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domenica 1 novembre 2009

BlogNotte - Stato di/della polizia

Blog Notte
Stato di/della polizia

1 novembre 2009

La notizia. Catania, 30 ottobre 2009. Sgomberato all'alba, dopo diciassette anni di attività, il Centro Popolare Occupato Experia. Decine di poliziotti, carabinieri e guardie di finanza si sono presentati in via Plebiscito in assetto antisommossa con scudi, caschi e manganelli. Momenti di tensione tra la tantissima gente accorsa a difendere il centro e le forze dell'ordine che non hanno esitato a usare la forza e la violenza.
Il video (uno dei tanti in rete).



Il commento. Tra i tanti ho scelto quello di Beppe Grillo (dal suo blog). Il più tragico ovviamente.
«A Catania hanno anticipato di un giorno Halloween. Non di notte. Halloween è avvenuto all'alba del 30 ottobre, alle 5.30 del mattino. Al posto di zucche, mummie e vampiri si sono presentate le truppe antisommossa con scudi, caschi e manganelli. Le Forze dell'ordine al gran completo. Lo sgombero di Experia, uno dei pochi centri sociali di Catania attivo da 17 anni, è avvenuto con l'uso del manganello contro cittadini inermi. Nel video si vedono braccia alzate al cielo da una parte e violenza pura dall'altra. Armati contro disarmati. Il centro sociale era occupato abusivamente. Ma dopo quasi vent'anni di esistenza di uno spazio di libera associazione giovanile non si poteva fare un condono? O vale solo per gli evasori fiscali e i detentori di capitali mafiosi protetti dallo Scudo Fiscale? O trattare invece di manganellare? Il Comune di Catania non poteva attrezzare un'altra area alternativa per i ragazzi? Catania è degradata, sporca, fallita e la priorità è chiudere uno spazio di aggregazione?
Fonti del centro sociale riportano di "centinaia di sostenitori dell’Experia caricati con decine di contusi". Anche l'asino più mansueto, se bastonato con troppa frequenza, si rivolta. Il cittadino italiano si sta abituando a essere manganellato ogni volta che manifesta. Donne, anziani, ragazzi, operai sono manganellati abitualmente dai tutori dell'Ordine. Ma chi gli dà questo diritto? Il diritto di picchiare persone incensurate che protestano? I cittadini si possono fermare, chiedere loro i documenti, anche portare in questura per accertamenti. Ma non pestare a sangue alzando il manganello al cielo come si vede nel fotogramma del video di questo post.



I cittadini non sono bestie come forse qualcuno in Parlamento si ostina a pensare.
Ieri, 31 ottobre, a Catania sono sfilate oltre 1.000 persone per protestare contro la chiusura del centro sociale. "Chi semina vento, raccoglie tempesta", era scritto in un manifesto.»
La notizia. Roma, 28 ottobre 2009. Migliaia di agenti a piazza Navona contro i tagli decisi dal governo.
Il video.



Un giornale (Il Fatto Quotidiano n°31 del 28 ottobre 2009). «Adesso sono a rischio le volanti notturne.
"Siamo figli di tutte le opposizioni ma orfani di tutti i governi", gridano i poliziotti, ricordando come l’attuale esecutivo fino a due anni fa denunciava la gestione-scandalo di Prodi, ma oggi propone lo stesso aumento di stipendio: 40 euro lordi per il biennio economico, con un contratto scaduto da due anni, la peggiore proposta "della nostra storia sindacale". È questa la goccia che ha fatto traboccare il vaso dei poliziotti, oggi in piazza a Roma per una manifestazione nazionale di tutte le sigle sindacali contro i tagli del governo Berlusconi all’intero settore. Un governo che ha vinto la campagna elettorale sulla sicurezza, e poi ha deciso che le forze di polizia non meritavano investimenti. Anzi, solo tagli.
Economici, prima di tutto, con ripercussioni drammatiche sull’operatività e sull’organizzazione del lavoro. Basti pensare che sarebbe attualmente in discussione al Viminale l’eliminazione delle volanti notturne nei commissariati sezionali diretti da un funzionario direttivo. Proviamo a spiegare meglio: esistono, in ogni città, commissariati diretti da un primo dirigente, che hanno una maggiore giurisdizione territoriale, e commissariati guidati da un vice questore aggiunto, che hanno una competenza minore. L’idea sarebbe allora quella di mantenere le volanti notturne solo nei primi, eliminandole nei secondi. Peccato che tra i "secondi" ci siano commissariati come quello di Porta Nuova a Palermo, che ha giurisdizione anche su Monreale (Comune altro rispetto a Palermo). Con buona pace dei controlli notturni nelle zone ad alta esposizione mafiosa. Oppure come la scelta, adottata circa un mese fa dall’amministrazione, di abbassare il tetto degli straordinari a 35 ore mensili (dalle 55 di prima). Chi vuole lavorare di più può farlo, certo, ma a titolo gratuito.
Il ministro Brunetta nel maggio scorso ha definito i poliziotti "panzoni". Del resto, quando non si dà la possibilità ai giovani di accedere al servizio direttamente, dopo un concorso pubblico e ci si limita a preferire chi ha già svolto un anno nell’esercito, in marina o nell’aeronautica, il turn over non è proprio semplicissimo. L’età media dei poliziotti si è innalzata a 43 anni, e le pance crescono. "Non ci sono concorsi pubblici dal 1996 – spiegano da una Questura – allora è come dire ad un ingegnere che, prima di poter svolgere la professione, deve fare un anno da capo cantiere. Una scelta, tra l’altro, che penalizza le donne, che ci pensano due volte prima di farsi un anno nell’esercito".
Per non parlare dei mezzi di trasporto: poche auto, vecchie e bisognose di manutenzione, oppure non ancora immatricolate perchè non ci sono i soldi per farlo. O della tecnologia: negli sportelli-denuncia non esistono computer che siano in rete con le Procure, o mail certificate. Questo significa che ogni mattina un poliziotto parte dal commissariato e si reca in Procura per le segnalazioni. Uno spreco di tempo e di denaro enormi, a fronte dei tagli che sono stati operati negli ultimi anni per il comparto sicurezza.
Gli ambienti di lavoro sono spesso fatiscenti, in qualche caso - denunciano i sindacati - anche esposti a pericolose radiazioni delle scorie depositate negli anni.
Rispetto a tutte queste rivendicazioni, finora è giunta solo una lettera ai sindacati del capo della polizia, Antonio Manganelli, che spiega come si intenda riorganizzare il ruolo degli psicologi. "Sono in corso - spiega il Prefetto - i lavori preparatori per la definizione di un nuovo assetto ordinamentale del ruolo degli psicologi, nonché un’ipotesi di riorganizzazione del settore a livello centrale che prevede l’istituzione di un Servizio di psicologia". Per il resto, una serie di incontri tra i sindacati e l’amministrazione, senza alcun risultato concreto. Il ministro Maroni ha proposto che vengano destinati alla polizia i soldi recuperati con lo scudo fiscale o sequestrati alla mafia. Così gli stipendi di chi ci deve difendere avranno l’odore di chi delinque.»
Un altro giornale (Repubblica). «Roma, poliziotti in piazza contro i tagli - 28 ottobre 2009.
Mancano macchine e benzina. Gli uffici non riescono a far fronte alle pratiche. E il governo taglia, nonostante le promesse. Oggi a Roma gli operatori delle forze di polizia manifestano contro i tagli alla sicurezza e per la difesa di dignitose condizioni economiche e professionali. Lo fanno con un corteo, destinazione Piazza Navona. Tra loro spunta un busto in cartapesta dedicato a Silvio Berlusconi: "Papi, come ci hai cucinato bene". E i 30mila in piazza criticano il ministro della Funzione Pubblica e le ronde: "Brunetta buffone", "Le ronde sono vergognose".
I sindacati delle forze di polizia denunciano "le irresponsabili scelte del governo", come la riduzione di oltre 40mila unità il numero degli operatori in servizio e la "sottrazione del il 44% delle risorse alle attività operative e organizzative". Inoltre le forze dell'ordine criticano la decisione "di rinviare di tre anni il rinnovo del contratto collettivo di lavoro e di sottrarsi all'impegno di realizzare un nuovo modello di sicurezza che esalti le professionalità". E ancora: "Sono scelte, queste del governo, che smentiscono gli impegni assunti in campagna elettorale, ed esprimono una sostanziale indifferenza verso il diritto alla sicurezza dei cittadini".
I sindacati sostengono che "i tagli incidono pesantemente anche sulla spesa corrente" e sulle voci di bilancio ministeriale "relative all'acquisto delle autovetture, della benzina, alla gestione degli uffici e delle strutture". Tutto questo incide e inciderà ancor di più dal 2010 sul "reale controllo del territorio da parte delle forze dell'ordine" e quindi "sulla sicurezza dei cittadini".
Le denunce sono nette: "Ad oggi, purtroppo, la politica del governo è un'altra". Il taglio di circa tre miliardi di euro in tre anni al Comparto Sicurezza e Difesa, unito agli effetti dell'ex decreto Brunetta ora convertito in legge, "sta producendo una pesante riduzione di personale a causa del mancato turn over e un innalzamento dell'età media dei poliziotti italiani, che ormai sfiora i cinquant'anni".
Alla protesta partecipano membri della Polizia e della Guardia di Finanza, agenti della Polizia penitenziaria e del Corpo forestale dello stato. C'è anche il Cocer dei carabinieri. "Per una volta siamo tutti uniti". Da "questo governo, che ha avuto anche i nostri voti, abbiamo avuto solo promesse e ora ci troviamo con macchine che fanno schifo, senza soldi per la benzina e caserme in cui non si pagano gli affitti".
Le reazioni - "La sicurezza non si fa con le ronde, ma con i poliziotti: è ora che il governo venga in Parlamento per dare risposte serie su questo tema". Lo dice il segretario del Partito Democratico Pier Luigi Bersani a piazza Navona dove si è concluso il corteo. Il leader dell'Idv, Antonio Di Pietro: "Se anche le forze di polizia sono costrette a scendere in strada per far valere i loro diritti per servire il paese, allora vuol dire che siamo veramente alla vigilia di uno sfascio".»
E in un Paese allo sfascio che cosa succede?
Il video.



Il caso di Stefano Cucchi è di questi giorni, ma non è il primo. Come ricorda il blog "Federico Aldrovandi" «Da sabato 31 ottobre 2009, alle 23,45, "Un giorno in Pretura" dedica 4 puntate al processo che ha giudicato e condannato i responsabili della morte di Federico. Mi sembra che la presentazione migliore siano le parole che il Giudice Caruso ha usato nella motivazione della sentenza. "Tanti giovani studenti, ben educati, di buona famiglia, incensurati e di regolare condotta, con i problemi esistenziali che caratterizzano i diciottenni di tutte le epoche, possono morire a quell’età. Pochissimi, o forse nessuno, muore nelle circostanze nelle quali muore Federico Aldrovandi: all’alba, in un parco cittadino, dopo uno scontro fisico violento con quattro agenti di polizia, senza alcuna effettiva ragione. Quando un affare del genere si verifica in una città civile come Ferrara, dotata di opinione pubblica e società civile reattive, di un sistema d'informazione diffuso e disposto a diffondere notizie e spiegazioni e a non subire condizionamenti (gli interessi in gioco non sono tali da indurre cautele), il fatto di cronaca, una morte di
immediato rilievo giudiziario, diventa un caso. Non un qualsiasi procedimento giudiziario ma un affare pubblico (tutti gli affari giudiziari hanno rilievo pubblico ma nonostante la cronaca giudiziaria costituisca una sezione di primo piano nel sistema dell informazione, la stragrande maggioranza dei processi, di fatto, resta materia riservata agli addetti). Il processo come affare pubblico rende accessibili i meccanismi che governano e regolano la giustizia, inverando l’astratta nozione di Stato di diritto; permette al popolo di assuefarsi alle procedure, di condividerne le logiche, di controllare il mantenimento delle promesse, in modo da rafforzare il patto costituzionale. In questo processo si è consentito al pubblico, aprendo l’aula ai mezzi di comunicazione radiotelevisivi, di avere piena cognizione del modo in cui si amministra giustizia nel Paese, nel bene e nel male, e si è dato modo al pubblico di formarsi un’opinione, fondata sull esperienza diretta delle prove e del contraddittorio. Ogni persona di buona volontà ed in buona fede può, se vuole, esprimere un’opinione informata".»
Il video.



Ma c'è stato anche il caso di Aldo Bianzino.
Il video.



La vicenda nell'intervista al padre tratta dal blog "Morti nelle carceri".
Intervista con Giuseppe Bianzino, padre di Aldo Bianzino.
di Francesco "baro" Barilli, 17 giugno 2008.

Aldo Bianzino, 44 anni, viene rinchiuso la sera del 12 ottobre scorso nel carcere di Capanne a Perugia, per il possesso di alcune piantine di canapa indiana. Viene trovato senza vita la mattina del 14 ottobre.
Aldo l'ho potuto vedere solo in fotografia; suo padre Giuseppe l'ho incontrato la prima volta a Lodi, un mese fa. L'ho conosciuto tramite Maria Ciuffi, madre di Marcello Lonzi, anche lui deceduto in carcere l'11 luglio 2003 (sulla sua morte si sono recentemente riaccese speranze di verità, dopo la riapertura del caso). Quella sera Giuseppe ha abbracciato anche Haidi Giuliani, e poi Danila Tinelli e Maria Iannucci, rispettivamente madre di Fausto e sorella di Iaio. Incroci di destini fatti di dolorose perdite e di mancanza di giustizia, un affetto e una solidarietà che sorgono spontanei.
Dal confronto con le foto del figlio, risulta chiara la somiglianza fra Aldo e Giuseppe. Alti, magri, grandi occhiali. Anche caratterialmente Giuseppe ricorda quel che si racconta dell'indole del figlio. Mitissimo, ma non per questo meno risoluto nel combattere le ingiustizie. Nei gesti e nel sorriso i segni di una cordialità e di una serenità che la tragedia ha incrinato ma non cancellato. "Mio figlio era molto aperto, disposto a parlare con tutti", mi racconta. "Già da bambino, bastava che qualcuno lo chiamasse e lui gli sorrideva e lo seguiva. In questo era simile a me, o almeno a come ero una volta. Oggi sono cambiato. Una volta sorridevo sempre e qualcuno mi chiedeva 'ma cos'hai da ridere?'. Io semplicemente sorridevo perché mi sembrava che la vita mi sorridesse. Oggi sorrido poco, quella domanda non me la rivolgono più...".
Lo incontro nuovamente nella sua casa di Vercelli. Lui ha voglia di parlare e io di dargli voce.
Tu quando vieni a sapere della morte di Aldo?
Domenica pomeriggio, quando era già morto da alcune ore. Mi ha telefonato Gioia, la sua prima moglie, madre dei due figli maggiori (Aruna ed Elia). All'inizio ha chiesto se Aruna era lì da me, poi ha tergiversato un po', non sapeva come dirmelo. Prima ha detto che mio figlio aveva avuto un infarto, solo dopo qualche minuto ha aggiunto che era morto, ma non mi ha specificato i dettagli, non ha parlato del carcere, non se la sentiva. In quel momento ha accennato solo a mancanze nei soccorsi. Mia moglie era in giardino, gliel'ho dovuto riferire io. Non sai cosa significa dire una cosa del genere a una madre... Ho cominciato a sapere tutta la storia pochi giorni dopo. Poi, dopo altro tempo ancora, è stata sempre Gioia a dirmi "adesso devo raccontarti tutto". Mi ha parlato dell'autopsia, dei 4 ematomi cerebrali, dei danni al fegato e alla milza. In quel momento si diceva pure di due costole rotte, circostanza che però sembra essere stata smentita dall'autopsia successiva. Nel frattempo erano cominciati i contatti con Roberta, la sua compagna (arrestata assieme a lui e scarcerata subito dopo la morte di Aldo), e la nostra battaglia comune per capire cosa fosse successo in quella cella.
Ti sei fatto qualche idea su quanto accaduto?
Ho due ipotesi. Forse i suoi carcerieri pensavano davvero di trovarsi di fronte a uno spacciatore. Non avendo trovato denaro in casa di Aldo e Roberta (la perquisizione aveva raccolto solo trenta euro), hanno pensato avessero nascosto "il malloppo" da qualche parte. Per questo può darsi l'abbiano malmenato, per farlo confessare. L'altra ipotesi si basa sull'idiosincrasia di mio figlio verso strutture chiuse come il carcere. Aldo era molto tranquillo e aperto di carattere, ma incapace di comportamenti servili e non incline al rispetto delle gerarchie. In un ambiente chiuso e codificato come dev'essere il carcere si crea quella subordinazione che pretende ritualità, rispetto ossequioso verso gli ordini: una realtà impossibile per lui. Magari questo l'ha portato a qualche reazione e di conseguenza può essere scattata la voglia di dargli "una lezione".
Cosa puoi dirmi sullo stato delle indagini?
Il magistrato che aveva in mano l'inchiesta era lo stesso che l'ha fatto arrestare. Un arresto che considero assurdo non solo per l'assoluta mancanza di pericolosità di persone come Aldo e Roberta, ma anche perché avvenuto di venerdì pomeriggio, costringendo quindi due persone a restare in carcere inutilmente per almeno tre giorni. Tutto questo senza poter vedere un giudice e chiarire la loro posizione, e per di più lasciando Rudra e la nonna (ossia il figlio quattordicenne di Aldo e Roberta, e una novantenne in precarie condizioni di salute) completamente isolati e abbandonati a se stessi. Sulla sua morte è stata chiesta l'archiviazione, a cui si è opposta tutta la famiglia, coi rispettivi avvocati. Non so cosa aspettarmi delle indagini, seppure da ignorante in materia legale ci vedo troppi buchi. Io pensavo che in un carcere, almeno nei corridoi e nei luoghi di passaggio, ci fosse una vigilanza costante, anche tramite telecamere, eppure ancora oggi non si sa chi sia entrato e uscito da quella cella. Prima abbiamo accennato a incongruenze nelle autopsie e voglio farti un esempio specifico. Le lesioni al fegato le hanno giustificate con una manovra di rianimazione maldestra, fatta con imperizia e troppa violenza. Ammesso che si possa credere a questa versione, è possibile che non si sappia chi ha operato quel tentativo di soccorso?
Alla fine si sta facendo strada la teoria di una morte per cause naturali, per rottura aneuristica. Inoltre, si è parlato molto dell'assenza di lesioni esterne...
L'aneurisma è un elemento di debolezza del sistema circolatorio, che può starsene tranquillo per anni e poi cedere. Cosa posso dirti?... Forse per deformazione professionale da vecchio chimico ragiono in termini pratici, di impianti. Alla Thyssen Krupp l'impianto faceva schifo, ma è successo qualcosa che l'ha fatto scoppiare. Ecco, anche volendo credere all'aneurisma, io sono alla ricerca di quel "qualcosa". Nulla capita per caso. Sulla mancanza di segni esteriori, tu pensi ci siano lesioni esterne nei prigionieri di Guantanamo? O sui corpi dei poveracci passati nelle mani di Videla o Pinochet per poi essere scaricati in mare?
La storia di tuo figlio mi ricorda un panorama in cui la nebbia prima si dirada e poi si riaddensa. Ci parla di una zona grigia nello stato dei diritti, favorita dall'intreccio tra retorica securitaria e guerra al diverso.
In questi tempi si fa un gran parlare di sicurezza, peraltro cercando di distorcere la scala di importanza dei fatti. Quando si parla di sicurezza e legalità non si parla dei morti sul lavoro, che sembrano confinati in un altro pianeta, e neppure dei grandi truffatori, che non sembrano destare quello che oggi viene chiamato "allarme sociale". Intendiamoci, capisco che il ladro che ruba la pensione alla vecchietta che l'ha appena ritirata sia un problema reale e da affrontare, ma non capisco quale allarme possa essere determinato da uno che si fa uno spinello. Chi vive alle nostre spalle rubando miliardi o guadagnandoli in modo poco pulito, al contrario, non è considerato pericoloso. Tu mi parli di nebbia e di zona d'ombra ed è corretto; io, al di là del dolore personale, la storia di mio figlio l'ho vissuta come un'enorme contraddizione. Una contraddizione di quello che una volta avremmo chiamato "il sistema".
La vicenda di Aldo ti ha creato un'idea in generale del mondo carcerario? E come è cambiata, se è cambiata, la tua visione della giustizia?
Cosa penso del carcere? Che è una cosa diversa se ti chiami Geronzi o Bianzino. Può sembrare banale ma è così, è quel che sento. Quando oggi leggo di tragedie successe nei CPT, di persone malmenate o morte "in circostanze misteriose", come si dice, provo la stessa sensazione: carceri e CPT sono luoghi dove la persona perde i propri diritti. Per questo è facile che lì dentro certe cose succedano, ed è difficile poi scoprire la verità. E parlo di due luoghi che a torto si pensa debbano tutelare solo chi sta fuori da chi vi è imprigionato. È falsissimo: carcere e CPT dovrebbero tutelare pure chi sta dentro. Questo perché anche chi viene rinchiuso in una di quelle strutture è sotto la tutela dello Stato. Tutti, ma a maggior ragione quelli che, come Aldo, sono reclusi senza aver subito una condanna e quindi vanno considerati innocenti fino all'emissione della sentenza. Del resto ne abbiamo parlato prima: quando si parla di sicurezza si parla di una sicurezza monca e ambigua. Le morti in carcere sono tantissime. Non parliamo di quelle nei CPT, visto che quei poveracci ormai sembrano appartenere a una categoria subumana. Non parliamo di Carlo Giuliani: per lui hanno ripristinato la pena di morte, direttamente in piazza. Una volta avremmo parlato di "giustizia di classe": forse dovremmo avere il coraggio di dirlo anche oggi...



Carosello della Polizia in Piazza di Siena a Roma nel 1950. Coreografie meravigliose soprattutto nelle riprese dall'alto che mettono in evidenza la bravura e la precisione dei poliziotti motociclisti. Altri tempi.
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Il Pd tra abbandoni e promozioni

Bersani «dispiaciuto», Pd diviso.
Rassegna stampa - Avvenire, P.L.F., 1 novembre 2009.

Il Pd «socialdemocratico» di Pierluigi Bersani? «Non ha nes­suna possibilità di parlare ai contemporanei» , è il biglietto di addio di Francesco Rutelli che il neosegretario non gradisce, nono­stante la manifestazione di circo­stanza del suo «dispiacere» per l’u­scita di Francesco. «Non facciamo cose antiche – ribatte –: stiamo cer­cando di fare il progetto nuovo, con la spinta di una grandissima partecipazione. E mi spiace se non se ne può discutere con Rutelli». Insomma, sarebbe in arrivo un «bambino nuovo», come avrebbe­ro indicato tre milioni di elettori.
Anche se il neosegretario non sem­bra preoccuparsi più di tanto, l’u­scita dell’ex leader della Marghe­rita qualche problema lo provoca nel Pd, pure se Rutelli non sembra puntare al momento alla creazio­ne di un suo gruppo parlamenta­re. Le sue dichiarazioni? «Carica­ture offensive» , commenta indi­spettita Barbara Pollastrini, dei vo­tanti delle primarie. Le ragioni di Rutelli sono «svilite» dai suoi comportamenti, sostiene Franco Mo­naco, rinfacciandogli «un girovagare» politico dai tempi dell’Asi­nello in poi. Ma la 'testa pensante' del prodi­smo, Arturo Parisi, sembra disso­ciarsi nettamente da alcuni suoi compagni di strada. Nell’uscita del presidente del Copasir dal Pd, ar­gomenta il Professore, «c’è una nettezza e una nitidezza che va ri­conosciuta e apprezzata». Non chiara comunque, a suo dire, è in­vece «la prospettiva», perché con una iniziativa centrista non si po­trebbe riparare al danno fatto da tanti al partito, per cui si dovrebbe puntare ad uno «nuovo». Giorgio Merlo, comunque, chiede che il nuovo corso dei Democratici dimostri «realmente, e non solo nel­le mozioni congressuali, di non es­sere solo un 'partito di sinistra'». Prudente la reazione di molti po­litici dell’area rutelliana. «Molte ra­gioni che espone sono condivisi­bili», osserva Enzo Carra, non con­vinto «però», delle conclusioni al­le quali arriva. Carra, infatti, gli o­bietta che contro di lui l’ex leader della Margherita «volle imboccare frettolosamente la strada del Pd». «Nessuna ombra e nessun dubbio sulla sua intenzione», osserva Pao­la Binetti, costatando che la rottu­ra nasce dalla critica di una «invo­luzione del partito in senso social­democratico, da uno spostamen­to evidente a sinistra». Quindi una condivisione della sua analisi, ma per la deputata teodem attual­mente si deve porre sotto esame sia il modo in cui Bersani organiz­zerà il partito, sia il nuovo proget­to politico di Rutelli. Massima at­tenzione, soprattutto, a «quale spa­zio» i due riserveranno «ai valori cattolici» e come vorranno affron­tare i temi etici. Nelle prime mos­se dell’ex leader dl, registra la Bi­netti, «particolare attenzione alla società civile», al coinvolgimendo di mondi diversi che non si rico­noscono né nel centrodestra né nel Pd, ma «sui temi etici è stato quan­tomeno cauto».

Il destino di D’Alema nelle mani degli eurosocialisti. Il caso.
Rassegna stampa - Avvenire, Arturo Celletti, 1 novembre 2009.

«Non è un problema tra Berlusconi e D’Alema, perchè è una partita europea molto difficile... Ci sono molti candidati...». È proprio Massimo D’Alema a raccontare la verità sulla corsa che potrebbe trasformarlo in ministro degli esteri dell’Unione europea. «Leggendo i giornali italiani sembra che dobbiamo decidere qui in Italia. No, ci sono 27 Paesi membri... Adesso vedremo, saranno giornate complicate e meno ne parliamo meglio è perché è una corsa con molti candidati e anche autorevoli». È una partita complessa quella che si giocherà la prossima settimana in casa eurosocialista e dopo D’Alema è Pierluigi Bersani a mostrare assoluta prudenza.
«Intanto bisognerà vedere come si muoveranno le cose a livello europeo, perché la cosa non è certo conclusa», ammette il leader del Pd. Ma se invece avessero ragione quelli che si dicono certi che i socialisti europei punteranno su D’Alema come ministro degli Esteri Ue?
Bersani ora non tentenna: «Se fosse così sarebbe strabiliante se il governo italiano non si mettesse d’accordo, perchè naturalmente per l’Italia sarebbe una cosa di grandissimo prestigio». Non esiste questa possibilità: se i socialisti europei diranno sì a D’Alema il governo italiano sosterrà senza «nessuna esitazione» l’ex premier diessino. È stato Gianni Letta a sentire venerdì più volte D’Alema e ad anticipargli la linea di Palazzo Chigi. Ma questo non è «inciucio»: l’appoggio del governo, anche se di colore politico diverso, è un «fatto normale» in tutti i paesi dell’Unione. D’Alema ricorda che il «presidente della Commissione europea, che è un conservatore, è nominato da un governo socialista. E non appena si è profilata la possibilità che il ministro degli Esteri sia socialista, il presidente della Repubblica francese, che è un conservatore, si è dichiarato disponibile a nominare qualsiasi socialista francese...».
E chiude il ragionamento: «Non c’è alcun Paese in cui esisterebbe questo problema: solo da noi. Però io do atto al governo di essersi comportato esattamente come ci si comporta normalmente nei Paesi europei. E questo è un fatto molto positivo». L’obiettivo inconfessabile di D’Alema è uno solo: chiudere prima della fine della prossima settimana. Da lunedì la trattativa vera entra nel vivo. Saranno giorni di 'faccia a faccia', di vertici segreti, di mediazioni. E sarà il cancelliere austriaco socialdemocratico Werner Faymann (coadiuvato dal premier spagnolo Zapatero) a 'esplorare' i socialisti europei.
Insomma la corsa è ancora lunga e oggi c’è una sola certezza: la carica di presidente permanente della Ue andrà a un esponente dei popolari e quella di ministro degli Esteri a un socialista. D’Alema? Mario Mauro, il capo della delegazione del Pdl all’europarlamento, è prudente: «In questo momento» il candidato per il posto che spetta all’Italia all’interno della Commissione europea «si chiama Antonio Tajani».
Ironico, invece, il commento di Umberto Bossi: «Visto che il comunismo sta rinascendo un po’ nei Paesi dell’Est, abbiamo l’uomo giusto». Insomma, nei prossimi giorni verrà messo in gioco anche il futuro del vicepresidente della Commissione Tajani: il futuro ministro degli Esteri Ue sarà infatti anche vicepresidente della Commissione e occuperà l’unica casella a disposizione della stato membro di provenienza nell’ambito dell’esecutivo comunitario.
Resta un’ultima questione. Le consultazioni tra i gruppi politici e i governi dei 27 riguardano anche la scelta del futuro presidente Ue. E c’è chi già parla di corsa a due tra l’ex Cancelliere austriaco Wolfgang Schuessel e l’attuale premier olandese Jan Peter Balkenende.
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Non voltare la testa dall'altra parte

Editoriale.
Coloriamo i muri portanti della lotta contro la mafia.
Rassegna stampa - Avvenire, Luigi Ciotti, 1 novembre 2009.

Ho conosciuto Mimmo Lucano molti anni fa.
Faceva il maestro ed era di Riace, bellissimo paese di pietra chiara nel cuore della Locride, rimasto orfano di tanti cittadini andati altrove in cerca di fortuna. Qualche tempo prima, di fronte a un gruppo di profughi curdi approdati sulle coste del suo paese, Mimmo si era sentito chiamato in causa, corresponsabile. E di fronte alla loro sofferenza non aveva voltato la testa dall’altra parte. Con alcuni amici, il nucleo dell’associazione «Città futura Giuseppe Puglisi», se n’era occupato, li aveva accolti, aveva trovato loro una casa. E di case vuote, a Riace, ce n’erano tante: tutte quelle abbandonate dagli emigranti. È a quel punto che è scattata la molla, l’idea di trasformare l’emergenza in opportunità: perché non restaurare quelle vecchie abitazioni rimaste vuote, consegnarle ai nuovi migranti e così ripopolare il paese, restituendogli vita e identità? Con la fatica, con l’impegno quotidiano, l’intuizione è diventata una realtà concreta. Da quell’estate del 2000, quando ci siamo trovati in piazza a ragionare insieme a tanti giovani su come ognuno di noi può contribuire in prima persona al cambiamento, sono successe molte cose. Con le sue case risistemate, le sue botteghe artigiane animate da curdi, eritrei, somali, Riace è diventata un modello di accoglienza dei rifugiati e di sviluppo del territorio. Un modello che funziona e proprio per questo infastidisce. Nel tempo non sono infatti mancati gli avvertimenti, le intimidazioni anche pesanti contro un’esperienza forte, che nel suo crescere testimonia non solo che cambiare si può, ma che l’impegno di tutti sa produrre libertà e futuro. Come tanti altri nel nostro Paese, Mimmo non ha avuto paura di sporcarsi le mani, non si è fermato di fronte alle difficoltà. Sull’onda di quest’esperienza è diventato sindaco.
Due volte. Da sindaco ha intitolato strade a Giovanni Falcone, Paolo Borsellino, Giuseppe Impastato. Per non dimenticare. E non ha perso l’abitudine di provare ad abbattere i muri che separano le persone e le culture e impediscono a un territorio di crescere.
Ma a ben vedere non ci sono solo i muri che separano, ci sono anche i muri portanti, le facciate che reggono le case. Come la memoria, che è uno dei muri portanti dell’impegno contro l’illegalità, le violenze e gli abusi delle mafie.
Impegno per un mondo dove la dignità e la libertà di ogni persona sia tutelata, dove i diritti siano affermati, dove chi decide di lasciare il proprio paese possa farlo liberamente, senza esservi costretto dalla fame, dalle guerre, dalle persecuzioni razziali. Oggi di tutto questo Riace è testimonianza incarnata, così come lo sono i murales dedicati a Rocco Gatto, Giuseppe Valarioti, Totò Speranza, Gianluca Congiusta, Franco Fortugno, tutti morti ammazzati da cosche e ’ndrine. Quei murales dipinti sulle facciate del paese da un gruppo di artisti arrivati da ogni parte d’Italia fanno memoria per ognuno di noi e nel ricordo di chi non ha abbassato la testa ci aiutano a tenere alta la nostra. E ci trasmettono, insieme alla bellezza dell’arte, il desiderio di una vita bella, come quella di questi giovani artisti e di tanti ragazzi che, come Mimmo, non girano lo sguardo altrove. Una vita bella perché ricca di impegno e passione, viva perché vuole essere libera non a scapito ma per e insieme agli altri. È, questo, un desiderio di bellezza che sentiamo forte, che orienta le nostre scelte e ci dà sostegno nei momenti difficili. E questa è anche la bellezza di Riace, i cui patroni, Cosimo e Damiano, erano medici, uomini di cura. La cura delle persone, la cura riparatrice contro le parole di morte, i silenzi e le complicità, contro quelle profonde malattie dell’anima che si chiamano indifferenza, cinismo, rassegnazione. Cura contro quelle paure che insieme, nella memoria che si fa impegno, possiamo trasformare in speranza, in parola di vita.
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Non negare la possibilità del riscatto dal male

Testimonianza. «Perché portare in cattedra una ex-brigatista?».
Rassegna stampa - Avvenire, Lorenzo Conti, 1 novembre 2004.

Sono Lorenzo Conti, figlio di Lando, già Sindaco di Firenze, assassinato dalla Brigate Rosse-Partito comunista combattente il 10 febbraio 1986. Vi segnalo che ho presentato un esposto alla Procura della Corte dei Conti della Regione Calabria in relazione a quanto ho potuto constatare nei giorni scorsi ad Aiello Calabro, dove mi sono recato per partecipare al convegno: «Gli anni di piombo, dalla parte delle vittime». Si tratta di una manifestazione nata dai giovani della città in risposta alla presentazione del libro «Perché io, perché non tu» dell’ex terrorista Barbara Balzerani, voluta dal sindaco della città di Aiello, Franco Iacucci e giustificata con «motivazioni legate all’esigenza, a volte dimenticata, di ripensare il nostro passato recente, che spesso semina più dubbi che certezze». Io una certezza ce la ho: Barbara Balzerani, nel processo di Napoli, il 12 Febbraio 1986 rivendicò dal carcere l’assassinio di mio padre: erano passate solo 36 ore dal delitto. Non entro nel merito morale della vicenda… Mi voglio invece soffermare su un altro aspetto: in quell’occasione il sindaco Iacucci acquistò, con i soldi del Comune, un certo numero di copie del libro. Sempre il sindaco affermò: «Il libro di Barbara Balzerani è uno strumento didattico da consigliare». Allora mi nascono delle domande spontanee: 1. Si può impegnare il denaro pubblico proveniente dalle tasse regolarmente pagate dai cittadini onesti (compreso me e la mia famiglia) per acquistare libri «didattici» del tipo di «Perché io, perché non tu»? 2. Quante copie del libro sono state acquistate e a quale prezzo? 3. Chi ha deliberato lo stanziamento della cifra necessaria? 4. La scelta è stata condivisa con il Consiglio comunale? Nella mia famiglia ci è stato insegnato che il denaro pubblico deve essere amministrato con la massima attenzione: questo concetto è ormai passato; ha perso valore? Così, come tanti altri, mi domando se tanta «ondata riabilitatoria» di ex terroristi di destra e sinistra, anonimi e no, significhi che «hanno vinto loro» con l’abbandono del Paese a un regime di impostura e violenza che mio padre, milioni di persone per bene, giudici, poliziotti, carabinieri hanno combattuto. Oggi sembra essere nato un nuovo status giuridico: quello del terrorista, al quale, pentito o no, saranno comunque estesi in un futuro non lontano, come alle persone per bene, favori e persino diritti, protetti dalla legge. Mi si dice che il tutto rientra nell’alveo di quel doveroso sentimento di umana solidarietà, di volontà di riabilitazione, che connota un buon governo. Ed è qui che non capisco, domandandomi se sia giusto, che una persona insignita di incarico pubblico possa sentirsi onorata di contiguità e amicizia con chi fu disposto ad uccidere.
Ho tristi pensieri per la nostra amata Repubblica, non riuscendomi a spiegare il perché di tante premure verso criminali così efferati da parte di una fra le più belle regioni d’Italia e da un suo sindaco.
Che cosa stiamo insegnando, noi, oggi, ai nostri giovani?

Pubblichiamo volentieri, gentile signor Conti, questa sua lettera aperta. Che è un grido di dolore e una denuncia civile. Sono convinto che nessuno può rinunciare a fare fino in fondo, senza astuzie e reticenze, i conti col proprio passato (soprattutto quando è segnato dall’assassinio), tanto quanto credo che a ognuno dev’essere concessa la possibilità di liberarsi dalle catene del male che ha provocato. Barbara Balzerani, terrorista rossa autocritica ma non pentita né dissociata, ha cercato di percorrere una strada mediana e di spostare su un piano puramente politico e culturale il dibattito sulle efferate scelte eversive delle Br. A mio giudizio, si tratta di una via insufficiente e rischiosa. Che, in ogni caso, non dovrebbe mai portare in cattedra chi la tenta. E tantomeno metterlo sullo stesso piano delle vittime e – secondo il programma ipotizzato dal sindaco di Aiello Calabro – dei figli delle vittime. (mt)
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Se il canestro è il sistema

La sconvolgente fine di Stefano.
Non solo le botte è il silenzio che uccide. Noi non taceremo.

Rassegna stampa - Avvenire, Giuseppe Anzani, 1 novembre 2009.

La parola 'omicidio' che un pubblico ministe­ro ha scritto sulla copertina del suo fascicolo di indagini sulla morte di Stefano Cucchi, mentre rinfocola l’orrore e il dolore per l’ipotesi atroce, sembra per paradosso sollevarci per un attimo dall’incubo. E’ un incubo infatti, un incubo di ci­viltà, la tragedia incredibile di un ragazzo preso vi­vo nella maglia della legge e uscito morto sei gior­ni dopo. Se qualcuno lo ha ammazzato, vorreb­be dire almeno che il male, il guasto, ha fisiono­mia circoscritta, è la 'mela marcia'. E inoltre, 'pre­terintenzionale' vuol dite che la mela marcia non voleva neanche uccidere, solo picchiare. Se è tut­ta colpa della mela marcia, il canestro è salvo.
Il canestro sono le istituzioni, il canestro è il si­stema. Il sistema della sicurezza e della repres­sione, il sistema del giudizio e delle carceri, il si­stema sanitario-terapeutico e in ultima sintesi il sistema 'umano' di una civiltà che tien sacra op­pure spregia la dignità della vita. Se la morte di Ste­fano non è colpa di nien­te e di nessuno, se è una morte che è capitata così, fatalmente, e potrebbe ca­pitare a chiunque (una faccia spaccata, una schie­na spezzata), allora forse il guasto ha contagiato i ca­nestri. Allora c’è bisogno di una più profonda revi­sione collettiva dei nostri standard mentali sul ri­spetto dell’uomo e della vita. Perché quando un uomo è arrestato, cioè quando il corpo dell’uo­mo è 'preso' dal potere dello Stato, per una ragione legittima, quel corpo va tenuto al sicuro da ogni aggressione, da ogni minaccia, da ogni pericolo, e lo Stato deve ri­spondere, in presa diretta, di ogni lesione.
Il rispetto dei diritti umani esigerà adesso alme­no la messa in sicurezza delle scale da cui perio­dicamente cadono gli arrestati con gli occhi pe­sti? Andiamo, c’è un pudore-limite anche per le ipocrisie. Gli occhi pesti non devono esistere, e se esistono lo Stato ha già fallito comunque, perché ha messo mani su un uomo che dalla sue mani è uscito straziato, e ne ha dunque colpa immanen­te e oggettiva. La messa in sicurezza riguarda in­vece la civiltà. Riguarda la coscienza di tutti quel­li che sanno, che vengono a sapere perché assi­stono, che assistono e non si ribellano.
E poi, tragedia nella tragedia, la sanità. La sanità che può monitorare il tutto, in caserma, in tribu­nale, in carcere, in pronto soccorso, in ospedale. E lo fa stavolta, e però totalizza per frutto solo la descrizione finale della morte. C’è nell’epilogo, per giunta, l’annotazione inquietante del rifiuto di cibo e acqua di quel ragazzo disperato e mo­rente. Forse diranno di aver rispettato il diritto al rifiuto, forse nessuno penserà ai risvolti dispera­ti di una solitudine che ha invocato soccorso e ha ricevuto catene. Forse diranno che lui s’è fatto morire. Ma è la genesi del pensiero di morte che ci toglie il respiro. Nei giorni che Stefano moriva, i medici avrebbero potuto e dovuto informare la famiglia e frattanto salvare la vita. Ma i genitori e­rano respinti alle porte, senza avere notizie, e se questo è vero è un altro crimine disumano.
Forse Stefano non è morto solo per le botte. Ma sicuramente Stefano è morto per 'tutto' quello che è successo, le botte, la caserma, il carcere, gli ospedali. Morto per l’assenza di una relazione 'u­mana' sufficiente alla vita, quando le esigenze della legge più repressiva, anche nei casi più gra­vi ed estremi, dicono pur sempre umanità. Se la morte di Stefano è una disperazione trabocca­ta, essa grida una invocazione rifiutata, è la de­solazione interiore arresa al silenzio crudele di chi esclude. È il silenzio che uccide, noi non ta­ceremo.

Sulla vicenda abbiamo già detto e si possono trovare numerosi articoli nelle rassegne stampa di questi giorni. Il Blog di Beppe Grillo ha pubblicato il 29 ottobre le interviste a Ilaria e Giovanni Cucchi, rispettivamente sorella e padre di Stefano.

L'arresto e il processo per direttissima
llaria Cucchi: "Stefano Cucchi era un ragazzo di 31 anni, un normalissimo ragazzo di 31 che la notte tra il 15 e il 16 ottobre è stato arrestato dai Carabinieri, perché trovato in possesso di una modica quantità di sostanze stupefacenti. L’abbiamo visto uscire di casa accompagnato di Carabinieri, che precedentemente tra l’altro avevano perquisito la sua stanza non trovandovi nulla e accompagnato dai Carabinieri in ottime condizioni di salute, senza alcun segno sul viso e non lamentando alcun tipo di dolore. L’abbiamo rivisto morto il 22 ottobre all’obitorio: nel momento in cui l’abbiamo rivisto, mio fratello aveva il viso completamente tumefatto e pieno di segni, il corpo non l’abbiamo potuto vedere."
Blog: "possiamo ripercorrere le tappe di quei giorni? La notte tra il 15 e il 16 ottobre viene fermato dai Carabinieri e viene portato in caserma: da lì i Carabinieri lo portano qui in casa a controllare se.. "
llaria Cucchi: "a perquisire la sua stanza, esatto, dove ovviamente non viene trovato nulla."
Blog: "sostanzialmente trascorre la notte in caserma e poi viene.. "
llaria Cucchi: esattamente. La mattina successiva, verso le dodici avviene il processo per direttissima, dove il giudice ritiene che questo ragazzo debba passare il tempo fino al 13 novembre, data in cui è fissata l’udienza successiva, in carcere e viene assegnato a Regina Coeli.
llaria Cucchi: da quel momento non lo vediamo più. Ripeto: la mattina del processo per direttissima mio fratello aveva già il segno gonfio di botte, da qui è uscito in ottime condizioni.
Blog: "i Carabinieri che cosa vi hanno detto, quando era qui in casa?"
llaria Cucchi: "ci hanno detto di stare tranquilli, perché per così poco sicuramente il giorno dopo sarebbe stato a casa agli arresti domiciliari."
Blog: "poi, quando vi avvisano, arriva una telefonata che dice 'Stefano sta male'?"
llaria Cucchi: "il sabato sera. La notizia successiva l’abbiamo il sabato sera, intorno alle nove vengono i Carabinieri a informarci che Stefano è stato ricoverato d’urgenza presso la struttura del Sandro Pertini: ovviamente i miei genitori si recano immediatamente sul posto e lì viene negato loro alcun tipo di notizia. Nel momento in cui, ingenuamente, mia madre domanda di poter vedere il ragazzo e di sapere quello che aveva, le viene risposto: “assolutamente no, questo è un carcere, tornate lunedì in orario di visita e parlerete con i medici”. I miei genitori tornano il lunedì mattina, all’orario che era stato loro detto, vengono fatti entrare e vengono loro presi gli estremi dei documenti e vengono lasciati in attesa. Dopo un po’ di tempo esce una responsabile, la quale li informa di non poterli fare parlare con i medici, in quanto non è arrivata una certa autorizzazione da parte del carcere. “Comunque tornate, perché deve arrivare quest’autorizzazione e non vi preoccupate, perché il ragazzo è tranquillo”, è stato risposto loro, quando mia madre chiedeva: “ditemi almeno per quale motivo mio figlio è stato ricoverato”. “Il ragazzo è tranquillo”.
Stefano è morto
Il giorno dopo, ovviamente, i miei tornano ...esattamente, il martedì mattina tornano presso la stessa struttura, al reparto carcerario del Sandro Pertini e questa volta non vengono proprio fatti entrare, viene risposto loro al citofono che non possono entrare, perché non c’è l’autorizzazione. Finalmente viene detto loro però che sono loro a dover chiedere un’autorizzazione a Piazzale Gloria, se vogliono vedere il ragazzo: mio padre chiede quest’autorizzazione e la ottiene per il 25.. mi scusi, per il 22, giovedì. Il 22 all’alba mio fratello è morto e mio padre non ha fatto in tempo a vederlo. Sappiamo della notizia della morte di mio fratello dai Carabinieri, che vengono a casa intorno alle 12: 30, le premetto che sembrerebbe che mio fratello sia morto all’alba, vengono intorno alle 12: 30 per notificare a mia madre il decreto con il quale il Pubblico Ministero autorizzava l’esecuzione dell’autopsia in seguito al decesso di Cucchi Stefano. Questo è stato il modo in cui mia madre ha saputo della morte del figlio."
Blog: "da lì in poi come avete fatto per vedere il corpo? All’obitorio vi è stata concessa questa possibilità?"
llaria Cucchi: "inizialmente no, c’è stata negata: dopo alcune insistenze è stata fatta una telefonata al Pubblico Ministero, il quale ha autorizzato che potessimo vederlo, ovviamente dietro a un vetro. Quello che abbiamo visto è stato uno spettacolo - mi creda - allucinante: mio fratello aveva il viso completamente devastato, era irriconoscibile, aveva un occhio gonfio e un altro sembrava incavato, la mascella sembrava rotta, aveva il viso come bruciato. Il corpo era coperto da un lenzuolo, non so quello che ci fosse sotto."
Blog: "è vero che il magistrato vi ha vietato di fare fotografie al vostro.. "
llaria Cucchi: "ovviamente il nostro consulente ha chiesto di poter fare la documentazione fotografica e le riprese, ma è stato negato. Adesso ci aspettiamo innanzitutto una serie di risposte e che lo Stato ci dica come è potuto accadere che non ci sia stato possibile stare vicini a Stefano nel momento in cui stava morendo. Ci devono spiegare anche perché abbiamo consegnato mio fratello allo Stato, alle istituzioni in una certa condizione di salute ottima e perché ce l’hanno restituito morto. Stefano era un normalissimo ragazzo di 31 anni, lavorava, lavoravamo insieme, lui era un geometra, anche mio padre è geometra e lavoriamo insieme nella stessa struttura. Mio fratello aveva un trascorso in una comunità di recupero per tossicodipendenti, dalla quale era uscito completamente riabilitato, tant’è che lavorava e stava bene, mio fratello stava bene, aveva tanta voglia di vivere e lo posso documentare con le sue lettere, con i suoi messaggi, mio fratello aveva voglia di vivere. In questo momento non sono in grado di accusare nessuno, e il problema è proprio questo, perché non so come sono andate le cose."
Blog: "ci sono state delle interrogazioni parlamentari rivolte al Ministro della Giustizia? Cosa è successo?"
llaria Cucchi: "mi giunge voce che la risposta all’interrogazione del Ministro Alfano è stata che Stefano è caduto: ora mi spieghino dove, come e perché è caduto e, soprattutto, come ha fatto a morire. Che mi spieghino, per una caduta, come poteva riportare tutti quei segni di traumi sul viso e sul corpo e che mi spieghino perché è stato lasciato morire."
Blog: "per voi questa non è la verità?"
llaria Cucchi: "questa non è assolutamente la verità: forse è parte della verità, ma sicuramente la vicenda non si chiude qui e sicuramente non si spiega la morte di mio fratello."
Giovanni Cucchi: "quando è il momento in cui ho visto mio figlio all’obitorio mi è caduto il mondo, vedendolo così, in quelle condizioni veramente inimmaginabili. Ho provato un dolore enorme e un senso di frustrazione di fronte a quello che lo Stato ci può dare e, in effetti, mio figlio è entrato sano e è uscito morto in quelle condizioni. Voglio dire, non è ammissibile che, per qualsiasi cosa uno possa aver fatto, sia ridotto sia dal punto di vista fisico che anche dal punto di vista morale in quel modo, perché mio figlio è morto solo. E’ una rabbia enorme per come può finire un figlio così, massacrato in quel modo.."
Un ragazzo normale
Blog: "in che condizioni era il giorno dell’udienza per direttissima?"
Giovanni Cucchi: "il giorno dell’udienza lui.. guardi, Stefano era una persona magra, lei ha visto la foto e perciò si è reso conto.. non tutti forse.. non può apparire.. lui praticamente ha il viso gonfio, il doppio del viso di quello che si vede rispetto all’ultima foto che aveva e poi aveva, sotto gli occhi, dei segni neri, quindi segni evidenti di pugni negli occhi, di botte negli occhi. Si è presentato così alla causa. Però dal punto di vista fisico stava benissimo, si muoveva, il fatto delle vertebre rotte assolutamente non sussisteva, per quanto ho potuto vedere lo escludo al 100%. Stefano si muoveva, camminava, parlava, assolutamente si muoveva come una persona normale e, se ci fosse stato quel problema delle vertebre, per prima cosa avrebbe provato dolore e quindi l’avrei saputo, me l’avrebbe detto, ma a parte quello il suo comportamento era un comportamento normalissimo e conseguentemente lo escludo nella maniera più categorica."
Blog: "è stato l’ultimo giorno che avete potuto vederlo?"
Giovanni Cucchi: "sì, sì, è l’ultimo giorno in cui abbiamo potuto vedere Stefano, esatto. E le assicuro che, nel momento in cui l’ho rivisto, non credevo ai miei occhi: non era possibile che Stefano mi fosse stato presentato in quelle condizioni, non era possibile! Guardi, è una cosa inimmaginabile, per un padre vedere il figlio così, dopo sei giorni che chiede notizie, avere una notizia in quel modo, detta in quel modo, chiedere addirittura - è quasi una beffa! - alla dottoressa che ci è venuta a comunicare all’esterno del carcere la morte di Stefano, dice “ ma potevate chiederlo ai medici?”, ma come?! Sono cinque giorni che veniamo qui a chiedervi e non ci avete fatto entrare! Il secondo, il sabato.. il lunedì siamo andati in carcere e ci hanno fatto entrare, ci hanno preso i documenti, dopo è uscita una sovrintendente e ha detto “ no, mi dispiace, non vi possiamo fare parlare con i medici”. “ Ma guardi che vogliamo solo parlare con i medici, non è che vogliamo parlare con Stefano, vogliamo sapere il suo stato di salute”, “ no, non è possibile, perché deve arrivare il permesso”. Il permesso da dove non si sa, però dice “ guardi, tornate domani, perché domani probabilmente questo permesso sarà arrivato e quindi potrete parlare con i medici”. L’indomani siamo tornati, il piantone non ci ha neanche fatto entrare: ci ha detto soltanto “ io non so niente di questo, per parlare con i medici dovete avere il permesso del colloquio rilasciato dal giudice”. Sono andato il giorno dopo a chiedere il permesso, l’ho ottenuto e poi, il giorno dopo, sarei andato a Regina Coeli a farmelo confermare, perché lì c’è una questione di orari, non si riesce a fare tutto in una giornata. Però mentre tornavo per.. mentre andavo per chiedere questo permesso mia moglie mi ha comunicato che Stefano era morto. Siamo andati a informarci sul perché Stefano è morto e non ci hanno dato nessuna scheda ufficiale, ci hanno solo comunicato verbalmente queste testuali parole: “ si è spento, aveva un lenzuolo sempre sulla faccia, non voleva mangiare, non si voleva nutrire e non voleva le flebo , praticamente si è spento”. Siamo rimasti esterrefatti, allibiti, anche loro vedevo che tutto sommato erano imbarazzati nel rispondere: ci hanno comunicato questo, nessun documento ufficiale, soltanto questa affermazione, 'si è spento'."
Blog: "che ragazzo era Stefano?"
Giovanni Cucchi: "era un ragazzo normale, pieno di vita, allegro, determinato, volenteroso, lavorava, faceva il geometra, aveva tanti progetti, tante ambizioni e ogni tanto me le confidava. Insomma, era un ragazzo che stava in progressione, stava nel pieno assolutamente, era un ragazzo.. ma poi, tra l’altro, aveva un carattere veramente da amico, da amicone, era amico con tutti, voglio dire, non poteva fare la fine ...assolutamente, non poteva fare una fine così, guardi, non mi rassegno a che Stefano abbia fatto una fine del genere, non se lo meritava nella maniera più assoluta, non se lo meritava!"
Blog: "e adesso che cosa vi aspettate?"
Giovanni Cucchi: "ci aspettiamo che si faccia chiarezza, che ci dicano quello che non hanno potuto dirci prima, che ci spieghino con esattezza quello che è avvenuto e i motivi delle percosse, i motivi della morte con precisione: finora c’è stato il nulla, adesso vogliamo sapere tutto!"
Blog: "cosa è disposto a fare per ottenere questo?"
Giovanni Cucchi: "tutto, fino all’ultima goccia di sangue, fino all’ultima goccia di vita io e mia moglie ci batteremo perché si faccia chiarezza su mio figlio!"
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In questi giorni di novembre

In tre foto le ricorrenze di questi giorni.
Fotopost - Fotografie di Angelo Bergomi.

1 novembre - Festa di Tutti i Santi.



2 novembre - Commemorazione dei Defunti.



4 novembre - Commemorazione dei nostri caduti nella Grande Guerra e di tutti i caduti in guerra.


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