Troppe proroghe.
Paesaggio, la tutela che non arriva mai.
E il Codice salva-paesaggio rimane bloccato.
Rassegna stampa.
Dal 1995 al 2006 i Comuni italiani (il dato è dell’Istat) hanno concesso autorizzazioni per tre miliardi di metri cubi di edilizia residenziale e non residenziale. Un’autentica colata di cemento che, secondo alcuni, si traduce in sviluppo. Per altri rappresenta in molti casi, certo non in tutti, una ferita indelebile al Paesaggio italiano, vera carta d’identità del nostro Paese che nei propri Beni culturali potrebbe avere un futuro assicurato grazie a un turismo internazionale sempre più colto, sensibile, consapevole. E capace di confronti.
Dunque, troppi sfregi. Eppure l’articolo 9 della Costituzione repubblicana parla chiaro. Lo Stato è obbligato alla tutela del «paesaggio e del patrimonio storico e artistico». Non parliamo insomma di un optional, né di un lusso riservato a pochi raffinati ecologisti. Riguarda la collettività. Ma la cementificazione selvaggia del Centro-Nord, del Sud, della stessa Toscana dimostra che quell’obbligo spesso rimane carta stampata: la rete dei Comitati spontanei toscani guidata da Alberto Asor Rosa dà voce a una protesta contro un centrosinistra al potere molto legato al «partito del fare». Il Codice dei Beni culturali firmato da Giuliano Urbani, nelle sue ultime varianti volute sia da Rocco Buttiglione che da Francesco Rutelli (con una preoccupazione evidentemente bipartisan) ha introdotto una grossa novità: all’articolo 146 si prevede il «parere preventivo, obbligatorio e vincolante» delle Soprintendenze su ogni progetto per le aree tutelate. Ovvero quel 40% di territorio nazionale che costituisce il paesaggio-bene culturale.
Per parlare con chiarezza: se il soprintendente dice no a un intervento su un’area vincolata (diniego motivato, non suggerito da personali snobbismi estetici) niente da fare. Ovviamente c’è un «ma», tipicamente italiano. L’articolo 146 non è ancora in vigore perché, dal 2008, siamo in un regime transitorio con l’articolo 159. Prima prorogato al 31 dicembre 2008, poi al 31 dicembre 2009. L’articolo 159, la proroga, nasceva dall’esigenza di adeguare strutture e prassi alle nuove procedure, per abituare al nuovo ritmo Soprintendenze e uffici comunali e regionali. Per ora resta in vigore la vecchia norma che concede al soprintendente solo il potere di annullare entro sessanta giorni l’autorizzazione paesaggistica rilasciata dal Comune e dalla Regione. Col risultato che in passato solo tre autorizzazioni su cento, in media, sono state bloccate e la metà di quelle annullate dai Tar.
Naturalmente il regime di proroga è visto con immenso favore dai Comuni. I permessi edilizi producono oneri di urbanizzazione, ovvero denaro fresco che può (ancora) finire nei bilanci correnti in un momento in cui sono poverissimi. Altrettanto favore viene dal partito trasversale del mattone, dell’«impresa in un giorno», molto potente sia in Toscana che nel Nord-Est dove «l’intera pedemontana lombardo-veneta è una continua conurbazione edilizia», come lamenta Vittorio Emiliani presidente del Comitato per la Bellezza. L’Italia così come ancora la conosciamo è, insomma, sempre più in pericolo. E troppo spesso gli interventi edilizi sono di qualità scadente, in contrasto con il «linguaggio» dei nostri panorami. L’Italia è un «museo diffuso», un tutt’uno tra Paesaggio e patrimonio artistico, concetto caro a Cesare Brandi come a Federico Zeri.
Sono in molti ad attendere dal ministro Sandro Bondi un gesto coraggioso di governo: far sì che questa sia l’ultima proroga, dando via libera all’articolo 146. E alla pienezza della tutela, soprattutto ora che siamo a un passo dal Piano casa. Preoccupazione notoriamente condivisa da Andrea Carandini, presidente del Consiglio superiore dei beni culturali.
Stanno per finire i lavori della commissione di semplificazione dell’articolo 146, voluta da Bondi e presieduta dal professor Sandro Amoroso, esperto di diritto urbanistico. Si tratta di distinguere il banale permesso per l’apertura di una finestra, mettiamo, in una casa di Ischia (zona tutelata) da una costruzione vera e propria. Lo strumento libererà Soprintendenze e Comuni da molti vincoli lasciando sul tavolo i problemi veri del Paesaggio. Chiusa l’operazione, occorre un gesto forte, il varo dell’articolo 146. Altrimenti la tutela, nei prossimi anni, rischia di essere pura finzione burocratica. Non realtà politica e culturale.