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sabato 5 settembre 2009

La Lega del dialogo

Lega Santa.
Don Bossi al lavoro per la Dc del Nord.
Il Senatur sfrutta le incomprensioni tra mondo cattolico e PdL per guadagnare voti e arginare l`Udc. Dimenticati dio Po e riti celtici, il Senatur la pensa come la Chiesa su bioetica e famiglia: «Il Vaticano non è contro di noi».
Rassegna stampa - Libero di oggi, Matteo Pandini.

"La Lega del dialogo" ha sparato la Padania di ieri per enfatizzare il colloquio di Umberto Bossi col presidente della Cei Angelo Bagnasco (e a cui va aggiunto il vertice con Cisl e Uil per i contratti territoriali).
In un'estate di tensione sull'asse Vaticano-Palazzo Chigi - tra escort e inviti alla sobrietà, immigrazione e respingimenti, veleni tra Avvenire e Giornale - il Carroccio tende la mano ai Sacri Palazzi, confermando un feeling antico. Testimoniato, per esempio, ad aprile. Quando Bossi e Calderoli, accompagnati da Giulio Tremonti e Aldo Brancher, incontrarono il patriarca di Venezia Angelo Scola. Parlarono di tutto. Di terremoto in Abruzzo ed economia.
E poi di tutela della famiglia, bioetica, federalismo. Sono lontani i tempi dei «vescovoni», come urlava il Senatur, o delle critiche al «Papa polacco» perché era meglio «il bergamasco» Roncalli (Umberto Bossi, estate 1997). O ancora, dei matrimoni con rito celtico e del dio Po.
Negli ultimi anni la Lega ha corretto il tiro. Prima ha fatto un tifo sfrenato per i crocifissi nelle scuole e per la tutela delle radici cristiane (invocate anche nella costituzione europea), poi è tornata a battere soprattutto sul federalismo. Un cambiamento di strategia che non ha raffreddato i rapporti, anzi. Su bioetica e tutela della famiglia la Lega ha mantenuto una posizione gradita dalla Santa Sede. E adesso Bossi vuole raccogliere i frutti, tanto da aver organizzato il vertice col presidente della Cei un secondo dopo la provocazione della Padania - «rivediamo il Concordato» - da cui il Senatur si era subito smarcato.
Nel vertice con Bagnasco, Umberto s`è travestito da agnellino, giurando di voler chiacchierare solo per aiutare Berlusconi e quindi il governo, ma sotto sotto tenta di gonfiare il portafoglio di voti approfittando della temperatura - decisamente freddina - tra ambienti cattolici e Cavaliere. Vuole i consensi in uscita dal PdL, il furbo Bossi, ma intende arginare pure l`avanzata dell`Udc che in alcune regioni guarda a sinistra. Zitto zitto, Pier Ferdinando Casini sta fermo e raccoglie i suffragi che gocciolano dalle mani del premier. «Ho scoperto che il Vaticano non ce l'ha con noi» ha spiegato il leader padano, annunciando di aver illustrato a Bagnasco «la detax, la possibilità di tassare le multinazionali per finanziare i paesi poveri». Bossi ha garantito anche un impegno sui temi etici.
La Padania ha smentito seccamente che nel colloquio si sia parlato di Dino Boffo, che ha lasciato Avvenire dopo le accuse de il Giornale berlusconiano. Quello che è certo è che la Lega era già intervenuta sull`argomento, con una telefonata di Maroni all`ormai ex direttore cattolico. Che poi lo ha ringraziato pubblicamente.
Il Senatur ha in testa un piano lucido. A marzo si vota. In palio tredici regioni. Almeno sette sono in bilico. Umberto vuole incrementare i consensi. Ha già rubato alla sinistra gli operai. Adesso prova a soffiare i cattolici ad alleati e centristi. Ha chiesto Lombardia e Veneto e Piemonte. Forse avrà Torino (è pronto il capogruppo alla Camera Roberto Cota). Difficilmente strapperà Palazzo Balbi a Giancarlo Galan, anche se sta facendo scaldare Flavio Tosi e Luca Zaia. L`impresa di spodestare il lombardo Roberto Formigoni, ciellino doc, è addirittura disperata.
Bossi ci spera lo stesso e ha preallertato big come Roberto Castelli e Roberto Maroni. Per insediarsi al Pirellone, il Senatur deve sperare in Antonio Tajani. Il vicepresidente della Commissione Europea (e responsabile dei Trasporti) non dovrebbe essere della partita, ma se invece dovesse correre per il Lazio libererebbe la sua poltrona per Formigoni. Che a sua volta lascerebbe vuoto lo scranno di governatore.
Inutile dire che siamo nel campo delle ipotesi. E per rimanerci segnaliamo la «scossa» che potrebbe arrivare dalla Consulta, in caso di bocciatura del lodo Alfano.
Si saprà il 6 ottobre. Se lo scudo per i processi al premier dovesse finire in fuorigioco, Berlusconi sarebbe costretto a stringere ancora di più il legame con Bossi. E, magari, potrebbe diventare più generoso in vista delle regionali. Ecco perché ad Arcore vogliono chiudere in fretta il puzzle delle candidature, che però non dovrebbero essere ufficializzate prima di gennaio febbraio. Ovvero dopo l`approvazione dei bilanci regionali, onde evitare terremoti nelle maggioranze dei governatori eventualmente esclusi dalla partita. Insomma, un bel pasticcio. Anche se il Senatur si è già mosso per studiare contromosse. Niente Lombardia e/o Veneto? Il centrodestra potrebbe candidare un padano in Emilia Romagna - dove il match è perso in partenza - e addirittura nelle Marche. Lì è pronto Luca Rodolfo Paolini. Deputato. Avvocato. Primo leghista eletto nella zona. La sfida è difficile ma non impossibile. Umberto non sta fermo. Ieri ha parlato di salari territoriali («la Cgil non li vuole? È centralista»). Nelle prossime settimane si attendono altre scintille tra alleati sulle regionali. I ciellini sono pronti a fare le barricate per difendere Formigoni. Già, i ciellini. «Don Giussani votò Lega» ha rivelato Calderoli l'anno scorso.
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Quel partito strano che di nome fa Lega

Dio, Padania e famiglia la Realpolitik di Bossi.
Così la Lega panteista è diventata, interlocutore del Vaticano.
La storia.

Rassegna stampa - La Stampa di oggi, Mattia Feltri.

Roma - Dopo l`incontro tra Bagnasco e il senatur.
«Una prova di eccellenti rapporti che caratterizzano il movimento leghista e la Chiesa cattolica», ha scritto ieri in prima pagina La Padania a proposito dell`incontro di giovedì sera fra il presidente delle Cei, Angelo Bagnasco, e i leader autonomisti, Umberto Bossi e Roberto Calderoli. L'esultanza in fondo è stata contenuta, come se nessuno avesse dubitato del successo. «La nostra politica, anche sull`immigrazione, è perfettamente in linea con i valori cristiani», ha detto il capogruppo alla Camera, Roberto Cota. E il presidente della commissione Esteri di Montecitorio, Stefano Stefani, ha aggiunto: «La Lega ha radici cattoliche e ha lottato contro l`impostazione che era stata data in Europa dove nessuno voleva inserire tra i fondamenti le radici cristiane». E poi ha precisato: si è parlato di «legge sul biotestamento» e di «pillola Ru486».
Cota e Stefani hanno toccato i due punti centrali: sull'immigrazione le distanze non sono così incolmabili e sui temi etici - quelli non negoziabili, secondo la dizione più in voga - si viaggia d'amore e d'accordo.
In Vaticano e nei vescovadi sanno che a proposito di composizione tradizionale della famiglia, matrimoni omosessuali, sistemi procreativi e fine vita, le posizioni leghiste sono le più intransigenti, compatte come non lo sono nemmeno in partiti con espliciti riferimenti confessionali (dove qua e là spuntano cattolici adulti o del dissenso). Magari, come segnala il politologo trevigiano Paolo Feltrin, docente all'Università di Trieste, «la Chiesa trova qualche difficoltà a dialogare con i leghisti perché la classe dirigente del Carroccio è interamente laica, o perlomeno non di formazione cattolica. Per intenderci, nella Lega non c`è un Maurizio Lupi, e nemmeno un convertito come Maurizio Sacconi, con i quali è facile tenere rapporti organici».
La cosa, a lungo andare, dice Feltrin, potrebbe creare problemi. Ma intanto, nel suo strano panteismo tradizionalista e conservativo, la Lega è un argine formidabile contro la «deriva relativista», come si dice fra porporati. Insomma, non è una convergenza di sentimenti, ma di interessi sì. «E semmai il rischio è questo: che al Nord si crei una specie di doppio magistero, quello politico della Lega e quello ecclesiastico», dice don Bruno Fasani, ex direttore di Verona Fedele e oggi portavoce della Curia. Resta un dato di fatto, e lo illustra il medesimo Fasani: «La Lega intercetta l`opinione del buon senso comune: la famiglia è costituita da un uomo e una donna che fanno figli, i bambini è bene che siano allevati da un padre e da una madre, la vita finisce quando si muore, non quando si fa morire». E dunque nella provincia settentrionale per i parroci è facile trovare buoni alleati anche soltanto per il piccolo proselitismo quotidiano.
Semmai i perentori botta e risposta fra Calderoli e monsignor Antonio Maria Vegliò a proposito di migranti segnala che lì le intese parrebbero precarie. Ma intanto - per quanto sia discutibile fare classifiche - alla Chiesa sembra stare più a cuore l`integrità della famiglia che non i migranti. Poi non si è notato che, giovedì sera, al cospetto di Bagnasco, Bossi ha rilanciato la vecchia idea un po' no global, come piace alla Lega, di una tassazione etica sulle transazioni internazionali da destinare ai poveri. E nemmeno si è sottolineata abbastanza la crescita nei cuori padani, a fianco di Alberto da Giussano, della figura di Marco D'Aviano, il frate cappuccino che si oppose all'invasione islamica di Vienna, e per il quale Bossi ha chiesto una fiction alla Rai.
Ma tutto questo passa in secondo piano davanti al ragionamento di Feltrin, che invita a guardare la prima pagina del sito del ministero dell'Interno, dove vengono forniti i dati provvisori (dopo un solo giorno e mezzo di lavoro) della sanatoria di colf e badanti: «Al terzo posto ci sono i marocchini. Ora, chi ha una colf o una badante marocchina, alzi la mano». Il ministero di Roberto Maroni prevede di sanare 750 mila posizioni.
Potrebbero essere anche di più e in ogni caso, fra sanati e loro familiari, di colpo la popolazione italiana crescerà di circa un milione di abitanti, tutti extracomunitari. «È la vecchia teoria del predicare male e razzolare bene. Un classico della Lega. Ed eccone un esempio perfetto», dice Feltrin. Che insiste: «So di molti vescovi del Nord che si vedono a cena con sindaci e amministratori leghisti, stabiliscono strategie comuni, e dal giorno dopo tutti liberi di fare la propaganda che preferiscono».
Daniele Belotti, consigliere regionale della Lombardia, e storico leghista bergamasco (oltre che nipote del vescovo ausiliare di Bergamo, monsignor Lino Belotti, ex responsabile Cei per i migranti), racconta che «fino a non molto tempo fa, tutti i parroci ci erano ostili. Adesso la maggior parte sta con noi. Alcuni ci incoraggiano segretamente, altri pubblicamente. Abbiamo problemi soltanto con i parroci dichiaratamente di sinistra, ma in fondo si collabora con chiunque». E, al di là delle sintesi puramente politiche, don Fasani ricorda che secondo i rapporti Caritas le città dove l'integrazione funziona meglio sono proprio Treviso e Verona, dove la medesima Caritas, insieme con altre associazioni cattoliche, le amministrazioni, le questure e le prefetture, compartecipa a organizzare la convivenza: «E, quando dicono messa, i preti sono solitamente così accorti da non entrare nel dettaglio politico, da non urtare sensibilità diffuse».
Ciò non toglie che il rapporto, comunque, presenti delle complicazioni.
Feltrin ricordava la difficoltà per la Chiesa di avere referenti organici. E aggiunge che, «per la prima volta, la gerarchia ecclesiastica ha a che fare con un partito strano: non sono dei miei, ma il mio popolo li segue. E inoltre non scordiamo che, anche sul versante etico, il discorso della Chiesa ha tendenze universalistiche, quello della Lega ha tendenze localistiche. Come si vede, le ambiguità non sono poche». Ma con un po' di Realpolitik si supera tutto.
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Un’autentica videoindecenza

L'editoriale di oggi di Avvenire.
Anche sui giornali e in tv non può esserci liberta senza responsabilità.
Cattiva stampa e videoindecenze: giudicate voi, giudicate adesso.
Rassegna stampa - Avvenire, Marco Tarquinio.

C’è più di un problema nel mondo dell’informazione italiana. Ma qui, oggi, vogliamo sottolinearne uno che rischia di non essere messo a fuoco nel momento in cui, giustamente, ci si interroga e ci si allarma sulla sorte della libera stampa nel nostro Paese. La libertà senza responsabilità non ha senso, e l’esercizio irresponsabile della libertà diventa inesorabilmente una maledizione per ogni comunità civile. E quella di chi fa e legge i giornali, di chi fa e ascolta e vede i radiotelegiornali, è – dovrebbe essere – una comunità civile. Noi di Avvenire – la «voce delle voci» dei cattolici italiani che Dino Boffo per 15 anni ha portato con libertà e responsabilità in edicola – ci sentiamo parte di questa comunità civile, ci sentiamo e siamo al servizio dei suoi membri più importanti: coloro che ci leggono, coloro che ci guardano e che ci ascoltano. Sono loro, prima di tutto, che giudicano del nostro grado di libertà e di responsabilità, della nostra pulizia e della nostra coerenza.
E noi – oggi che siamo stati trascinati in una battaglia insensata dalla premeditata aggressione compiuta contro il nostro direttore da quanti hanno esercitato una libertà senza alcuna responsabilità – vogliamo riflettere pubblicamente a partire da questo punto cruciale. Restando noi stessi. Sperando di essere ascoltati dai nostri colleghi giornalisti. Contando soprattutto su chi legge, guarda e ascolta coloro che "danno le notizie".
In queste ore, il presidente dell’Ordine dei giornalisti Lorenzo Del Boca ha invocato un «passo indietro» e ha richiamato al dovere morale di usare i media con una «maggiore sobrietà di atteggiamenti». Si è rivolto ai professionisti dell’informazione. E ha argomentato: «La funzione dei giornali, delle radio, delle tv e del mondo web è talmente importante e fondamentale nella vita civile di una comunità che non può ridursi – peggio se per propria scelta – a un battibecco dai toni sempre più accesi e sempre meno comprensibili». Ha parlato di deontologia, Del Boca. E questo è l’altro nome della libertà responsabile.
Siamo così d’accordo con lui, noi di Avvenire, che da venerdì 28 agosto a oggi – con naturale adesione all’imput che ci veniva dal nostro direttore – non abbiamo consentito a chi aveva sferrato il menzognero attacco a Dino Boffo e alla libera voce di questa testata di "commissariare" le nostre pagine con una sporca non-notizia. Abbiamo continuato, invece, a scrivere dell’Italia e del Mondo, dando conto con chiarezza esclusivamente nelle pagine dedicate al dialogo con i lettori dell’inconsistenza di quella maligna campagna diffamatoria costruita – nei titoli e negli articoli del "Giornale" diretto da Vittorio Feltri – su una lettera anonima travestita da «documento del casellario giudiziario». E in quegli stessi giorni abbiamo fermamente e cortesemente declinato ogni invito a incrociare le voci – attraverso i mass media radiofonici e televisivi – con coloro che a questa inconcepibile e feroce gazzarra "punitiva" avevano dato il via.
Da cronisti e da portatori di opinioni ci confrontiamo senza timori e senza reticenze con ogni fatto e ogni interlocutore, ma proprio perché crediamo nel dialogo riteniamo che non si possa e non si debba mai recitare una finzione di dialogo. E così abbiamo scelto di non consegnarci ai caotici «battibecchi» soprattutto televisivi evocati da Del Boca e cari, ormai da anni, agli spacciatori di spazzatura.
Osavamo sperare che le nostre scelte facessero riflettere.
E che alla riflessione seguissero scelte giornalistiche conseguenti. Raccontare, ovvio, il "caso" violentemente aperto dal "Giornale", ma con tenace precisione, dopo aver verificato fatti, situazioni e fonti, nel massimo rispetto delle persone a torto o a ragione coinvolte. Molti colleghi, su tante testate quotidiane, hanno mostrato a noi e ai loro lettori che questo è ancora possibile nel nostro Paese. Un gruppo graniticamente inquadrato di giornali ha fatto esattamente l’opposto. E la magna pars dell’informazione televisiva pubblica e privata ha finito per amplificare le loro cannonate in faccia alla verità.
Le falsità e le deformazioni sulla persona di Dino Boffo hanno avuto – per giorni – uno spazio tv irrimediabilmente insultante. Di Avvenire e della sua linea politica è stata fatta anche in tv una interessata caricatura. E questo perché Feltri & Co. sono stati fatti dilagare sul piccolo schermo con le loro tesi e (man mano che la verità veniva a galla) i loro aggiustamenti di tesi. E quando non sono stati loro – gli sbandieratori di una ignobile lettera anonima – a occupare lo schermo, le notizie di chiarimento venute dalla magistratura di Terni sono state ignorate o sminuzzate. Confuse in un polverone di chiacchiere in politichese. Tutt’al più di querimonie su una privacy violata, quando c’era una verità di vita fatta a pezzi. Un’autentica videoindecenza.
Qualcuno dirà: gli assenti hanno sempre torto. Ma noi di Avvenire non siamo stati affatto assenti: non siamo andati in tv a impersonare la parte del calunniato che fa da comparsa nello spettacolo del suo calunniatore, che è cosa ben diversa.
Tutto questo è accaduto sotto gli occhi dei nostri concittadini, lettori e telespettatori. Tutto questo è sotto gli occhi dei cattolici italiani. Che giudichino loro – in edicola e col telecomando – questa libertà irresponsabile che, ancora una volta, nessun altro, neppure l’Ordine dei giornalisti, appare in grado di giudicare. Giudichino loro la stampa della falsità e della cattiveria. Giudichino le videoindecenze.
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Un partito legato al territorio

Il Pd verso il congresso.
Speciale, [19].
Da Simone Uggetti ad Aurelio Ferrari molti amministratori hanno aderito alla lista dell’ex ministro.
«Vogliamo dire basta ai vecchi sistemi».
Congresso Pd, presentata ieri a Lodi la mozione Bersani.

Il Cittadino, Alberto Belloni.

«Nessuna nostalgia del passato e dei vecchi schemi. Si tratta di costruire un Partito Democratico forte e ben organizzato. Che sappia proporre un’azione decisa e senza tentennamenti»: così uno dei coordinatori della mozione Bersani sul territorio, l’assessore del comune di Lodi Simone Uggetti ha presentato le linea guida del documento congressuale. Un’anteprima in vista dell’arrivo dell’ex ministro Pierluigi Bersani nel capoluogo, per illustrare i punti centrali della sua proposta. L’appuntamento è per questo pomeriggio, alle ore 17, presso lo spazio dibattito dell’area del Capanno a Lodi, alla presenza anche di Maurizio Martina (segretario regionale Pd). «Abbiamo già ricevuto molte adesioni alla mozione sul territorio, tra amministratori ed esponenti provenienti da diverse realtà della provincia», continua Uggetti.
Alla presentazione dell’iniziativa è inoltre intervenuto l’ex sindaco di Lodi, Aurelio Ferrari che ha sottolineato come uno dei tratti caratteristici della mozione Bersani è il «richiamo ad un nuovo umanesimo» e «qui ritrovo - ha detto - le ragioni di una convergenza tra la parte cattolica e quella componente che ha fatto della sensibilità umana la propria ragione di impegno». E ancora il sindaco di Brembio, Giuseppe Sozzi ha rimarcato il tema di un partito legato ai territori: «Da qui bisogna ripartire ed è un elemento che ho apprezzato all’interno della mozione Bersani». E poi la rivisitazione del problema delle alleanze: «È questo un sistema che va ripensato - ha continuato Sozzi - bisogna voltar pagina rispetto al ragionamento di un bipartismo».
Mentre il consigliere regionale Gianfranco Concordati, anche lui tra i sostenitori della linea Bersani, ha parlato di un congresso che arriva in una fase delicata per il Paese: «Sono sempre stato molto cauto nel dire che potevano esistere rischi per la democrazia in Italia, ma oggi mi devo ricredere. Noto infatti dei segnali inquietanti, che ci devono far riflettere». Sempre per Concordati, il congresso diventa in più un’occasione per fare del Pd «un partito più forte nel Paese e nel territorio», questo in vista delle prossime consultazioni a livello regionale e per il confronto elettorale per le comunali di Lodi. Infine sono intervenuti per annunciare l’arrivo in città di Bersani, i sostenitori della sua mozione, tra cui il giovane Dario Leone, l’ex vice sindaco di Sordio Angelo Antoniazzi e il segretario della città di Lodi del Partito Democratico Domenico Visigalli.


Anche i sindaci, indossato il grembiulino, friggono salamelle alle feste dell’Unità.

Anche i sindaci friggono le salamelle. Era quanto accadeva vent’anni fa, alle feste dell’Unità, quando non era raro incontrare i sanguigni sindaci comunisti occupati nel reparto friggitoria. La cosa si è ripetuta anche in queste ultime ore, a Lodi, alla festa provinciale del Partito Democratico, dove i visitatori martedì sera sono incappati addirittura nel primo cittadino di Lodi, Lorenzo Guerini, intento a “bruciacchiare” (non friggere) salamelle. Non che Guerini provenga dalle file dell’ex Pci (anzi, tiene a ribadire di aver militato nella gloriosa Democrazia Cristiana...), ma il sindaco di Lodi, prossimo alla campagna elettorale della primavera 2010, forse ha voluto cimentarsi nelle prove necessarie a... friggere avversari politici. Oppure saranno altri a metterlo sulla graticola?

Pesanti critiche all'attuale giunta provinciale.
Canova (Pd): «Trasparenza sugli stipendi? Ci vuole altro»

«Sono ben altre le “iniziative rivoluzionarie” di cui il Lodigiano abbisogna. È racchiuso in questa aspra chiosa il senso della replica con la quale Luca Canova, vicecapogruppo del Partito Democratico in consiglio provinciale, ha deciso di commentare “l’operazione trasparenza” attraverso la quale il presidente Pietro Foroni ha deciso di rendere pubblici il suo stipendio e quello dei sei assessori che compongono la sua giunta. «Credo che i lodigiani siano più interessati a quel che vuol fare la giunta per il nostro territorio che a sapere che il suo costo per la collettività si aggira, ogni mese, sui 40 milioni di vecchie lire», spiega Canova, cui al di la del “peso” delle buste paga percepite dal presidente, dal suo vice e dagli altri cinque componenti della giunta non sono piaciuti alcuni dei contenuti che hanno accompagnato il comunicato diffuso sul sito internet della provincia. «Sotto il profilo politico - prosegue Canova - resto sorpreso nel sapere che l’iniziativa è volta a contrastare “dicerie e insinuazioni sulle giunte leghiste”: non eravamo a conoscenza del fatto che la giunta fosse costituita da un monocolore leghista». Sul lato economico, invece, la stoccata è rivolta alla rinunce economiche e ai gravosi sacrifici dei quali, per Foroni, la giunta si sta facendo carico: «Quanto alla retrocessione dal punto di vista economico per gli assessori provinciali, agli impegni gravosi e alle famiglie trascurate, c’è chi regge questi impegni per molto meno - sciabola Canova -. Per esempio i consiglieri provinciali che sono eletti dai cittadini, sono convinti del loro dovere, sono anch’essi “strappati alle famiglie”, non hanno fondi accessori e hanno da sempre l’obbligo di rendere pubblico il proprio reddito: tutto questo per poco più un centinaio di euro mensili e senza lamentarsi. Le disponibilità finanziarie di cui la giunta dispone sono ottime e abbondanti, anche per meriti pregressi: finite le vacanze li invitiamo a lavorare, con impegno, per il bene del Lodigiano». Anche l’ex assessore e oggi consigliere Mauro Soldati è severo: « Tra poco ci diranno che l’acqua bolle a 100 gradi. La banalità delle affermazioni di questa giunta sta raggiungendo vette impensabili. Ogni anno, in base alla legge, gli amministratori forniscono l’entità degli emolumenti percepiti e non solo quelli riconducibili alla pubblica amministrazione. Noi l’abbiamo sempre fatto e siamo stupiti dall’enfasi con la quale presentano la normalità, come il fatto che la carica comporti sacrifici personali. Non l’ha ordinato il dottore di fare l’assessore, e per quanto impegnativo e carico di responsabilità, portare a casa più di duemila euro al mese, di questi tempi, non è poi tanto disgustoso; ci vorrebbe maggior senso della realtà».


Bersani alla festa del Pd, i supporter: «È l’occasione per una svolta».
Il Giorno di oggi.

Pierluigi Bersani, dopo Dario Franceschini, sarà l’ultimo candidato alla segreteria nazionale a visitare la festa del Pd al Capanno, stasera alle 17. Ieri, intanto, il comitato lodigiano per la mozione Bersani ha spiegato la propria scelta. Nel gruppo, Simone Uggetti, Dario Leone, Gianfranco Concordati, Angelo Antoniazzi, Domenico Visigalli e il sindaco di Brembio, Sozzi, che ha spiegato «di essere stato convinto dalla grande attenzione data dalla mozione al territorio».
Aaurelio Ferrari, ex sindaco, di provenienza Margherita, ha spiegato di aver apprezzato «la lucidità della scelta politica, basata sul concetto di un nuovo umanesimo». Concordati ha invece sottolineato l’importanza della ridefinizione delle alleanze e della linea politica. Leone, invece, ha notato «positivamente che fra i giovani cominciano a essere presenti simpatizzanti che non provengono da precedenti esperienze, ma nati nell’identità del Pd».
(19 - continua)
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AAA cercasi a Casale nuova sede della moschea

L’imam: «La sistemazione in via Fugazza è inadeguata, speriamo di trovare presto una nuova sede per il centro islamico.
«I musulmani non lasceranno Casale».
Smentita l’intenzione di spostare la moschea in un altro centro.

Rassegna stampa - Il Cittadino di oggi, Andrea Bagatta.

I musulmani cercano la nuova sede della moschea a Casale, e non in altri paesi della Bassa, ma non si trasferiranno in via Adda. A dichiararlo sono alcuni tra i più stretti collaboratori del presidente del Centro culturale islamico Ismail Hassan El Alaoui e dell’imam Yassin. A dieci giorni dall’ordinanza dell’amministrazione comunale per il ripristino delle condizioni d’uso originali dello stabile usato come centro islamico, cioè il ritorno a un uso artigianale e quindi la chiusura della moschea, ancora nulla è successo. I musulmani così si recano ogni sera e il venerdì a mezzogiorno in via Fugazza per celebrare il Ramadan. «Non siamo contenti di questo posto in via Fugazza, ma siamo obbligati a restare perché non troviamo una sistemazione migliore - dice, per mezzo di un collaboratore interprete, l’imam Yassin, yemenita residente a Casale che parla solo arabo -. Siamo in Italia e rispettiamo le leggi italiane e la gente italiana. In questo posto veniamo solo a pregare, senza creare problemi. Anzi la moschea è una garanzia di sicurezza per tutti, perché chi viene qui a pregare non è in strada a dare fastidio o ubriacarsi».
Sulla possibilità di andare in via Adda, nel locale comunale indicato dall’amministrazione come possibile soluzione temporanea per il Ramadan, i musulmani sono più che scettici. «Non ha senso spostarsi solo per tre settimane - dicono i collaboratori dell’imam -. Il posto non è adatto, è piccolo e mancano i servizi, e dovremmo andare là solo per poco tempo. Ci sposteremo di qui solo per andare in una nuova sede definitiva». Sede che l’amministrazione di Casale vorrebbe fosse individuata fuori dalla città, ma la linea di condotta dei musulmani sembra diversa. «Stiamo cercando una nuova sede per la moschea, e lo stiamo facendo da diverso tempo, ma la vogliamo a Casale - proseguono gli islamici -. Magari fuori dall’abitato, nella zona industriale, ma a Casale: a Somaglia o Codogno ci sono poche persone disposte a seguirci, e molte non hanno mezzi di trasporto. Finora con l’amministrazione comunale siamo sempre andati d’accordo, vedremo poi se una volta trovato il capannone adatto in Casale ci sarà concesso il permesso o ci saranno questioni».
Intanto, restano in via Fugazza, dove il rapporto con i residenti è buono e cordiale, dicono i musulmani. «Ci è stato chiesto di non occupare più la sede stradale e di prestare attenzione ad attraversare la via Emilia, e così abbiamo fatto: altri problemi non ci sono mai stati, e anzi la gente viene a incontrarci, a conoscerci, a parlare». Una versione confermata da alcuni residenti di passaggio, che non si tirano indietro dal commentare la situazione: «Non abbiamo mai avuto questioni particolari con la comunità islamica, anche perché vengono qui solo a pregare. Ci siamo lamentati quando occupavano la sede stradale ed erano un pericolo per gli automobilisti e per se stessi. Per il resto, la convivenza è sempre stata tranquilla: se rispettano le regole, non ci sono problemi».

Codogno. Sicurezza, Udc e Repubblicani spaccano il fronte della giunta.
Il Cittadino di oggi, Luisa Luccini.

La questione sicurezza spacca il centrodestra. E la vicenda si fa incandescente: perché dopo gli attacchi del centrosinistra, adesso il dissenso è tutto interno alla maggioranza. A smarcarsi sono gli alleati dell’Udc e dei Repubblicani: netto il loro dissociarsi dalla decisione di «istituzionalizzare» la figura del sindaco Emanuele Dossena come referente delle segnalazioni (garantite dalla riservatezza) di cittadini in tema di ordine pubblico e sicurezza. Il vicesindaco Carlo Pizzamiglio (Udc) parla chiaro: «Diciamo subito che il sottoscritto e l’Udc ritengono che la sicurezza dei cittadini venga già egregiamente garantita dalle forze dell’ordine - incalza Pizzamiglio -. In particolare dalla compagnia dei carabinieri di Codogno, che ha sempre dimostrato, anche senza intermediari, di presidiare al meglio il territorio». La frattura porta però con sé forti strascichi di ordine politico. «Sono stato in città per tutta l’estate - sbotta Pizzamiglio - eppure non sapevo nulla di questa decisione, né tanto meno lo sapeva il partito. Scorretto: perché qualsiasi decisione che ha una valenza politica deve essere condivisa da tutti i componenti della maggioranza». Sulla questione è atteso anche un comunicato della segreteria cittadina Udc. L’asse Popolo della libertà-Lega sul tema della sicurezza non piace neppure ai Repubblicani. «Non siamo mai stati coinvolti in questa discussione - conferma il segretario cittadino Paolo Cipriani -. Oltre a non condividerne l’impostazione, siamo contrari ad appiattimenti su posizioni unilaterali che rischiano di danneggiare i rapporti politici e la tenuta sociale della città». Per Cipriani il vero senso civico si esprime «ricorrendo direttamente alle forze dell’ordine che godono della nostra fiducia», non certo accettando «segnalazioni o confessioni anonime che fanno tornare alla memoria i tempi bui della Stasi in Germania dell’est». Il tutto, con un timore: «Non vorremmo mai - conclude Cipriani - che questa iniziativa fosse il viatico per la creazione delle ronde, di cui non vediamo necessità». «Il sindaco ha solo pubblicizzato una possibilità di dialogo con i cittadini che peraltro già esiste - replica però il coordinatore del Pdl Severino Giovannini -. Udc e Repubblicani? Con loro chiariremo: la sicurezza, del resto, rappresenta una priorità per tutta la coalizione. E su questo i cittadini sono dalla nostra parte». A fianco del sindaco anche l’assessore Rossana Vanelli e il consigliere Andrea Alloni (entrambi di An, quest’ultimo pure vice coordinatore Pdl): «Piena solidarietà a Dossena - dicono -: la sicurezza, teniamo a ricordarlo, è argomento di priorità per questa maggioranza, condiviso nel programma elettorale da tutte le forze della coalizione».
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La Provincia per le strade

Gli interventi partiranno a fine settembre. L’assessore Capezzera: «Negli anni passati poca manutenzione».
Un milione per sistemare le strade.
Lo stanzierà la Provincia in vista della stagione invernale.

Rassegna stampa - Il Cittadino di oggi, Alberto Belloni.

Oltre un milione di euro per “rifare il trucco” alle strade provinciali e renderle più sicure in vista dell’inverno. È quanto si prepara a fare il settore viabilità della Provincia di Lodi, che dopo un primo “maquillage” effettuato in luglio, è pronto a intervenire su alcune delle arterie principali dell’asta occidentale del territorio lodigiano. Gli interventi inizieranno entro la fine di settembre, dureranno tra i dieci e i quindici giorni e comporteranno un investimento, iva e spese comprese, di un milione e 136mila euro: una massiccia manutenzione straordinaria, insomma, che riguarderà sei delle strade provinciali maggiormente trafficate.La maggior parte dei lavori, che verranno concentrati all’infuori degli orari di punta, con traffico a senso unico alternato e obbligo per le ditte esecutrici di segnalarli con almeno due giorni di anticipo, si tradurrà in un rifacimento “a macchia di leopardo” dei tratti d’asfalto più rovinati: è il caso, per esempio, degli interventi sulla ex statale 234, la provinciale “Codognese”, dove dal confine Pavese al “capolinea” lodigiano di Maleo verranno ripristinati alcuni tratti rovinati da buche o avvallamenti, con la stesura di “tappetini di usura” spessi circa 3 centimetri. Il lotto della “Codognese” verrà completato con la fresatura per eliminare i “bozzi” sull’asfalto causati da alcuni conglomerati provvisori. Interventi analoghi a quelli sulla 234 sono programmati anche lungo i 15 chilometri della provinciale 107 “Lodi-Livraga-Ospedaletto”, sulla tratta Maleo-Castelnuovo della provinciale 27 “Castiglione-Castelnuovo” e sui punti più ammalorati della provinciale 17, che da Sant’Angelo porta fino a Melegnano passando per Mairano.
Tappetini d’usura protagonisti anche sul quinto lotto in programma, sulla 235, dove i lavori riguarderanno alcuni tratti tra la rotatoria di Borgo san Giovanni e quella di ingresso a Sant’Angelo, mentre per l’ultima strada oggetto di manutenzioni (la provinciale 186 “via Emilia-San Martino in Strada-Muzza”) verrà effettuato tutt’altro tipo di intervento: l’obiettivo è ridefinire il piano stradale, troppo piano, per permettere un miglior scolo delle acque attraverso la stesura di un diverso spessore d’asfalto.
I materiali impiegati dovrebbero garantire una “longevità” dei tratti riqualificati tra i 3 e i 5 anni. Ma le opere, spiega la Provincia, proseguiranno con numerosi altri lotti: «Questo è un piano che trova vita e indispensabilità perché, come mi hanno relazionato i funzionari, negli anni passati c’era stata poca manutenzione - spiega l’assessore alla viabilità Nancy Capezzera -. Le manutenzioni però non si fermeranno qui: ci sarà da dare più forza ai lavori su alcuni tratti che necessitano di una cura molto più incisiva e continuativa».

Vertice con l’Anas entro una settimana per sbloccare la tangenziale di Casale

Settimana decisiva per la tangenziale di Casale. Rappresentanti della Provincia di Lodi dovrebbero infatti volare a Roma entro la fine del prossimo week end per incontrare l’Anas e consegnare il “dossier” sul progetto definitivo per il varo dell’attesa arteria stradale. In caso di responso positivo, la documentazione potrà essere inviata al ministero e spalancare le porte per la fine del mese alla conferenza di servizi. «Lunedì avremo un incontro con gli uffici tecnici del comune di Casale per verificare se hanno concluso le operazioni di esproprio - conferma Nancy Capezzera, assessore alla viabilità di palazzo San Cristoforo -, poi faremo il punto con l’ufficio paesaggistico provinciale sulle indicazioni dell’Anas relative alle compensazioni e mitigazioni ambientali. Venerdì infine con ogni probabilità ci vedremo a Roma con l’Anas, con cui la collaborazione è ottima, per fare l’ultima verifica». Lunga circa 8 chilometri, larga 22 metri e forte di quattro corsie, la tangenziale verrà affidata alla ditta esecutrice con la formula dell’appalto integrato, che consentirà di affidare contestualmente i lavori e l’elaborazione del progetto esecutivo, riducendo i tempi. Il costo dell’opera, con base d’asta attorno ai 54 milioni di euro, sfiorerà i 91 milioni.
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L'incendio di giovedì notte a Ossago

Ossago, incendio in cascina: in fumo 40 balle di granturco.
Rassegna stampa - Il Cittadino di oggi.

Ossago - Scoppia l’incendio in cascina, in fumo quaranta balloni di “stocchi” pressati di granoturco. I vigili del fuoco hanno dovuto lavorare diverse ore giovedì notte per avere la meglio sull’incendio divampato all’interno della cascina Pezzino di Ossago. Intorno alle 22 uno dei residenti ha visto infatti un bagliore in lontananza, che illuminava quasi completamente la parete di un capannone, ed è andato a vedere. Così si è trovato davanti le fiamme che si alzavano verso il cielo. «Non sappiamo cosa sia successo - spiega Giorgio Quagliotti -, siamo sicuri solo che la causa non può essere stata un corto circuito, visto che in quel deposito non passa corrente elettrica». Esclusa al momento anche l’ipotesi dell’autocombustione, più frequente per le balle di fieno ma decisamente improbabile per quei balloni secchi lasciati all’aperto. «Forse qualcuno ha buttato un mozzicone, non so - ipotizza ancora l’uomo -, nemmeno i vigili del fuoco hanno saputo spiegarci l’origine del rogo».L’allarme è scattato giovedì sera poco prima delle 22. Dopo aver scoperto l’incendio, i residenti della cascina si sono dati subito da fare per iniziare a spegnerlo, utilizzando una botte dove vengono raccolti i liquami. Poi hanno chiamato il “115” e sul posto si sono precipitate due squadre, una di Lodi e una dei volontari di Sant’Angelo. Il lavoro è durato per diverse ore, fin quasi alle due di notte. Alla fine quello che rimaneva dei balloni è stato gettato in un campo e bagnato ancora abbondantemente, per spegnere anche gli ultimi focolai.I balloni erano accatastati in un deposito parzialmente aperto. Erano lì da almeno due anni, quando erano stati fatti con gli “stocchi” di granoturco pressato. Ognuno di loro pesava circa 200 chili e venivano utilizzati per creare dei giacigli nelle stalle per gli animali, quindi non avevano un grande valore per l’azienda. «600 euro al massimo» chiosa ancora il signor Quagliotti. Più grave invece il danno per il deposito, visto che buona parte del tetto (circa 100 metri quadrati) è stato danneggiato e dovrà essere rifatto. «Per fortuna le balle erano rivolte verso il cortile - aggiunge -, altrimenti sarebbe stato molto più difficile rimuoverle e le conseguenze sarebbero state molto più pesanti». Nella parte coperta del capannone generalmente vengono tenute macchine agricola e rimorchi, per proteggerli dal vento e dalla pioggia, ma in questi giorni, fortunatamente, non c’era nulla, altrimenti tutto sarebbe stato distrutto dalle fiamme. Ora sono in corso le indagini dei vigili del fuoco.
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Il patto di ferro sugli ammortizzatori

Matteo Brunello su Il Cittadino di oggi ci dice che secondo il presidente della Camera di commercio Perotti: «Le imprese hanno recuperato fiducia, ma è presto per dire che c’è una ripresa».
«Crisi: comuni e Provincia, svegliatevi!».
L’appello di Cgil e Cisl: «Gli enti locali finora hanno fatto poco».

Rassegna stampa.

«Serve un cambio di passo per l’occupazione nel territorio. Noto che le azioni amministrative avviate sino ad ora sono troppo pigre». Prova a dare un scossa il segretario della Cisl Mario Uccellini, che invoca una maggiore iniziativa di comuni e provincia per favorire la ripresa economica del Lodigiano. Intervenuto alla festa del Pd nel capoluogo, ha rimarcato la necessità di guardare oltre la crisi, anche con una maggiore programmazione sul fronte del lavoro. E, sulla medesima linea, Domenico Campagnoli della Cgil che ha auspicato di fronte al «dimagrimento di diverse aree industriali della provincia», di creare a breve delle cabine di regia per un rilancio occupazionale. È questo il messaggio lanciato dalle forze sindacali, nel corso del dibattito sulla crisi organizzato nell’ambito della festa democratica giovedì sera. Alla tavola rotonda, moderata dal responsabile organizzativo del Pd Alessandro Manfredi, sono intervenuti diversi rappresentanti di associazioni di categoria e istituzioni del territorio. Un primo quadro della situazione è stato tracciato dal presidente della Camera di commercio di Lodi, Enrico Perotti: «I numeri mettono in luce condizioni di difficoltà per molte imprese, soprattutto per quelle medio-piccole, tuttavia da alcune indagini nell’ultimo periodo stiamo registrando un clima di miglioramento di fiducia. Tutto questo non significa però che siamo di fronte alla ripresa». Poi lo stesso Perotti ha sottolineato di non disperdere uno dei «vantaggi competitivi del territorio»: ovvero la sua coesione sociale e istituzionale: «Sarebbe sbagliato che per un protagonismo inutile, si arrivasse ad una rottura di questo sistema, che è uno degli nostri punti di forza». Nel corso del confronto sono state poi citate le tante misure straordinarie, messe in campo per far fronte alle difficoltà: in particolare i fondi di solidarietà, quello istituzionale e quello diocesano. Per fare il punto di questo ha preso la parola Carlo Daccò (direttore dell’Ufficio per i problemi sociali della diocesi): «Il fondo diocesano è nato con la messa a disposizione di 50mila euro, poi con l’apporto anche di altri soggetti siamo arrivati ad una cifra attuale di 810mila euro e per ora sono arrivate già 270 domande di aiuto. E l’impressione è che le richieste continuino ad arrivare». Inoltre il sindaco di Lodi, Lorenzo Guerini ha menzionato la crescita delle richieste di sostegno economico pervenute in municipio, mentre i vari rappresentanti delle categorie intervenuti (Mauro Sangalli per l’Unione artigiani, Bruno Milani per l’Unione del commercio e Vittorio Boselli per Confartigianato) hanno rimarcato il momento difficile che stanno attraversando molte delle imprese della provincia. Infine ha portato il proprio contributo anche il consigliere regionale Pd, Gianfranco Concordati.

Alberto Belloni invece ci informa che è stato firmato il “patto di ferro” sugli ammortizzatori sociali tra le due banche, le istituzioni del territorio e i sindacati.
Arrivano gli anticipi per i lavoratori in “cassa”.
Al posto delle aziende li daranno la Popolare di Lodi e la Bcc Centropadana.


Un “patto” più che mai benvenuto, soprattutto alle luce delle preoccupanti prospettive che attendono i lavoratori lodigiani. Così è stata salutata la firma dell’accordo attraverso il quale, entro pochi giorni, la Banca Popolare di Lodi e la Bcc Centropadana correranno in soccorso di coloro che, per colpa della grave recessione economica, stanno sopravvivendo solo grazie al sostegno al reddito garantito dagli ammortizzatori sociali. Il protocollo, sottoscritto assieme a Cgil, Cisl e Uil anche da Assolodi, provincia e Camera di commercio, prevede che le banche aderenti (cui potranno aggiungersi altri istituti di credito) si facciano carico degli anticipi di tutti quegli ammortizzatori (cassa integrazione ordinaria e straordinaria, mobilità e via discorrendo) che le aziende in crisi non possono più garantire. Oltre a dare sollievo alle imprese la misura permetterà di respirare sopratutto ai lavoratori, che potranno ricevere a costo zero e per nove mesi fino a 975 euro mensili. Basterà avere un conto corrente presso una delle banche aderenti al protocollo per beneficiare di questa e delle altre due misure previste dal patto: la sospensione dei mutui fino a 12 mesi e la possibilità di ricevere l’integrazione tra l’ammortizzatore e il salario reale pagando un interesse del 3 per cento fisso o pari all’Euribor variabile più l’1,5 per cento. Il protocollo soddisfa tutti. Serafino Bassanetti, presidente della Centropadana, si dice «onorato di partecipare a questo accordo», mentre il presidente di Assolodi, Alessandro Baggi, sottolinea la possibilità per gli imprenditori di poter tirare un po’ il fiato: “Nel 99,9 per cento dei casi i nostri soci hanno anticipato gli ammortizzatori, ma i tempi diventano un po’ foschi, le casse si stanno svuotando è un po’ di liquidità in mano è bene accetta». Lodata l’iniziativa, i sindacati chiedono di più: «Temo un autunno e una prossima primavera duri, ci vogliono accordi sindacali territoriali e puntare a qualche investimento significativo”, spiega il segretario della Cgil Domenico Campagnoli. Fabrizio Rigoldi, segretario della Uil, apprezza la volontà di fare un’azione sociale «senza la quale non saremmo potuti partire, mentre il segretario della Cisl, Mario Uccellini, plaude alla “sinergia realizzata” («e noi ci siamo spesi molto») ma chiede nuovi contributi e orizzonti più lunghi per il fondo di solidarietà. «Ne condivido la necessità, stiamo valutando in giunta le risorse», promette il vicepresidente della provincia Claudio Pedrazzini; nell’attesa, forse, si aggregherà finalmente anche qualche comune.
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La malvagità del banale

Videocracy all'amatriciana.
La legge dell'immagine.
Rassegna stampa - Liberazione di ieri, Boris Sollazzo.

Erik Gandini ci aveva già parlato di Che Guevara, Bosnia e Guantanamo. Il suo Gitmo, girato nel 2005, mostrava con asciutta precisione la prigione in cui i diritti umani sono stati violati da un'America e da un Occidente che lì si sono tolti la maschera. Un viaggio, un metodo replicato non più fisicamente, ma moralmente in Videocracy - Basta apparire (da domani nelle sale italiane per Fandango).
Gandini è un'Alice che si getta a capofitto nel paese delle meraviglie televisive, e dietro a luci e paillettes, a quiz da decerebrati e seni floridi, trova orrori come accadeva a Saviano (e Garrone) in Gomorra. L'Italia spiegata agli stranieri e a quegli italiani che si sono stancati del proprio paese, un documentario «creativo, non ho pretese di obiettività e neutralità: in questo lavoro la mia spinta è emotiva e personale, prima che politica». Ne esce fuori un capolavoro che ci schiaccia al muro delle nostre responsabilità, che racconta la berlusconizzazione dell'etica e dell'estetica, le perversioni rappresentate dai Fabrizio Corona e i Lele Mora, dagli ingranaggi di un meccanismo terribile e collaudato. Non un pamphlet e la demonizzazione di un solo uomo, per quanto potente e prepotente, ma la denuncia chiara, essenziale, inevitabilmente tragicomica di un sistema paese schiavo del piccolo schermo.
Erik, lei se n'è andato negli anni '80 dall'Italia, quando Berlusconi aveva "solo" gettato le basi del suo impero. Per questo riesce a essere così lucido nel guardare il suo paese, ora?
Probabilmente sì, partii per un paese, la Svezia, in cui venivano trasmessi nelle tv anche documentari di lunga durata, in cui i contenuti e la forma della comunicazione televisiva erano di tutt'altro tenore. E in cui uno scandalo politico è quello del Toblerone: una candidata premier caduta in disgrazia perché con la carta di credito del partito comprò cioccolata e pannolini per i suoi figli. Quando io ero ancora in Italia, dei tele-esperimenti di trent'anni fa, delle casalinghe che si spogliavano per le tv private, di Colpo grosso, noi ridevamo. Io e i miei amici mai avremmo pensato che ci sarebbe stata nostalgia per la "buona tv" di Drive In. Si usa spesso l'espressione "la banalità del male", adesso in Italia è "la malvagità del banale" ad essere strumento di potere.
Querele ai maggiori giornali dell'opposizione, strategie intimidatorie. È un processo irreversibile quello in atto?
Non lo so, di sicuro dovevamo agire molti anni fa, quando tutto questo nasceva e cresceva. Questa tv, questa videocrazia, che ai miei amici scandinavi fa tanto ridere, cogliendone i lati grotteschi e comici, a me fa paura. Ed essendo il mio lavoro di documentarista quello di indagare ed entrare in questi meccanismi, e non esserne spettatore passivo, cerco di raccontare quella che è stata un'autentica rivoluzione culturale, politica ed economica. Di sicuro sto scoprendo che il livello di tensione in Italia è più alto di quello che io stesso pensavo mentre giravo, ormai nel nostro paese è in atto una guerra, e in ballo c'è proprio il diritto all'informazione.
La censura si è abbattuta anche su di lei, sul tuo trailer. Come valuta ciò che è accaduto?
Come una conferma delle mie teorie: se qualcuno avesse scritto su un giornale quello che si dice nel mio trailer, non avrebbe avuto lo stesso effetto. Ma in un mondo in cui lo strapotere delle immagini oscura il resto, diventa pericolosa proprio quella soluzione visiva, lo spot di 30 secondi, lo strumento principe della tv italiana.
La tv è cattiva, il cinema è buono? Non sarà troppo semplicistico?
No, anzi, spesso la strategia berlusconiana muove da soluzioni molto cinematografiche. Il punto è che non è il mezzo ad essere in discussione né chi vi lavora - ho amici che spesso mi dicono "la tv è bello farla, non guardarla" -, ma l'uso che se ne sta facendo, il fatto che vi sia un monopolio, un duopolio che si concentra in quella che per l'80% degli italiani (uno dei dati inquietanti citati nei cartelli alla fine del film) è la fonte unica e primaria di conoscenza.
Berlusconi, ma soprattutto Corona e Mora. L'imperatore, una sorta di Caligola, e i suoi vassalli. Come ha fatto a far aprire così tanto due personaggi come loro?
Se ti avvicini come uno svedese, sfrutti il fascino dell'esotismo, il loro egocentrismo, spesso molti abbandonano la prudenza. Inoltre io li ho seguiti per molto tempo, è il mio metodo di lavoro. Così ho fatto anche con il regista del Grande Fratello, quello che ci rivela che Berlusconi odia il verde e le scenografie delle sue reti devono eliminarlo ovunque sia (e che rivela che il "GF" chiude prima se il premier è da Vespa o su altri canali - ndr). Il mio non è un attacco nei suoi confronti, ma a tutte quelle regole che sono scomparse durante la sua epoca. Corona, che ha capito meglio di altri che conta più l'emozione che susciti alla tv piuttosto che la verità, si è fatto passare per un Che Guevara mediatico con quel discorso ai microfoni che lo attendevano fuori dal carcere. Come accadeva a Guantanamo: le nostre guide avevano visi angelici e sorrisi perfetti, frutto di un casting. Loro dovevano convincerti che lì non succedeva nulla.
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