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martedì 29 settembre 2009

Battaglia congressuale dentro il Pd

Congresso Pd, Penati attacca. L'ira di Franceschini.
Rassegna stampa - l'Unità.it, 29 settembre 2009.

Si accende la battaglia congressuale dentro il Pd. Dopo che il coordinatore della mozione Bersani Filippo Penati ha messo in discussione il ruolo di Franceschini come segretario alla luce dei risultati dei congressi dei circoli, Franceschini ha "sconvocato", a quanto si apprende, la segreteria, convocata per domani e che nell’ultimo mese è stata allargata ai candidati alla leadership e ai responsabili delle mozioni congressuali per discutere la linea del partito nel periodo congressuale.
A suscitare l’ira del fronte franceschiniano sono state le parole pronunciate in mattinata da Penati: «Fino alle primarie Dario Franceschini di fatto non è più il segretario perchè non ha ottenuto il consenso da parte di due terzi del partito che sta gestendo». Non si tratta di una richiesta di dimissioni, ma di una «riflessione - ha sottolineato Penati - che Franceschini dovrebbe fare».
Parole duramente criticate da Piero Fassino: «Vogliamo sperare che Pier Luigi Bersani non condivida le sconcertanti e irresponsabili parole di Filippo Penati e le smentisca in modo inequivoco». Aggiunge il coordinatore della mozione Franceschini: «Lo Statuto del nostro partito assegna alle elezioni primarie, e solo ad esse, il compito di eleggere il Segretario nazionale del Pd. Sarà in quella sede il 25 ottobre che i nostri iscritti e i nostri elettori decideranno con il voto chi dovrà guidare i Democratici nei prossimi anni». «Fino a quel momento chi è alla guida del Pd deve poter esercitare la sua responsabilità in modo pieno e con il sostegno di tutto il Partito. Chi non si attiene a questa elementare regola produce un danno non a una persona o a una mozione congressuale, ma al Partito Democratico».
Non si è fatta attendere una risposta da parte dello stesso Penati: «In queste settimane si stanno svolgendo migliaia e migliaia di congressi, l'esito è sotto gli occhi di tutti: una grande discussione democratica e una scelta che appare chiara. Il punto non è quindi delegittimare Franceschini, né mettere in discussione il fatto che rimane il segretario, ma prendere atto che i 2/3 del partito non gli hanno dato il loro consenso. Questo, a mio giudizio, pone una riflessione circa il problema di una gestione collegiale del partito da qui alle primarie e nella rappresentanza esterna. Il risultato delle primarie non sarà diverso da quello dei congressi perché centinaia di migliaia di nostri iscritti non possono che rappresentare in modo significativo l'intero panorama degli elettori».
A stretto giro di posta parla l'ex ministro e competitore: «Sgombriamo il campo da ogni equivoco più o meno interessato. Franceschini, come è ovvio e come è giusto, è a pieno titolo il segretario del Pd così come prevede lo statuto, e ha la nostra piena collaborazione» afferma Bersani. «Ci auguriamo tutti che le primarie abbiano un grande successo di partecipazione, così come è stato per la fase dei congressi di circolo, e lavoriamo tutti per questo. sono convinto - conclude Bersani - che il confronto che avremo darà forza al nostro progetto e alle prospettive del nostro partito».
Al Nazzareno clima di grande tensione. Franceschini ha telefonato a Bersani e a Massimo D'Alema per ricordargli che il segretario - come prevede lo statuto - sarà eletto con le primarie del 25 ottobre. Deligittimazione a 25 giorni dalle primarie? «Inviterei tutti, a qualsiasi mozione appertangano, ad evitare affermazioni e dichiarazioni sinceramente fuori luogo. È evidente come una competizione per la leadership impostata in questo modo porta inevitabilmente ad una radicalizzazione dello scontro tra i candidati. I miei dubbi sul percorso scelto nascevano anche da queste preoccupazioni», dice il capogruppo del Pdl al Senato, Anna Finocchiaro.
E Rosa Bindi spiega: «Le parole di Penati non mi sono piaciute. I risultati dei congressi dei circoli parlano da soli, e il consenso registrato da Bersani non ha bisogno di ulteriori commenti. Fino alle primarie, a norma di statuto, il segretario resta Dario Franceschini». «Trovo però scomposte e scorrette - aggiunge Bindi - le reazioni dei sostenitori di Dario e mi preoccupa che non si colga la realtà dei fatti. da domani inizia una fase nuova, quella delle primarie, ed è legittimo oltre che giusto interrogarsi su come gestire questo passaggio fino al 25 ottobre».
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Non tira una buona aria in Tv

Rai, non solo Annozero: anche "Parla con me" sott'attacco.
Rassegna stampa - l'Unità.it, Roberto Brunelli, 29settenbre 2009.

Questa volta il delittaccio di lesa maestà si svolge nei bagni di Palazzo Grazioli (sia pur ricostruiti in studio). E così, com'era da aspettarsi, anche Serena Dandini e Parla con me sono entrati nel mirino censorio del governo di Re Silvio. Evidentemente, il programma di Michele Santoro non basta come spauracchio: ieri il viceministro allo sviluppo economico con delega alle comunicazioni, Paolo Romani, ha esternato che la “fiction in pillole” che da stasera animerà la trasmissione di Rai3, dove due attrici vestono le panni di escort che rimangono chiuse in principeschi bagni tutti oro e stucchi “non è servizio pubblico”, allungando così la lista di quello che dovrebbe o non dovrebbe far parte dello spirito della tv di Stato: sì a reality show, a tg da monopensiero di stampo nordcoreano, a miss Italie, a pontefici e padri pii, ma niente di niente che sia sgradita alla corte di Re Silvio.“Mi risulta che stasera Serena Dandini mandi in onda una recita di tre minuti con ragazze non meglio identificate nei bagni, ricostruiti in studio, di Palazzo Grazioli. Mi chiedo cosa c'entri questo con il servizio pubblico”. L'avvertimento è chiaro: anche la satira è sotto osservazione, e non sono esclusi provvedimenti.
In realtà, il riferimento a Palazzo Grazioli, residenza del premier, non è mai esplicitato nello sketch di Parla con me, intitolato “Lost in wc”, così come si parla delle musiche di un certo menestrello “Apicale”. Che la cosa susciti scandalo presso la corte governativa in effetti non stupisce più di tanto: siamo in un paese in cui per mesi il Tg1 ha omesso anche solo di citare la vicenda delle escort e delle feste a Palazzo Grazioli, se non con oscure allusioni incomprensibili ai più. D'altronde, che non fosse un buon clima l'ha denunciato ieri in conferenza stampa la stessa Serena Dandini: “Finora non abbiamo subito censure, anche grazie a Rai3 e al suo direttore Paolo Ruffini. Però non si respira un buon clima: come dice Saviano, per censurare un programma non è necessario vietare la sua messa in onda. Basta impedirgli di lavorare in serenità, come ora si sta facendo con Santoro e Fazio, che – pur essendo la storia della Rai – devono sentirsi “tollerati” in azienda. Ebbene sì, ci sentiamo un po' intimiditi”. Ora l'uscita di Romani, che questa settimana sarà convocato in Vigilanza dopo aver annunciato l'intenzione dell'esecutivo di aprire un procedimento contro Annozero. No, non tira una buona aria, cara Serena.

Santoro & compagni costano 500mila euro alla settimana. Per una puntata di "Annozero" spendiamo 210mila euro, 175mila per "Che tempo che fa" e 105mila per Ballarò. A Fazio garantiti due milioni all'anno.
Rassegna stampa - Libero, Andrea Valle, 29 settembre 2009.
D'accordo la pluralità e l'intrattenimento. Ma un limite, da qualche parte, andrà pur messo. E invece no. Tra produzioni esterne e programmi fatti in casa ogni settimana dalle tasche della Rai escono una valanga di quattrini. Centinaia di milioni di euro sborsati per ottenere risultati (spesso) discutibili. Per rincarare la dose di chi ha già le tasche piene basta ricordare che oltre 1 miliardo e mezzo di euro arriva ogni anno a viale Mazzini grazie al canone pagato dai cittadini. Ma andiamo con ordine. E cominciamo col blocco di Santoro e compagni con i loro approfondimenti politici e d'attualità.
Messi insieme i tre fedelissimi del centrosinistra Annozero, Ballarò e Che Tempo Che Fa - nonostante i formali distinguo - ci costano quasi mezzo milione di euro a settimana. Ecco i numeri dei tre irriducibili: una puntata della trasmissione di Michele Santoro "vale" 210mila euro, seguito da Fabio Fazio a quota 175mila. Ultimo, si fa per dire, in questa speciale classifica è Giovanni Floris a 105mila euro. Un gruppetto in cui ci starebbe bene pure Report di Milena Gabanelli (130mila euro). Di tutto rispetto pure il contratto di Serena Dandini: per le 118 puntate di Parla con me si è beccata 710mila euro: roba che nemmeno 40 operai messi insieme. Ampiamente sotto queste cifre, invece, tanto per fare un termine di paragone, Bruno Vespa con Porta a porta (85mila euro).
In tutto Annozero pesa sul bilancio di viale Mazzini per 3,2 milioni di euro: 700mila vanno al "martire" Santoro per la direzione e la conduzione, 2,5 per tutto il resto. Ecco qualche numero: l'ultimo contratto di Marco Travaglio prevedeva un compenso di 1.700 euro a puntata (35 in tutto), quasi il doppio di Vauro Senesi: per il vignettista satirico c'è un gettone da mille euro ogni giovedì, la stessa cifra che lo scorso anno è stata assegnata a Sabina Guzzanti. Mentre Che Tempo Che Fa su RaiTre sfiora i 5 milioni e al conduttore Fabio Fazio sono garantiti 2 milioni di euro annui. La sua, stando a documenti interni a viale Mazzini che Libero ha potuto consultare, è stata una trattativa assai dura. Con il conduttore che ha posto condizioni precise e vincolanti ai dirigenti di viale Mazzini. Non ha fatto così Floris - che non si può affatto lamentare - ma vale più o meno un terzo del suo "collega" di TeleKabul: per lui un contratto da 350mila euro l'anno.
Ma sono i cosiddetti format, guardando il bilancio da un altro punto di vista, a massacrare i conti della tivvù di Stato. Secondo una ricerca della Fondazione Rosselli, due anni fa - ma la tendenza nel frattempo non sarà cambiata - mamma Rai ha sborsato la bellezza di 1,8 miliardi di euro per programmi commissionati in outsourcing. Dopo lo sport e Sanremo, nel 2007 i programmi più seguiti delle 3 reti Rai sono stati prodotti da una società esterna: la fiction Papa Luciani, della Leone Cinematografica, trasmessa da Rai Uno; l`Isola dei Famosi 4, di Magnolia; Che tempo che fa, prodotta da Endemol per Rai Tre.
Intanto l`Autorità Garante per le Comunicazioni, rispondendo alle sollecitazioni del direttore generale, Mauro Masi, ha ribadito che spetta alla Rai «garantire il rispetto del principio del pluralismo, di correttezza, trasparenza, completezza e indipendenza dell`informazione». In tutti i programmi, altrimenti, oltre alle diffide arriveranno anche le sanzioni economiche. Inserire clausole più rigide nei contratti, dunque, è legittimo.
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Attenzione, la «tassa Santoro» è una imposta

Canone Rai, Fisco: evasore chi non paga.
Dalle agenzie - Adnkronos/IGN, 29 settembre 2009.

Chi non paga il canone Rai è un evasore fiscale. All'indomani della pubblicazione di uno studio in cui si evidenzia che un italiano su tre non lo paga, l'avvertimento arriva dal direttore generale dell'Agenzia delle Entrate Attilio Befera. Rispondendo alle domande dei giornalisti sull'argomento, Befera ha infatti spiegato che "si tratta di un'imposta", per cui chi si esenta è considerato un evasore fiscale.
L’argomento canone Rai sta riscaldando gli animi in questi ultimi giorni e creando l’ennesimo scontro tra maggioranza e opposizione, trovando come spunto la trasmissione Annozero di Michele Santoro. Prosegue infatti la campagna del 'Giornale' per l'abolizione di quella che il quotidiano diretto da Vittorio Feltri ha ribattezzato la "tassa Santoro". Dopo i titoli a tutta pagina, e i gazebo per la distribuzione dei moduli per disdire l'abbonamento a Viale Mazzini, il quotidiano di Via Negri mette a disposizione dei lettori un indirizzo e-mail per aderire alla battaglia per l'abolizione "della tassa più odiata degli italiani". Ma non è tutto. Vista la grande adesione alla campagna è scesa in campo anche Daniela Santanchè che metterà i gazebo del Movimento per l'Italia a disposizione per "distribuire i moduli con cui chiedere la disdetta della 'tassa Santoro'".
Il tema del canone è stato affrontato anche nell'incontro tra il viceministro Paolo Romani con il presidente della Commissione di Vigilanza Rai Sergio Zavoli nella sede della bicamerale a San Macuto. "Sono nettamente contrario a questa campagna contro il canone Rai. Lo ribadisco anche oggi e lo ribadirò ancora. Ma "dobbiamo far capire agli italiani il motivo per cui pagano il canone. Non dico che il servizio pubblico debba essere identificato con un bollino, ma è giusto che si capisca cosa offra''.
Al centro del faccia a faccia è stato, comunque, il caso 'Annozero'. ''Non ho chiesto al presidente Zavoli sanzioni nei confronti di 'Annozero', non l'abbiamo nemmeno formalmente chiesto all'Autorità perché riteniamo che si debba fare prima una fase istruttoria. Non abbiamo poteri di sanzione, possiamo essere solo di impulso. Né siamo mossi da intenti censori''.
Il viceministro allo Sviluppo economico con delega alle Comunicazioni esclude censure e spiega le ragioni che hanno mosso l'esecutivo: ''Non abbiamo poteri sanzionatori. Riteniamo che il combinato disposto di una serie di norme (gli articoli 2 e 39 del contratto di servizio, il 48 del testo unico, la delibera dell'Autorità del gennaio 2009 e il suo ultimo parere di questi giorni) consenta al governo di chiedere informazioni e di verificare la giusta attuazione del contratto di servizio''.
''Con Zavoli c'è stato un incontro franco e costruttivo'', assicura Romani, ribadendo l'intenzione del governo di acquisire informazioni dai vertici Rai per verificare la corretta attuazione del contratto di servizio. ''Il governo è in piena facoltà di fare tutto questo'', spiega il viceministro delle Comunicazioni riferendosi non solo ad 'Annozero'. Il faccia a faccia con Zavoli precede quello con i vertici di viale Mazzini, convocati dal ministro dello Sviluppo economico Claudio Scajola l'8 ottobre. ''In quella sede - dice Romani- acquisiremo al massimo livello le informazioni ad Annozero ed eventualmente ad altri programmi sui quali riteniamo che, da parte del governo, debba esserci la verifica della corretta attuazione del contratto di servizio per quanto riguarda la libertà e la completezza dell'informazione, l'obiettività e il rispetto del pluralismo''.
''Il governo - insiste il viceministro - non ha potere di censura'', mentre chi può intervenire ed eventualmente sanzionare la Rai è l'Autorità garante nelle comunicazioni ''su impulso dell'esecutivo''. In particolare, il testo unico ''prevede che l'Agcom possa procedere a verifiche e irrogare sanzioni sia 'motu proprio', sia su impulso del governo''. Per questo motivo, aggiunge, ''non abbiamo chiesto sanzioni perché riteniamo che si debba procedere prima ad una fase istruttoria. Poi l'Autorità deciderà di conseguenza. Questa occasione serve anche all'opinione pubblica per capire quali siano i reali poteri del governo'', precisa Romani spiegando che nel contratto di servizio è scritto chiaramente che l'Agcom e il ministero sono tenuti a informare la Vigilanza.
Dal canto suo la Commissione di Vigilanza Rai ha deciso di convocare il Romani “per riportare il dibattito nella sua sede vera, che è la Vigilanza - ha spiegato il vicepresidente Giorgio Merlo, del Pd - Verificheremo che non ci siano interferenze del governo e getteremo le basi per un nuovo contratto di servizio che sia rispettoso della centralità del Parlamento e dell'organo di garanzia”. L'audizione dovrebbe tenersi prima dell'incontro tra il ministro dello Sviluppo economico Claudio Scajola e i vertici Rai, quindi probabilmente già in settimana.
Intanto il presidente dell'Idv, Antonio Di Pietro , dopo l'annuncio di aver presentato alla Camera una mozione e una interrogazione per l'"abuso di potere esercitato dal ministro Scajola", incita i vertici dell'azienda a non rispondere all'istruttoria indetta dal governo sui contenuti dei programmi televisivi. "La Rai - afferma il leader dell'Idv - non merita di incassare il canone che gli utenti pagano, fino a quando non si libererà del controllo dei partiti che decidono chi deve o non deve stare all'interno del sistema dell'informazione. Partiti che, da controllati, sono divenuti controllori. Berlusconi - conclude Di Pietro - sta occupando il sistema dell'informazione, cercando di far fallire l'azienda per poter poi occupare ogni spazio con le sue televisioni private".
Un'evasione di massa dell'abbonamento costerebbe anche 500 milioni di euro allo Stato. Canone Rai, lo sciopero e già in atto. Solo nel 2009 i mancati pagamenti hanno raggiunto il 30% del totale degli incassi, pari a 1, 6 mld. Il governo non teme la serrata.
Rassegna stampa - MF, Roberto Sommella, 29 settembre 2009.
Stavolta la nuova campagna anti-canone Rai lanciata da alcuni giornali di centrodestra potrebbe rivelarsi un boomerang. Per Viale Mazzini, per le casse dello Stato, per Mediaset. Perché far mancare di colpo parte di un terzo dei proventi al cavallo di Stato, per scelta della stessa maggioranza, sarebbe effettivamente come mettere Dracula all'Avis, parafrasando Giulio Tremonti. Che faticherà a comprendere l'inno all'evasione lanciato da Libero e Il Giornale. D'altronde basta fare quattro calcoli per scoprire che gli italiani che non pagano il canone Rai sono già qualche milione e lo Stato, che non riesce ancora stanarli, non sente proprio l'esigenza di aumentarli. L'ultima stima nota è dello stesso direttore generale della televisione pubblica italiana, Mauro Masi, che qualche giorno fa ha detto chiaro e tondo: «Rispetto al budget, che prevedeva un'evasione del 28,2%, il mio staff ha stimato un dato che supera il 30% nel primo quadrimestre del 2009». Il che significa qualcosa come 300 milioni che mancano all'appello su un totale di entrate da canone e abbonamenti radiotelevisivi di 1,6 miliardi di euro previsti per quest'anno, peraltro una delle poche voci non in rosso delle entrate tributarie.
Le contromisure dell'azienda per riscuotere i fatidici 107 euro di abbonamento sono da tempo allo studio e vanno dalla riedizione della vecchia convenzione Siae a quella, ancora avveniristica, di far pagare il canone Rai nella bolletta elettrica. Ma per ora sono solo idee sulla carta. Dunque non c'è da stupirsi se personaggi di solito schierati tra i falchi del servizio pubblico, come il vice ministro alle Comunicazioni Paolo Romani (Pdl), gettino acqua sul fuoco della corsa all'evasione («fare a questo punto una campagna contro il canone mi sembra francamente improprio»). Con la Rai, 11.300 dipendenti, più di 7 milioni di perdite consolidate nel 2008 (37 per Rai spa) e introiti pubblicitari in netto calo, non c'è proprio da scherzare. Per tanti motivi. Uno se lo lascia scappare Mario Landolfi, ex ministro delle tlc e membro della commissione parlamentare di vigilanza: «La Rai che incassa il canone ha il limite della raccolta pubblicitaria, se si tagliasse il canone si dovrebbe eliminare il tetto con conseguenze distorsive per il sistema». Pensa a Mediaset, ma non lo dice.
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Che brutti segnali

Rifiuti in fiamme a Napoli. Vecchi allarmi e nuove proteste, striscione choc in piazza del Plebiscito: "Viva i casalesi". Reportage.
Un anno dopo l'emergenza torna all'orizzonte.
Rassegna stampa - La Stampa, Guido Ruotolo inviato a Napoli, 29 settembre 2009.

Che brutti segnali. Di nuovo cassonetti bruciati, falò di rifiuti di tutti i generi. Come quello di domenica pomeriggio al mercato della Duchesca, nel cuore della città (i vigili del fuoco hanno dovuto faticare quasi due ore per avere ragione dell'incendio). Malessere, mugugni e proteste. Si sta riorganizzando il partito dell'emergenza rifiuti, adesso che l'emergenza dovrebbe essere finita, almeno dal punto di vista istituzionale. Mancano infatti tre mesi - il 31 dicembre per la precisione - al passaggio di consegne, al ritorno alla «normalità». E il partito trasversale dell'emergenza vede insieme ambientalisti e camorristi, amministratori locali e lavoratori del settore.
È la maledizione di Napoli. Parli con i protagonisti, e tutti hanno ragioni da vendere. Il primo segnale della brace che arde sotto la cenere è quello striscione della vergogna - «W i Casalesi» - sventolato ieri mattina sotto Palazzo Salerno, in piazza Plebiscito, sede del Commissariato straordinario per l'emergenza rifiuti, dai lavoratori ex Consorzi di bacino organizzati dalle sei sigle sindacali autonome.
No ai privati
Temono, i circa duemila lavoratori che furono assunti a tempo indeterminato nel 2002, di finire in mano ai privati come lavoratori a tempo determinato, ovvero prossimi disoccupati: «Quello striscione che inneggia ai Casalesi non è un omaggio ai camorristi. Al contrario è una denuncia che finire in mano ai privati significa darla vinta ai Casalesi». La Cgil ha condannato questa iniziativa.
Presidio permanente, fino a quando non sarà neutralizzata quella sentenza del Consiglio di Stato che ha bocciato le ordinanze dei commissari straordinari dell'epoca che disposero che i dipendenti dei Consorzi che dovevano occuparsi della raccolta differenziata fossero assunti appunto a tempo indeterminato diventando dipendenti pubblici. In sostanza, il Consiglio di Stato riafferma il principio che quei commissari semmai dovevano svolgere la funzione di coordinamento e non di «superdatori di lavoro». E adesso, loro, i dipendenti dei Consorzi non vogliono perdere la certezza di un posto di lavoro. Palazzo Chigi proverà a sanare questa situazione, venendo incontro alle loro richieste.
Quasi 15 mila tagli
Duemila lavoratori. Ma il numero di quelli che in Campania sono coinvolti nel ciclo integrale (che non è) dei rifiuti forse arriva a 24 mila. Di sicuro, un numero triplo o poco meno rispetto a quello di Regioni come la Lombardia. E adesso che - sempre entro il 31 dicembre - le Province dovranno presentare i loro piani per il ciclo integrale dei rifiuti, il timore è che i tagli saranno pesanti. L'assessore regionale all'Ambiente, Walter Ganapini, lo dice senza tentennamenti: «Alla fine, dovranno rimanere in 9 mila, forse 9.500».
Una premessa, per dare l'idea del contesto. Sentiamo due sindacalisti della Cgil, Antonio Santomassimo, segretario della Funzione pubblica, ed Enzo Argentario, segretario della Fiom: «Il ciclo integrale dei rifiuti non decolla. Abbiamo le discariche e l'inceneritore di Acerra. Le province sono in difficoltà perché, alla fine, dovranno accollarsi gli oneri, i costi e i debiti, e non gli onori, i profitti che saranno garantiti ai consorzi di gestione dei termovalorizzatori». Finora è in funzione solo quello di Acerra. Non è ancora a pieno regime ma brucia rifiuti. Degli altri tre, anzi quattro, siamo ancora a zero. Va subito precisato che con le discariche aperte i rifiuti della Campania troveranno ricovero per almeno altri 2-3 anni. Cinque se dovesse entrare a pieno regime la differenziata. Una chimera, purtroppo.
E poi, c`è un piccolo grande problema da risolvere. I Comuni saranno, sono costretti ad aumentare le tasse per i rifiuti. Napoli l'ha fatto. Ma gli altri tentennano. E questo avviene in un contesto dove a pagare le tasse sono davvero in pochi. Ecco perché il partito trasversale dell'emergenza sta riprendendo vigore. Sullo sfondo c'è la campagna elettorale per le Regionali.
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Meglio non farla

"Meglio nessuna legge sul fine vita". L'ex ministro Pisanu ci spiega le ragioni a favore del "disarmo ideologico".
Rassegna stampa - Il Foglio, 29 settembre 2009.

Roma. Beppe Pisanu lo aveva detto subito, e da cattolico, che l'idea di fare una legge sul fine vita non lo entusiasmava e che anzi trovava pericoloso e forse persino incostituzionale l'ipotesi di legiferare. Quando poi il Senato è andato avanti, lui, non ne ha più parlato, ha chiesto di non partecipare ai lavori e ha scelto per un po' il silenzio. Oggi, dopo l'appello dei venti deputati dei Pdl per "un disarmo ideologico" sul fine vita, spiega al Foglio di non aver cambiato idea e aggiunge che "mi sembra un'iniziativa intelligente".
Dice l'ex ministro dell'Interno: "Mi pare infatti sia rivolta a evitare un grave errore politico, quello di approvare una legge come questa a conclusione di uno scontro ideologico che potrebbe dividere in profondità gli schieramenti e i singoli gruppi parlamentari. Temo che domani, con un simile precedente, una maggioranza diversa possa imporre una legge del tutto opposta".
La posizione prevalente, in Parlamento, sembra quella di scrivere e approvare una legge che regolamenti il fine vita. Il ministro Maurizio Sacconi ha proposto di tradurre in norma il decreto urgente che il governo aveva preparato per Eluana Englaro. Dice Pisanu: "Tanto i venti deputati promotori dell'appello, quanto Sacconi, mirano essenzialmente a limitare l'intrusione del legislatore nello spazio, che. non è soltanto medico ma soprattutto etico e spirituale, del rapporto con il dolore, con la cura e con la morte. In altre parole mirano a ridurre il campo di applicazione della legge. Più si riduce questo campo, meglio è. Se poi lo si azzera del tutto è meglio ancora. Sono infatti convinto che l'idea stessa di fare una legge viola il primato della persona umana sullo stato, un primato sancito dall'articolo 2 della nostra Costituzione. Quell'articolo è forse il punto più alto del compromesso tra laici e cattolici e secondo me rappresenta, ancora oggi, il miglior presidio contro i rischi enormi della bioetica e della biopolitica. Per questo va difeso in ogni possibile modo".
Alfredo Mantovano, sottosegretario e cattolico del Pdl, con una lettera al Foglio ha sostenuto che è ormai impossibile per il Parlamento non affrontare il problema. Lo impongono le sentenze della Cassazione e del Tar - ha scritto Mantovano - ovvero il rischio che i tribunali si sostituiscano al Parlamento.
"Il ragionamento di Mantovano e Alemanno è ineccepibile ma trascura un punto importante", obietta Pisanu. "Se è vero che l'intervento della Cassazione ha determinato un vuoto legislativo che era necessario colmare, mi domando: c'era proprio bisogno di colmarlo con una legge così invasiva come quella approvata dal Senato? 0 non sarebbe bastata una norma secca che riservasse esclusivamente lo spazio del fine vita alle scelte del paziente, dei familiari, dei medici e, quando fosse richiesto, di un assistente spirituale? Stiamo attenti. Perché in un sistema come il nostro, dove il precedente diventa regola ('la Repubblica è fondata sul precedente', esclamò un giorno Andreotti), una legge invasiva potrebbe spianare la strada al suo esatto contrario: la regolamentazione dell'eutanasia".
Ma è anche possibile che alla fine una legge non si faccia. Considerata la natura eterogenea e disorganica delle posizioni in campo, l'iter parlamentare potrebbe allungarsi all'infinito. "Può darsi - dice Pisanu io non me ne farei un cruccio. L'importante è che si discuta col dovuto impegno. La posta in gioco è davvero molto alta".
È anche possibile che la Consulta finisca con il bocciare la legge. Lo ha sostenuto la deputata teodem Paola Binetti riferendosi al testo per come approvato dal Senato. "L'ipotesi della bocciatura per violazione dell'articolo due - sorride Pisanu - mi affascina. Oltretutto, così, la Corte liquiderebbe anche la triste e inattesa sentenza della Cassazione sul caso Englaro".
Nella chiesa, non ultimo il presidente della Cei Angelo Bagnasco, molti prelati si sono espressi a favore di una legge sul fine vita. Monsignor Rino Fisichella è sembrato anche sostenere, in particolare, la legge promossa dal Pdl. È così? Come si conciliano le indicazioni della chiesa con la coscienza privata di un politico cattolico? "Non facciamo confusione. La chiesa, che è madre e maestra, non ha mai preteso di dettare norme di legge ad alcuno. Ha invece affermato valori, principi e idee coerenti, lasciando alla piena autonomia dei cattolici impegnati in politica il compito di trasferirli liberamente nell'attività amministrativa e legislativa. La laicità dello stato e della politica, io l'ho appresa da ragazzo. Nell'Azione cattolica".
È possibile che nel centrodestra, in virtù di un equivoco culturale, ci sia qualcuno che abbia individuato nella legge sul testamento biologico uno strumento per ricomporre i non sempre idilliaci rapporti con le gerarchie vaticane? "Non mi risulta, ma non posso escluderlo a priori. Chi la pensasse così commetterebbe un errore grossolano e mostrerebbe di ignorare il discernimento dei vescovi e la bimillenaria sapienza della chiesa".
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Non c’è solo un volto demoniaco della politica

Dopo la sollecitazione del presidente della CEI.
L’altro volto della politica è quello che può esserle dato.

Rassegna stampa - Avvenire, Giuseppe Dalla Torre, 29 settembre 2009.

Nella prolusione pronun­ciata la scorsa settimana dal cardinale Angelo Bagnasco, in apertura dei lavori del Consiglio permanente della Conferenza episcopale italiana, vi era un passaggio sul quale conviene tornare con qualche riflessione.
Diceva, dunque, il presidente della Cei, richiamando in particolare l’insegnamento recente di Benedetto XVI, che «la Chiesa non cessa di raccomandare ai giovani e all’intero laicato la strada non solo del volontariato sociale, ma anche della politica vera e propria, nelle sue diverse articolazioni, quale campo di missione irrinunciabile e specifico». Il passaggio mette a fuoco un tema importante, sul quale effettivamente è da tempo ormai calato il velo nella memoria.
In effetti nell’età immediatamente successiva al Concilio Vaticano II, sulla sollecitazione dei fondamentali insegnamenti della Gaudium et spes , ma anche della Apostolicam actuositatem, circa i rapporti fra la Chiesa e la comunità politica e sulle responsabilità del laicato cattolico nell’animazione dell’ordine temporale, si assistette ad un vigoroso ritorno di interesse per l’impegno nella polis.
Fiorirono scuole di formazione politica in numerosissime realtà diocesane, si alimentò un fitto dibattito in seno alle associazioni e ai movimenti circa le responsabilità del cristiano nel perseguimento del bene comune attraverso l’azione politica. Furono anni di un 'roveto ardente', che sembrava dover bruciare le scorie del passato per riportare il laicato ad un limpido e forte impegno, ideale e pratico. Poi tutto si venne a raffreddare. Forse perché l’entusiasmo di quella stagione non era stato supportato da un adeguato sforzo culturale e progettuale; certamente per il sopraggiungere, quasi una gelata d’estate, della stagione di Mani Pulite. La politica apparve ai più in un volto degenere; erroneamente, nel sentire di molti, passò la percezione per cui l’impegno politico comporti necessariamente doversi sporcare le mani. La reazione, specie nelle più giovani generazioni, fu quella di piegare idealità e libera dedizione personale al campo del volontariato: si aprì la nuova, e per certi aspetti inedita, stagione del grande impegno nel sociale delle numerosissime realtà cattoliche del nostro Paese. Dunque una azione diversa da quella politica per perseguire l’obiettivo, alto, del bene comune: scelta certamente commendevole, che peraltro talora appariva indebolita da una sorta di schizofrenica contrapposizione tra impegno politico e impegno sociale, quasi che questo, in ultima analisi, non esprima pur esso un volto dell’agire a vantaggio della comunità; non sia espressione di quei sentimenti solidaristici che portano a superare l’interesse personale, o del gruppo di appartenenza, per dedicare intelligenza e capacità a vantaggio dell’intera società. Tra l’altro questo consistente e visibilissimo fenomeno del volontariato non è stato sempre sostenuto da una adeguata chiarezza delle motivazioni profonde, che rendono radicalmente diversa l’azione sociale motivata dalla carità cristiana rispetto a quelle analoghe, e comunque apprezzabili, di tante agenzie umanitarie. Il pericolo di un generoso, concreto, fattivo attivismo mosso solo da un vago sentimento di solidarietà è stato, in passato, messo più volte in evidenza. Ora la sollecitazione del cardinale Bagnasco viene a richiamare l’attenzione dei cattolici italiani, nei nuovi contesti nazionali e planetari, sull’esigenza di riprendere una elaborazione culturale, necessariamente prodromica ad un impegno concreto. Vuole cioè richiamare l’attenzione sul fatto che non c’è solo un volto demoniaco della politica, ma questa può essere anche, come diceva Paolo VI, la più alta forma di carità.
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Abruzzo. Meglio avere una casa distrutta.

L'Abruzzo ferito.
Abruzzo, ricostruzione a rilento.
Finora solo 700 le richieste.
Rassegna stampa - Avvenire, Alessia Guerrieri, 29 settembre 2009.

Meglio avere una casa distrutta. Il paradosso della ricostruzione a­bruzzese è proprio questo; la sfortuna insomma è avere un’abitazione con danni lievi, temporaneamente o par­zialmente inagibile ( A, B e C secondo la classificazione che quantifica i danni), e non gravemente danneggiata ( E ed F). A chi ha un appartamento seriamente compromesso, infatti, spettano gli allog­gi del progetto C. a. s. e. e i moduli abitati­vi provvisori in legno, consegnati da og­gi fino a dicembre, mentre i protagonisti della cosiddetta “rico­struzione leggera” ri­schiano davvero di passare l’inverno lon­tano dalle loro case. Non l’avevano proprio immaginato gli aquila­ni che dopo cinque mesi di tendopoli, so­luzioni provvisorie e sacrifici per riaprire scuole e attività, l’in­granaggio della rico­struzione si sarebbe inceppato proprio su­gli interventi di ripara­zione più semplici del­le abitazioni.
Le richie­ste di contributo per la ricostruzione conse­gnate al Comune del­l’Aquila infatti sono so­lo 700, circa il 4,7% del totale, e si ha me­no di un mese di tempo per inoltrarle. I lavori per le case A, B e C non partono certo senza la domanda di rimborso, vi­sto che poi si rischia di pagare gli inter­venti di tasca propria. Negli uffici prepo­sti non si trova la fila che ci si aspette­rebbe, anzi spesso c’è il deserto; e allora dove sono gli aquilani del dopo terremo­to innamorati della propria città e desi­derosi di restarci? Sono in balia della bu­rocrazia, delle ordinanze non chiare che fanno impazzire gli ingegneri, delle riu­nioni di condominio per mettersi d’ac­cordo e, per i pochissimi fortunati che hanno già ottenuto l’ok temporaneo dal Comune, rincorrendo una ditta che for­se non arriverà prima dell’inverno. Ma partiamo dall’inizio. La Protezione civile attraverso le ordinanze a firma del presidente del Consiglio, precisano dal Dipartimento, «ha dato agli aquilani tut­ti gli strumenti per accedere al contribu­to di rimborso, il resto poi è demandato al Comune» .
La sola richiesta di inden­nizzo, però, non dà il via in automatico alla possibilità di iniziare i lavori di rico­struzione; si deve infatti attendere 30 giorni perché il Comune conceda «l’ero­gazione del contributo a titolo provviso­rio» . Il problema sta proprio qui; in que­sta fase infatti è possibile far partire gli in­terventi, a rischio e pericolo del privato e della ditta dato che, non essendo pre­visti finanziamenti agevolati preventivi, le imprese o il privato devono anticipare parte dei soldi. Le banche infatti eroga­no la prima tranche del contributo, se­condo l’accordo stipulato dall’Abi con la Cassa depositi e prestiti, solo al termine dell’iter burocratico, cioè passati 60 gior­ni dalla presentazione della domanda. Dopo aver decifrato le ordinanze, atteso luglio per la chiarificazione degli indirizzi operativi ed agosto per il prezziario de­gli interventi, bisogna dunque aspettare ancora. «Burocrazia e poca chiarezza nelle ordi­nanze sono alla base dei ritardi negli in­terventi sulle case parzialmente inagibi­li, i cui proprietari rischiano di non po­terci entrare per mesi» . Il sindaco dell’Aquila Massimo Cialente non nasconde la sua preoccupazione per una ricostruzione leggera che va avanti a rilento. «Paradossalmente ora – spiega il primo cittadino – la situazione per chi vi­ve in questo tipo di abitazioni è addirit­tura più difficile rispetto a chi ha la casa inagibile per categoria E o F e che ha di­ritto agli alloggi» .
Sul perché gli aquilani an­cora non consegnino le richieste di contri­buto il sindaco, anche lui con una casa B, ha una sua teoria. «La dif­ficoltà è soprattutto data dalla tempistica – aggiunge – visto che i chiarimenti alle ordi­nanze sono usciti tra luglio ed agosto» . Il ti­more, però, è che mol­te persone siano co­strette a lasciare la città perché non ci sono al­loggi, anche in vista dell’imminente chiu­sura delle tendopoli. «Per questo – conclu­de – continuo a chie­dere case mobili; ogni sfollato negli al­berghi costa 1500 euro al mese, con mo­duli abitativi removibili i soldi spesi dal­lo Stato per una famiglia sarebbero am­mortizzati in qualche mese e in più gli a­quilani tornerebbero in città».
La ricostruzione. Agli ingegneri spetta il compito di applicare le ordinanze, defi­nite «poco chiare e lacunose» ; ma non ci stanno a prendersi tutte le responsabi­lità dei ritardi. «I professionisti hanno a­vuto pesanti dubbi interpretativi – preci­sa Paolo De Santis presidente dell’Ordi­ne degli ingegneri dell’Aquila – comun­que una volta compresa la procedura ci vuole tempo per fare rilievi, documenta­zione fotografica e progetti per poter pre­sentare la domanda».
Poi un’ipotesi a giu­stificare le poche richieste di rimborso; la popolazione, dice De Santis, ha sì diffi­coltà a procurarsi tutti i documenti ne­cessari, ma «c’è forse anche la volontà di far slittare nel tempo l’inizio della rico­struzione, visto che i soldi veri arrive­ranno». Motiva i ritardi con l’impossibilità di con­segnare le domande fino ad agosto infi­ne Pietro De Santis, costruttore e mem­bro dell’Ara, l’associazione per la rico­struzione dell’Aquila; «fino a qualche set­timana fa – sottolinea – non riuscivamo tecnicamente ad applicare le ordinanze, ma ora stiamo lavorando per preparare i progetti e ci vuole tempo; a ciò si ag­giunge anche che alcune ditte non vo­gliono e, in molti casi non possono, an­ticipare i soldi degli interventi: ecco spie­gato l'intoppo».
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Un appello autogoal

A proposito di certi battage anti-canone.
C’era una Rai da «pagare» volentieri.
Ridatecela prima che sia tardi.

Rassegna stampa - Umberto Folena, Avvenire, 29 settembre 2009.

Noi alla Rai vogliamo bene. Più per quanto è stata e potrebbe essere, che per quello che oggi effettivamente è. E di un servizio pubblico radiotelevisivo di alta qualità gli italiani hanno bisogno; ne ha bisogno la democrazia, il cui stato di salute è direttamente collegato a quello del suo sistema mediatico e, in particolar modo, radiotelevisivo. Per questo lascia perplessi l’appello a non pagare il canone Rai strillato da alcuni quotidiani. Non pagate il canone – è l’invito ai loro lettori – perché è intollerabile «finanziare» trasmissioni come 'Annozero'. Non pagate per indurre la Tv pubblica a far piazza pulita del giacobino Santoro.
L’appello, spettacolare (se ne avvantaggerà lo stesso Santoro) e non privo di una carica demagogica oggi di moda, è viziato innanzitutto da un equivoco. Il canone Rai non esiste, né l’abbonamento è un abbonamento, ma una tassa sul possesso dell’apparecchio televisivo o di qualunque altro mezzo atto a ricevere i segnali tv. Si spiega così perché la debba pagare, la tassa, anche chi dovesse tenere il televisore accasciato da anni in cantina, mortalmente spento. Infatti, per non pagare senza farsi fuorilegge, bisognerebbe mettere i sigilli all’apparecchio o rinunciare al computer. Va da sé che poi non potremmo vedere niente di niente, non solo la Rai.
In altri termini – e qui l’appello sfiora l’autogol – calerebbero gli ascolti, e quindi gli introiti pubblicitari, anche di Mediaset, la cui proprietà è 'sorella' a quella del principale quotidiano che invita al boicottaggio. Da parte dei detrattori, molto più serio, educativo e democraticamente elevato sarebbe invitare gli italiani a cambiare canale e non guardare il programma incriminato. L’unica vera paura di chi fa tv è il calo degli ascolti. Ma forse, nella vicenda, tutto è sbagliato, strategia e bersaglio. 'Annozero', piaccia o dispiaccia, sono appena tre ore tra centinaia di ore di tv. E tanta, troppa tv è oggi impegnata in un’opera sistematica di obnubilamento delle coscienze, da rendere incapaci di distinguere il buono dal cattivo, il bello dal brutto, il giusto dall’ingiusto, l’utile dall’inutile, l’alta qualità dalla bassa qualità. Il vero pericolo è costituito, da sempre, da chi confeziona programmi sciacquacervello che anestetizzano il palato abituandolo alla mediocrità.
Da chi ci ripete che l’intrattenimento non può essere intelligente. Un pubblico di cittadini telespettatori cresciuto a questa scuola è la premessa all’eutanasia del senso critico e – dagli oggi, dagli domani – rischia di diventare un esercito sempre più renitente al coscente esercizio delle libertà democratiche. È su questo fronte che il servizio pubblico televisivo dovrebbe dimostrare un guizzo di orgoglio e di responsabilità. Dovrebbe rinunciare a quella che da anni denunciamo come la 'pornografia dei sentimenti' di troppi programmi spazzatura; all’illogica dittatura dell’auditel usato non come strumento a servizio del mercato pubblicitario, ma per determinare la sorte dei programmi, secondo l’assurda equivalenza 'quantità uguale qualità'; ai compensi milionari di star di dubbio talento a fronte dell’incapacità di reperire fondi per una vera tv dei ragazzi e per i ragazzi, a partire dal loro diritto a un’informazione calibrata (e a misura). Per non parlare delle continue violazioni del codice di autodisciplina, della pubblicità strillata a volume doppio, eccetera. Questa sarebbe la Rai per la quale pagare volentieri una tassa. Questo sarebbe il servizio pubblico degno di una nazione civile.
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In edicola oggi

29 settembre 2009.
Le prime pagine dei giornali.





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Agorà - Spazio di discussione, 1

Quale futuro politico-amministrativo per Brembio?
È pensabile e possibile la costruzione di una terza forza politica a Brembio, alternativa a centrosinistra e sinistra?

Brembio, a nostro avviso, vive rispetto alla politica una situazione paradossale. Da un lato, a livello nazionale domina una coalizione che a Brembio non ha rappresentanza; dall’altro, in netta controtendenza nazionale, a livello amministrativo comunale domina da quasi quarant’anni una maggioranza oggi piddina che ha raccolto alle ultime elezioni un consenso bulgaro, che fa del sindaco, in termini appunto di consenso, l’equivalente locale del premier Berlusconi. Esiste come a livello nazionale una sinistra minoritaria che mantiene con continuità la sua ristretta nicchia di consenso.
Quanti negli anni scorsi hanno rappresentato un legame con le forze politiche non rappresentate a Brembio hanno ormai un’età che con qualche minima eccezione li taglia fuori da prospettive future, diverse dal ruolo del grande vecchio che fa da guida. anche perché questa politica, la politica di oggi, è politica di veline, di fichetti di satiri, non di saggi. Giovani paragonabili a questi, ai senatori della politica locale, con un background di attività politica non ce ne sono – e se ce ne sono non si conoscono. Ecco la domanda banale e provocatoria, allora. Ha senso oggi pensare di realizzare una alternativa – che sia soprattutto politica e non solo un’accozzaglia messa in piedi solo perché ci sono le elezioni – capace di raccogliere il consenso degli scontenti e di quanti non si ritrovano nella maggioranza piddina o nella minoranza comunista? O non è meglio gettare la spugna e, appendendo bandiere volantini e le residue velleità al chiodo, favorire con ogni sforzo a livello amministrativo la nascita di un unico rassemblement che punti, con una lista unica, a mettere alla guida amministrativa del Comune le persone più indicate al compito da svolgere, collocando al primo posto, con la caduta dell’interesse politico, l’interesse della comunità? È quest’ultima una ipotesi percorribile? O le individualità politiche a Brembio sono talmente forti da renderla impossibile? La discussione è aperta.
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Afghanistan, rivalutare alcuni obiettivi

Afghanistan, Frattini: i terroristi continueranno a colpire.
Il ministro degli Esteri, in una telefonata a Belpietro, su Mattino 5, ha parlato della nuove strategie della missione italiana: "Prima di discutere di un eventuale rafforzamento del contingente militare è necessario rivalutare alcuni degli obiettivi".
VideoPost - Sky Tg24, 29 settembre 2009.



Per il ministro Frattini "purtroppo c'é da attendersi che le azioni che terroristi e talebani stanno compiendo in Afghanistan, contro tutte le forze della coalizione, continueranno". Lo ha detto questa mattina nel corso di un'intervista di Maurizio Belpietro su Mattino 5. "È evidente, ha osservato il titolare della Farnesina, che più ci avviciniamo al momento in cui un nuovo governo afghano, che noi speriamo credibile e immune dalla corruzione, verrà insediato, più i talebani capiscono che stanno perdendo sul terreno della democrazia". Rispetto alla possibilità di un rafforzamento del contingente italiano a Kabul, Frattini ha ribadito che "Parlare di numeri è un discorso successivo ed eventualmente consequenziale rispetto agli obiettivi".
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Una serata dedicata alla concordia tra i popoli

Celebrata la Giornata del donatore con Avis, Aido, Admo e Amici di Serena. L’inno dei bambini di Cernobyl, un canto di pace e solidarietà.
Rassegna stampa - Il Cittadino, Matteo Brunello, 29 settembre 2009.

Un inno alla pace e uno spettacolo dedicato alla concordia tra i popoli. Così i 25 bambini di Cernobyl hanno salutato il territorio, dopo un mese intero trascorso in tante famiglie del Lodigiano. La festa si è svolta venerdì sera, in piazza della Vittoria a Lodi, con la partecipazione dei rappresentanti di diverse associazioni. Un momento per dare uno slancio alla solidarietà, e celebrare tutti insieme la 12esima Giornata del donatore. «Questo è ormai un appuntamento fisso per il capoluogo - interviene dal palco Maristella Abbà, presidente dell’associazione Amici di Serena -, un’iniziativa volta a diffondere la cultura del dono, che è un qualcosa che deve crescere nel nostro cuore e va coltivato, e devo dire che, rispetto a questo, Lodi risponde molto bene». E le ha fatto eco il presidente Avis provinciale, Casimiro Carniti: «La folta presenza di persone qui, è la più forte testimonianza che si vuole credere nei valori di amicizia e solidarietà. Che molto semplicemente, significa voler bene agli altri». Il palco era circondato da fiaccole accese, per una serata organizzata da Amici di Serena, Avis, Aido e Admo. Subito si è entrati nel vivo con un concerto di musiche di origine ebraica, un repertorio sonoro proposto dalla formazione Nevé Shalom Klezmer Band (con la collaborazione dell’associazione culturale Viviamo la musica). Un intreccio di contaminazioni di suoni, eseguiti con una batteria di strumenti ed esperti artisti, che avevano come filo conduttore il tema della pace. E hanno fatto da suggestiva ouverture all’attesa esibizione dei piccoli provenienti dalla Bielorussia, che, come di consueto, nel loro periodo di soggiorno lodigiano per vivere lontano dalle zone contaminate, hanno messo in scena un divertente spettacolo in più lingue. Intitolato “Cose ... da elefanti”, i bimbi sono stati travestiti per rassomigliare ai grandi animali della foresta, per dare corpo ad una storia ispirata alla morale della concordia tra i popoli. Infine un grande canto, in gruppo, per ricordare i tanti momenti vissuti nel capoluogo e territorio; poi la memoria della gita al mare, e infine un grande “abbraccio” simbolico al Lodigiano, per trascorre i pochi giorni rimasti nelle nostre campagne e tornare alla provincia di provenienza di Dobrusch. Hanno assistito all’iniziativa, le educatrici e le diverse persone che avevano seguito i piccoli (hanno tutti un’età che va dagli 8 ai 10 anni).


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Crisi, la coperta è corta

La crisi non accenna a mollare la presa: le imprese sono in crisi, ma solo cinque comuni hanno aderito al fondo di solidarietà. Cassa integrazione, un anno da record. Rispetto al 2008 nel Lodigiano è aumentata dell’851 per cento.
Rassegna stampa - Il Cittadino, Greta Boni, 29 settembre 2009.

La crisi non ha nessuna intenzione di “mollare il colpo”. Con la fine del periodo estivo, alcune imprese si sono trovate irrimediabilmente con l’acqua alla gola, andando ad allungare la lista già cospicua delle situazioni di difficoltà. In provincia di Lodi, il ricorso alla cassa integrazione è cresciuta dell’851 per cento nel giro di un anno, un dato diffuso in questi giorni dagli uffici regionali della Cgil e aggiornato al mese di settembre.
In Lombardia, tutte le province piangono: «Siamo in presenza di un deciso ricorso alla cassa integrazione da parte delle imprese - fanno sapere dalla Camera di lavoro -. Se nel secondo trimestre del 2009 il 39,6 per cento delle aziende aveva usufruito di questo ammortizzatore sociale, le nostre proiezioni per il terzo trimestre, in ragione del tasso di produzione e dell’utilizzo degli impianti, ci dicono che potrebbero crescere fino al 45 per cento. Per l’intera regione - aggiungono dalla Cgil -, le ore autorizzate totali di cassa integrazione nel periodo gennaio-agosto 2009 sul 2008 hanno manifestato un tasso di crescita del 465 per cento; in questo quadro l’ordinaria l’ha fatta da padrona con un più 858 per cento, mentre la straordinaria ha segnato un più “modesto” 200 per cento».
Il fondo di solidarietà messo a disposizione sul territorio, grazie al contributo di istituzioni e associazioni, si sta esaurendo. Fino a questo momento, però , solamente quattro comuni hanno dato la loro adesione per andare a “rinforzare” il conto, con una somma di due euro per abitante: si tratta di Maleo, Ossago, Cornegliano e Caselle Lurani, oltre al comune di Lodi che ha promosso l’iniziativa insieme a palazzo San Cristoforo.
Il presidente della Provincia di Lodi, Pietro Foroni, promette che saranno valutate tutte le risorse per rimpinguarlo, allo stesso tempo ricorda che, dal punto di vista del portafoglio, “la coperta è corta”: «Con Regione Lombardia abbiamo portato avanti la partita degli ammortizzatori in deroga, adesso valuteremo come rafforzare in modo forte il fondo, facendo il massimo sforzo possibile ma tenendo conto della situazione economica. Nel bilancio di previsione indicheremo le risorse che saranno utilizzate. Per quanto riguarda l’invito mosso a tutti i comuni affinché aderiscano al fondo di solidarietà, abbiamo inviato una lettera: si tratta di un progetto serio, ci auguriamo che si sviluppi».
I sindacati hanno sempre fatto affidamento sull’iniziativa, che al momento non ha ancora preso piede. «Non possiamo che essere amareggiati - afferma Domenico Campagnoli, segretario provinciale della Cgil -, alcuni comuni hanno adottato delle misure locali, non aderendo però a un meccanismo di solidarietà. In questo modo, però, un segmento del lavoro rischia di restare allo scoperto. Per ora circa trecento persone hanno chiesto aiuto, un numero che potrebbe salire fino a 400 o 500, a cui si aggiungono le richieste arrivate al fondo messo in campo dalla diocesi. Nel 2010 il fondo dovrà essere rifinanziato».
Le parti sociali chiederanno un incontro con gli altri protagonisti per affrontare insieme la questione. «Abbiamo già sottolineato la necessità di rifinanziare il fondo - dice Mario Uccellini, segretario provinciale della Cisl -, anche l’amministrazione provinciale ha espresso un parere favorevole, senza ancora indicare la cifra che sarà messa a disposizione. Crediamo che con il prossimo anno l’impegno sarà ancora più importante. È possibile che alcuni comuni non abbiano partecipato all’iniziativa a causa delle difficoltà economiche, qualcuno potrebbe aver posticipato il versamento al 2010».
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A ottobre l'elezione del segretario nazionale

Pd a congresso.
Successo per Bersani: «Importante il confronto».

Rassegna stampa - Il Cittadino, Greta Boni, 29 settembre 2009.

I fan di Bersani fanno festa, la loro mozione ha raccolto un tripudio di consensi anche nel Lodigiano: 655 voti, con una percentuale del 56,98 per cento. Ben 26 circoli su 36 ne hanno decretato la vittoria.«Come responsabile della mozione - commenta Simone Uggetti, assessore targato Pd a palazzo Broletto - sono soddisfatto soprattutto della partecipazione, un segnale estremamente positivo. Anche i dibattiti organizzati sul territorio hanno riscosso successo, ho trovato voglia di discutere e di confrontarsi, voglia di rilanciare il partito. Il risultato, però, non è in contrapposizione agli altri protagonisti, anzi, si respira il desiderio di superare le difficoltà che l’opposizione sta affrontando a livello nazionale. Vorrei poi sottolineare un elemento importante della mozione: è un documento innovativo, che arriva da un politico capace di fare proposte interessanti».
Franceschini si è messo in tasca il 35,87 per cento dei voti , mentre Marino si è fermato 7,16. Numeri in linea con i risultati nazionali e regionali. Bersani ha fatto incetta di consensi a Brembio, Bertonico, Castiglione, Borghetto, Senna, San Rocco e Casale.Nel Lodigiano hanno votato 1132 iscritti su 2.126 aventi diritto, ovvero il 53,24 per cento.Per l’assessore, inoltre, il Pd deve essere considerato una vera e propria eccezione nel panorama politico del Paese.
«A quanto pare siamo un’anomalia democratica - aggiunge Uggetti -, un partito che fa congressi e dà la possibilità agli elettori di scegliere la linea programmatica. Siamo diversi da chi fonda un partito dal predellino di un’auto o da chi si appresta per la prima volta a organizzare un congresso. Adesso il prossimo appuntamento sarà il 25 ottobre, quando anche coloro che non sono iscritti al Pd potranno dare la loro opinione». A ottobre, infatti, il Pd sarà chiamato a eleggere il suo segretario nazionale.
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Confindustria contro la mafia

Marcegaglia: "La mafia è un cancro per la società".
Nel corso della presentazione alla Camera del libro "Mafia Pulita", il presidente di Confindustria ha affermato la necessità di "un patto tra politica, magistratura e forze dell'ordine" per distruggere la malavita organizzata.
VideoPost - Sky Tg24, 28 settembre 2009.



La presentazione del libro "Mafia pulita" di Elio Veltri e Antonio Laudati ha offerto l'occasione a Emma Marcegaglia di descrivere in tre punti le linee di azione di Confindustria contro quello che "è un cancro della società": sensibilizzazione attraverso i mezzi d'informazione, sostegno alle imprese che denunciano attività illecite, avvio d'un progetto a favore dello sviluppo del Mezzogiorno. Per la Marcegaglia la mafia può essere vinta solo attraverso "un patto nazionale tra le varie parti politiche, la magistratura e le forze dell'ordine, ma soprattutto con una mobilitazione dal basso".
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Province in difficoltà

Al convegno con i presidenti lombardi hanno tenuto banco le difficoltà degli enti a rispettare le strette regole economiche. Patto di stabilità, la provincia “bussa” alla Regione. Foroni critica la vecchia giunta e punta a un anticipo di 10 milioni per la “234”.
Rassegna stampa - Il Cittadino, Alberto Belloni, 29 settembre 2009.

Un anticipo di 10 milioni di euro sui soldi per la variante della 234, per aggiustare la “sedia rotta” lasciata dalla vecchia amministrazione provinciale alla giunta Foroni. Sarà questo l’asso che la provincia di Lodi calerà sul tavolo della Regione Lombardia per cercare di rispettare il patto di stabilità. Una partita difficile, che a tre mesi dal fischio finale rischia di bloccare mutui, investimenti, assunzioni e di costare un aumento delle tasse auto dei cittadini; e che palazzo San Cristoforo, ultimi aggiornamenti alla mano, affronta con la prospettiva di dove rimontare circa 9 milioni di euro. Le strategie, nel dettaglio, potrebbero essere discusse nel consiglio in programma oggi alle 16, quando l’assessore Cristiano Devecchi illustrerà lo stato di attuazione dei programmi, la salvaguardia degli equilibri di bilancio e una variazione al bilancio stesso. Sulla carta, però, la strada percorribile resta soltanto una: bussare alle porte del Pirellone, chiedergli di farsi carico a bilancio dell’attuale gap o farsi anticipare 10 dei 24,5 milioni di euro promessi per i circa 7 chilometri di variante della 234, tra Maleo e Casale. L’ipotesi è plausibile: finita la gara d’appalto, per fine ottobre dovrebbe arrivare l’assegnazione dei lavori, il cui inizio sarebbe previsto per il prossimo mese di marzo. E la provincia ci proverà, nella speranza di porre un rimedio a quell’ultimo bilancio dell’era Felissari che Foroni giudica con grande severità: «È stato sbagliatissimo, era già previsto uno sforamento del patto, ci penalizzerà per anni se non troviamo una soluzione - conferma il presidente della provincia -. Cercheremo di trovare una scappatoia con la regione, o con l’applicazione della nuova normativa dell’aprile 2009 (in base alla quale la regione “garantirebbe” le province virtuose), che però andrebbe applicata a tutte, o con un anticipo per la 234. Quest’ultima è una strada percorribile, ma più un escamotage che un atto dovuto: i lavori non sono nemmeno partiti! Di certo, non accettiamo lezioni da nessuno: dall’opposizione ci chiedono di mettere mano, ma la sedia non andava rotta fin dall’inizio».
Il suo predecessore, però, non ci sta: «Quella di Foroni è un’opinione avulsa dalle valutazioni del contesto in cui abbiamo agito - replica Felissari -: il patto era irrispettabile e inapplicabile, ci avrebbe persino impedito di liquidare le spettanze di chi se l’è guadagnate realizzando opere; il tutto in un momento nel quale l’accento sul dibattito, anche a livello nazionale, era posto sulla necessità di non bloccare le opere. In più, la Regione ha la facoltà di farsi garante, e rispetto a noi che abbiamo dovuto rallentare i pagamenti c’è la possibilità di farsi dare un anticipo su una sola opera, sulla quale sono già in atto gli espropri e che la commissione dovrebbe dare in appalto per fine ottobre; senza contare che, nella conferenza stato regioni, si sta comunque pensando di togliere alcune sanzioni per chi violerà il patto, come sui mutui e le assunzioni».

La protesta da San Cristoforo: «Così non possiamo investire».
Rassegna stampa - Il Cittadino, Alberto Belloni, 29 settembre 2009.

Il patto di stabilità? Mal comune, nessun gaudio. E tutti in fila verso il Pirellone e il governo per chiedere una mano, perché così futuro non ce n’è. Al direttivo dell’Unione province lombarde, ospite ieri a Lodi, non se è parlato praticamente d’altro. «Perché tutte le province sono in difficoltà», spiega Leonardo Carioni, presidente della provincia di Como e della stessa Upl, senza sottilizzare troppo tra chi magari i parametri comunque li rispetterà (Brescia, e pochi altri) e il resto del gruppone, orfano per l’occasione solo di Bergamo e con Dario Allevi, numero uno della neonata Monza e Brianza, spettatore (non ancora) pagante della partita. «I soldi li abbiamo, ma non li possiamo spendere», lamentano tutti, annunciando una “sollevazione dei virtuosi” che premi chi in questo Paese ancora investe ed ha tutte le intenzioni di andare avanti a farlo.
Nella cervellotica contabilità tra saldi di cassa e saldi di competenza, alcune situazioni sono particolarmente critiche. Se lo sforamento della provincia di Lodi, per esempio, oscilla attorno ai 9 milioni di euro, Sondrio dovrebbe recuperare in tre mesi un “gap” di 15 milioni. «Abbiamo grossi investimenti e grossi trasferimenti, e questo ha inciso - spiega comprensibilmente preoccupato il presidente sondriese, Massimo Sertori -. Ho dato ai miei uffici indicazioni di rispettarlo in tutti i modi, ma è molto difficile. Di certo il problema riguarda un po’ tutti, ne riparleremo presto, le azioni vanno intraprese assieme perché è questo che ci da forza. Responsabilmente, pur rispettando i conti, dobbiamo fare il più possibile per i nostri cittadini».
«Non possiamo fare opere pur avendone le risorse, e non potendo pagare i fornitori la cosa si riflette anche sulle piccole e medie imprese», è l’allarme anche occupazionale di Guido Podestà, presidente della provincia di Milano, che prima di abbandonare il direttivo fa ben capire l’aria che tira. C’è la crisi dell’auto, le cui tasse valgono «quasi la metà dei nostri gettiti tributari», come sottolinea il “pavese” Vittorio Poma. E c’è il calo delle risorse, nonostante deleghe come strade e scuole costino care. Quindi? Affidando a Daniele Molgora, presidente della virtuosissima Brescia e sottosegretario al ministero della finanze il compito di mediare con il governo, la volontà è quella di chiedere la stessa indulgenza applicata altrove (centro sud) ma anche norme meno uniformi per realtà, lungo la penisola, ben diverse tra di loro. «Cerchiamo il dialogo, altrimenti faremo i nostri conti - chiosa Carioni -. Ma non solo l’Upl che ci deve pensare: per l’Expo 2015 si parla di 700 milioni di investimenti, ma come si potrà farli rispettando il patto?».
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Berlusconi berlusconizza anche la moda

Milano, poca moda tante veline.
Financial Times e Herald Tribune all'attacco della fashion week: clima volgare per colpa del premier Berlusconi. Gli stilisti ribattono: siamo i concorrenti numero uno nel mondo, in tempi di crisi ci dobbiamo aspettare colpi bassi.
Rassegna stampa - Sky Tg24, Marco Agustoni, 28 settembre 2009.

Milano volgare e “velinara” per colpa del premier Silvio Berlusconi: questo è quanto asserisce Suzy Menkes nell’articolo pubblicato ieri sull'International Herald Tribune. Il grido di battaglia della settimana della Moda, secondo la giornalista, sarebbe stato “Viva la Bimbo”, traducibile come “Viva la bonazza”, e le passerelle milanesi sarebbero state protagoniste di un netto calo di qualità, in direzione di un generale involgarimento. Da modelle a veline, quindi, e la colpa sarebbe del premier Silvio Berlusconi e del suo stile sopra le righe. Termometro di questo generale impoverimento di stile, le concessioni di marchi solitamente sobri come Giorgio Armani, Bottega Veneta e Pucci a reggiseni e hotpants.
D’accordo anche Vanessa Friedman, inviata del quotidiano britannico Financial Times, secondo cui l’estate degli scandali del primo Ministro Silvio Berlusconi avrebbe avuto un influsso più o meno inconscio sulle collezioni presentate a Milano Moda. In entrambi i casi, dunque, viene sottolineato il nesso tra il comportamento poco consono del nostro premier e un involgarimento dei costumi (in questo caso, sia in senso letterale che metaforico). Accuse pesanti cui però sono seguite repliche immediate.
Tutta invidia, secondo la stilista Laura Biagiotti: “La moda italiana è la concorrente numero uno nel mondo della Moda, e quindi in tempi di crisi ci dobbiamo aspettare colpi bassi”. Dello stesso avviso Mario Boselli, presidente della Camera Nazionale della Moda Italiana, secondo cui “l’unica ragione possibile [di questo attacco] è politica”. D'accordo, invece, Mariella Burani, secondo cui le modelle sono ancora più svestite delle veline. "La fashion week milanese ormai è uno show perché non fa sfilare abiti per le donne", ha commentato la stilista, per poi aggiungere: "Le donne non si vestono così".
"Non credo che Berlusconi influenzi la moda... non arriva fin là" ha detto invece Donatella Versace, "In ogni caso sulle passerelle di questi giorni non ho visto nulla di volgare".
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«La Lega non ha bisogno di eroi, ma di pecore»

Ne avevamo parlato. Così: "C'è luce in val padana", raccontava domenica Liberazione in prima pagina: migliaia di persone, moltissimi i giovani, sfilano a Ponteranica (Bergamo), dove il sindaco leghista aveva fatto rimuovere una targa dedicata a Peppino Impastato, prontamente rimessa al suo posto dai manifestanti. Forte la presenza del Prc. È un primo,promettente sussulto popolare di protesta contro i miasmi razzisti e l'inquinamento mafioso che ammorbano la Lombardia e l'intero Paese.


Ponteranica come Cinisi: sfilano in corteo settemila persone per protestare contro le politiche della Lega. Del fatto la RAI non ha fatto cenno.
Dialogos Corleone, Salvo Vitale, 29 settembre 2009.

È finita nel migliore dei modi. Più di settemila persone, tante quante ne avevamo viste a Cinisi il 9 maggio di quest'anno, sono sfilate in corteo, non tanto e non solo per denunciare la sbruffonata del sindaco leghista di questo paese di volere togliere l'intestazione della biblioteca al “terrone” Peppino Impastato per intitolarla al buon padre sacramentino Giancarlo Baggi, oscuro studioso, ma padano purosangue, anche contro il parere degli stessi padri sacramentini, che hanno ritenuto questa scelta inopportuna e poco riguardosa nei confronti di chi muore lottando per un'idea. Davvero nessuno si aspettava tanta rabbia, tra la gente del Nord, davanti a quello che doveva passare come un gesto di sfida sia nei confronti della passata amministrazione comunale di sinistra, sia nei confronti di quelli che tentano di trapiantare al nord valori di ribellione contro la prepotenza, come nel caso dell'esempio di Peppino Impastato. La Lega non ha bisogno di eroi, ma di pecore pronte a correre dietro a un pastore, si chiami esso Berlusca o Bossi. La Lega non ha bisogno di “cittadini del mondo” o dell'Italia, di fratelli stranieri, uomini come noi, che cercano un mondo un modo disperato di sopravvivenza, ma di “padani” arroccati alla loro folle voglia di sentirsi al di là di tutto e di tutti, staccati dal resto del mondo e chiusi nel loro gretto provincialismo e nei loro soldi. In tal senso la lezione di Peppino va in tutt'altra direzione e molti se ne sono resi conto. Per di più si aggiunge l'altra bravata di alcuni valorosi guerrierini in camicia verde, che hanno coraggiosamente tagliato l'albero intestato a Peppino. Un gesto non nuovo: già nell'aprile 2007 a Termini Imerese (PA) era stato divelto un albero piantato pochi giorni prima e intestato a Peppino: allora, con estremo sprezzo del pericolo, gli eroi autori del gesto avevano anche lasciato un cartello con la scritta: “Viva la mafia”. Non ci sono molte differenze tra questa scritta e quella lasciata dagli eroici taglialegna padani:”Mè chè òle u paghèr”, che dovrebbe significare “Io qui voglio un pino”: è uguale l'intenzione di distruggere tutto quanto può ricordare un momento d'impegno contro la mafia e contro le violenze di chi detiene il potere e lo usa per difendere i propri interessi. Sinora molti siciliani si sono portati appresso il complesso di sentirsi la patria della mafia e l'oltraggio di essere identificati con i mafiosi. Peppino è proprio il contrario di questo luogo comune e questo i leghisti non accettano, ovvero che la maggioranza dei siciliani siano ben diversi da quei mafiosi con i quali li identificano. Invece alcuni giovani padani di Ponteranica, il sindaco e la sua giunta si mostrano degni di stare all'altezza delle migliori tradizioni mafiose: agire, possibilmente a sorpresa, abusando del proprio potere, cancellare i simboli che possano essere da ostacolo o da monito al proprio becero razzismo, rifiutare le scelte degli altri per imporre le proprie. C'è da chiedersi dov'era questa gente quando schiere di mafiosi siciliani, dai Fidanzati ai Carollo, ai soldati di Badalamenti e a quelli di Leggio occupavano le loro zone, particolarmente a Trezzano sul Naviglio, acquistando terreni a fior di quattrini, per avviare speculazioni edilizie. A proposito, proprio a Gaggiano, in un terreno confiscato alla mafia, l'amministrazione comunale e quella Provinciale di Milano ha deciso lo scorso anno di intitolare un bosco alle vittime della mafia e un albero a Peppino Impastato. Anche a Brescia e a Torino un intero parco è intestato a Peppino. Suggeriamo ai nostri “mafiosi padani” di fare altre spedizioni punitive e tagliare o distruggere pure questi simboli di cattivo esempio: meglio il nome di qualche laborioso padano che questo corpo estraneo alla cultura locale.
Per fortuna il Nord e Ponteranica non sono solo questo: la manifestazione è stato un primo forte segnale che la stupidità non paga, anzi si ritorce contro gli stupidi che la praticano: toccare Peppino e quello che rappresenta , cioè la modernità delle sue idee, significa avere avviato un processo di crisi e di autodistruzione di quei valori d'altri tempi portati avanti dai gruppi leghisti con l'aiuto e la complicità degli ambienti più squallidi del centrodestra berlusconiano. Naturalmente nessun cenno dell'avvenimento è stato fatto sulla RAI e sulla maggioranza dei giornali. Così come, qualche mese fa è stata oscurata la notizia che la tesoriera della Lega Nord è stata arrestata a Lugano con sette chili di eroina in valigia. La Lega non si tocca. I manifestanti per Peppino hanno invece dimostrato che per fortuna c'è un'altra Italia che non ha nulla a che fare con lo squadrismo, con il teppismo, con il razzismo, che un'altra Italia è possibile.
E comunque i Padani non si scoraggino, non sono soli: A Mazara del Vallo e a Terrasini qualche anno fa hanno divelto la lapide segnaletica di via Peppino Impastato, in un paese vicino Verona un consigliere comunale fascista si è lamentato perché Giovanni Impastato era andato a fare politica in una scuola, invece di parlare di suo fratello, a Prizzi, in provincia di Palermo, c’è uno scontro in atto tra chi vuole intestare una palestra a Peppino Impastato e chi invece è contrario perché non è uno sportivo e un prizzese, a Isnello (PA) un sindaco forzista ha fatto rimuovere il ceppo dov’era scritto “via Peppino Impastato” e si è dovuto aspettare il nuovo sindaco, che poi era quello vecchio, per rimettere tutto a posto, a Partinico, (Pa) la notizia è di stamattina, davanti all’iniziativa fatta da alcuni giovani di Rifondazione, in coincidenza con la manifestazione di Ponteranica, di scrivere “Via Peppino Impastato” in una strada, la cui intitolazione era stata decisa da una delibera comunale, da un anno e mai attuata, alcune persone benpensanti si sono lamentate perché un privato non si può permettere di prendere iniziative simili. Uno si chiede: ma come, non dovrebbero essere contenti? E invece no: chiaro esempio che Peppino ancora non appartiene a loro e alla loro cultura, è ancora un corpo estraneo e che si va alla ricerca di motivazioni e alibi utili a mascherare il proprio dissenso, il quale, alla fine, è sempre un modo di fare un piacere alla mafia.

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