entrambe, d'altronde, attingono dall'antico bacino elettorale democristiano. A maggior ragione, l'Udc è alternativa alla Lega nei rapporti con la Chiesa e i cattolici. Perché la Lega è una "chiesa locale", che usa i riferimenti della religiosità popolare - la famiglia, il lavoro autonomo, il localismo - come base della propria ideologia. Mentre l'Udc continua a riproporre l'antico modello collaterale. Partito al servizio degli interessi e dei valori della Chiesa. Un'ipotesi che sta raccogliendo nuova attenzione negli ambienti ecclesiali, dopo le tensioni recenti.
D'altra parte, nel 2007 Berlusconi respinse la "pretesa" dell'Udc di presentarsi con il proprio marchio. Come la Lega. Perché la Lega, più ancora di Berlusconi, non l'avrebbe accettato. Oggi Casini guarda aldilà del proprio "piccolo centro". Scommette sul declino del bipolarismo tradizionale per attrarre altri settori e altri leader politici. Ma anche del mondo imprenditoriale e associativo. Conta sulle difficoltà del Pd, impigliato in un percorso congressuale lungo. Che ne sta logorando l'identità e ancor più la leadership. Mentre il Pdl è ormai totalmente risucchiato - e sperduto - nelle vicende personali del suo leader.
La collisione Bossi e Casini pare, dunque, inevitabile. In nome di un nuovo bipolarismo. Fra il Grande Nord e il Grande Centro.
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Ancora critiche Onu al governo

Onu contro i respingimenti: violano diritto internazionale.
Ancora critiche dal Palazzo di vetro alla politica del governo italiano. L'alto commissario ai Diritti umani: "Migranti respinti senza verificare se fuggono da persecuzioni".
VideoPost, SkyTg24, 14 settembre 2009.



L'Alto Commissario Onu per i diritti umani Navi Pillay denuncia le politiche nei confronti degli immigrati, "abbandonati e respinti senza verificare in modo adeguato se stanno fuggendo da persecuzioni, in violazione del diritto internazionale". La Pillay cita il caso del gommone di eritrei rimasto senza soccorsi tra la Libia, Malta e Italia, ad agosto. E spiega "in molti casi, le autorità respingono questi migranti e li lasciano affrontare stenti e pericoli, se non la morte, come se stessero respingendo barche cariche di rifiuti pericolosi".
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L'avvertimento di Feltri

L`editoriale. Il Presidente Fini e la strategia del suicidio lento.
Rassegna stampa - Il Giornale, Vittorio Feltri, 14 settembre 2009.

Dopo la rabbia, le dichiarazioni incendiarie, l'indignazione e le «vendettine» personali, vale la pena esaminare cosa è rimasto sul campo di battaglia.
Una settimana fa circa, il Giornale ha pubblicato un articolo per cercare di capire dove intendesse andare Gianfranco Fini con le sue brusche deviazioni dalla linea della maggioranza, ben note ai lettori. Nei giorni successivi, mentre gli elettori del centrodestra hanno mostrato di condividere le nostre analisi, nel Palazzo si sono registrati disorientamento, sorpresa e fastidio: come mai Feltri ha attaccato il presidente della Camera? L'avrà fatto su commissione del premier, ha detto qualcuno, molti. Poi è arrivata la solidarietà di Berlusconi a Fini, e allora altri hanno chiesto le mie dimissioni. Insomma, la solita storia.
A parte questa premessa utile per inquadrare la vicenda, ecco le conseguenze dell'«incidente».
Primo. Il Signor Dissidente non è stato zitto. Anzi, ha parlato troppo e forse, senza volerlo, ha confermato che il problema c'è e non è marginale. Ha ribadito le critiche al governo e al suo capo, la sua contrarietà alla politica sull'immigrazione, alle posizioni della Lega in proposito, alle leggi sulle questioni etiche; e si è espresso negativamente sull'organizzazione del Pdl in cui il Cavaliere avrebbe assunto - per dirla in modo brutale - il ruolo del dittatore. L'unico punto negato da Fini è stato quello relativo all'ambizione di diventare capo dello Stato; è naturale, se egli avesse confessato di aspirare al Colle, si sarebbe portato la pistola alla tempia.
Secondo. Invece ha optato per un suicidio meno spettacolare e più lento. Dai suoi discorsi a Gubbio e a Chianciano Terme sono emerse due tendenze: a Gubbio Fini ha compiuto due passi verso l'uscita dal partito, di cui non condivide niente; e a Chianciano, pur insistendo nella polemica con Bossi, ne ha compiuto uno indietro, manifestando timore per un eventuale distacco dal Pdl che sarebbe inevitabile qualora non facesse retromarcia. Significa che l'uomo è combattuto. Gli piacciono da matti le coccole della sinistra perché lo illudono di aver ragione, e non vorrebbe rinunciarvi abbandonando il buonismo e il laicismo; ma è consapevole che se non rientra con lo spirito e con le parole negli schemi della coalizione, il giorno dell'addio - volontario o caldeggiato - è prossimo.
Terzo. Se toglie il disturbo, dove va e con chi? Se si trasferisce in area progressista, è accolto bene, come un eroe o almeno un martire, ma dopo dieci minuti i compagni lo sistemano in uno sgabuzzino dicendogli: guarda che qui ce ne sono già tanti che rompono le scatole, mettiti buono e aspetta il tuo turno, se verrà. Non solo, ma dei vecchi camerati di An quanti gli andrebbero appresso? Nessuno. Uno di destra non abbraccia la sinistra in un periodo in cui la sinistra è allo sbando e la destra, viceversa, è al governo e distribuisce incarichi e poltrone. Sarebbe stupido. Finché si tratta di parlare in tivù, una battuta pro Fini si può dire, ma da qui a seguire l'ex capo in un'avventura nel territorio ricco di ex comunisti e povero di consensi ce ne corre.
Quarto. Scartato il Pd e dintorni, quali strade avrebbe a disposizione il presidente della Camera onde garantirsi la continuazione della carriera? Il cosiddetto Grande Centro di cui si discetta da lustri ma di cui non si sono ancora viste le sembianze. Un'alleanza con Casini e democristiani sparsi? Sotto l'aspetto della fattibilità, simile decisione non sarebbe assurda quanto quella orientata a sinistra. Tuttavia Fini, per stringersi in società con Casini senza esserne fagocitato, avrebbe bisogno di un partito suo che ora non ha neppure sulla carta. I calcoli sono presto fatti. I deputati e i senatori pronti ad accodarsi a lui sono circa venticinque, massì, facciamo trenta. Con un plotoncino così di fedelissimi al massimo si contribuisce a formare un centrino, altro che Grande Centro. Non penso che una prospettiva del genere alletti il cofondatore del Pdl.
Quinto. Considerato tutto ciò, c'è un ultimo progetto che però ha il difetto di assomigliare a un sogno. Tagliare le gambe a Berlusconi: non è facile, ma Fini può tentare puntando su qualche aiutante nel centrodestra e nel centro e su molti aiutanti nel centrosinistra. Si tratterebbe, secondo i folli impegnati a realizzare il piano denominato «crepi Sansone con i filistei», di colpire ai fianchi il Cavaliere, sfruttando il suo privato fino allo spasimo, confidando nella bocciatura del Lodo Alfano (la Corte Costituzionale si pronuncerà in ottobre, cioè domani) e nel lavoro instancabile di vari magistrati su diversi fronti, incluso quello della mafia. Se alla sinistra e ai congiurati di destra riuscisse di detronizzare Silvio (sperare non è vietato) si presenterebbe, secondo l'ipotesi dei sognatori, l'opportunità di creare una maggioranza allargata, una specie di solidarietà nazionale rivisitata, e quindi un Governissimo del quale Fini sarebbe il numero uno.
Sesto. Sembra fantapolitica. Ma è importante non trascurare neanche le elaborazioni oniriche di certa gente. D'altronde non è casuale che alcuni giornali, la Repubblica in testa, vagheggino un declino di Berlusconi. E poiché l'ossessione di parecchi è il dopo-Berlusconi, ecco spiegata l'incessante attività dì numerosi vaticinatori. I quali danno per sicuro che il Pdl, se privo dell'attuale leader, si frantumerebbe a causa di lotte intestine per la successione. Di qui l'idea fissa del Governissimo che consentirebbe un rimescolamento delle carte politiche e nuove aggregazioni, rimpasti e similari.
Settimo. Sul futuro non c'è da fare affidamento. E comunque Fini ha l'esigenza immediata di trovare una ricollocazione: o di qua o di là. Non gli è permesso tenere un piede nella maggioranza e uno nell'opposizione. Deve risolversi subito. E ricordi che bocciato un Lodo Alfano se ne approva un altro, modificato, e lo si manda immediatamente in vigore. Ricordi anche che delegare i magistrati a far giustizia politica è un rischio. Specialmente se le inchieste giudiziarie si basano su teoremi. Perché oggi tocca al premier, domani potrebbe toccare al presidente della Camera. È sufficiente - per dire - ripescare un fascicolo del 2000 su faccende a luci rosse riguardanti personaggi di Alleanza nazionale per montare uno scandalo. Meglio non svegliare il can che dorme.
Inoltre, valuti Fini, che se la Lega si scoccia e ritira la sua delegazione, il voto anticipato è inevitabile. Allora per lui, in bilico tra destra e sinistra, sarebbe una spiacevole complicazione.
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Berlusconi una variabile imponderabile

Il lodo Alfano e il test del voto.
Rassegna stampa - Corriere della Sera, Francesco Verderami, 13 settembre 2009.

E dire che Berlusconi voleva sponsorizzare l'operazione di Casini e Rutelli. Si offrì tre mesi fa all'ex leader della Margherita durante la festa della Guardia di finanza. Quando il Cavaliere vide il presidente del Copasir sul palco delle autorità, lo chiamò accanto a sé: «Vieni, Francesco. Mettiti qui, tra me e Gianni Letta». Rutelli non fece in tempo ad avvicinarsi, che il Cavaliere gli sussurrò all'orecchio: «Per un giovane che deve fare un nuovo partito c'è bisogno di un po' di pubblicità. Fa sempre comodo». Accadde tutto in pochi istanti, l'ex capo della Margherita scorse la minaccia dei fotografi e si scostò un attimo prima che al suono dell'inno nazionale venisse immortalato accanto al premier.
Più tardi Berlusconi tornò a proporsi al dirigente del Pd come testimonial, usando l'arma dell'ironia. «Dovremmo vederci. Lo dico nel tuo interesse. Sai, ho acquistato una scultura di tuo nonno Mario: è bellissima. L'ho messa a Villa Certosa. Vieni a trovarmi. Magari organizziamo anche un bel matrimonio tra l'avvocato Mills e Noemi». E Rutelli, licenziandosi: «Se ci incontrassimo al bar del paese, daremmo meno nell'occhio».
Insomma è da tempo che il Cavaliere avverte il tramestio di Palazzo, e scruta le manovre di chi lavora con l'obiettivo di succedergli. Sa di non aver rivali, tranne il tempo che passa. E le battute - come quelle con Rutelli - gli servono per celare un tormento interiore che a volte gli fa perdere lucidità, e politicamente lo spinge ad arroccarsi con la Lega. Ma il Carroccio ha un costo, e il conto sta per essergli servito con le candidature alle Regionali.
Perché è questo il vero tornante della legislatura, ed è inutile prefigurare al momento assetti e alleanze future. L'ipotesi di elezioni anticipate l'anno prossimo non regge, né sarà la Consulta sul «lodo Alfano» a dettare i tempi e l'agenda politica, se è vero che Fini ritiene «fuori luogo l'attesa messianica per quella sentenza».
Saranno le Regionali la vera sfida: se il premier le perderà; le fibrillazioni aumenteranno al punto da minacciare la stabilità del governo; se invece le vincerà, allora non ce ne sarà più per nessuno. E per vincere Berlusconi fa affidamento sull'asse con Bossi.
Ecco spiegata l'union sacrée che oggi tiene insieme - per motivi diversi - Fini, Casini e Rutelli. E la battaglia per evitare quella che l'ex capo della Margherita definisce «l'Opa della Lega sul Nord». Se il Senatùr ottenesse i candidati governatori per il Piemonte e il Veneto, e riuscisse poi a conquistare quelle Regioni, non solo metterebbe le basi per garantirsi il primato sull`intero Settentrione, ma avrebbe un potere di veto e di controllo anche sul governo nazionale, come mai avuto prima.
Ed è su questo tema che il presidente della Camera incalzerà il Cavaliere. Nelle vesti di «confondatore» del Pdl gli chiederà «in che modo intende rispondere alle pretese» di Bossi. Fini non mette certo in discussione l'alleanza, che gli appare però «squilibrata», a causa del «conflitto d'interessi politico di Berlusconi, contemporaneamente capo del governo e capo del partito», un duplice ruolo che all'ex leader di An ricorda il «De Mita premier e segretario della Dc» degli anni Ottanta.
Il «conflitto d'interessi politico» gli serve per sviluppare un ragionamento che ruota attorno al nodo del «rapporto privilegiato di Berlusconi con la Lega»: «Oggi questo rapporto da una parte è un'assicurazione sulla vita per il governo, ma dall'altra rischia di essere la pietra tombale del Pdl». E allora, il premier è disposto a mettere a repentaglio il partito che ha appena fondato, pur di concedere al Carroccio più di quanto gli spetti, in base ai rapporti di forza? Perché «se si vuole parlare in termini di quote» - argomento usato per zittirlo nel Pdl - «in termini di azione di governo, di iniziative politiche», è evidente agli occhi di Fini come la Lega abbia conquistato spazi che gli sono stati lasciati per evitare tensioni nell'esecutivo. Da Berlusconi attende risposte, «Silvio si illude se pensa di eludere questi nodi».
Oggi l'obiettivo del presidente della Camera è dunque diverso da quello di Rutelli e Casini, gioca dentro il perimetro del centrodestra attuale, mira a contrastare l'avanzata del Carroccio con l'intento di rilanciare il Pdl e riequilibrare la coalizione. Difficile capire come si chiuderà la partita: magari il Cavaliere sfrutterà la mossa del presidente della Camera per chiedere a Bossi di ridimensionare le richieste. Il resto sono solo manovre di posizionamento. Come dice Rutelli, «si vedrà» se in futuro ci saranno nuovi assetti. Intanto si notano i primi segnali.
Quando Fini, alla kermesse dell'Udc, ha parlato della necessità di un «bipolarismo europeo», ha fatto capire che «l'attuale bipolarismo non è l'unico possibile». Tutto è fermo, finché c'è Berlusconi. E tutto è in movimento in vista del dopo-Berlusconi. Il Cavaliere resta comunque una variabile imponderabile. «Nel 2005 come ricorda Rutelli - lo davano per morto e non era vero. Quattro mesi fa lo davano per eterno e non era vero». Prossimo bollettino medico alle Regionali.
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Un grande popolo verso la sua libertà

Bossi «La Padania sarà uno stato libero e sovrano».
Rassegna stampa - La Padania, Umberto Bossi, 14 settembre 2009.

Siamo venuti a Venezia anche quest'anno, però vi devo dire che sarà l`ultima volta: il prossimo anno si ritornerà a fare la catena lungo il Po. È un monito che significa che i nostri popoli - piemontese, veneto, lombardo... - compatti vogliono la libertà. E che non moriranno mai fino a quando ci sarà la volontà di ottenere i loro diritti di libertà.
Gli anni scorsi sembrano che siano passati inutilmente, ma non è così: siamo qui per ricordare, ad esempio, che lo Stato, da centralista, è diventato federalista. Qualcuno ha pensato: diamogli pure i nostri voti, facciamo contenti Bossi e la Lega e così li teniamo tranquilli, ma in realtà non è così. Non si erano accorti che il Federalismo implica anche il principio secondo cui i salari devono essere rapportati al costo della vita. Abbiamo visto che la stessa Banca Centrale ha dichiarato che esiste una differenza tra Nord e Sud: nel Settentrione la vita costa in media il 17 per cento in più. Non lo abbiamo detto noi: ci siamo limitati a registrare i dati che altri hanno diffuso.
I Paesi federalisti, così poco conosciuti dagli altri partiti italiani, prevedono che ci sia un rapporto proporzionale fra il salario e il costo della vita. In America un operaio di Detroit prende un salario diverso da un operaio di Chicago: adesso tocca a noi, perché il Federalismo è anche a vantaggio degli operai, che hanno tutto il diritto di arrivare alla fine del mese per mantenere la propria famiglia e i propri figli.
Sono idee e progetti che avevamo già da molti anni e finalmente ci siamo arrivati, grazie al nostro sindacato: Rosi è stata molto importante per la Lega, è riuscita a organizzare un sindacato che ha tanta valenza politica da sembrare un partito.
Mi ricordo quando c`era da litigare in Consiglio federale della Lega, perché nessuno aveva la lungimiranza di capire quanto un sindacato nostro sarebbe stato necessario per entrare nelle fabbriche e parlare con i lavoratori. Ma io mi sono impuntato e mi sono messo in gioco personalmente e ho appoggiato Rosi: se a loro non stava bene potevano cambiare il Segretario federale, perché volevo assolutamente che ci fosse un sindacato che portasse avanti le idee della Lega. Perché quando si arriverà al Federalismo ci servirà un sindacato che è cresciuto nelle fabbriche fra i lavoratori, perché allora bisognerà mettere in rapporto il salario con il costo della vita. E adesso ci siamo arrivati. Quest'estate ci è servita per lanciare e rendere pubblico ciò che volevamo. Brava, Rosi! E un bravo anche a Maroni: è stato fondamentale perché ha fermato l'arrivo di milioni di immigrati sbandati che giungevano in maniera confusa a casa nostra, senza documenti e passaporto.
Molti non arrivavano neppure: sprofondavano nell'oscurità dei mari nel tentativo disperato di arrivare da noi. Occorrevano persone forti che avessero il coraggio di affrontare quello che stava avvenendo: Maroni lo ha fatto.
Una volta, in Consiglio dei ministri, Berlusconi è venuto fuori con la proposta di mettere in galera quelli che fanno le scritte sui muri. Io gli ho fatto notare che allora avrebbe fatto finire in prigione almeno due membri del Governo: io e il ministro dell'Interno. Ai bei tempi io andavo a scrivere sui muri e Maroni mi accompagnava con la macchina. Per cui ho detto a Berlusconi che una legge che mandasse in galera chi fa scritte sui muri non passerebbe mai. Poi bisogna vedere quali muri: quei brutti muri grigi, come per esempio quelli sulle autostrade, con qualche scritta si abbelliscono, diventano la voce del popolo.
Sulle alleanze voglio fare alcuni appunti: da soli sicuramente si va più veloci e si arriva prima, ma insieme, uniti, si va più lontano. Soprattutto quando gli alleati sono come la Lega e il Popolo della Libertà. Due giganti uno sulle spalle dell'altro vedono molto più lontano.
È chiaro che noi abbiamo un progetto più complesso: non basterà il Federalismo. Noi vogliamo cambiamenti epocali, completi. La Lega rappresenta la Padania e i suoi popoli, che mai vennero sconfitti, tutt'al più hanno litigato fra di loro. Se Venezia e Milano avessero fatto un accordo secoli fa non sarebbe arrivato neppure Napoleone. La Padania è una terra ambita da tutti: ha le montagne che la difendono dai venti freddi che arrivano dal Nord, è una terra fertilissima, bellissima.
Castelli ci ha ricordato che il Po riceve anche acque dall'Appennino Tosco-emiliano: ecco perché anche i toscani si rivolgono a noi e vengono qui.
Gli uomini della Lega, come appunto l'ingegner Castelli che sta progettando le dighe sul Po per mantenere alto il livello delle acque e renderlo navigabile, sono gente brava, non sono arrivati lì per caso. Hanno una dote: credono in quello che fanno, lottano, non si vendono. La Lega c'è ora e ci sarà sempre, fino a quando la Padania non sarà realizzata, fino a quando non ci saranno i diritti alla libertà. Noi veniamo a Venezia perché sappiamo che un giorno la Padania sarà uno Stato libero, indipendente e sovrano: su questo non abbiamo il minimo dubbio. Siamo amici di tutti, ma abbiamo il diritto alla nostra libertà. Abbiamo sempre aperto il nostro portafoglio e aiutato tutti, però abbiamo la necessità che i nostri diritti vengano rispettati: primo fra tutti la nostra libertà. Non è possibile, ad esempio, che nelle scuole non ci sia un solo insegnante nostro, che nei tribunali non ci sia un giudice che sia dei nostri. O Roma e il suo Parlamento si sveglia e fa leggi dettate dalla giustizia e dal buon senso, oppure sarà il popolo a ristabilire le cose.
Abbiamo qui il regista Martinelli, che presenta il suo film sul Barbarossa e ha in progetto quello su Marco d'Aviano. Non dico che il cinema possa essere la nostra arma più importante: questo lo diceva a suo tempo Mussolini e poi è stato applicato dalla sinistra. Però è sicuramente un bene che noi possiamo utilizzare, attraverso una nostra cinematografia, possiamo avere la possibilità di ricordare la nostra storia. Foscolo diceva che davanti alle tombe dei grandi la gente, i popoli crescono: bene lo diciamo anche noi. Ricordando la nostra storia, noi sappiamo che la gente crescerà in coraggio, decisione e volontà. Siamo tutti cresciuti: oggi non c'è più niente che ci spaventa, neppure il carcere. Perché sappiamo che ci sono milioni di uomini, di donne, di ragazzi che crescono e pensano a noi. Siamo davvero tutti per uno e uno per tutti. Poi ovviamente c'è chi non accetta questa realtà e ci fa la guerra in tutti i modi, ma tempo verrà che chi ha fatto la guerra in maniera discriminata, stolta, contro un grande popolo alla fine pagherà. Perché alla fine i grandi popoli uniti vincono, attraverso le vie della giustizia ma anche in battaglia.
Nel film su Marco d'Aviano vedremo come la cavalleria padana sconfisse quella turca che era arrivata alle porte di Vienna. L'11 di settembre, data ora fatidica per le Torri Gemelle dì New York, del 1683, la cavalleria turca era davanti a Vienna, ormai una città morta, e sarebbe stata invasa l'Europa e ora saremmo solo una delle tante comunità musulmane. Ma arrivò là cavalleria padana, ragazzi di Cremona, delle province emiliane del Nord, del Veneto, che rovesciarono in un'epica battaglia la cavalleria turca e la misero in fuga, con i nostri ragazzi sempre dietro a incalzarli, verso la Serbia, che poi a sua volta si ribellò e cacciò gli invasori. Io andai una volta in Serbia a portare aiuti umanitari, farmaci, soprattutto antibiotici, quando il Paese e i suoi ospedali erano ridotti male dopo i bombardamenti americani. Portammo due camion di farmaci in Serbia e io salii in Parlamento, e i deputati serbi mi applaudirono gridando "viva la Padania". Dapprima mi stupii che conoscessero questo nome: non mi ricordavo del fatto che fu la cavalleria padana assieme ai Serbi a dare una spinta al turco mettendolo in fuga, un enorme esercito sconfitto. Noi perdemmo solo tempo quando Milano e Venezia cominciarono a combattersi fra loro. Aprimmo la strada ai vari Napoleoni, agli invasori che non sarebbero mai entrati se i veneti, i lombardi, i piemontesi fossero stati uniti. Napoleone non avrebbe tagliato la coda ai leoni veneti, perché sarebbe stato sbaragliato prima dai piemontesi e dai fratelli lombardi, brava gente, disposta ad aprire il cuore e ìl portafoglio. Ma non rompeteci i coglioni, perché allora dimostriamo il nostro valore anche in battaglia. La nostra gente non si spaventa: se la battaglia è giusta, una battaglia per la libertà, non abbiamo nessuna paura. Neppure di finire in prigione, perché sappiamo che fuori ci sono milioni di persone che pensano a noi. Mi ricordo che quando mi ammalai nelle chiese c`era un sacco di gente che andava a pregare per me, non si erano mai viste nelle chiese tante candele accese come allora. "Sei molto amato dalla gente", mi dicevano.
Noi non abbiamo fatto la Lega solo per vincere qualche elezione, ma per molto di più: per la libertà della Padania. Noi non andremo in pensione fino a quando non avremo ottenuto il diritto alla libertà della nostra gente. Tutto avverrà ovviamente nel momento più opportuno, ma la volontà è quella di raggiungere la libertà. Più il Parlamento si rifiuta di dare quel diritto alla libertà, più la gente logicamente si ribella e pretende il cambiamento a tutti i costi. Non andremo in pensione, io, Maroni, Castelli... fino a che non avremo ottenuto la nostra libertà, fratelli padani. E libertà sarà.
Abbiamo imparato a diventare un popolo ed è stato necessario del tempo, perché prima non ne avevamo la coscienza. Adesso sì: abbiamo preso coscienza di dover restare uniti, di essere un popolo che si vuole bene. Questa è stata la cosa principale che si è fatta in questi anni: oggi sappiamo che solo l'unità ci garantisce il raggiungimento della libertà. Non c'è nessun altro partito oltre alla Lega capace di unire così i suoi militanti, oggi a Venezia, il prossimo anno sul Po. La nostra gente si muove, lo sente come un dovere e come un piacere di stare uniti. Questa è una grande conquista, perché fino a quando la gente non si sente unita e non si vuole bene non si può fare niente.
Ma ora per la prima volta posso dire che finalmente siamo un popolo, un grande popolo, che conquisterà la sua libertà.
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Quei processi «nascosti»

L'editore de «Il Giornale» e il parente del generale assieme nella ditta di costruzioni «Co.Ge». Un rapporto della Dia del '99 ipotizza infiltrazioni mafiose. Erano nel «tavolino degli appalti».
Il giallo della società siciliana dei fratelli Mori-Berlusconi.

Rassegna stampa - l'Unità, Nicola Biondo, 14 settembre 2009.

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Una citazione buffa

Sottosegretarío Pdl La Roccella: Fini? Ho apprezzato la sua attenzione al mondo cattolico.
Rassegna stampa - Corriere della Sera, M. Antonietta Calabrò, 14 settembre 2009.

Roma - Gianfranco Fini, davanti alla platea dell'Udc, sabato ha citato il Catechismo della Chiesa Cattolica per dimostrare che ha ragione lui a voler modificare il disegno di legge sul testamento biologico, il cui iter inizia questa settimana in Commissione a Montecitorio.
Eugenia Roccella, sottosegretario al Welfare, qual è la sua reazione?
«Da quello che ha detto, traggo la convinzione che Fini non ha approfondito con attenzione il disegno di legge Calabrò che, approvato dal Senato, deve essere ora votato alla Camera».
Sostiene che il presidente della Camera non sa valutare un disegno di legge?
«Temo che lui abbia accettato una lettura ideologica del testo, la stessa fatta dalla sinistra. Lo ha letto con occhiali che non sono realmente laici. Se veramente quello che Fini vuole è ciò che ha sostenuto l'altroieri (e cioè l'equilibrio tra le volontà espresse dalla persona, quelle della famiglia e le competenze del medico che non può essere solo un esecutore passivo) allora vuoi dire che, al contrario di ciò che dice, anche Fini concorda con il disegno di legge Calabrò».
E con il Catechismo come la mettiamo?
«Direi che quella citazione da parte sua è buffa. Non posso non notare peraltro che in tutto il dibattito parlamentare gli unici ad aver fatto riferimento al Catechismo, a lettere e dichiarazioni di Pontefici, sono stati deputati di sinistra, del Pd e di area laica. Il problema vero è che ci sarebbe bisogno di laici adulti, come ha più volte affermato il ministro Sacconi. Cos'è più laico del principio di precauzione, cioè di prudenza?»
Lei allora nega che il disegno di legge proponga, di fatto, l'accanimento terapeutico...
«Certamente: è scritto nero su bianco nei primi articoli. Il disegno di legge non modifica in nulla la situazione attuale, per quanto riguarda idratazione e alimentazione dei malati terminali. E non obbliga a nessun accanimento. La legge, al contrario, serve ad evitare che i pazienti in stato vegetativo (che non sono, sottolineo, malati terminali, nel senso che non sono al termine della loro vita) possano essere privati del sostegno vitale del cibo e dell'acqua e fatti morire per fame e per sete, come è avvenuto per l'Englaro».
Ma c'è nulla di positivo in quello che ha detto Fini?
«Il fatto che ha assicurato imparzialità nel dibattito parlamentare e che ha dato, in ogni caso, con la citazione del Catechismo, un segnale di attenzione al mondo cattolico».
Un invito al Presidente della Camera?
«Rilegga attentamente il disegno di legge Calabrò. Vedrà che stabilisce un buon equilibrio. Se, come dice Fini, per esempio, bisogna tenere conto della valutazione del medico, le. dichiarazioni anticipate di volontà non possono essere vincolanti, esattamente come sostiene il testo votato al Senato».
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An non è morta

II vicecapogruppo alla Camera «Scriveremo al premier in 50: ci ascolti o i nostri voti non saranno più scontati».
Bocchino avverte: An non è morta.
Rassegna stampa - Corriere della Sera, Paola Di Caro, 14 settembre 2009.

ROMA - «È arrivato il momento di far volare le colombe per ricucire uno strappo più profondo di quanto sia mai stato in passato». Si capisce che Italo Bocchino, capogruppo vicario del Pdl alla Camera, è mosso dalle migliori intenzioni quando spiega come e perché Berlusconi e Fini debbano tornare a parlarsì.
Ma quella dell'uomo che in questo momento è il più vicino al presidente della Camera non è una preghiera, e nemmeno una semplice proposta. Piuttosto, somiglia a un ultimatum l'annuncio che sta per essere recapitata al premier una «lettera» firmata da oltre 5o deputati in cui si chiede un chiarimento sugli attacchi subiti da Fini nelle ultime settimane. Perché «serve un riequilibrio nel Pdl e nella coalizione». Che, se non dovesse avvenire, potrebbe portare anche alla nascita di un nuovo gruppo parlamentare e di fatto alla fine del Pdl come unione tra Fi e quell'An che, «ricordiamolo, non è morta».
Insomma, siamo al redde rationem nel Pdl?
«Siamo sicuramente a un passaggio delicato. E se è vero che ci sono le colombe al lavoro, ci sono anche i falchi, che rischiano di fare danni gravissimi».
Chi sono?
«Quelli che a Berlusconi dicono "liberati di Fini, è un compagno, è matto" e a Fini "torniamo ad An, basta con Bossi"».
Sembra però che il più solo oggi sia Fini.
«La tesi di un Fini isolato e imbalsamato nel suo ruolo istituzionale è pericolosa soprattutto per chi la formula».
Perché?
«Perché fa nascere una tentazione pericolosa, visti ì precedenti, che è quella di rompere con Fini e di sottrargli le "truppe". Nel'94, quando si provò qualcosa del genere, Bossi ci fece perdere le elezioni. Poi si è arrivati alla rottura con Casini, che ancora oggi stiamo corteggiando...».
Vuoi dire che Fini ha ancora una sua forza non solo politica ma anche parlamentare?
«Sì. Posso annunciare che, nei prossimi giorni, presenterò al premier una lettera firmata da alcune decine di deputati, diciamo oltre una cinquantina di ex An, ma sono pronti ad aggiungersi almeno un'altra decina di ex forzisti. Noi chiediamo tre semplici cose. La prima è che si arrivi a una norma non scritta ma vincolante che prevede nel Pdl un patto di consultazione permanente tra i due co-fondatori, Berlusconi e Fini. Perché non è possibile che Fini apprenda di candidature o proposte di legge a cose fatte».
La seconda richiesta?
«Le cene del lunedì tra Berlusconi e Bossi non rappresentano tutto il Pdl. I luoghi in cui si decide cosa fanno governo e coalizione devono essere dei veri vertici di maggioranza, ai quali partecipano i coordinatori, i capigruppo, i ministri, chi si vuole, ma non solo gli ex di Fi e la Lega. Infine, chiediamo che negli organi di partito i temi politici vengano discussi e votati. Fini non pretende che la sua posizione sul testamento biologico o sull'immigrazione sia accettata da tutti, ma che sia esaminata e approfondita sì».
E se le vostre richieste fossero respinte?
«A quel punto, siccome la lealtà non va confusa con la fessaggine, le cose cambieranno. E non sarà più scontato il nostro voto favorevole su ogni provvedimento. Sul Sud, ad esempio, dovremo essere convinti ancor prima che la maggioranza prenda decisioni in Cdm, incidendo sui fondi Fas».
Sta dicendo che potrebbe nascere un nuovo gruppo parlamentare, con la fine del Pdl?
«Sto dicendo che la situazione è difficile, e che non possiamo permetterci rotture. Perché siamo tutti convinti che questo è il miglior governo possibile, che la Lega è un ottimo alleato, che Berlusconi è l'uomo giusto per guidare il Paese... Ma diciamo anche, attenzione: Fini non è affatto solo, ha rapporti internazionali che sono sotto gli occhi di tutti, ha un patrimonio di voti, di consensi e di struttura da cui non si prescinde. Perché An non è morta, ma è governata da un Comitato che dovrà trasformarla in fondazione ed è un partito che si riconosce in Fini. Insomma, se dovesse nascere un gruppo che fa riferimento a Gianfranco, ne farebbe parte la quasi totalità di An».
È una minaccia?
«È la richiesta di chiarezza di un gruppo di deputati al premier, che da uomo intelligente qual è capirà che è questo il momento di intervenire».
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Rifondazione e l'autunno

Il Comitato politico nazionale si chiude oggi a Roma: Rinaldi e Rocchi i nuovi membri dell'esecutivo.
Prc, doppio segno di unità: segreteria ampliata e federazione.

Rassegna stampa - Liberazione, Fabio Sebastiani, 13 settembre 2009.

Allargamento della segreteria nazionale e consolidamento della federazione della sinistra di alternativa. È questo il risultato del Comitato politico nazionale del Partito della Rifondazione comunista tutto dedicato alla riflessione interna. Ne esce un doppio segno unitario, quindi, sia nei rapporti con gli altri soggetti politici con i quali è stato avviato un percorso netto di aggregazione, sia nel dibattito interno. Proprio sulla nuova composizione della segreteria nazionale si è registrato qualche dissenso. In particolare, di Claudio Bellotti (Falce e Martello), che ha deciso di uscire dall'organismo, e quello di Fosco Giannini (l'Ernesto). Per quest'ultimo, il rischio è quello di rompere con «lo spirito di Chianciano», e di perdere «il ruolo dei comunisti nella costruzione dell'autonomia». Bellotti, invece, denuncia due punti «rimossi dal confronto», le elezioni regionali e ciò che sta accadendo in Cgil. Della nuova segreteria nazionale faranno parte sette membri, più Paolo Ferrero. Entrano Rosy Rinaldi e Augusto Rocchi.
La relazione introduttiva di Ferrero, che ha enucleato, in premessa, i due risultati politici mondiali più importanti di questa fase, il successo della "Die Linke", nel segno delle "due sinistre", e la resistenza dei movimenti in America Latina, ha sostanzialmente riconfermato la linea della gestione unitaria del partito uscita dal congresso di Chianciano. Ed ha anche provato ad elaborare una lettura della crisi economica e politica del nostro Paese: da una parte la stagnazione, con il rischio di un aggravamento soprattutto occupazionale e, dall'altra, nel persistente bipolarismo che rischia di tagliare fuori il progetto della Rifondazione comunista, la costituente di una nuova destra. Su bipolarismo e conflitto d'interesse il Prc è pronto a fare una sua proposta e una battaglia politica. «Il punto è che cosa fa il Prc di fronte a questa fase costituente. Ci vuole un ruolo nazionale dei comunisti. Noi arriviamo sconfitti e adesso dobbiamo decidere se siamo in grado di avere un ruolo come quello della sinistra italiana è stato nelle grandi fasi di trasformazione del paese. Il punto è se siamo un fenomeno residuale o se siamo in grado di parlare al paese». Come si comporterà il Prc su due temi cruciali quali le elezioni regionali del prossimo anno e il guado in cui si trova la Cgil? Per il momento il confronto è solo in fase "istruttoria". E anche comprensibilmente, visto che lo sguardo è rivolto soprattutto al riordino delle fila interne. «I punti di contraddizione che ha il governo sono due - ha aggiunto Ferrero - uno quello delle contraddizioni sociali che si determinano e una scarsa capacità di reggere il conflitto sociale (un governo populista non può avere il popolo contro). Il conflitto con il Vaticano e la non consonanza completa con Confindustria esiste e la questione di Fini sono contraddizioni interessanti e positive. La manifestazione di sabato 19 è importante. Noi vogliamo tutelare la libertà di informazione. Non staremo nel partito di Repubblica contro il partito di Libero». Il resto, ovviamente, appartiene al conflitto sociale, e a quei percorsi tracciati in questo "autunno caldo" fortemente anticipato. «Dobbiamo stare dentro la costruzione del conflitto in modo certosino e attento. Dò un giudizio positivo - ha proseguito Ferrero - sul fatto che abbiamo centrato l'analisi sull'autunno caldo e penso anche che siamo stati abbastanza presenti nelle lotte. Dobbiamo però progettare interventi nei luoghi di conflitto in maniera maggiormente strutturata. Non solo la partecipazione ai presidi, ma anche volantinaggi informativi, coinvolgimento della cittadinanza, manifestazioni di solidarietà. Capacità di allargamento del conflitto, di costruzione di coscienza, costruzione del blocco sociale. Dobbiamo essere capaci di essere riconosciuti dai lavoratori non solo perché varchiamo i cancelli, ma anche perché siamo utili».
La prospettiva della federazione viene così disegnata da Ferrero: risponde ad una domanda di unità a sinistra che è molto forte e alla quale dobbiamo rispondere; è dentro la storia del movimento dei lavoratori in Italia; è un processo che parte dal basso ed è partecipato, perché la federazione non è l'unificazione dei tre partiti, ma si parte da li e si cerca di tirare dentro altri soggetti; assemblee dal basso. Il confronto al Cpn prosegue oggi presso la Federazione romana del Prc in via Squarcialupo.
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Foroni prenda le distanze dalle aberrazioni della Capezzera

Il Cittadino di oggi nella rubrica "Lettere & Opinioni" pubblica una lettera della Segreteria della Federazione del Pd del Lodigiano.
Provincia di Lodi. Presidente, cosa ne pensa del fascismo?
Rassegna stampa.

Durante la manifestazione dei Martiri del Poligono svoltasi recentemente a Lodi, il Presidente dell’Anpi Edgardo Alboni in un discorso esemplare per i riferimenti storici e per il rapporto fra questi avvenimenti e la battaglia per la qualità della democrazia oggi, ha detto che ci sono forze politiche che si comportano come i “lanzichenecchi” (soldati di ventura che facevano terra bruciata”).
Il riferimento di Alboni era rivolto in particolare ai pericoli di discriminazione razziale che hanno visto prese di posizione nette anche da parte della Chiesa italiana. Chiunque può inoltre constatare, anche dopo i disgustosi attacchi alla libertà di stampa di questi giorni, che tale pericolo esiste e che la democrazia liberale che abbiamo conosciuto e sancito con la Costituzione repubblicana, è continuamente sotto minaccia e attacco. È naturalmente assolutamente legittimo contestare questo giudizio, replicare politicamente a queste valutazioni. La Destra però, e lo abbiamo visto in questi giorni, lo ha fatto nel peggiore dei modi soprattutto con le dichiarazioni dell’assessore provinciale Capezzera che ha ribadito che “il fascismo ha fatto anche cose buone” e che “bisogna ricordare anche i martiri repubblichini”, spalleggiata da “Azione Giovani”.
Cosa dire? Anzitutto che a Lodi la svolta di Fini che ha definito il fascismo “male assoluto” e si è pronunciato recentemente contro le discriminazioni razziali non è passata manco di “striscio” e che ci vuole ignoranza e protervia a rilasciare dichiarazioni simili. Come molti sanno i Martiri del Poligono furono accusati dell’attentato allo squadrista e commissario fascista Baciocchi, giustiziati senza prove e senza processo, torturati a sangue e fatti azzannare da un cane. Questo episodio drammatico seguì quello altrettanto cruento dei Martiri di Villa Pompeiana. In città vi è un ricordo profondo di questo episodio, descritto dal prof. Ercole Ongaro in “ Guerra e Resistenza nel Lodigiano”.
Attendiamo che le forze politiche di Destra, pur con valutazioni politiche differenti, sappiano e vogliano distinguersi dalle dichiarazioni dell’assessore Capezzera. E attendiamo in particolare una precisazione del presidente Foroni. Spieghi alla sua assessore che tali dichiarazioni, oltre ad essere disumane per la città di Lodi sono storicamente aberranti. Se non lo farà la sua Giunta inizierà il lavoro nel peggiore dei modi.
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La Lega punisce i poveri

Ancora Casale tiene banco sulle pagine della rubrica "Lettere & Opinioni" de Il Cittadino. Oggi una lettera di Andrea Barbieri, membro di Italia dei valori di Casalpusterlengo.
Casalpusterlengo - Sono questele radici cristiane della Lega?
Rassegna stampa.

Apprendo con un certo stupore che Casalpusterlengo è colpita da un increscioso fenomeno di cui, sorprendentemente, non ho mai notato la presenza. Il 21 Luglio scorso il sindaco leghista dott. Flavio Parmesani ha disposto un’ordinanza di divieto di accattonaggio su tutto il territorio cittadino sostenendo che «la presenza di soggetti che, specie in alcune vie centrali delcapoluogo (???) e delle periferie, presso le intersezioni stradali, effettuano attività di accattonaggio, ... crea evidente e reiterato pericolo per la circolazione e per le stesse persone che lo praticano». Evidentemente, il fatto che mai sino ad ora mi sia imbattuto in un solo mendicante non è altro che il frutto di straordinarie coincidenze. L’ordinanza aggiunge inoltre che «il persistere del fenomeno segnalato dalla Polizia Locale e dagli stessi cittadini... debba costituire oggetto di controllo per tutte le implicazioni di sicurezza urbana che vi si associano e per il senso di degrado che tali manifestazioni comportano». In sintesi, i mendicanti vengono ritenuti individui che, praticando l’accattonaggio,concorrono a peggiorare l’immagine della città mettendo in pericololoro stessi e la sicurezza dei cittadini.
Poco importa che questa sia gente disperata che vive di stenti e di privazioni. Anzi, per i leghisti, strenui difensori delle radici cristiane, questo comportamento va perseguito e sanzionato da 25 a 500 euro (non si capisce bene come un povero mendicante possa pagare tali somme).
Il messaggio è chiaro: è vietato elemosinare sul suolo pubblico e ai trasgressori saranno applicate sanzioni fino a 500 euro. La giusta punizione per essere poveri.
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Padania indipendente

Il leader della Lega a Venezia va all'attacco: non basta il federalismo, servono svolte epocali.
La sparata di Bossi: Padania sovrana.
Reazione, Fini e Casini lo provocano, ma lui risponde tornando al passato.

Rassegna stampa, Il Tempo, Giuseppe Sanzotta, 14 settembre 2009.

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Zorlesco in pellegrinaggio al Monasterolo

Un viaggio al Monasterolo.
Rassegna stampa - Il Cittadino, 14 settembre 2009.

Un pellegrinaggio nel Basso Lodigiano alla scoperta di uno dei luoghi più antichi del territorio, che sembra affondi le sue radici nel secondo secolo dopo Cristo, la cascina Monasterolo di Brembio.La parrocchia dei Santi Nazario e Celso di Zorlesco guidata da don Giampiero Chioda organizza infatti per oggi, festa della Santa Croce, alle ore 15.30 una Via Crucis all’antico crocefisso della cascina Monasterolo, con la riflessione e preghiera in condivisione con la parrocchia di Brembio. La cascina brembiese è di fatto un antico luogo di fede. Nell’850, in piena epoca di Carlo Magno, un gruppo di monaci benedettini provenienti dall’abbazia di San Pietro in Ciel d’Oro di Pavia, prendevano possesso di questa parte della terra lodigiana, donata all’abbazia da Liutprando Flavio, diciottesimo re dei Longobardi sul finire del 700 dopo Cristo. Da allora i monaci costruirono sulla riva del Brembiolo il loro “Monasteriolum” e concordi alla regola “ora ed labora” (prega e lavora) bonificarono quelle terre iniziandole all’agricoltura. Si costruì anche una nuova importante abbazia dedicata a San Michele. Nel 1519 ai monaci benedettini subentrarono i monaci Gerolamini che rimasero in questo luogo fino al 1750 quando si trasferirono a Brembio. L’antichissima chiesa fu annessa al cascinale e divenne oratorio di cascina dove si continuò a celebrare Messa, anche perché il Monasterolo era un paese vero e proprio con una quarantina di famiglie e più di 200 persone. Poi si registrò l’abbandono della vita agricola e la progressiva scomparsa dei braccianti agrari, dei contadini e l’inizio dell’attuale stato di degrado che vide i primi crolli dell’ormai vetusta chiesetta della cascina Monasterolo.
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In edicola oggi

14 settembre 2009
Le prime pagine dei giornali.






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Il messaggio che mancava

Bin Laden: "Liberatevi di Israele".
Il messaggio del leader di Al Qaida agli Usa: stop alla politica neo-con.

Rassegna stampa - Stampa.it, 14 settembre 2009.

A tre giorni dall’ottavo anniversario dell’11 settembre si è rifatto vivo Osama bin Laden. In un messaggio audio il leader di al Qaeda ha avvertito il popolo americano in merito agli stretti legami del suo governo con Israele, «che mi hanno indotto a organizzare gli attentati alle Torri Gemelle».
Il messaggio è stato diffuso da un sito islamista già in passato utilizzato dalla rete terroristica. «È arrivato per voi il tempo di liberarvi dalla paura e dal terrorismo ideologico dei neo-conservatori e della lobby israeliana che ha voluto le guerre in Iraq e Afghanistan», ha detto bin Laden nel messaggio, intitolato "Dichiarazione al popolo americano". Il supericercato ha spiegato quindi «le ragioni della disputa» con il popolo americano: «Il vostro sostegno a Israele, che occupa la nostra terra in Palestina».
Nel messaggio Bin Laden dice che non c’è stato un vero cambiamento nella politica Usa: Obama ha mantenuto esponenti dell’amministrazione Bush, come il segretario alla Difesa Robert Gates. «La Casa Bianca è occupata da gruppi di pressione. Anzichè combattere per liberare l’Iraq, come voleva Bush, è la Casa Bianca che dovrebbe essere liberata». «L’amara verità - ha insistito il capo terrorista - è che i neo-conservatori continuano a gettare un’ombra pesante su di voi». Non è la prima volta che Bin Laden ricompare tra settembre e ottobre. L’ultimo messaggio risale al 3 giugno: in quella occasione il leader di al Qaeda apparve in un video.
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