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giovedì 5 novembre 2009

Notiziario Brembiese, 8 - 5 novembre 2009

Notiziario Brembiese
Numero 8, 5 novembre 2009

Il Centro Anziani aperto la domenica
L'assessore ai Servizi alla persona Renato Noli avvisa, con un manifesto appeso presso tutti gli esercizi commenrciali del paese, che il Centro Anziani "Anni Sempre Verdi" sarà aperto la domenica dalle ore 15.00 alle ore 18.30. Presso il centro si potrà giocare a carte, a scacchi, a dama, a tombola, ballare, e quant'altro per socializzare e passare la domenica in compagnia. A partire da domenica 15 novembre, ore 16.00 intrattenimento musicale di Mary Barbieri; alle ore 18.30 aperitivo offerto dall'Auser.

La comunicazione per la tassa rifiuti (Tarsu)
I soggetti che dal 01/01/2009 hanno iniziato ad occupare o detenere locali e/o aree tassabili siti nel territorio del comune hanno l'obbligo ai sensi dell'art. 70 del D.Lgs 507/93 (di cui sotto si riportano i due commi che interessano) di presentare apposita denuncia d'iscrizione redatta su modelli predisposti e messi a disposizione dal comune entro e non oltre il 20/01/2010.
art. 70 Denunce.
1. I soggetti di cui all'art. 63 presentano al comune , entro il 20 gennaio successivo all'inizio dell'occupazione o detenzione, denuncia unica dei locali ed aree tassabili siti nel territorio del comune. La denuncia è redatta sugli appositi modelli predisposti dal comune e dallo stesso messi a disposizione degli utenti presso gli uffici comunali e circoscrizionali.
2. La denuncia ha effetto anche per gli anni successivi, qualora le condizioni di tassabilità siano rimaste invariate. In caso contrario l'utente è tenuto a denunciare, nelle medesime forme, ogni variazione relativa ai locali ed aree, alla loro superficie e destinazione che comporti un maggior ammontare della tassa o comunque influisca sull'applicazione e riscossione del tributo in relazione ai dati da indicare nella denuncia.

I soggetti che nel corso del 2009 hanno cessato di occupare o detenere locali e/o aree tassabili siti nel territorio del comune hanno l'obbligo ai sensi dell'art. 64 del D. Lgs 507/93 (si riportano sotto i commi 3 e 4) di presentare apposita denuncia cessazione redatta su modelli predisposti e messi a disposizione dal comune secondo le istruzioni normative sotto riportate.
art. 64 Inizio e cessazione dell'occupazione o detenzione.
(Omissis) 3. La cessazione nel corso dell'anno, dell'occupazione o detenzione dei locali ed aree, dà diritto all'abbuono del tributo a decorrere dal primo giorno del bimestre solare successivo a quello in cui è stata presentata la denuncia della cessazione debitamente accertata.
4. In caso di mancata presentazione della denuncia nel corso dell'anno di cessazione, il tributo non è dovuto per le annualità successive se l'utente che ha prodotto denuncia di cessazione dimostri di non aver continuato l'occupazione o la detenzione dei locali ed aree ovvero se la tassa sia stata assolta dall'utente subentrante a seguito di denuncia o in sede di recupero d'ufficio... (omissis).


Tir a campare che l'erba cresce
Il problema dei tir per il paese continua a rimanere un problema. Le foto sono di ieri.







Nella foto che segue un tir fermato e multato qualche giorno fa.



Strada del Polenzone
Ancora due fotografie di martedì di un tratto di strada che avevamo già evidenziato. Da queste foto si può intuire il motivo del cedimento, tenendo conto che l'acqua della Casala fuoriesce a monte da un altro condotto di caratteristiche analoghe, che le fa aumentare la velocità.




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Senz'acqua all'improvviso

Per una riparazione un intero quartiere rimane improvvisamente senz’acqua. Nel ripristino si scopre anche un danno all’impianto fognario.

Per circa un’ora, oggi, delle 13,30 alle 14,30 è stata sospesa l’erogazione dell’acqua potabile in tutto il quartiere di via Roma a causa di una perdita dell’acqua potabile, che da qualche tempo perdurava. All’altezza del civico n° 9, gli operai di Amiacque sono intervenuti, da questa mattina, su segnalazioni ripetute di L.G. che da più di un anno lamentava formazioni di umidità che via via diventavano più estese col progredire dei giorni, sostituendo una saracinesca che nel tempo si era rotta e perdeva acqua in continuazione. Dallo scavo effettuato per la sostituzione dell’elemento deteriorato, emergeva anche una perdita di liquido dal pozzetto adiacente che raccoglie le acque fognarie di via Roma e le convoglia nello scarico fognario. Vi è da dire, però, che da più di tre anni si poteva notare, dal ponte del Brembiolo, il riversarsi di liquido che filtrava dalla massicciata e si disperdeva nelle acque del canale in maniera costante e senza conoscerne, per i più anziani, la provenienza. È emerso che, a seguito del riempirsi di liquido nella buca eseguita per la sostituzione della saracinesca, il pozzetto, per una cattiva impermeabilizzazione dovuta forse al tempo, al traffico, e forse a un poco ortodosso ingresso delle acque reflue, lasciava che parte di queste fuoruscissero provocando l’allagamento del terreno circostante con la conseguente umidità nell’abitazione e il travaso nel Brembiolo. Dopo un primo sopraluogo nei giorni scorsi, l’intervento con la sostituzione della saracinesca; e a detta dei tecnici di Amiacque, quanto prima necessita il ripristino del pozzetto. Una considerazione però, va fatta in merito agli interventi che di volta in volta si susseguono nel paese, che sia l’impianto fognario sia quello dell’acqua potabile del paese, richiedono un esame sullo stato di salute; anche perché il passare degli anni, l’aumento della popolazione con un diverso uso dell’acqua e il traffico stradale differente e aumentato dal tempo della posa delle opere, qualche danno possono averlo combinato.






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I libri parlano di noi

Primo raggio.
La vita, un libro che ricomincia.
Rassegna stampa - Avvenire, Vincenzo Andraous, 4 novembre 2009.

I libri parlano di noi, ieri, oggi, di noi domani, non si rassegnano all’esistente iniquo, libri e pagine somigliano agli anni che passano, testimoni di un tempo dove gli uomini sono chiamati a rispondere per tanta vita giocata male. Le righe non stanno mai ferme, gli accenti rimbalzano, le virgole esplodono mentre la punteggiatura trattiene il respiro, allora sono le pause a marcare il passo, a dare uno spazio all’esperienza, attraverso l’accoglienza e l’accompagnamento delle parole. Uno ripensa alla propria strada, quella che ha lasciato, l’altra che ha trovato, quell’altra che non ha saputo bene interpretare, senza temere l’urto del rimorso, del rimpianto, del limite che non fa sconti a nessuno, senza rinnegare le emozioni che hanno dato senso ai suoi passi, lo fa con il desiderio di non ricadere due volte nello stesso errore.
Un libro è come una voce che viene da lontano, dapprima incomprensibile, indecifrabile, pian piano diventa nota che sale per resistere ai piani inclinati della vita, e come la storia di ognuno, continua su una pagina nuova, scritta ora, letta ieri, appoggiata nella polvere, nel colore sbiadito, al tempo che non muore mai. Il libro è accarezzato dagli occhi, le pagine corrono, circondano le zone d’ombra, quelle che sfuggono, che stanno lontane, ma hanno desiderio di rivelarsi, di mostrarsi, anche quando il bilancio è chiaramente in rosso, e non è facile distaccarsi dal passato, e dal suo peso, consapevoli che non è più nelle nostre mani, sono già parte del presente e del futuro. Un libro non è solo carta, inchiostro, segni, è anche strumento di conto, è somma, detrazione, dove le certezze, i superlativi degli assoluti, sono pandemia del dubbio, persino quando si ha bisogno di credere a Dio nel domani negato. Quanti volumi sono passati da una mano all’altra, quante storie sono rimaste appese a un filo di voce. I libri sono come le persone, bisogna trattarne bene le angolature, le spigolature, le assenze e le presenze, hanno storie e mondi a cui appartengono, posseggono anima, come gli uomini che li leggono, soffrono, amano, mantengono l’umanità a immagine e somiglianza di quello scrittore sgangherato, così bravo da diventare architetto non solo della parola, ma della vita che abbiamo il dovere di vivere.
Una pagina dietro l’altra, sopra l’altra, per comprendere cosa siamo capaci di fare, quanto sappiamo combattere per onorare una responsabilità, quanto siamo coscienti delle idee e delle parole che fanno amore, passione, sacrificio.
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Per i lavoratori il rischio di restare a casa

Cassa integrazione alla Poligof di Pieve, alla Pregis di Ossago, alla Artech di Senna e alla Italplastica di Tavazzano. Quattro aziende chimiche in affanno. Ordini in calo, sessanta lavoratori rischiano di restare a casa.
Rassegna stampa - Il Cittadino, Lorenzo Rinaldi, 5 novembre 2009.

Altre quattro aziende lodigiane del settore chimico alle prese con la cassa integrazione. In tutti i casi il ricorso agli ammortizzatori sociali è motivato da una contrazione degli ordini. Accordo raggiunto tra sindacati e responsabili aziendali per la Poligof di Pieve Fissiraga, ditta che conta un centinaio di dipendenti e che produce pellicole plastiche per imballaggi. L’azienda ha chiesto e ottenuto 12 mesi di cassa integrazione straordinaria (in scadenza il 31 ottobre 2010) per un massimo di 40 lavoratori a rotazione, a partire dallo scorso 2 novembre. «In base a quanto garantito dai vertici della ditta - spiega Francesco Cisarri, segretario provinciale Filcem Cgil - ogni dipendente dovrebbe lavorare almeno 15 giorni ogni mese». L’azienda di Pieve arriva da un lungo periodo di cassa integrazione ordinaria e da una ristrutturazione interna che ha portato alla chiusura del polo di Tribogna (Genova) e ad alcune fuoriuscite per il polo lodigiano. «La Poligof ha terminato la disponibilità di cassa integrazione ordinaria - aggiunge Giampiero Bernazzani, segretario provinciale Femca Cisl - e visto che la situazione di mercato è simile a quella di alcuni mesi fa, con un calo degli ordini, si è optato per la cassa straordinaria come alternativa alla mobilità, cioè agli esuberi».
Cassa integrazione ordinaria agli sgoccioli invece nel caso della Pregis di Ossago, azienda che conta un centinaio di dipendenti e che è specializzata nella produzione di imballaggi. Fino al termine del mese di novembre l’azienda ha la possibilità di utilizzare la cassa ordinaria, che finora ha coinvolto mediamente una ventina di lavoratori. I sindacati prevedono però che sarà necessario ricorrere nuovamente agli ammortizzatori sociali. «L’ipotesi - spiega Cisarri - è di arrivare a fine anno, eventualmente con la cassa ordinaria e con le ferie, per poi avviare la cassa integrazione straordinaria dal prossimo mese di gennaio». Al momento, tuttavia, non è ancora iniziata la trattativa su quest’ultimo punto: il confronto dovrebbe essere anticipato da un vertice nella sede dell’associazione degli industriali di Lodi, per poi entrare nel vivo in regione Lombardia, dove si discutono le procedure di cassa straordinaria. Due aziende chimiche di minori dimensioni, infine, hanno fatto ricorso in questi giorni alla cassa ordinaria. «Si tratta di realtà che finora avevano retto senza l’utilizzo di ammortizzatori sociali», sottolineano i sindacati. La Artech di Senna Lodigiana ha chiesto 13 settimane di cassa integrazione ordinaria per un massimo di 20 lavoratori (18 operai e 2 impiegati), a partire dal mese di novembre. La Artech, che conta un totale di 26 lavoratori, si occupa di stampaggio termoplastico. La Italplastica di Tavazzano, infine, ha chiesto 13 settimane di cassa integrazione ordinaria per un massimo di 10 lavoratori a partire dal mese di novembre. L’azienda, che occupa una ventina di dipendenti, realizza componenti per tapparelle e dunque è legata al settore dell’edilizia.
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Avviso ai naviganti

Come il nostro lettore attento avrà avuto modo di notare, stiamo aggiornando alcune sezioni del blog aggiuntive, che si appoggiano su un server esterno, e sviluppando il software per la loro gestione. In particolare stiamo ultimando i lavori relativi all'implementazione della Biblioteca Digitale, dell'Archivio della politica locale e dell'Archivio fotografico e stiamo convertendo in pdf, nel secondo caso, volantini e l'altro materiale che in questi anni abbiamo raccolto e che metteremo online. Questo purtroppo comporta dei ritardi nell'aggiornamento di alcune sezioni come, ad esempio, la rassegna stampa, e di questo ce ne scusiamo. Per quanto riguarda la rassegna stampa in particolare metteremo online a partire dai prossimi giorni l'arretrato, cioè gli articoli più rilevanti che intendevamo segnalare, e che non siamo riusciti ad inserire, in modo da garantire così una continuità temporale "di qualità e di quantità" per chi è solito utilizzare il servizio.
Tornando ai tre archivi stiamo lavorando al momento principalmente sulla Biblioteca Digitale, arricchendola di contenuti con una frequenza che al momento rende poco utile la segnalazione dei nuovi inserimenti nell'apposito spazio della homepage. Pertanto consigliamo chi volesse seguire quotidianamente l'aggiornamento di andare direttamente al catalogo generale.
Tenete conto che tutto il lavoro è svolto da volontariato e, dunque, risente da fattori esterni, impegni personali e quant'altro. Certi della vostra comprensione, intendiamo ringraziare tutti quanti voi, che ci seguite, per l'interesse dimostrato verso questo nostro lavoro.
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Quale futuro per Eal Compost?

L’assemblea dei soci di Eal Compost vara l’aumento di capitale.
Rassegna stampa - Il Cittadino, 5 novembre 2009.

Inizia oggi il conto alla rovescia per la “rivoluzione” destinata a segnare il rilancio o meno di Eal Compost. Alle 18 è infatti in programma l’assemblea dei soci, nel corso della quale verrà presentato il prossimo aumento di capitale, finalizzato tanto a coprire il “buco” di bilancio (circa 2 milioni di euro) quanto a capire quanti degli attuali soci prioritari intendano continuare a investire nella società che gestisce l’impianto di compostaggio di Terranova dei Passerini. Dietro l’angolo, infatti, dovrebbe esserci l’ingresso nella società di uno o più nuovi soggetti imprenditoriali, ai quali secondo le voci circolate negli ultimi tempi potrebbe spettare un ruolo di nuovo socio di maggioranza. In quest’ottica, l’aumento di capitale, stimato tra i 2 e i 3 milioni di euro, potrebbe non solo portare a un’eventuale “scrematura” o ridimensionamento dei partner attuali (Eal spa al 30 per cento, la Cre per il 10 per cento, Asm, Teknogreen, Lodigiana Ambiente e Basso Lambro Impianti e Sorgenia Bioenergy, entrata in estate con 500mila euro), ma anche spianare la strada alla selezioni delle candidature arrivate a Eal Compost per un nuovo ingresso in società. «C’è interesse da parte di più soggetti, con profili molto interessanti - confermano da Eal Compost -. Speriamo si concluda, entro Natale dovrebbe andare in porto». Parallelamente alla sistemazione degli equilibri finanziari, la sopravvivenza della società passa infatti anche dal nuovo piano industriale. Il primo punto in agenda, a tale proposito, resta la soluzione degli odori molesti emanati che continuano a creare disagi ai cittadini dei comuni limitrofi, e per risolvere i quali è in rampa di lancio un preciso adeguamento strutturale. In seconda battuta, invece, nell’area compost di Terranova è prevista anche la creazione di un ulteriore impianto, probabilmente un biodigestore: un intervento previsto nel suo nuovo piano rifiuti dalla stessa provincia di Lodi (socia di Eal Compost attraverso la sua partecipazione in Eal spa), e che potrebbe trovare l’input per la realizzazione proprio nei liquidi garantiti dall’eventuale nuovo socio di maggioranza.
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Silenzio assordante

Tavazzano. Parla il sindacato dei giornalisti. «Minacce a Cavalli, serve più solidarietà».
Rassegna stampa - Il Cittadino, R. M., 5 novembre 2009.

Tavazzano - «Come mai a Lodi e a Milano, città gelose della propria libertà, i cittadini, i circoli e le istituzioni hanno “lasciato correre” una cosa così grave? Cosa significa questo silenzio assordante?». E il silenzio, se si tratta della vicenda di Giulio Cavalli, l’attore e autore lodigiano «minacciato di morte dalla mafia per aver preso in giro Bernardo Provenzano in alcuni spettacoli in piazza in Sicilia e in Lombardia», pesa. Parola di Alberto Spampinato, quirinalista dell’Ansa, consigliere nazionale della Federazione Nazionale della Stampa Italiana, il sindacato dei giornalisti.
Il giornalista è intervenuto sulla vicenda di Giulio Cavalli come direttore di Ossigeno per l’Informazione, nell’ambito dell’Osservatorio Fnsi sui cronisti minacciati e le notizie oscurate con la violenza. «Com’è che i giornali, tranne rare eccezioni, non parlano di questa storia dell’attore lodigiano Giulio Cavalli minacciato di morte della mafia? Come mai il mondo del teatro non dice una parola su un attore che da un anno è costretto a girare con la scorta?» è la domanda che apre l’intervento di Spampinato. Ma il giornalista si spinge oltre e parla anche di “paura” e “rassegnazione” che portano inevitabilmente all’isolamento di una vittima dell’ingiustizia.
«Questa vicenda dovrebbe produrre solidarietà, sostegno e protezione di una voce libera e coraggiosa - ha aggiunto Spampinato -; molti italiani pensano che in questa storia se c’è uno che ha sbagliato, è Giulio Cavalli, che usando una formula molto usata “se l’è cercata”». Il consigliere della Fnsi parla anche degli effetti del condizionamento mafioso al nord, in cui ora vige la stessa regola del silenzio che stabilisce che «un attore, uno scrittore, un giornalista per vivere tranquillo non deve mai comportarsi come Giulio, né come quell’altro matto di Roberto Saviano, né come quei cronisti scriteriati alla Lirio Abbate, Rosaria Capacchione e via elencando. No, chi vuole vivere senza minacce di morte o di altre rappresaglie può farlo semplicemente attenendosi alla regola di parlar d’altro e fingere che la mafia non esista». Una regola comoda e fin troppo facile da rispettare, «per questo abbraccio Giulio Cavalli, Roberto Saviano e tutti i matti come loro».
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Chi è colpa del suo mal, peste lo colga

Casale. «Dobbiamo difendere le radici cristiane»: Parmesani sta già pensando alle ronde.
Rassegna stampa - Il Cittadino, 5 novembre 2009.

Ronde pro crocefisso a Casale: all’indomani della sentenza dell’Unione Europea che toglie l’emblema cristiano dalle aule delle scuole, l’amministrazione comunale non perde tempo e studia subito delle iniziative per tutelarne la presenza. «Parliamo di ronde solo per comodità, però, per identificare un’azione volta a tutelare e mettere in sicurezza il crocefisso - spiega il sindaco Flavio Parmesani che per primo ha usato quel termine -. In realtà stiamo studiando tutte le opzioni, e nei prossimi giorni le metteremo in atto». Tra le varie ipotesi c’è la possibilità di una verifica di persona da parte degli amministratori sul mantenimento dei crocefissi in aula, ma anche un atto d’indirizzo amministrativo o un semplice invito formale ai responsabili degli istituti perché vigilino sulla presenza del crocefisso. «È nostra intenzione tutelare con forza questo simbolo delle radici cristiane dell’intero occidente, aldilà della decisione assurda e non condivisibile dell’Unione Europea (in realtà è la Corte europea dei diritti umani», continua Parmesani. La scelta dell’amministrazione casalina di centrodestra affonda le motivazioni nelle stesse linee programmatiche di mandato, nelle quali è espressamente richiamato il valore e la valorizzazione delle tradizioni e delle radici cristiane dell’Occidente. «Partendo da quel presupposto, che è un punto programmatico importante per lo svolgersi amministrativo dell’azione politica, non possiamo che farne derivare un preciso impegno a tutelare il crocefisso nelle nostre scuole», conclude Parmesani.
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Rinviati a giudizio

Dipendenti ed ex dirigenti provinciali accusati di corruzione e truffa per viaggi all’estero e regali pagati da ditte autorizzate. Rifiutopoli: finiscono tutti a processo. Imputati in 18 per scavi abusivi in Po e Lambro e rifiuti in una cava.
Rassegna stampa - Il Cittadino, Carlo Catena, 5 novembre 2009.

Diciotto persone e due aziende sono state rinviate a giudizio dal gup di Lodi per l’inchiesta “Rifiutopoli” del pm Paolo Filippini: il giudice per l’udienza preliminare Luigi Gargiulo ha accolto integralmente le richieste della procura della Repubblica, rigettando tutte le richieste degli avvocati difensori, a partire da quella di suddividere l'eventuale processo tra il tribunale di Milano, suggerito come competente sui reati inerenti i rifiuti, e quello di Piacenza, nella cui giurisdizione invece secondo i legali sarebbe avvenuta la maggior parte dei furti di sabbia e ghiaia. Il processo si aprirà quindi innanzi al tribunale di Lodi in composizione collegiale il 18 febbraio.Tre le principali linee dell’accusa. La prima, l’escavazione abusiva di inerti dai fiumi (per la procura 700mila metri cubi dal 2003 e fino al 2007: Paolo, Alessandro e Monica Burlini, Walter Campolonghi, Sandro Vidi, Pier Ferrandi, Claudio Benvenuti, Vincenzo Mantovan e Daniele Dallarda sono indagati per furto pluriaggravato e per pericolo di esondazioni per scavi alla foce del Lambro e nell’alveo del Po, nei territori dei comuni di Senna, Orio, Somaglia, Guardamiglio e San Rocco al Porto. L’ingegner Luigi Mille dell’Aipo, imputato per favoreggiamento, secondo l’accusa avrebbe avvertito Alessandro Burlini di controlli in arrivo e indagini in corso.
La seconda linea riguarda le modalità di smaltimento delle terre di spazzamento stradale che, con l'ok della Provincia di Lodi, venivano usate da aziende dei Burlini per il “ripristino ambientale” della cava Forca di Orio Litta: secondo il pm e i suoi periti queste terre contenevano troppi metalli e idrocarburi: per questo ai Burlini ma anche agli imprenditori Valter Sgaravatto di San Martino in Strada e Marco Ciresa di Como, soci e amministratori delle ditte Ecoeuropa e Ciresa (ora fallite con un “buco” complessivo di oltre 20 milioni di euro e a giudizio per responsabilità d’impresa) agli allora funzionari provinciali Claudio Samarati e Damiano Gritti e ai dipendenti del gruppo Burlini Pier Ferrandi, Bassano Arensi e Roberto Cabisto viene contestata la gestione abusiva di rifiuti speciali, sia per le sabbie sia per altre 90mila tonnellate circa di rifiuti costituiti da miscele bituminose.
La terza accusa, di corruzione, invece riguarda funzionari e dipendenti della Provincia di Lodi, tra cui l'ex comandante della polizia provinciale Angelo Ugoni (che invece è stato prosciolto dall'ipotesi di falso ideologico) che avrebbero partecipato a vacanze in Italia e all’estero, dalla Sardegna a Parigi, Praga e Cuba, pagate dalle ditte Ciresa, Ecoeuropa e Waste Consulting Spa, le prime due destinatarie di autorizzazioni o controlli della Provincia. Alcuni avrebbero anche ricevuto costosi regali. Con un’ulteriore contestazione: in alcuni casi i dipendenti e i funzionari avrebbero fatto figurare giornate di lavoro, anche all’esterno della sede della Provincia, invece di usufruire delle ferie, il che configura per la procura truffa aggravata ai danni dello Stato. Risulta alla procura che ad alcuni di questi viaggi abbiano partecipato anche “escort” dell’Est Europa. Da “Rifiutopoli“ è nata anche l'indagine stralcio a carico di un alto ufficiale dell'Arma che in passato avrebbe informato un indagato di attività investigativa. Gli avvocati difensori si riservano la richiesta di riti alternativi alla prima udienza. Istanza possibile solo in vista dell’applicazione dell'indulto: per i fatti avvenuti prima del 2 maggio del 2006, trattandosi per di più di imputati tutti al momento incensurati, potrebbe essere invocato lo “sconto” di tre anni sulle eventuali pene. Un’altra incognita la “prescrizione breve” meditata dal governo Berlusconi, applicabile ai reati di “Rifiutopoli”.
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L'inricattabile libro stampato

I legali: «Legittimo impedimento per l'udienza sui diritti tv del 16/11». Ma in futuro il premier presenzierà. Il Cav. va alla Fao non al processo. Chiesto il rinvio ai giudici di Milano.
Rassegna stampa - Liberazione, Angela Mauro, 4 novembre 2009.

Parla da almeno una settimana solo attraverso il libro di Bruno Vespa, quello ormai annuale, l'edizione 2009 che si chiama "Donne di cuori". E anche la giornata di ieri non ha fatto eccezione. «Nessuno dispone di armi di ricatto nei miei confronti», dice il premier Silvio Berlusconi in un altro stralcio del libro di Vespa. «Vale per oggi come per il passato. Quando nei miei confronti sono state avanzate rìchieste che secondo il giudizio mio e dei miei legali si configuravano come ricattatorie, mi sono immediatamente rivolto all'autorità giudiziaria...». Il riferimento è al caso Zappadu, il fotografo autore di scatti "proibiti" a Villa Certosa che, prima dell'estate, si diceva fossero nelle mani di agenzie giornalistiche estere. Ma un riferimento implicito c'è anche al caso Marrazzo, dimessosi dalla presidenza della Regione Lazio dopo lo scandalo sui trans. Ma più che per le affermazioni sui ricatti, Berlusconi ieri fa notizia per un'altra iniziativa, sua e dei suoi legali, che dà il senso di quella che sarà la sua strategia nei processi giudiziari che lo riguardano e che ora riprendono dopo la bocciatura del lodo Alfano da parte della Consulta.
Tramite i suoi legali, il Cavaliere ha chiesto il rinvio dell'udienza del processo sui diritti tv di Mediaset prevista per il 16 novembre, nel quale è imputato per frode fiscale. Causa di questo primo "legittimo impedimento" è la partecipazione del presidente del Consiglio al vertice mondiale della Fao che si terrà a Roma proprio in quella data. In apertura dell'udienza, saranno i giudici di Milano ad esprimersi sull'accoglimento della richiesta. Ma Berlusconi fa anche sapere che per il futuro non è intenzionato a calcare la mano sul legittimo impedimento e anzi, scrivono i legali, «ritiene necessaria la sua partecipazione a ogni udienza dibattimentale». Il Cavaliere dunque non si sottrarrà alle convocazioni in tribunale, puntando magari a sfruttarle in chiave mediatica come ha già fatto in passato. Intanto, i suoi recenti attacchi ai magistrati di Milano («comunisti») hanno determinato l'intervento del Csm, che ha aperto pratiche a tutela dei giudici milanesi e anche di quelli di Palermo, impegnati nelle nuove inchieste di mafia e accusati di cospirare contro il presidente del Consiglio.
Torniamo alla "bibbia" di Vespa. Berlusconi se la prende con la sentenza sul lodo Mondadori che condanna Fininvest a risarcire la Cir di De Benedetti con 750milioni di euro. Ipotesi «assurda», dice e racconta che l'operazione gli fu imposta da «Craxi e Andreotti». Poi parla della necessità di andare avanti sulla riforma della giustizia. E incassa anche la solidarietà degli alleati perchè anche Gianfranco Fini, con il solito Vespa, auspica una «grande stagione costituente». Il punto è che «bisogna capire se si punta ad abbreviare i processi oppure le prescrizioni», rispondono dal Pd, segno che il partito a neo-guida bersaniana ancora non riesce ad avere un quadro chiaro su come intendere il rapporto con la maggioranza di governo. Da parte sua, Berlusconi puntualizza l'idea di divisione delle carriere, «tra avvocati dell'accusa e magistrati giudicanti, con due distinti Ordini superiori». Ma il libro di Vespa ripropone i termini dello scontro al calor bianco di qualche mese fa tra Berlusconi e Fini. «Talvolta accade che Berlusconi confonda la leadership con la monarchia assoluta», dice il presidente della Camera nel libro, sebbene, precisa lo stesso Vespa, si tratti di parole pronunciate prima del chiarimento con Berlusconi. Ma il dialogo nel Pdl resta in salita, lo segnala anche la neonata creatura di Miccichè in Sicilia, il gruppo autonomo alla Regione. Con Vespa Fini non si sbilancia sul dopo Berlusconi. «Se ne parlerà quando arriverà. Cosa voglio fare da grande? Invecchiare...». Nel pomeriggio intanto ha avuto da fare con Giulio Tremonti. Un'ora di colloquio alla Camera che magari sarà servito per chiedere spiegazioni al ministro dell'Economia sulla mancanza di coperture finanziarie ai testi in commissione che ha costretto Fini a sospendere i lavori di Montecitorio per una settimana. Oggi altro vertice clou: Fini, Bossi e Berlusconi sulle candidature alle regionali.
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Alfano «ha fatto la sua parte»

Il ministro in Senato, presente la sorella. Sit in Prc-Fgci. «Così è morto Cucchi». Ma Alfano non chiarisce tutto.
Rassegna stampa - Liberazione, Rosy Marano, 4 novembre 2009.

Quando si chiude il dibattito seguito alla relazione del ministro Alfano al Senato sul caso Cucchi, la sorella di Stefano, Ilaria - che ha assistito dalla tribuna del pubblico - è palesemente perplessa. Nel suo tailleur nero, che la fa ancora più minuta, ringrazia il Guardasigilli («Ha fatto la sua parte») e le istituzioni, ma preferisce non commentare direttamente ciò che ha appena ascoltato: ci sono "novità" che «analizzeremo e approfondiremo». E sì, perché la relazione del ministro della Giustizia anziché dissipare i dubbi ne aggiunge di nuovi.
«Uno stato democratico - esordisce Alfano - assicura alla giustizia e può privare della libertà chi delinque, ma non può privare nessuno della propria dignità, della propria salute e della propria vita. Ecco perché il governo è in prima linea nell'accertamento della verità. Ecco perché sentiamo per intero il dovere di impegnare tutte le energie per accertare chi ha determinato questo tragico quanto inaccettabile evento. Per fare ciò - continua Alfano - il governo si è immediatamente attivato, acquisendo le informazioni che erano prontamente disponibili». Gli eventuali «responsabili saranno chiamati ad assumersi le proprie responsabilità senza sconto alcuno».
Naturale che i senatori dell'opposizione Pedica e Finocchiaro, nel dibattito seguito alle comunicazioni del ministro, lo prendano in parola: bene, è il senso delle loro parole, allora vai avanti e scopri come sono andate le cose, visto che finora nella tragica vicenda Cucchi non c'è una sola certezza, nemmeno dopo la relazione, scandita sul filo dei minuti e molto "dettagliata", sugli ultimi giorni di vita del ragazzo. Intanto, il ministro nulla dice del perché a Cucchi sia stato assegnato un avvocato d'ufficio. Poi, si scopre che lo stato di salute di Stefano "cambia" nel giro di mezz'ora. Fino alle 13,30 circa del 16 ottobre (il giorno dopo l'arresto) quando si svolge l'udienza al tribunale, nessuno "nota" né ecchimosi, né fratture (e l'elenco di chi avrebbe potuto è assai lungo). Alle 14,05, invece, «Stefano Cucchi - riferisce Alfano - è stato repertato dal medico dell'ambulatorio della città giudiziaria, il quale ha riscontrato "lesioni ecchimotiche in regione palpebrale inferiore bilateralmente" ed ha avuto riferite da Stefano Cucchi medesimo lesioni alla regione sacrale ed agli arti inferiori». I successivi accertamenti medici confermeranno le fratture alla «vertebra coccigea». Le «ecchimosi agli occhi sarebbero state riportate in conseguenza di una caduta avvenuta accidentalmente il giorno prima del suo compleanno», cioè circa una settimana prima. Domanda: come mai nessuno le ha segnalate prima? Domanda 2: anche la frattura è conseguenza della caduta? Domanda 3: come si fa a stare una settimana in piedi con una vertebra rotta?
In realtà, il padre ha sempre raccontato di aver notato subito quei segni sul volto del figlio durante l'udienza in tribunale, segni che la sera prima, in occasione della perquisizione domiciliare di rito subito dopo l'arresto, non c'erano; dunque, sono comparse all'improvviso? Oppure si vuole dare ad intendere che in fondo si trattava di «ferite o ecchimosi» non «diverse da quelle tipiche della tossicodipendenza in fase avanzata»? Che, cioè, Stefano era già malandato di suo? Proprio contro il tentativo di insinuare dubbi sul reale stato di salute del ragazzo, la famiglia ha deciso di querelare i medici dell'ospedale Pertini per aver divulgato «informazioni infamanti»: sì, dice la sorella, Stefano era stato tossicodipendente, ma ne era uscito da tre anni.
Ma ciò che lascia incredula la famiglia, è l'affermazione del ministro Alfano, secondo il quale «come si evince dalla documentazione, Stefano Cucchi» ha manifestato «per iscritto la propria volontà di non autorizzare i sanitari al rilascio di notizie mediche ai propri familiari». Per iscritto? «Aspetto di vedere la firma di mio fratello», commenta lapidaria Ilaria Cucchi. Et voilà, ecco che spunta il documento: un foglio, intestato al Dap, sul quale campeggiano due bei "No" sopra lo spazio dove andrebbero inseriti i nomi e il grado di parentela delle persone autorizzate. Sotto c'è la firma, sulla cui autenticità i genitori già esprimono dubbi. Tant'è.
«Il ministro della giustizia non ha chiarito nulla - come commentano Giovanni Russo Spena, responsabile giustizia del Prc, e Maurizio Acerbo, consigliere regionale - Anzi ha portato qualche elemento che è stato giustamente ritenuto offensivo e falso dalla famiglia». «Chi è stato e perché?» recitavano i cartelli dei militanti del Prc e dei giovani comunisti del Pdci in presidio fuori da Palazzo Madama durante la relazione di Alfano: domande ancora in piedi dopo le parole del Guardasigilli, visto che «le forze dell'ordine - commenta il segretario del Prc Ferrero - si stanno comportando al contrario di quanto dovrebbero: devono dire la verità e smetterla di comportarsi come una tribù».

Indagine parlamentare sull'efficienza dei sanitari. Ma dov'è scritto che rifiutava cure e colloqui?
Rassegna stampa - Liberazione, KB, 4 novembre 2009.

Meno convincente di Giovanardi quando riferiva alle camere e alla tv che Federico Aldrovandi era un eroinomane. Il guardasigilli Alfano tira fuori in Senato il suo asso dalla manica sul caso Cucchi e il pubblico lo può osservare poco dopo su un sito di casa Berlusconi (panorama.it). Si tratta del modulo che avrebbe firmato Stefano al repartino del Pertini per negare ogni informazione ai familiari. Il condizionale è d'obbligo in ogni passaggio di questa vicenda così poco lineare da spingere la commissione parlamentare d'inchiesta sul servizio sanitario nazionale ad aprire un'indagine sull'appropriatezza e sulla qualità delle cure somministrate al detenuto per possesso di marijuana e ricoverato nel padiglione penitenziario del Pertini di Roma dove è morto quattro giorni dopo, all'alba del 22 ottobre. Spiega il presidente Ignazio Marino che l'obiettivo dell'inchiesta è di capire se ci siano stati errori e omissioni da parte dei sanitari che, fino a ieri, avevano fatto trapelare che avrebbero tanto voluto incontrare i genitori di Cucchi ma che nessuno gli fece sapere che madre, padre e sorella facevano anticamera da giorni per sentirsi dire sempre la stessa bugia dalla polizia penitenziaria: serve un permesso del magistrato per incontrare i dottori. Il permesso serve solo per un colloquio col detenuto. Intanto il ragazzo crepa da solo e i medici fanno trapelare che stavano scrivendo al magistrato per esprimere il loro disagio e quanto sarebbe stato necessario confrontarsi con la famiglia. Ma quella lettera, se mai fu scritta, non fu mai spedita. Mo' arriva il modulo firmato da Cucchi di cui nessuno sapeva nulla. Spunta dieci giorni dopo che il caso riempie le cronache. E ai familiari - che chiedono una perizia sulla firma - appare autentico come una banconota da undici euro. Intanto le prime carte sequestrate dai Nas al Pertini per conto di Marino,rivelano che Stefano aveva uno strano modo di rifiutare le cure. Infatti si sarebbe fatto prelevare il sangue ma non avrebbe fornito il consenso per robe meno invasive come le lastre e l'ecografia. Peccato che proprio quegli esami avrebbero dato conto dell'entità delle sue fratture e del sangue allo stomaco. «Assurdo pensare che in quelle condizioni Stefano abbia firmato un documento del genere. Anche se fosse vero sarebbe servita una perizia psichiatrica», reagisce l'avvocato della famiglia, Fabio Anselmo . E neppure è vero che Stefano non avrebbe cercato di contattare la famiglia. Il giorno prima di morire vide una volontaria e la pregò di contattare sua sorella. Voleva parlare con suo cognato, desiderava una bibbia, si preoccupava che la sua cagnolina stesse bene finché lui sarebbe uscito. Non cozza con tutte le versioni ufficiali di questa storia? Le undici domande di Liberazione , pubblicate domenica e martedì, si arricchiscono di nuovi interrogativi: a che ora fu arrestato, alle 22 o alle 23.30? Perché alle 15.45 del venerdì, 18 ore dopo l'arresto, ha dei lividi sotto gli occhi e strisciate rosse dallo zigomo alla mascella fino dietro la nuca? Perché al pronto soccorso, per due volte, ebbe il codice verde, il colore delle non urgenze? Perché a Regina Coeli non ci sarebbe stato il tempo per una visita psicologica ma poi ci sarebbero volute quattro ore per raggiungere il Fatebenefratelli a meno di due chilometri?
«Le forze dell'ordine devono dire la verità e smetterla di comportarsi come una tribù - dice il segretario di Rifondazione Comunista, Paolo Ferrero , davanti a Palazzo Madama coi Giovani comunisti, mentre Alfano riferisce in Aula - forse i medici non hanno fatto al meglio il loro dovere ma il tema è più ampio: il governo infatti sta eliminando, categoria dopo categoria, i diritti delle persone, dai tossicodipendenti ai clandestini. Prima viene il diritto alla libertà, poi tutti gli altri».
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La sentenza della Corte europea fa discutere

Algido laicismo.
Prova di accecata sentenziosità.

Rassegna stampa - Avvenire, Francesco D'Agostino, 4 novembre 2009.

La sentenza della Corte europea dei diritti dell’uomo, che condanna l’Italia per l’e­sposizione del crocifisso nelle aule scolastiche, non si basa di certo su argomentazioni nuove o approfondite, ma si limita a ribadire il prin­cipio laicista, che vede in qualunque simbolo religioso cui venga dato rilievo in un’istituzio­ne pubblica un attentato alla libertà religiosa e per quel che concerne le scuole alla libertà di educazione. La sentenza richiama somma­riamente, ma con una certa precisione, le ar­gomentazioni in base alle quali la magistratu­ra italiana, dopo qualche tentennamento, era giunta a concludere che nella tradizione del nostro Paese il crocifisso non è un simbolo e­sclusivamente religioso, ma culturale e civile: in esso si condensa gran parte della storia ita­liana, in esso si riassume una sensibilità diffu­sa e presente non solo nei credenti, ma anche nei non credenti. In quanto icona dell’amore, della donazione gratuita di sé e della violenza estrema cui può soccombere l’innocente, quando le forze del male lo aggrediscono, il crocifisso è un simbolo universale, non con­fessionale. Gli spiriti veramente grandi l’han­no sempre compreso: se non tutti credono in Gesù come Cristo, nell’umanità sofferente del­l’uomo Gesù, appeso alla croce e che accetta il supplizio, dobbiamo se non credere, alme­no avere tutti un profondo rispetto, se non vo­gliamo ridurre la convivenza tra gli uomini a un mero gioco di forze anonime e crudeli.
Tutto questo, evidentemente, non è stato per­cepito dalla signora Soile Lautsi, la madre che pur di fare eliminare il crocifisso dalle aule, ha iniziato (nel 2002) una lunga, complessa (e, presumo, anche costosa) procedura giudizia­ria, né è stato percepito dai giudici che alla fi­ne hanno accolto le sue ragioni. La vicenda giudiziaria potrà riservarci ancora sorprese. Quello che non ci sorprende più, purtroppo, è l’accecamento ideologico che sorregge questa vicenda, la completa indifferenza per le ragio­ni della storia e della cultura, l’illusoria prete­sa che la mera presenza di un crocifisso possa fare violenza alla sensibilità degli scolari e giun­ga ad impedire ai genitori di esercitare nei lo­ro confronti quella specifica missione educa­tiva, che è loro dovere e loro diritto. E non ci sorprende più, purtroppo, il fatto che i giudi­ci della Corte europea non percepiscano di a­gire con queste loro sentenze contro l’Europa, contro il suo spirito, contro le sue radici, ren­dendo così l’Europa stessa sempre meno 'a­mabile' da parte di molti che, pure, ritengono l’europeismo un valore particolarmente alto. Ancora: è sfuggito alla ricorrente e – cosa an­cor più grave – è sfuggito ai giudici che hanno redatto la sentenza che la laicità non si garan­tisce moltiplicando gli interdetti o margina­lizzando le esigenze di visibilità della religio­ni, ma impegnandosi per garantire la loro com­patibilità nelle complesse società multietni­che tipiche del tempo in cui viviamo. La laicità non prospera nella freddezza delle istituzioni, nella neutralizzazione degli spazi pubblici, nel­l’abolizione di ogni riferimento, diretto o in­diretto, a Dio. Quando è così che la laicità vie­ne pensata, propagandata e promossa si ot­tiene come effetto non una promozione di quello specifico bene umano che è la convi­venza, ma una sua atrofizzazione. La sensibi­lità religiosa, ci ha spiegato Habermas ( un grande spirito laico) non è un residuo di epo­che arcaiche, che la sensibilità moderna sa­rebbe chiamata a superare e a dissolvere, ma appartiene piuttosto e pienamente alla mo­dernità, come una delle sue forze costitutive: tra sensibilità religiosa e sensibilità laica non deve mai istaurarsi una conflittualità, ma una dinamica di 'apprendimento complementa­re', alla quale non può che ripugnare ogni lo­gica di esclusione. Quanto tempo ancora ci vorrà perché simili verità vengano finalmente percepite dai tanti ottusi laicisti, che pensano ancora che sia dovere fondamentale degli e­ducatori quello di indurre le giovani genera­zioni a vivere «come se Dio non ci fosse»?

Natalia Ginzburg: «Il Crocifisso fa parte della storia del mondo».

Il crocifisso è il segno del dolore umano.
La corona di spine, i chiodi, evocano le sue sofferenze. La croce che pensiamo alta in cima al monte, è il segno della solitudine nella morte. Non conosco altri segni che diano con tanta forza il senso del nostro umano destino.
Il crocifisso fa parte della storia del mondo.
Per i cattolici, Gesù Cristo è il figlio di Dio.
Per i non cattolici, può essere semplicemente l’immagine di uno che è stato venduto, tradito, martoriato ed è morto sulla croce per amore di Dio e del prossimo.
Natalia Ginzburg, L’ Unità, 22 marzo 1988.

La Corte di Strasburgo: «Limita la libertà dei genitori».
Dopo la sentenza europea è "scontro di laicità" per il crocifisso a scuola.

Rassegna stampa - Liberazione, Gemma Contin, 4 novembre 2009.

E meno male che siamo uno Stato laico, aconfessionale, non integralista, non fondamentalista, e via raccontandoci balle di questo genere.
Se invece fossimo poco poco fondamentalisti, chissà cosa accadrebbe - oltre alla solita lite furibonda sui mezzi di informazione e di disinformazione di massa - a fronte della decisione della Corte europea dei diritti di Strasburgo di dare ragione a quella signora che ha chiesto un risarcimento allo Stato italiano perché i suoi figli, regolari studenti di una scuola pubblica, erano rimasti turbati da quell'uomo appeso nudo al muro con le mani e i piedi inchiodati a una croce: insomma il Crocifisso.
Ragazzi non educati alla religione cattolica apostolica romana, provenienti da una famiglia non praticante (la madre addirittura nordica, anche se naturalizzata italiana, dunque protestante per definizione) e non interessata al "verbo" di una fede di parte, ancorché regolata dal Concordato mussoliniano (i Patti Lateranensi tra l'allora Regno d'Italia e lo Stato Vaticano sono del 1929) riveduto e corretto in chiave craxiana nel 1984.
La guerra delle parole ferve, le ondate di indignazione si innalzano. E si scatenano i soliti pensatore di qua e di là del Tevere, quelli che stanno con la Chiesa, a prescindere, e quelli che stanno, o dovrebbero stare, con lo Stato. Laico, appunto, che deve garantire tutti i cittadini, dunque anche i non cattolici, anche quelli di fede ebraica che il loro Gesù ancora lo aspettano, e quelli di sentimenti ispirati al Corano, che invece hanno Maometto come massimo profeta. E tutti gli altri: buddisti, taoisti, induisti, animisti, agnostici, atei, hara krishna, bianchi, rossi, verdi, arancione.
Invece no: tutti sotto il segno del Crocifisso, del sangue sgorgante dal costato aperto, dalle ferite inferte per piantare quei chiodi, dalle spine conficcate in testa: un vero film dell'orrore.
Sicuro che i ragazzini ne sono rimasti sconvolti. Sicuro che quella madre ha chiesto l'intervento di Strasburgo. E sicuro che la Corte europea dei diritti dell'uomo le ha dato ragione; perché l'Europa avrà una qualche quota di radici cristiane, senza dubbio, ma ha anche ascendenze e sofferenze religiose acutissime: ugonotte, luterane, calviniste; e poi, giù giù fino alla Bosnia e alla Turchia e a Cipro, anche musulmane e greco-ortodosse; e lo stesso su su lungo il Danubio, fino al Baltico, fino alla grande madre Russia, prima di mettersi a riattraversare le terre mitteleuropee e i contrafforti euroasiatici.
Poteva Strasburgo dare ragione allo Stato Vaticano? Non poteva. Possiamo noi per questo uscire dalla comunità di uomini e donne che si chiama Europa o anche solo Unione europea? Non possiamo. Dunque, prima di marciare per crociate e intraprendere guerre sante, è meglio che ce ne facciamo una ragione.
A rivolgersi alla Corte è stata la signora Soile Lautsi, residente ad Abano Terme, profondo Veneto bianco e leghista. Quando i suoi due figli di 11 e 13 anni, nell'anno scolastico 2001-2002, hanno cominciato a frequentare la Scuola media "Vittorino da Feltre", nel comprensorio scolastico che annovera anche la Scuola elementare "Don Bosco", hanno notato i crocifissi appesi al muro.
Secondo la madre la presenza di quel simbolo della religione cattolica era contro la laicità dello Stato, pertanto aveva chiesto che fosse rimosso dalle aule. Richiesta ovviamente rifiutata dagli organismi dirigenti della scuola, per cui la signora aveva avviato una serie di ricorsi fino al Consiglio di Stato che nel 2006 aveva definitivamente respinto il suo appello sostenendo che «il Crocifisso è diventato uno dei "simboli laici" della Costituzione italiana e rappresenta i "valori fondanti" della convivenza civile».
Ieri la Corte europea ha detto che non è così, stabilendo che la presenza dei crocifissi nelle aule scolastiche rappresenta «una violazione del diritto dei genitori a educare i figli secondo le loro convinzioni e del diritto degli alunni alla libertà di religione».
La ministra Mariastella Gelmini, contro la sentenza europea, afferma che bisogna difendere il crocifisso a spada tratta non perché rappresenti un simbolo cattolico ma «perché ormai fa parte della nostra tadizione».
Ed ecco arrivare anche l'ecumenico Pierluigi Bersani, che deve ricostruirsi in fretta e furia una sua liaison con quel superpotere che in Italia si chiama Chiesa cattolica, senza la quale non si va, politicamente parlando, da nessuna parte. Secondo il neosegretario del Partito democratico: «Antiche tradizioni come quella del crocifisso non possono essere offensive per nessuno».
Per il presidente del Senato Renato Schifani: «L'esposizione di un simbolo radicato nella coscienza di tanti italiani altro non è se non il riconoscimento di una identità culturale che nessun tratto di penna potrà mai cancellare».
Invece il presidente del Centro culturale islamico di Viale Jenner Shaari ha detto: «L'Italia è uno stato laico e non confessionale. La religione lasciamola nelle chiese, nelle sinagoghe e nelle moschee».

Prof sospesi e giudici condannati perché chiedevano la rimozione della croce. Da Adel Smith a Soile. La lunga lotta in tribunale.
Rassegna stampa - Liberazione, Laura Eduati, 4 novembre 2009.

In principio fu Adel Smith, irruento presidente dell'Unione musulmani d'Italia che ingaggiò nel 2003 una battaglia contro lo Stato italiano per togliere il crocifisso dalla scuola elementare e media di Ofena (L'Aquila) frequentata dai suoi figli.
Poiché le maestre resistevano, cominciò coll'appendere un versetto coranico, rimosso prontamente dal preside. Sorprendentemente, il tribunale dell'Aquila gli diede ragione. E per ragioni prettamente giuridiche: l'esposizione del crocifisso nelle aule scolastiche, scrivevano i giudici nell'ottobre dello stesso anno, risale a regolamenti contenuti in regi decreti del periodo fascista (1924 e 1928) quando la religione cattolica era ancora considerata l'unica religione di Stato, oggi in contrasto con l'art. 3 della Costituzione che preserva dalle discriminazioni anche religiose. Il simbolo religioso, però, non venne tolto dalla vista dei bambini di Ofena perché il ministero fece ricorso e l'ordinanza sospesa.
In realtà Adel Smith, che in seguito rimediò una denuncia per aver scagliato il crocifisso fuori della stanza d'ospedale dove era ricoverata la madre e poi una condanna per avere definito la Chiesa «associazione a delinquere», era riuscito a scatenare un acceso dibattito sulla laicità dei luoghi pubblici nell'Italia ormai ospite di centinaia di migliaia di migranti di varie fedi. Smith non era il primo a ribellarsi, ma scandalizzava enormemente il fatto che fosse un musulmano.
Scavando negli archivi, già nel 1995 un insegnante in pensione di Cuneo, tale Marcello Montagnana, venne processato perché si era rifiutato di assumere l'incarico di scrutatore al seggio elettorale in quanto contrario alla presenza del crocifisso. Ritentarono la sorte gli aderenti all'Unione atei agnostici razionalisti che invano chiesero alla magistratura la rimozione della croce nei seggi elettorali: nel 2002 il Tar del Lazio respinse il ricorso spiegando che nessuna legge vigente vieta l'esposizione di oggetti sacri negli uffici pubblici, e nessuna legge impone di toglierli.
E qualcuno, nel frattempo, agiva senza ricorrere alla magistratura come quella professoressa di una scuola media ligure che aveva tolto il crocifisso dalla parete per rispetto dell'unico alunno di fede musulmana. Senza successo: fu costretta a rimetterlo dopo le forti proteste dei genitori degli altri studenti. Ma nemmeno senza conseguenze gravi sul piano disciplinare come quelle che sono piovute addosso a Franco Coppoli, sospeso per un mese lo scorso febbraio perché aveva deciso di riporre la croce nel cassetto della cattedra durante le sue lezioni all'Istituto professionale per il commercio "Casagrande" di Terni. Lo fece per ristabilire un principio di laicità, eppure erano stati gli stessi studenti a richiedere il crocifisso in classe.
Passando alle aule di giustizia, spicca la vicenda del giudice Luigi Tosti che nel 2007 si era rifiutato di lavorare in un aula col Cristo in croce nel Tribunale di Camerino. Condannato a sette mesi di reclusione per interruzione di pubblico servizio e omissione di atti d'ufficio, Tosti ha vinto la sua battaglia grazie alla Cassazione che lo scorso febbraio annullò la condanna perché «il fatto non sussiste»: era stato sostituito e dunque non vi era stata alcuna interruzione nei lavori del tribunale.
Mentre insegnanti, giudici e genitori sbattevano contro il vetro della giustizia italiana, Soile Lautsi e il marito Massimo Albertin non si perdevano d'animo. Lei, italiana di origini finlandesi, voleva eliminare il crocifisso dalla scuola media di Abano Terme (Pd), la scuola dei suoi figli. La prima battuta d'arresto era arrivata da parte del Tar del Veneto, che nel 2005 spiegava come la croce non fosse in contrasto con il principio della laicità in quanto «espressione di un sistema di valori» condivisibili. Quali fossero i valori espressi dal crocifisso lo scrisse il Consiglio di Stato nel 2006, al quale i coniugi padovani avevano fatto appello: «rispetto» e «solidarietà». Secondo i massimi giudici amministrativi, la norma che dal 1924 impone l'esposizione della croce in classe non ha impedito allo Stato italiano di adottare norme e leggi contrarie agli interessi dei cattolici - come aborto e divorzio - a dimostrazione che l'Italia rimane un paese laico. La Corte costituzionale, chiamata in causa, decise di non entrare nel merito della spinosa questione in quanto il regolamento sul crocifisso è una «norma priva di legge» sulla quale la Consulta non può ravvisare problemi di costituzionalità. Ci ha pensato la Corte di Strasburgo, dando ragione alla coppia.
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Omar deve essere risarcito anche da Usa e Egitto

Riceviamo e volentieri pubblichiamo.
Italia: Le condanne per la rendition di Abu Omar sono un passo avanti nell'accertamento delle responsabilità.
Comunicato stampa - Amnesty International Italia, 5 novembre 2009.

Le condanne di agenti di intelligence statunitensi e italiani per il loro coinvolgimento nel rapimento di Usama Mostafa Hassan Nasr (meglio conosciuto come Abu Omar) rappresentano un passo avanti nell’accertamento delle responsabilità per i crimini commessi nell'ambito del programma Usa di rendition, ha dichiarato Amnesty International.
Gli imputati nel processo erano accusati di coinvolgimento nel rapimento di Abu Omar nel febbraio 2003. Abu Omar è stato fatto sparire forzatamente da una strada di Milano e condotto, attraverso la Germania in Egitto, dove è stato detenuto segretamente per 14 mesi e ha dichiarato di essere stato torturato. Gli imputati non sono stati accusati di sparizione forzata o di tortura.
Tra i condannati vi sono 22 agenti e ufficiali della Cia e un ufficiale militare, tutti statunitensi. Tre altri cittadini Usa, tra cui l’allora capo della Cia in Italia, hanno beneficiato dell'immunita’ diplomatica e nei loro confronti è stato disposto il non luogo a procedere.
Due agenti del servizio di intelligence militare italiano (chiamato Sismi all'epoca) sono stati condannati a tre anni di reclusione. Per l'allora capo del Sismi, Nicolò Pollari e per il suo vice, Marco Mancini, è stato invece disposto il non luogo a procedere basato sull'esistenza del segreto di stato, come per altri tre agenti del Sismi.
"La semplice verità di questo caso è che un uomo è stato rapito in pieno giorno e illegalmente trasferito in Egitto, dove ha raccontato di essere stato torturato" - ha dichiarato Julia Hall, esperta di Amnesty International sull'antiterrorismo in Europa. "Questi atti non possono e non devono restare impuniti e gli agenti responsabili devono essere chiamati a rispondere per il fatto che si sono resi complici di una serie di altri gravi crimini, tra cui la sparizione forzata e la tortura commesse ai danni di Abu Omar".
I pubblici ministeri di Milano hanno emesso mandati di arresto per gli imputati statunitensi nel 2005 e nel 2006, ma diversi ministri della Giustizia italiani si sono rifiutati di trasmetterli al governo degli Stati Uniti.
"I pubblici ministeri hanno fatto tutto ciò che era in loro potere per assicurare che gli agenti Usa comparissero nel processo" - ha dichiarato Julia Hall. "Rifiutando di inoltrare le richieste di estradizione agli Stati Uniti, il governo italiano ha sferrato un duro colpo all'equità del procedimento". Nessuno dei cittadini statunitensi condannati è comparso in aula.
Nonostante la legislazione italiana consenta il procedimento penale in contumacia, il diritto internazionale richiede che una persona sia presente al suo processo per avere piena conoscenza dell'accusa, nominare un difensore, contestare le prove e ottenere l'esame di testimoni. Se gli agenti statunitensi condannati in contumacia dovessero essere catturati in futuro, agli stessi andrebbe garantito un nuovo processo davanti a un diverso tribunale e la presunzione di innocenza.
"L'amministrazione Bush ha eretto un muro di silenzio, rifiutando di riconoscere il caso Abu Omar e il ruolo dei propri agenti di intelligence nello stesso" - ha affermato Julia Hall. "È ora che l'amministrazione Obama ripari a questo torto. Il governo degli Stati Uniti non dovrebbe offrire un rifugio sicuro a persone sospettate di coinvolgimento in una sparizione forzata o nella tortura".
Amnesty International ha chiesto agli Stati Uniti di avviare un'indagine imparziale e indipendente sul rapimento, sulla sparizione forzata e sulla tortura ai danni di Abu Omar e di perseguire gli agenti Cia e gli ufficiali militari sospettati di coinvolgimento in questi crimini. Il governo italiano dovrebbe collaborare pienamente con ogni stato che intendesse investigare e perseguire persone accusate di essere coinvolte nel rapimento e nella rendition di Abu Omar.
Le autorità egiziane devono anch'esse investigare attentamente e condurre davanti alla giustizia i responsabili della sparizione forzata e della tortura di Abu Omar in Egitto.
Il tribunale di Milano ha riconosciuto un risarcimento provvisionale di un milione di euro ad Abu Omar e di 500.000 euro a sua moglie Nabila Ghali, per gli abusi che hanno subito. Un tribunale civile determinerà
l'ammontare totale del risarcimento.
"Le vittime di sparizione forzata e di tortura hanno diritto alla giustizia, alla verità e a un risarcimento pieno" - ha dichiarato Julia Hall. "Il tribunale italiano ha riconosciuto un risarcimento in denaro ad Abu Omar e alla sua famiglia per quanto subito, ora gli Stati Uniti e l'Egitto devono fare lo stesso".
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