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mercoledì 21 ottobre 2009

Il nemico virtuale

Berlusconi: "Uccidiamolo" dice forum Facebook.
Intervengono Alfano e Procura di Roma.

Dalle Agenzie - Asca, 21 ottobre 2009.

Facebook ancora al centro delle polemiche politiche dopo l'apparizione di un forum intitolato "Uccidiamo Berlusconi", che alle 18.45 di oggi contava 12.045 iscritti.
L'amministratore del forum, on line da tempo, lo ha catalogato nella categoria "Svago - Affermazioni bizzarre", sostenendo di non "voler uccidere realmente nessuno" ed annunciando che verranno cancellati tutti i post dal contenuto violento o inneggianti all'illegalità. Nelle info della pagina compare solo il lungo elenco delle vicissitudini giudiziarie di Berlusconi, citando come fonte Wikipedia. Ma i commenti sulla bacheca del forum presente sul social network più popolare di Internet, si lasciano spesso andare a commenti durissimi nei confronti del premier, anche se non manca chi dice che l'iniziativa "fa il gioco dei berlusconisti che gridano contro la demonizzazione di Berlusconi".
La notizia dell'esistenza del forum diffusa sui media nazionali dopo la segnalazione del Giornale, oltre ad un boom di nuovi iscritti (alcune migliaia solo nella ultime ore), ha provocato la reazione del ministro della Giustizia, Angiolino Alfano, che ha chiesto alla magistratura di aprire un'indagine. E subito la procura di Roma ha aperto un fascicolo sul "caso", curato direttamente dal procuratore Giovanni Ferrara e dall'aggiunto Nello Rossi, con l'ipotesi di accusa di "minacce aggravate".
Il ministro Alfano si era detto "profondamente turbato" del fatto che esistano "parecchi forum su Facebook, quindi su Internet, che inneggiano all'odio nei confronti di Silvio Berlusconi, inneggiano all'omicidio nei confronti del presidente del Consiglio. Poiché nel nostro Paese esiste l'obbligatorietà dell'azione penale, io mi attendo che la Magistratura faccia il proprio dovere indagando - ha detto Alfano -, perseguendo e trovando coloro i quali inneggiando all'odio e all'omicidio, commettono un reato penale e compiono un'azione disdicevole dal punto di vista morale".
Per Alfano, "è un tema grande di sicurezza che riguarda la persona del presidente del Consiglio".
Probabilmente per reazione al forum incriminato, su Facebook ne è comparso un altro, stavolta intitolato "Uccidiamo tutti quelli che vogliono uccidere Berlusconi", al quale si sono iscritte 662 persone.


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La storiella dell'unto dal popolo

Eletto dal popolo, chi?
Rassegna stampa - Il Fatto Quotidiano, Bruno Tinti, 20 ottobre 2009.

Il Mattino dell’11 ottobre riporta alcune dichiarazioni di Berlusconi, esternate a Benevento nel corso di una delle sue “Feste della libertà”. Qui il presidente del Consiglio ha detto: “Non credo che si possa consentire di rivolgere infamie, improperi, insulti e volgarità ad un premier eletto direttamente dal popolo, bisogna cambiare questa situazione».
Questa storia del premier eletto direttamente dal popolo Berlusconi e i suoi clientes la ripetono ossessivamente ovunque si trovino ad esternare; e dunque in molti luoghi (specie in TV) e molte volte. Così, come oramai avviene in Italia da molto tempo, i cittadini si sono convinti che sia vera, che il “premier” è “eletto dal popolo”. Trattasi di una palla.
Cominciamo dalla legge elettorale, la n. 27 del 21/12/2005, (se la sono scritta loro, dovrebbero conoscerla) che, all’art. 5, dice: “…I partiti o i gruppi politici organizzati tra loro collegati in coalizione che si candidano a governare depositano un unico programma elettorale nel quale dichiarano il nome e cognome della persona da loro indicata come unico capo della coalizione.”
Sicché non è il presidente del Consiglio dei Ministri che è eletto direttamente dal popolo ma, a tutto concedere, il Capo della coalizione o del partito. Ma anche quest’affermazione è tutta da rivedere, considerato che ben potrebbe accadere che l’elettore voti un partito o una coalizione solo perché si riconosce nel loro programma; o perché comunque esprime un voto “contro” (è la strategia ben collaudata di Berlusconi): “non voglio assolutamente che i “comunisti” vadano al potere e quindi voto per la destra, anche se, a ben vedere non mi piacciono poi tanto neppure loro …”. Insomma nessuno può escludere che gli elettori della coalizione Forza Italia, An e Lega l’abbiano votata a dispetto del plurinquisito Berlusconi (per non ricordare che uno dei suoi lati, diciamo così, problematici), turandosi il naso pur di attuare il programma in cui credevano. Per esempio il federalismo per la Lega o una destra legalitaria e conservatrice per An.
Capo della coalizione, dunque, e non “premier”. Carica, quest’ultima, che neppure esiste nel nostro ordinamento costituzionale che prevede solo un presidente del Consiglio dei Ministri. E infatti, secondo l’art. 95 della Costituzione, “il Presidente del Consiglio dirige la politica generale del Governo e ne è responsabile. Mantiene l'unità di indirizzo politico ed amministrativo, promovendo e coordinando l'attività dei ministri”. Insomma una gestione collegiale coordinata, non monocratica ed autoritaria. Sicché, quando Berlusconi si investe della qualifica di premier, si arroga poteri che la Costituzione non gli riconosce e si inventa una carica istituzionale che non esiste.
Ma torniamo all’elezione diretta del popolo. Si è già visto che anche questa è una fantasia. Ma è anche una fantasia incostituzionale. Dice l’art. 92 della Costituzione: “Il governo della Repubblica è composto del presidente del Consiglio e dei ministri, che costituiscono insieme il Consiglio dei ministri. Il presidente della Repubblica nomina il Presidente del Consiglio dei ministri e, su proposta di questo, i ministri.”
Dunque è il presidente della Repubblica che ha nominato Berlusconi, non il popolo. E nulla gli avrebbe impedito, se avesse ritenuto che il “Capo della coalizione” indicato dalla maggioranza non presentava quei requisiti di onestà, correttezza, serietà, competenza indispensabili per la carica di presidente del Consiglio dei Ministri, di nominare altro esponente della maggioranza, nel tentativo di ricondurre a ragione la coalizione affinché non fosse portata a tale carica una persona indegna.
E se il tentativo non fosse riuscito e gli fosse stata riproposta la stessa indegna persona, non sarebbe stato il popolo a riproporla ma la fazione da questa persona egemonizzata. Il punto è che Berlusconi non capisce proprio che il sistema costituzionale italiano si fonda sull’equilibrio di poteri. Che non vi è una legittimazione popolare, a seguito della quale l’eletto dal popolo può esercitare un potere assoluto privo di ogni controllo; che, al contrario, il popolo esprime la maggioranza politica che governerà e l’opposizione che ne controllerà l’operato; che il presidente della Repubblica identifica la persona che, autorevolmente (e quindi degnamente) dirigerà il Consiglio dei ministri; che ognuno di questi conserva la sua specifica competenza e responsabilità; che l’azione di governo si esplica secondo le leggi emanate dal Parlamento e sotto il controllo della Corte Costituzionale.
Tutto questo, ai miei tempi, lo sapevano gli studenti delle medie che avevano nel loro programma “Educazione civica”; oggi comunque lo sa qualsiasi studente del primo anno di giurisprudenza. E quello che alla fine è davvero preoccupante non è che Berlusconi invece ne sia del tutto inconsapevole. È che egli sembra davvero credere che l’investitura popolare (se ci fosse) renderebbe lecito che il governo di un grande Paese possa essere legittimamente affidato a persona più volte sottoposta a processo penale per falso in bilancio, frode fiscale, corruzione di giudici e testimoni, ritenuto colpevole ma non condannato per prescrizione (e per via di leggi fatte apposta da lui stesso per raggiungere questo risultato).
Quello che è davvero preoccupante è che egli sembra credere che l’investitura popolare autorizzi ogni delitto; il che in effetti è avvenuto, anche recentemente, nelle sanguinose dittature europee del secolo scorso; e che credevamo non sarebbe avvenuto mai più.

In riferimento sempre a Benevento, aggiungiamo lo spezzone che segue di Annozero del 15 ottobre scorso, che contiene la parte finale della trasmissione di Michele Santoro, lo spazio cioè dedicato alle vignette di Vauro.


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Un giro di valzer con Dio

Don Guglielmo Cazzulani a Brembio per parlare di un suo libro.



Programmato per giovedì sera 22 Ottobre 2009 nella sala Paolo VI dell’oratorio di Brembio l’incontro con don Guglielmo Cazzulani, per parlare di un suo libro: Un giro di valzer con Dio. Sacerdote della diocesi di Lodi, don Guglielmo, è stato coadiutore a Brembio dal1998 al 2000, lasciando un’impronta indelebile nelle persone che l’hanno conosciuto. Laureato in teologia con specializzazione in spiritualità, riveste la carica di docente in teologia spirituale presso i seminari di Lodi, Crema, Cremona e Vigevano, pubblicando anche alcuni libri di carattere religioso spirituale. Il libro, è un invito rivolto alla gente comune, al laico, a imparare a pregare i salmi, facendo udire a Dio la voce del cuore purificata dalle azioni malvagie quotidiane. Una tematica che si snoda su una serie di domande, che verranno rivolte a Don Guglielmo dal giornalista Andrea Bagatta del Cittadino, e che mostrerà una nuova prospettiva per riuscire a parlare con Dio attraverso la preghiera.


Ogni salmo
è un'esistenza
che loda, che geme,
che invoca, che soffre,
che edifica, che ama.
Un salmo è la vita che prega.

Guglielmo Cazzulani
Un giro di valzer con Dio. Pregare i Salmi, da laici.
Ancora Editrice
Milano, 2006.
Isbn 88-514-0379-1

Dalla seconda di copertina
«Il titolo e l'immagine di copertina sono insoliti per un libro sulla preghiera e sui salmi.
Dicono però il taglio particolare di queste pagine: imparare - siamo sempre principianti - a pregare i salmi, non da monaci nella pace del chiostro, ma da laici nel trambusto della città.
Il laico cristiano per pregare i salmi deve "rubare" le parole al salmista per restituirle a Dio cariche degli affanni e delle gioie della vita quotidiana.
Se vuoi imparare a pregare da adulto, leggi questo libro.»
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Casse praticamente asciutte

Non ci sono più soldi per l’erogazione di dicembre, ma già un centinaio di persone in difficoltà hanno chiesto aiuto. I comuni “affossano” il fondo anticrisi. In 53 non partecipano, avrebbero portato altri 300mila euro.
Rassegna stampa - Il Cittadino, Greta Boni, 21 ottobre 2009.

Se tutti i comuni avessero detto sì, a quest’ora ci sarebbero stati sul tavolo 300mila euro in più. Da utilizzare per i lavoratori colpiti dalla crisi. Insomma, sarebbe stato come avere a disposizione un altro fondo anticrisi, oltre a quello messo in campo dalle istituzioni. Invece, i comuni che fino a questo momento hanno sposato la causa sono solo sette. A cui si aggiunge Lodi, uno dei promotori dell’iniziativa.
La lettera è partita nel mese di settembre, le istituzioni hanno chiesto a tutte le amministrazione di aderire al fondo anticrisi con un contributo di due euro per abitante. I conti sono presto fatti: nel Lodigiano risiedono 210mila persone, se ognuna avesse sborsato 2 euro si sarebbe arrivati a quota 440mila euro. A questa cifra, però, devono essere tolti i 134mila euro che arrivano da palazzo Broletto e dai sette comuni che hanno dato la loro disponibilità. La differenza è proprio di 300mila euro: praticamente svaniti nel nulla. Il fondo anticrisi è partito con un budget di 300mila euro, che sommati agli altri 300mila avrebbero consentito di mettere a disposizione del territorio la bellezza di 600mila euro. «Mi sento di spezzare una lancia a favore dei comuni - afferma Sergio Rancati, responsabile del Consorzio per i servizi alla persona -, l’iniziativa è partita tardi, è possibile che le amministrazioni avessero già i bilanci “blindati”. Senza contare che alcuni fra loro hanno dato il via ad altre iniziative. Sono convinto che nel 2010 la partecipazione sarà più diffusa». Nei giorni scorsi anche il presidente della Provincia di Lodi, Pietro Foroni, ha affermato che «tutti devono fare la loro parte per far fronte alle difficoltà economiche».
La partecipazione al fondo è importante soprattutto per un motivo. I lodigiani che richiedono un aiuto, infatti, hanno diritto alla piena integrazione del reddito solo se risiedono sul territorio dei comuni che hanno partecipato. Altrimenti devono accontentarsi della metà.
Le ultime richieste soddisfatte ammontano a 129, i numeri più consistenti arrivano da Lodi (37) e da Casalpusterlengo (22).
Per il momento, le casse sono praticamente asciutte: non ci sono i soldi per la terza erogazione, quella prevista per il mese di dicembre. Eppure, già cento persone avevano bussato alle porte del Consorzio per i servizi alla persona, un numero destinato ad aumentare entro la fine dell’anno.
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Lodi dice no alle ronde

Lodi - Secondo il sindaco non esistono nemmeno situazioni di emergenza: bocciato l’ordine del giorno presentato dalla Lega. Guerini blocca le ronde per la sicurezza. «Ora non ci sono associazioni accreditate a fare questi controlli».
Rassegna stampa - Il Cittadino, Matteo Brunello, 21 ottobre 2009.

Stop alle ronde per la sicurezza. Almeno per ora. Il comune di Lodi dice “no” all’avvio degli osservatori volontari, con compiti di sorveglianza. «Ad oggi non ci sono situazioni di emergenza in città, che richiedono un intervento di questo genere - afferma il sindaco Lorenzo Guerini - e poi non risultano allo stato associazioni di volontari registrate in Prefettura. Se si presentassero le condizioni però non esiterò ad utilizzare questo strumento, che va considerato non in modo ideologico». La presa di posizione è arrivata in risposta ad un ordine del giorno presentato in aula dal capogruppo della Lega nord. «Il sindaco emani l’ordinanza per le ronde, che è un atto politico, il quale non dipende dai registri della prefettura. Ci sono una serie di situazioni che richiedono nel capoluogo un intervento», aveva sollecitato l’esponente del Carroccio, Mauro Rossi.
Un botta e risposta che ha chiuso il dibattito in aula consiliare di lunedì sera, prima di un voto che ha bocciato il documento del Carroccio (20 contrari e 8 favorevoli). Il testo invitava a ricorrere agli strumenti del pacchetto sicurezza anche nel capoluogo, e in particolare alle ronde, «qualora si verificassero le necessità oggettive». E, nonostante l’iniziativa del Carroccio di emendare la proposta, la maggioranza per bocca del capogruppo Pd, Enrico Brunetti si è dichiarata apertamente contraria. E il presidente del consiglio comunale, Giampaolo Colizzi ha espresso non poche perplessità sul documento. «È una posizione preconcetta. Sono state solo riprese le posizioni del sindaco», ha attaccato il capogruppo Pdl, Gianpaolo Ceresa. Un finale segnato da qualche polemica, arrivato al termine di una lunga discussione sul discorso delle cosiddette ronde. «Bene ha fatto il ministro a regolamentarle, ma devo dire che ne ha circoscritto così il campo che alla fine Maroni stesso le ha affossate», dice Guerini. E a stretto giro di posta, Alberto Segalini della Lega: «Devo dire che Maroni non le ha depotenziate. Ma le ha rese ufficiali. Che è cosa ben diversa. E poi se non ci sono ancora persone candidate nei registri della Prefettura, è perché forse l’iniziativa in città non è stata adeguatamente promossa». Inoltre Gabriella Gazzola dell’Udc ha sostenuto che invece delle ronde, servirebbero più uomini e mezzi per le forze dell’ordine. Infine dalla sinistra radicale è stata espressa una netta disapprovazione per l’iniziativa di osservatori volontari per la sicurezza. «Sono soltanto una bandiera ideologica della Lega, che non risolve i problemi - dice Enrico Bosani di Rifondazione - In una democrazia normale la sicurezza viene garantita dalle forze dell’ordine. Di ronde in città non se ne parla e non se ne parlerà». E Stefania Baroni, esponente dei Verdi, avverte: «L’ordinanza sulle ronde è un atto monocratico che spetta al sindaco, ma io chiedo si tenga presente del percorso fatto fino ad adesso da questa maggioranza». Nel corso del confronto in aula va registrato anche l’esame di alcune interrogazioni. La prima era stata presentata dal consigliere Pd Giorgio Daccò sul tema del rispetto del codice della strada da parte dei ciclisti e la seconda era stata avanzata da Daniele Passamonti dell’Italia dei Valori sul possibile trasferimento della sede della Motorizzazione civile. Due tematiche che nelle scorse settimane hanno mosso il dibattito in città e suggerito contestazioni e discussioni.
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Doccia scozzese sull’acqua pubblica lodigiana

L’ex Cap di Milano ritarda di due mesi il passaggio nella nuova società provinciale: «A rischio le regole del gioco». Doccia scozzese sull’acqua pubblica lodigiana. Amiacque frena sull’ingresso in Sal, ma firma l’intesa per cedere i dipendenti.
Rassegna stampa - Il Cittadino, Lorenzo Rinaldi, 21 ottobre 2009.

Doccia scozzese sull’acqua pubblica lodigiana. Da un lato Amiacque (ex Cap gestione) sigla l’accordo per trasferire a Sal (Società acqua lodigiana) 68 dipendenti, dall’altro lato la stessa Amiacque rinvia l’ingresso ufficiale del proprio ramo d’azienda lodigiano all’interno di Sal. Due mosse, rese note ieri, che vanno in direzioni contrapposte, anche se il presidente del colosso milanese Amiacque, Tiziano Butturini, conferma che «non è in atto nessuna campagna anti-Sal, anche perché Amiacque è controllata da Cap holding, di cui 58 comuni lodigiani sono soci». La questione rischia di avere riflessi pratici, perché Sal (una società pubblica) è chiamata a gestire il ciclo integrato dell’acqua nel Lodigiano nei prossimi anni, dietro “incarico” dell’Ato, cioè dell’Ambito territoriale ottimale, che riunisce i comuni della provincia. La sfida dell’acqua pubblica, lanciata con la costituzione di Sal, ha visto per il momento l’ingresso nella nuova società dell’ex Consorzio del Basso Lambro di Sant’Angelo e del ramo idrico dell’Astem di Lodi. Devono ancora entrare il ramo idrico dell’Asm di Codogno (la partita resta aperta) e il ramo d’azienda lodigiano di Amiacque. Proprio Amiacque, entrando in Sal, riempirebbe di contenuti la società dell’acqua pubblica lodigiana, che altrimenti rimarrebbe a metà del guado. L’ingresso del ramo d’azienda lodigiano di Amiacque era atteso inizialmente entro il 31 ottobre. Lunedì però il presidente di Amiacque, Butturini, ha scritto a tutti i sindaci della provincia di Lodi, indicando che stante «il radicale mutamento del quadro normativo (...) il Cda di Amiacque ha richiesto il rinvio al 31 dicembre 2009 del termine per il trasferimento del ramo d’azienda lodigiano di Amiacque a Sal». Una decisione figlia della nuova normativa in materia di gestione dell’acqua, che secondo Butturini «cambia le regole del gioco». «L’ultimo decreto del governo in materia di gestione del ciclo idrico, arrivato a settembre, ci ha sorpresi - ammette il presidente di Amiacque - fino ad ora l’affidamento diretto “in house” del ciclo idrico integrato, cioè a una società pubblica, senza indire una gara, sembrava una strada percorribile. Ora potrebbe non andare più bene e il rischio è che l’affidamento non vada oltre il 2011, mentre l’affidamento a Sal durerebbe trent’anni. Abbiamo dunque deciso di aspettare per verificare la conversione in legge del decreto, che richiede 60 giorni: è opportuno fermarsi a riflettere sull’affidamento “in house”. Il nuovo decreto dice infatti che bisogna andare a gara». La posizione del presidente Butturini è destinata a creare discussione negli ambienti politici lodigiani e tra gli stessi lavoratori di Sal e Amiacque, visto che il colosso milanese ex Cap gestisce il 70 per cento degli acquedotti lodigiani e il 40 per cento del ciclo depurazione-fognature del Lodigiano (dati forniti da Butturini).
Intanto ieri Sal ha reso noto che «tra il primo novembre e il 31 dicembre, con buone probabilità, 68 dipendenti (di cui 56 operativi nel polo di Casale, ndr) verranno trasferiti da Amiacque a Sal». Ieri mattina, infatti, è stato firmato il verbale di chiusura dell’accordo da parte dei rappresentanti sindacali, le rsu e i presidenti di Sal, Carlo Coltri e di Amiacque, Butturini. Al momento Sal conta 35 dipendenti, acquisiti da Basso Lambro e da Astem a partire dallo scorso agosto. A margine dell’accordo, Coltri ha parlato di «un’operazione importante, portata a compimento nel migliore dei modi e che testimonia come oggi Sal sia nella condizione di acquisire il ramo d’azienda lodigiano di Amiacque». Sal ha dunque confermato che «già dal primo novembre la società potrebbe contare su 68 nuovi dipendenti che si sommeranno ai 35 che già operano per l’azienda, per un totale di 103 dipendenti».

Asm, guerra anche a Codogno: è rottura tra comune e Linea Più.
Rassegna stampa - Il Cittadino, Luisa Lucini, 21 ottobre 2009.

Preannunciata la scorsa settimana, la “guerra” sull’acqua in Asm è diventata ufficiale durante l’assemblea dei soci dell’azienda multiservizi di viale Trieste tenutasi lunedì. In quella sede, la frattura tra il comune di Codogno (che è socio di maggioranza di Asm con il 51 per cento del capitale sociale d’azienda) e la società privata Linea Più (partecipata dalla holding Linea Group e che, con il restante 49 per cento delle azioni, è socio di minoranza di Asm) si è confermata in via ufficiale. E il risultato scaturito è già di quelli concreti: il mancato accordo tra i soci di fatto fa “saltare” il conferimento del ramo idrico integrato di Asm a Sal, ovvero alla Società Acqua Lodigiana che ha valenza territoriale. E del resto, lunedì municipio e Linea Più sono rimasti fermi ognuno sulle proprie posizioni. Che sono estremamente differenti. Il comune di Codogno, infatti, è favorevole al conferimento a Sal della sola gestione ed erogazione del ramo idrico di Asm. Una posizione, questa, che lunedì è stata sostenuta nella sua validità dal sindaco Emanuele Dossena, in assemblea con il direttore generale del comune Roberto Falcone. Di visione completamente opposta è però Linea Più: per il socio di minoranza di Asm, oltre a gestione ed erogazione, il conferimento dovrebbe contemplare infatti anche il patrimonio del ramo idrico di Asm (ovvero reti ed impianti). Una ipotesi, quest’ultima, assolutamente rigettata dal municipio: reti ed impianti del ramo idrico di Asm valgono tra i quattro e i sei milioni di euro, in caso di un loro conferimento a Sal, il comune dovrebbe indennizzare il socio di minoranza di circa la metà del valore del patrimonio stesso. Soldi che il municipio di Codogno assolutamente non ha. In assemblea per Linea Più era presente il presidente del consiglio di amministrazione Nicola Adavastro, affiancato dal direttore generale di Linea Più Pier Ezio Ghezzi. All’incontro erano anche presenti la presidente di Asm Laura Quaini e l’amministratore delegato dell’ex municipalizzata Giovanbattista Rozza. E proprio alla presidente Quaini fa riferimento l’ultimo tentativo di risolvere con spirito di condivisione tutta la questione. Comune di Codogno e Linea Più, infatti, hanno dato mandato alla Quaini di richiedere una riunione d’urgenza all’Ambito Territoriale Ottimale (Ato) di riferimento, per un incontro in cui cercare di trovare una soluzione che possa mettere d’accordo entrambi i soci. La presidente di Asm già ieri ha inoltrato all’Ato la richiesta di incontro, i tempi peraltro sono strettissimi visto che la riunione richiesta si vorrebbe organizzata prima di domani, giovedì 22 ottobre, giorno in cui è prevista l’assemblea interna dell’Ato.
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La retorica dell'ò fai bèl

La società si impegna per oneri di urbanizzazione, contributi, risarcimenti e opere di mitigazione. Da Sorgenia 45 milioni di euro. Firmata la convenzione tra l’azienda e gli enti locali.
Rassegna stampa - Il Cittadino, Alberto Belloni, 21 ottobre 2009.

Quarantacinque milioni di euro. È questo l’impegno complessivo assunto da Sorgenia nei confronti della Provincia di Lodi e degli otto comuni interessati dalla costruzione della centrale di Turano e Bertonico, l’impianto a turbogas incassato suo malgrado dal Lodigiano e oggetto da ieri della nuova convenzione attraverso la quale il gruppo De Benedetti ha promesso massicci e più ricchi investimenti per risarcire il territorio. Sul piatto, Sorgenia metterà circa 25 milioni di euro tra interventi di mitigazione ambientale, riduzione delle emissioni e smaltimento reflui zootecnici, oltre a 12 milioni di oneri di urbanizzazione tra Turano e Bertonico, incentivi energetici per favorire l’arrivo di altre aziende e 7,3 milioni di euro di contributi da dividersi tra i comuni ospitanti l’impianto, la Provincia di Lodi e le amministrazioni di Casale, Castiglione, Cavenago, Mairago, Secugnago e Terranova dei Passerini, che beneficeranno di quasi il doppio di quanto previsto nella precedente bozza di accordo tra i proprietari della centrale e l’allora giunta provinciale guidata da Lino Osvaldo Felissari. La convenzione è già stata accettata da tutti con l’eccezione di Turano, impegnato in una battaglia privata con Sorgenia che ha portato quest’ultima a fare ricorso al Tar contro la richiesta di 22 milioni di euro di compensazioni; comunque vada, però, l’amministrazione Ciampetti potrà contare sulla sua quota di contributi, pari a quella che spetterà a Bertonico. «Non è tutta farina del nostro sacco - ha spiegato soddisfatto il presidente della Provincia, Pietro Foroni -, c’era una bozza precedente che avevamo deciso di revocare per vari motivi ma senza stravolgerla, visto che era ottima per gli interventi di natura ambientale, che non abbiamo ridotto cercano di fare qualcosina in più». Il riferimento è soprattutto al raddoppio dei contributi ai comuni e ai possibili riflessi occupazionali legati al rilancio dell’area ex Gulf: «La convenzione prevede una serie di punti di grande valore sul tema “lavoro”, dal coinvolgimento di artigiani e imprese locali per quel che riguarda l’indotto all’assunzione diretta di personale da parte di Sorgenia e alla massima attenzione verso chi si trova ad aver perso il lavoro. Soprattutto abbiamo concordato l’urbanizzazione dell’intera area a carico di Sorgenia e la fornitura per tutte le aziende che vorranno insediarsi nella zona e fino a circa un chilometro di distanza, di caldo/freddo a costo di produzione. Questo aspetto dovrebbe attirare le imprese, perché consentirà loro di avviare attività partendo da un notevole risparmio sui costi energetici». Anche i comuni presenti esprimono piena soddisfazione: «È una convenzione ben strutturata, con un buon “quid” aggiuntivo sulla Marzano - commenta Umberto Daccò, sindaco di Castiglione -. L’impianto del testo è buonissimo, salvaguarda il territorio, abbatte le emissioni e le pone sotto costante controllo». «Come portavoce del mio sindaco siamo molto soddisfatti, per i contenuti della convenzione e per l’attenzione rivolta agli enti interessati», gli fa eco Maria Cristina Ragazzi, assessore ai rapporti con gli enti del comune di Mairago; «La tutela dell’ambiente e dalla salute sono sempre di difficilissima gestione - chiosa il sindaco di Secugnago, Mauro Salvalaglio -, ma questa convenzione è ottima e ben studiata: il presidente Foroni ha ottenuto il massimo che si potesse».



Bigi non ha dubbi: «Un accordo irripetibile per un impianto unico».
Rassegna stampa - Il Cittadino, 21 ottobre 2009.

Un accordo «irripetibile», per una centrale «unica» in Italia, se non anche in Europa. Così l’ingegner Alberto Bigi, il volto di Sorgenia alla presentazione della nuova convenzione, riassume il frutto del patto stretto tra la proprietà della centrale di Turano-Bertonico con gli enti interessati dalla partita. Sullo sfondo, in realtà, si agitano ancora un paio di incognite, dalla battaglia al Tar contro i 22 milioni di euro chiesti dal comune di Turano alle trattative, sempre riservatissime, con i misteriosi imprenditori dati in procinto di sbarcare nell’area ex Gulf. I lavori, però, proseguono. E alla soddisfazione del gruppo De Benedetti, adesso, si somma quella della Provincia di Lodi e degli comuni coinvolti nella convenzione, per accontentare i quali Sorgenia, assicura Bigi, ha fatto tutto il possibile: «Diciamo che siamo un po’... provati, ma soddisfatti - commenta l’ingegnere -. Il dato complessivo dice che investiremo circa 45 milioni, più del 10 per cento della spesa totale per la centrale: direi che è una cifra di tutto riguardo, irripetibile». Più che il “rilancio” sul fronte dei contributi della legge Marzano, praticamente raddoppiati, per Bigi le tre peculiarità da sottolineare sono quelle relative agli interventi ambientali, alla valorizzazione della realtà agricola e allo sviluppo industriale che caratterizzano la convenzione. Agli agricoltori, grazie a due biodigestori da 1 megawatt, Sorgenia restituirà biomasse con basso contenuto di azoto, venendo incontro ai sacrifici legati alle direttive nitrati ed eliminando gli odori degli spargimenti. Ma sotto il profilo ambientale, aspettando la nuova foresta da 50 ettari, il punto di forza saranno gli interventi sulle emissioni e sugli scarichi: «Abbiamo assunto impegni non all’avanguardia, ma addirittura unici, con limite alle emissioni di ossido di azoto che nessuno in Italia ha, una riduzione sostanziale del 90 per cento del monossido di carbonio e una ulteriore del 70 per cento sui prelievi idrici, con scarico “zero” dei reflui grazie a un riutilizzo molto spinto dell’acqua». Tutti (o quasi) da scoprire, invece, i risultati dell’impegno sui fronti occupazione-sviluppo dell’area ex Gulf, dove pure Bigi ricorda come a fronte delle 10-15 imprese locali già arruolate per i lavori di costruzione della centrale la volontà è di favorire la manovalanza lodigiana anche per quei 50 posti, tra assunzioni dirette e indotto, che Sorgenia effettuerà nei prossimi mesi. In sospeso, però, resta soprattutto l’identità della (o delle aziende) che Sorgenia e la Provincia vorrebbero incentivare a investire nell’area, anche grazie all’energia caldo/freddo prodotta dal vapore con la quale la centrale alimenterebbe a basso costo i processi produttivi delle ditte vicine. «Stiamo lavorando su più fronti», si limita a dire Bigi, senza scucire il minimo indizio agli interlocutori evocati anche recentemente dai nuovi e vecchi inquilini di palazzo San Cristoforo: la speranza, però, è che il rebus possa essere svelato già entro la fine del prossimo anno.

Sostegno anche a iniziative culturali e sportive. Preferiti gli operai della Bassa, riduzione dell’inquinamento e in arrivo una nuova foresta.
Rassegna stampa - Il Cittadino, Alberto Belloni, 21 ottobre 2009.

Una pioggia di soldi, e di interventi, per “ammorbidire” l’impatto della centrale attraverso opere e rimborsi di ogni ordine e grado. In linea con la precedente bozza sottoscritta il 4 giugno scorso tra l’allora giunta provinciale Felissari e Sorgenia, la nuova convenzione sulla centrale di Turano e Bertonico ripropone la maggioranza degli accordi già raggiunti a fine primavera, integrandola con ulteriori impegni da parte dell’azienda sul fronte della riduzione dell’inquinamento, della creazione di nuovi posti di lavoro e del maggiore risarcimento economico a favore del Lodigiano. Sul vasto capitolo delle tecnologie anti inquinanti e delle opere di mitigazione ambientale, Sorgenia investirà quasi 26 milioni di euro. Sulle emissioni di ossidi di azoto (abbattute dai 30 milligrammi a metro cubo già autorizzati a 25) verranno spesi 500mila euro annui oltre a 4 milioni, dopo un primo triennio, per adeguare le tecnologie di combustione alle migliori in circolazione: a tale impegno, già previsto nella vecchia bozza, si aggiungerà quello di Sorgenia a valutare ulteriori miglioramenti anche nel triennio successivo. L’altro gas di scarico principale, il monossido di carbonio, verrà abbattuto del 90 per cento con un catalizzatore dal costo di 2 milioni di euro, mentre le emissioni di anidride carbonica verranno sfruttate per alimentare la fornitura di caldo/freddo delle aziende intenzionate a insediarsi sull’area.
Circa 4 milioni di euro, inoltre, verranno spesi per il cristallizzatore e gli impianti necessari per ridurre del 70 per cento il prelievo di acqua, con relativo azzeramento di scarichi idrici; mentre ben 10 milioni verranno investiti per la realizzazione tra Bertonico e Brembio di due biodigestori, che raccogliendo le biomasse vegetali e le deiezioni di bovine e suini restituiranno agli agricoltori di Bertonico, Brembio, Camairago, Turano, Secugnago e Castiglione un prodotto “ripulito” dagli eccessi di azoto, e dunque utilissimo per rispettare i rigidi vincoli della direttiva sui nitrati. I controlli e il monitoraggio ambientale saranno affidati all’Arpa, e godranno di due novità: l’istituzione di un tavolo di coordinamento e di controllo e la pubblicazione costantemente aggiornata sul sito Internet della Provincia dei dati sulle emissioni.
A lenire la “ferita” sull’area provocata dalla costruzione della centrale, come detto, provvederanno anche altre opere: si tratta, in particolare, di 50 ettari di bosco (di cui 10 subito) da realizzarsi in 10 anni in una zona ancora da identificare (costo 1 milione di euro), di due piste ciclabili tra Bertonico-cascina Colombina e Turano-Melegnanello-Vittadone di Casalpusterlengo (5 chilometri in tutto, 474mila euro di spesa) e della riqualificazione del colatore Valguercia (300mila euro). Nel conto, con somme e finalità ancora da stabilire, Sorgenia garantirà contributi vari per iniziative culturali e sportive, mentre le opere di urbanizzazione dell’area (strade e riqualificazione) costeranno ben 12,5 milioni di euro; sempre a Bertonico e Turano, peraltro, Sorgenia spenderà oltre 375mila euro per la distribuzione alle famiglie di lampade a basso contenuto energetico, l’installazione di impianti fotovoltaici su abitazioni ed edifici pubblici e premi per progetti e tesi di laurea.Sul capitolo dei contributi previsti dalla legge Marzano, Sorgenia sborserà praticamente il doppio rispetto alla bozza Felissari, da 3,72 a 7,3 milioni di euro. Rispettate le ripartizioni previste, Bertonico e Turano si divideranno il 40 per cento della quota, incassando 1,46 milioni ciascuna contro gli 1,68 complessivi previsti nella precedente convenzione. Analoga somma spetterà alla Provincia di Lodi, mentre le cifre a beneficio degli altri sei comuni (calcolate in rapporto all’estensione delle proprie superfici, della loro popolazione e della distanza dalla centrale) prevedono 1 milione e 156mila euro per Casale (contro i 436mila della prima convenzione), 663mila euro per Castiglione (erano 233mila), 375mila euro per Mairago (contro i 196mila della prima bozza), 252mila euro per Terranova (quasi il triplo in più), 251mila euro per Cavenago (contro i 131mila della prima convenzione) e 223mila per Secugnago, cui il vecchio accordo aveva destinato 116mila e rotti euro. Il pagamento avverrà in tre rate, ridiscutibili, con un terzo alla sottoscrizione della convenzione, un 40 per cento all’entrata in funzione “commerciale” dell’impianto e il restante 30 per cento un anno dopo: oltre a ciò, come ricordato dal presidente della Provincia Foroni, i comuni che decideranno di eseguire opere pubbliche facendosi carico dei costi di progettazione ma fatturando i lavori a Sorgenia potranno risparmiare dal 4 al 20 per cento sull’Iva, che verrà scaricata dall’azienda. Nessuna cifra “spendibile”, ma un impegno sulla carta altrettanto forte verrà destinato al capitolo sviluppo dell’area-aspetti occupazionali. A tale proposito, infatti, Sorgenia non solo incentiverà nuovi insediamenti garantendogli bassi costi energetici grazie alla fornitura di “caldo/freddo”, ma continuerà a privilegiare la “lodigianità” sia nell’affidamento dei lavori di realizzazione della centrale alle imprese locali che nelle assunzioni del proprio personale, che a parità di competenze privilegeranno i lavoratori residenti negli otto comuni legati alla convenzione.

Alla scoperta della struttura con l’ingegnere Decio Zonini. Il direttore dei lavori: «Una centrale così proprio non esiste».
Rassegna stampa - Il Cittadino, Cristina Vercellone, 21 ottobre 2009.

Il camino, cento metri di altezza, è quasi terminato. Presto sarà rivestito di pannelli, rossi come le cascine dei nostri ricordi. È il camino della maxi centrale a ciclo combinato di Sorgenia che si sta sviluppando, a ritmo sostenuto, nella pancia della pianura lodigiana. Domina la rete dei meccanismi d’acciaio. I tecnici giurano che da lì non usciranno polveri sottili. Il metano non ne produce. Gli altri inquinanti, o meglio, il monossido di carbonio, invece, sarà trattato con un sistema ad alta tecnologia. Decine di operai si arrampicano sulle scale, entrano nei tubi di acciaio, si confondono con il groviglio degli ingranaggi come personaggi di un grande cartone animato. Nulla può sembrare vero in un cantiere così. Soprattutto se rimbombano ancora nelle orecchie gli slogan delle manifestazioni guidate da amministratori e ambientalisti. “La centrale non la vogliamo fare” gridavano centinaia di lodigiani alla manifestazione di protesta di Casale del gennaio 2006. Eppure a poco meno di due anni dall’inizio dei lavori, partiti nell’estate del 2008, l’impianto è quasi terminato. Il 5 febbraio ci sarà la prima prova di accensione, il 23 marzo la seconda, nell’agosto del 2010 la centrale entrerà in funzione. Lo stato di avanzamento lavori è arrivato al 40 per cento. In pochi mesi però si raggiungerà l’80. Il picco della costruzione, infatti, sarà da qui a marzo.
Ed entro la primavera saranno terminate anche le opere di urbanizzazione, il reticolo di vie e strade sterrate che corrono di fianco al bosco e che dividono in lotti la grande area destinata ad ospitare altre attività industriali. L’ingegner Decio Zonini, capo cantiere, accompagna i visitatori nel labirinto dell’area. È soddisfatto. «Non esistono centrali come le nostre», commenta fiero. Lui ha la passione per le centrali nel Dna. Fresco di laurea, si occupava di energia nucleare per Ansaldo, ora è passato a Sorgenia. Si perde con le parole nella descrizione di turbine e cappe, trasformatori e generatori. Si appassiona. Il discorso e lo sguardo passano da un lato all’altro del cantiere, senza soluzione di continuità. Si fa fatica a stargli dietro. Si avvicina ai meccanismi e li tocca, come se fossero dei figli che stanno via via crescendo. «Una centrale - dice - nasce 20 metri sotto di noi. Lì giacciono 4mila colonne di ghiaia». Il terreno non può permettersi cedimenti. Un tubo interrato di 6 chilometri prende il metano dalla rete Snam e lo trasporta nelle due turbine a gas di Sorgenia. Il metano, che raggiunge una temperatura di 600 gradi, viene fatto evaporare nelle caldaie. Il vapore fa girare la turbina a vapore e così produce energia elettrica. Gli 800 megawatt ottenuti entrano direttamente nella rete di Terna, i tralicci a 380mila volt della linea San Rocco-Tavazzano.
Zonini si scandalizza quando i giornalisti chiedono quante polveri sottili saranno prodotte. «Polveri sottili? - ride -, qui si brucia metano. Polveri sottili non ce ne sono». «Gli inquinanti per i quali siamo autorizzati - aggiunge Davide Stroppa, capo progetto - sono gli ossidi di azoto, cioè Nox, per una quantità di 30 mg Nm³, anche se ci aspettiamo di viaggiare sui 25, poi i monossidi di carbonio, per circa 10 microgrammi e l’anidride carbonica. Proprio per quanto riguarda le emissioni, stiamo iniziando a contattare una serie di imprese, per l’installazione di un moderno sistema di reazione chimica, cioè un catalizzatore, che consente la trasformazione del monossido di carbonio, il più pericoloso, in anidride carbonica. Il monossido sarà presente soprattutto in fase di avviamento della centrale. L’Arpa però monitorerà la situazione, così come sta già facendo ora per quanto riguarda gli inquinanti prodotti dal cantiere. La centrale a ciclo combinato, che sfrutta cioè gas e vapore, è la centrale più efficiente, in grado di sfruttare meglio l’energia presente nel metano». Zorini mostra le turbine. «Il metano - spiega - viene bruciato per 1.350 megawatt l’ora, 260 vengono trasformati subito in energia, il resto viene elaborato in due caldaie di recupero a tre differenti livelli di pressione. Guardi questa turbina, è in fase di vestizione - dice -. Dentro ci sono scariche di anidride carbonica che intervengono per fermare eventuali incendi. Il gas entra a 576 gradi e i fumi escono dal camino a 106. In questo edificio, invece, entreranno tutti i cavi dell’alta tensione. Queste altre - spiega indicando due grandi contenitori di cemento - sono le vasche che raccolgono l’acqua piovana e impediscono che finisca a terra. La ciminiera, invece, è piena di colonne di tubi. Le mancano solo le bocche laterali di scarico, poi è terminata. Sarà la parte più evidente della centrale. È la normativa regionale che la vuole alta così».
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Sul danno economico della legge si tace

Riporto dalla rubrica "Lettere & Opinioni" de Il Cittadino di ieri, 20 ottobre, la lettera di Ermanno Tarenzi da Casalpusterlengo sul tema dell'immigrazione e del decreto sicurezza di Maroni. Un utile intervento che evidenzia alcuni aspetti della questione e soprattutto viene da un cittadino di Casale, città lodigiana dove la nuova amministrazione leghista ha posto come problema dei problemi la questione dell'immigrazione, risolta la quale il leghismo donerà ai casalini il paradiso promesso in campagna elettorale.
Immigrazione. È il Bengodi per chi viene a delinquere.

Per quanto riguarda gli immigrati, c’è un’equazione semplice da fare: più aumenta sul nostro territorio la presenza di immigrati regolari, più diminuiscono i clandestini. Al contrario meno regolarizzazioni vengono fatte e più clandestini abbiamo.
Il primo caso è il risultato di politiche d’integrazione. Il secondo di leggi e politiche repressive. Il contrasto alla clandestinità da parte del governo di centro destra e dei leghisti è esclusivamente di tipo ideologico, razzista e razziale. La Lega ai cittadini fa credere ingannandoli che l’espulsione si può realizzare in modo facile e che tale provvedimento può essere preso, anche dai militari (carabinieri, guardia di finanza eccetera). Mentre non è così. L’entità della sanzione pecuniaria e l’espulsione vengono decisi, sempre dal giudice attraverso un regolare processo.
Solo nel caso di inottemperanza, del decreto di espulsione, se preso per la seconda volta, il clandestino, viene arrestato. Convalidato l’arresto, viene processato per direttissima. Per questo tipo di reato, la condanna prevista è il carcere. Pochissime sono state le espulsioni effettuate, con l’accompagnamento alla frontiera e all’imbarco.
Nonostante siano sette anni che è in vigore, la fallimentare legge Bossi Fini, l’Italia rimane il paese di Bengodi, solo per chi viene a delinquere. Chi compie reati, italiano o straniero va giudicato e se colpevole carcerato o se straniero espulso e accompagnato alla frontiera. La suddetta legge è inefficace, per colpire questi reati più gravi, tutto il resto è propaganda, fumo negli occhi.
Nella stragrande maggioranza dei processi, gli imputati vengono giudicati in contumacia, lo straniero non si presenta. In aula rimangono solo il giudice, il pubblico ministero, l’avvocato o gli avvocati d’ufficio e i militari
convocati come testimoni. Anche se c’è la condanna con espulsione e con un’ammenda, questa sentenza non sarà né rispettata, né eseguita. Si tratta di persone nullatenenti e irreperibili. Tanti soldi spesi inutilmente.
Sprecare in questo modo (per inutili processi) denaro pubblico pagato dal contribuente è un delitto. Così come è, deleterio per i giovani e lavoratori, la legge Biagi che ha introdotto una diffusissima precarietà, non solo contrattuale ma soprattutto esistenziale. Si tratta di una condizione di lavoro e di vita inaccettabile.
Questa legge è stata voluta e approvata da Forza Italia e dalla Lega Nord. Nei primi giorni di agosto è entrato in vigore, l’inumano, ingiusto e razzista decreto sulla sicurezza di Maroni che criminalizza il clandestino. Molti di loro per la paura d’essere denunciati, rinunciano alle cure ospedaliere. Per il governo questo decreto si sta dimostrando un boomerang. Ad esempio, dall’entrata in vigore sino ad oggi, su tutto il territorio lodigiano nessun clandestino o irregolare è stato espulso. Sono stati giudicati solo 12 clandestini, dei quali 9 sono stati assolti perché il fatto non sussiste. Non avendo ottemperato al precedente decreto di espulsione che hanno avuto, trattandosi di un reato grave, il giudizio non è di loro competenza.
Tre sono stati condannati al pagamento di un’ammenda di 5.000 euro più le spese processuali (multa che non pagheranno mai). È il flop del decreto Maroni e i cittadini cominciano a capire l’inganno leghista. Il ministro Maroni si è accorto di aver combinato un pasticcio, con le nuove norme diventa ancor più complicato, oltre che costoso allontanare dal territorio nazionale lo straniero clandestino. Il ministro Maroni ha accusato i giudici di voler boicottare il decreto sulla sicurezza: sbaglia. È esattamente il contrario.
I magistrati stanno applicando la legge e le norme farraginose e inapplicabili che sono scritte nel suo decreto. Ciò che succede nei tribunali di tutt’Italia, l’enorme danno economico provocato al paese, non viene raccontato in televisione. È bene che gli italiani non sappiano, è la condizione essenziale per mantenere il compenso elettorale ottenuto. Parafrasando un importante autore teatrale è il caso di dire: “Tanta cattiveria e tanto rumore per nulla?“.
Ermanno Tarenzi, Casalpusterlengo.
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Abbiamo tutelato il paese

Niente sconti e pochi spazi: profilo basso per il piano casa.
Rassegna stampa - Il Cittadino, Andrea Bagatta, 21 ottobre 2009.

Brembio - Il piano casa regionale si applicherà soltanto in coerenza con quanto previsto dal piano di governo del territorio in corso d’adozione ed escludendo diverse aree sensibili per evitare speculazioni.
Il consiglio comunale di Brembio ha approvato giovedì 15 ottobre scorso la delibera di esclusione delle aree comunali dall’applicazione del piano casa regionale che prevede la possibilità di recuperare fino al 20 per cento di volumetria delle abitazioni da sottoporre a ristrutturazione con sconti sul pagamento degli oneri. Il piano casa non sarà applicato al centro storico, alle cascine e alle frazioni, limitatamente agli edifici di rilevanza storica o architettonica, e ad altre parti puntuali del paese identificate come meritevoli di particolare salvaguardia.
«Abbiamo inteso limitare le possibilità offerte dal piano casa regionale perché si vuole evitare che diventi l’occasione di speculazione su alcune parti del paese che invece devono essere tutelate e salvaguardate nella loro essenza», ha commentato il sindaco Giuseppe Sozzi. Con lo stesso spirito, nella delibera portata in consiglio comunale non erano previsti sconti sugli oneri e gli altri costi di costruzione, ma i tecnici hanno suggerito di apportare un emendamento per evitare eventuali ricorsi. Lo spirito della normativa regionale, infatti, sarebbe tale da prevedere obbligatoriamente degli sconti, e un valore pari a zero sarebbe stato impugnabile da parte dei privati con la conseguente applicazione prevista in Regione, ovvero il 30 per cento. Per questo motivo è stato votato un emendamento che ha portato gli sconti all’1 per cento, il minimo possibile. Insieme alla maggioranza ha votato anche l’opposizione di Brembio che cambia, mentre Rifondazione Comunista, pur apprezzando il tentativo di limitare gli effetti della norma, ha preferito esprimere un voto contrario di carattere politico sul valore complessivo della legge regionale e di carattere tecnico per l’applicazione di uno sconto, seppur minimo.
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