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domenica 25 ottobre 2009

Bersani nuovo segretario Pd

Franceschini: «Pier Luigi è il nuovo segretario, tanta partecipazione dà forza al Pd».
l'Unità.it, 25 ottobre 2009.

Il primo a declinare la vittoria di Bersani è proprio lo sconfitto. Prima lo chiama al telefono: «Pier Luigi hai vinto». Poi davanti alle telecamere, convocate ad urne ancora aperte, alle undici di sera. «Pier Luigi Bersani è il nuovo segretario del Pd», dice Dario Franceschini, quando i dati già volano oltre il 50 per cento, ma sono ancora provvisori.
Non è giusto «per il partito, per voi aspettare di vedere se ci sono due punti percentuali in più o in meno: il dato politico è che la scelta dei nostri elettori è quella di eleggere Pier Luigi Bersani nostro segretario», scandisce parola per parola. Con il volto un po' tirato e alle spalle otto mesi tutti in salita. Ma con parole che rendono omaggio alla giornata appena trascorsa.
«Siamo alla fine di una giornata fantastica - dice - una prova di partecipazione che è andata oltre tutte le aspettative». «Una prova di vivacità e coinvolgimento e voglio ringraziare tutte le persone che in queste settimane si sono impegnate per questo, in primis i nostri iscritti: tutti hanno capito che la giornata di oggi era importante non solo per il Pd ma per la democrazia del Paese perché avere il più grande partito di opposizione con la forza del consenso popolare serve a tutti. Questa è una giornata che ci dà la forza di continuare con il Pd».
C'è stato un «riconoscimento della sovranità del popolo delle primarie e da oggi nessuno potrà più mettere in discussione l'irreversibile decisione che il segretario va eletto con le primarie».
Poi spiega che «era indispensabile il riconoscimento che chi ha un solo voto in più diventasse segretario subito e nessuno ha mai pensato di cambiare le regole». A questo punto - spiega - l'assemblea «per me è come una ratifica». La vittoria c'è già.
«Rivendico - ha sottolineato ancora l'ex segretario - la scelta di aver confermato le primarie il 25 ottobre: avevo avuto diverse obiezioni tra cui anche che se non venivano fatte potevo restare in carica un anno di più, invece il partito aveva bisogno di tutto questo e sono orgoglioso di restituire un partito che è in grado di avviare un percorso con forza e unità».
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Sopra una montagna di immondizia

Lo SpazzaTour della Campania. Ecco dove finiscono i rifiuti.
Rassegna stampa - l'Unità, Eduardo Di Blasi, 25 ottobre 2009.

Gabbiani, ruspe e camion sopra una montagna di immondizia. Provincia di Caserta, località San Tammaro, sito di «Maruzzella 3». Un mezzo compattatore del comune di Bacoli (Na) esce dal «sito di interesse strategico nazionale» di fronte a noi. Siamo su una strada provinciale, affacciati su questa discarica a cielo aperto abitata da uomini e gabbiani. Piove. Saremo a mezzo chilometro in linea d’aria. Sono le tre del pomeriggio. Passa una camionetta con a bordo alcuni militari. Fa un’inversione a «U».
Scende un soldato. Vuole sapere che ci facciamo qui con notes, macchine fotografiche e telecamere. Chiede lumi al proprio comando per sapere se si possa riprendere la montagna di immondizia. «No, non sono all’interno del perimetro... », chiarisce al suo interlocutore. La terminologia militare ha un che di grottesco: stiamo parlando pur sempre della montagna puzzolente sorvolata da gabbiani che abbiamo di fronte. «È tutto ok», sentenzia. Possiamo continuare. Nessuno sequestrerà girato o taccuini alla stampa estera, arrivata, a distanza di due anni dal primo «SpazzaTour», a vedere cosa accade in concreto nella «soluzione» del problema rifiuti in Campania.
Dietro il bluff dell’inaugurazione dell’inceneritore di Acerra che oggi brucia una quantità minima di rifiuti senza fornire un solo megawatt di corrente alla rete elettrica (alla quale non è collegato) e con una raccolta differenziata ancora da inventare in molte province, sono i luoghi come «Maruzzella» ad accogliere la spazzatura campana. Discariche militarizzate che da Savignano (Av), a Chiaiano (Na), da Serre (Sa) a Terzigno (Na), in pieno Parco Nazionale del Vesuvio e in zona evidentemente vulcanica, sono e verranno riempite di spazzatura nelle settimane a venire, in barba a qualsiasi norma ambientale praticata in Europa (Italia compresa).
Eccola la soluzione, «il retro della cartolina» per dirla con Nicola Capone, giovane professore di Storia e membro del Co.re.ri, il Coordinamento regionale dei rifiuti della Campania nato dalla buona pratica dei movimenti ambientalisti e dell’Assise di Palazzo Marigliano. Accompagnati dai ragazzi e dai professori che si sono tassati per pagare il bus che da Roma ci ha condotti qui, i colleghi esteri, capitanati dal segretario Yossi Bar, hanno visto uno scenario inedito. Quello di uno Stato che militarizza le discariche e non controlla i luoghi dove la malavita sversa quotidianamente tonnellate di rifiuti pericolosi. Dopo la visita obbligatoria al «sito di stoccaggio provvisorio» di Taverna del Re, nel giuglianese, dove le «ecoballe» non a norma stazionano «provvisoriamente» dal 2006, nella quantità di sei milioni di tonnellate, eccola la vera emergenza campana.
Sono i rifiuti speciali, quelli che si trovano nelle strade di campagna. Nell’entroterra di Lusciano, i piedi nel fango, i colleghi della stampa estera si avviano in una zona di vecchia cava che costeggia la bretella che porta a Pomigliano d’Arco. In mezzo alle coltivazioni, polveri di amianto, sabbie combuste, i soliti panni che servono a contenere le detonazioni dei liquidi industriali in quella che è ancora la «terra dei fuochi».
Eppure è davanti ai Regi Lagni, i canali costruiti dai Borbone che corrono per le campagne casertane irrigando campi di pere e di pesche, che gli ultimi nodi dello smaltimento campano vengono al pettine. È qui, che, ammassati sugli argini del canale che sfocia nel mare di Castel Volturno, si contano i residui delle lavorazioni provenienti dalla raccolta differenziata.
Massimo De Gregorio, vicepresidente del Comitato emergenza rifiuti di Caserta, spiega alla collega ceca: «Questi sono gli scarti della lavorazioni delle plastiche e dei cartoni. Sono materiali pericolosi. Contengono metalli pesanti». E che ci fanno qui? Aspettano che il livello dell’acqua si alzi. Poi saranno trasportati ad inquinare campagne e coste. A quel punto l’argine si sarà liberato e si potranno portare nuove scorie. Accade così da cinque anni. Anche oggi. Che l’emergenza è «risolta».
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Fondamentale il ruolo di tutti

Don Ciotti: "Politica dei fatti per combattere la mafia".
Rassegna stampa - l'Unità, Claudia Fusani, 25 ottobre 2009.

Fa le scale di corsa, risponde agli sms che lo ringraziano «per la meravigliosa esperienza» («è una poliziotta» spiega), corre da una riunione all’altra, ieri ce ne sono state 17 in sedi diverse sui temi dell’antimafia che hanno coinvolto 2.500 persone. Vero uomo del fare, don Luigi Ciotti trova anche il tempo di passare dalla redazione dell’Unità, prima di preparare il Manifesto di Contromafie 2009, che verrà letto stamani giornata di chiusura degli Stati generali dell’Antimafia.
Don Luigi, è come se l’antimafia in questo paese dove la mafia è il primo dei problemi, dalla legalità all’economia, non fosse una priorità della politica ma una delega in bianco ad associazioni come Libera.
«Guai se fosse così. In questa lotta, che è prima di tutto culturale, è fondamentale il ruolo di tutti. Ci tengo a dire che in questi anni, pur tra mille difficoltà e molti silenzi, non è mai venuto meno l’impegno delle forze di polizia e della magistratura. Però, non basta: per combattere le mafie serve una politica più consapevole e uno Stato sociale più forte».
Quella che lei chiama «la buona politica»?
«Una politica che sappia incontrare la partecipazione dei cittadini e, soprattutto, farsene arricchire. Nella cittadinanza ci deve essere sempre più politica e nella politica sempre più cittadinanza. Essere contro le mafie significa riaffermare che l’io è per la vita e non la vita per l’io».
Quella di oggi sembra invece una società molto concentrata sull’Io. Qual è lo stato di salute della politica oggi in Italia?
«Preferisco parlare di cosa fa Libera, del recupero dei beni mafiosi, delle cooperative che danno un progetto di vita in tante zone del paese, dell’impegno a coltivare memoria, cultura, informazione. La credibilità e l’autorevolezza di un progetto non sono misurate dall’attenzione mediatica ma dalla capacità di lasciare un segno. Ognuno di noi è quello che fa».
Corruzione sulla bonifica dei terreni; assunzioni in cambio di soldi e voti; politici collusi che si candidano ai vertici delle istituzioni: le ultime inchieste giudiziarie raccontano di una diffusa cultura mafiosa. La mafia è anche un atteggiamento culturale?
Il primo nemico è l’atteggiamento culturale. E la prima mafia è quella delle parole, quella per cui tutti si riempiono la bocca di concetti come legalità, diritti e poi però si fa poco o nulla. Essere contro le mafie significa soprattutto riaffermare la corresponsabilità, la centralità delle persone e del legame sociale e agire in questa direzione. Rita Atria, la giovane testimone di giustizia suicida a 17 anni, nell’ultima pagina del suo diario, scrive: «La prima mafia da combattere è quella dentro ciascuno di noi. La mafia siamo noi». Ancora oggi la sua tomba, a Partanna, non riesce ad avere una lapide».
La maggioranza sembra avere un’unica ossessione: la giustizia. Che ne pensa delle riforme?
"Non c’è magistratura senza indipendenza e dico guai a toccare la norma sulle intercettazioni. Se bisogna fare delle riforme, ecco che cosa chiede Libera: applicare la norma della Finanziaria 2006, quella che stabiliva l’uso sociale dei beni confiscati ai corrotti; la nascita di un’Agenzia nazionale, non nominata dalla politica, per la gestione dei beni confiscati; un testo unico per le leggi antimafia perché dall’organicità delle norme dipende l’efficacia; l’introduzione dei delitti contro l’ambiente nel codice penale, un nuovo modello per il sistema di protezione dei testimoni».
Improvviso ritorno delle inchieste sulle stragi del ’92-’93. Perché?
«Non so dire perché, Vedo che periodicamente alcune cose tornano in cima alla lista, urgenti. Facciano presto, abbiamo bisogna di verità. Di tante verità, un elenco lunghissimo».
Il boss Spatuzza, le cui rivelazioni un anno fa hanno dato impulso ai nuovi filoni di indagine, si è pentito dopo una crisi spirituale.
«Non è il solo. La parola del Vangelo è incompatibile con quella della mafia. Lo dico per chiarezza. Sa, anche Provenzano aveva il covo pieno di santini. Non esiste una mafia devota. E non si può appartenere alle mafie, o esserne conniventi, e ritenersi parte della comunità cristiana».
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Dal covo all'alcova

I luoghi della politica cambiano.
Rassegna stampa - Liberazione, Giorgio Ferri, 25 ottobre 2009.

I luoghi della politica cambiano. Dal covo si è passati all'alcova: non c'è migliore immagine che possa riassumere l'essenza della politica attuale. Dopo il lettone di palazzo Grazioli, dove il premier Silvio Berlusconi ospitava cover e lolite, e venuta la volta della garconnière situata nello stesso stabile a nord di Roma dove nel 1978 venne ritrovata, durante i giorni del sequestro Moro, una importante base delle Brigate rosse. La maledizione di via Gradoli colpisce ancora, anche se il colore dei fatti è drasticamente scivolato dai toni della tragedia a quelli della farsa. A sole 24 ore dalla diffusione della notizia del tentativo di estorsione nei confronti del governatore della regione Lazio, Piero Marrazzo si è autosospeso dall'incarico dopo una giornata convulsa segnata dalle pressioni dei partiti che appoggiano la sua giunta. «Si tratta di una vicenda personale in cui sono entrate in gioco debolezze inerenti alla mia sfera privata, e in cui ho sempre agito da solo», ha dichiarato in una nota diffusa nel pomeriggio. All'origine di tutto l'irruzione, a quanto pare per nulla casuale, di quattro carabinieri della compagnia Trionfale in una dependance dove una transessuale riceveva i suoi clienti. I quattro, definiti «mele marce» dallo stesso comandante provinciale Tommasone, sembra che fossero intervenuti dopo la «soffiata» di un pusher che riforniva i trans di cocaina (un certo Rino, citato anche nell'ordinanza di custodia cautelare emessa contro i quattro carabinieri). Un sistema rodato da tempo e che quel giorno mirava proprio a incastrare il governatore Marrazzo, sorpreso seminudo in compagnia della trans conosciuta col nome di Natalie. Le circostanze dell'episodio sarebbero state filmate con un videotelefonino utilizzato poi come arma di ricatto. Dopo avergli estorto alcuni assegni (mai incassati) per l'ammontare complessivo di 20 mila euro, i militi avrebbero in seguito tentato di vendere le immagini compromettenti a una agenzia. Alla fine Marrazzo ha dovuto arrendersi all'evidenza nonostante avesse negato per un giorno intero di essere coinvolto nella vicenda, riconoscendo «che la situazione ha assunto un rilievo pubblico di tali dimensioni da rendere oggettivamente incompatibile e soggettivamente inopportuna la permanenza alla guida della Regione». La scelta dell'autosospensione, con delega dei poteri al vicepresidente Esterino Montino, motivata con non meglio precisate ragioni mediche, è stata la soluzione individuata per evitare il commissariamento e lo spettro delle elezioni anticipate a gennaio, con una campagna elettorale devastante che avrebbe rischiato di consegnare la presidenza della regione a una facile vittoria della destra. In questo modo si arriverà alla scadenza naturale di marzo. Una piccola boccata d'ossigeno per un Pd tramortito, travolto dall'effetto boomerang di una campagna, unicamente improntata su temi moralisti, promossa dal gruppo editoriale Repubblica-L'Espresso contro Berlusconi. In serata, al termine degli interrogatori, il Gip ha confermato gli arresti per Luciano Simeone, Carlo Tagliente, Nicola Testini, considerato il leader del gruppo, e Antonio Tamburrino, i 4 carabinieri accusati di estorsione e altri reati.
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La povertà è in aumento in Italia

Rapporto Caritas.
Povertà in crescita. Le richieste di aiuto aumentano del 20%.

Rassegna stampa - il manifesto, 23 ottobre 2009.

La povertà è in aumento in Italia. A certificarlo è l'ultimo rapporto Caritas, che registra una crescita di richieste di aiuto del 20% nel 2008 (rispetto al 2007) e per quest'anno prevede un bilancio ancora più nero. Le categorie a rischio - secondo l'ente gestito dai cattolici - potrebbero concentrarsi tra i lavoratori più deboli, ovvero i contrattisti a termine, gli impiegati che perdono il posto improvvisamente a causa della crisi, i cassintegrati.
I dati vengono dal nono rapporto sulla povertà in Italia, messo a punto da Caritas e Fondazione Zancan, presentato a Roma. In un anno sono aumentate dunque del 20% le persone che a causa di difficoltà economiche chiedono aiuto ai centri di ascolto dell'istituzione caritatevole: sono 372 i centri interessati alla rilevazione, su un totale di 6 mila; fanno capo a 137 diocesi su 220. L'incidenza delle richieste è maggiore nel Sud (17,7%): oltre il 20% in Sicilia, Basilicata e Sardegna. Il nord registra il 2,9% mentre al centro la situazione è articolata (17,5% nel Lazio, 2,4% nelle Marche).
Nel 2007, cioè prima della crisi, si erano rivolte ai centri Caritas 80.041 persone (70,3% dei quali stranieri) e oltre 5 mila famiglie. L'anno scorso il «boom» che si è detto (un quinto in più), ma per il 2009 «è probabile che gli "impoveriti" siano aumentati». Fra questi potrebbero esserci «titolari di contratti a termine, impiegati che perdono il posto di lavoro, cassintegrati che vedono avvicinarsi il termine del sussidio».
Chi chiede aiuto generalmente non appartiene alla categoria comunemente indicata come povertà estrema. Perlopiù sono persone che vivono in una normale abitazione; il 76,4% con i propri familiari. Tra gli aiuti più richiesti, un sostegno economico (56,8% degli italiani e 48,1% degli stranieri) e un lavoro (44% e 54,9%).
L'ente cattolico ha commentato la decisione del sindaco di Roma Gianni Alemanno di installare dei braccioli al centro delle panchine per evitare che i senzatetto possano sdraiarsi durante la notte: «Un approccio preoccupante - ha detto il direttore della Caritas Italiana, Vittorio Nozza - Per queste persone già in condizioni psicofisiche fragili si potrebbero invece moltiplicare azioni a loro pro, garantendo servizi sul territorio per farli vivere in modo dignitoso».
Ai dati Caritas ieri si sono aggiunti quelli dello Svimez: secondo l'istituto, occorrerebbero due miliardi di euro all'anno per combattere la povertà assoluta. Le risorse sarebbero destinate a circa un milione di famiglie che vivono al di sotto della soglia di povertà assoluta (398 mila al nord, 133 mila al centro e 443 mila al sud). Con questi soldi si introdurrebbe un sussidio familiare al reddito per colmare il gap tra l'importo percepito e la soglia minima di povertà. I 2 miliardi sarebbero divisi in 930 milioni di euro per le famiglie meridionali (48% del totale), 795 milioni al nord (41%) e 213 milioni al centro (11%). Il welfare locale, spiega lo Svimez, garantisce una spesa pro capite di 130 euro al centro-nord e di appena 54 euro nel Mezzogiorno. La spesa per disabili è di 3500 euro per assistito al centro-nord contro soli 800 nel sud; i bambini accolti negli asili nido sono il 15% al nord e solo l'1,8% nel Mezzogiorno. Riguardo ai lavoratori, gli occupati senza tutele sono in Italia circa 2 milioni, di cui 650 mila al sud.
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Un marziano tra noi

Strategia della finzione - Il governo alza i toni. Ma sono 180 i gruppi contro Franceschini e migliaia quelli contro personaggi veri o virtuali. Maroni su Marte: «Facebook chiuda le pagine che minacciano Berlusconi».
Rassegna stampa - il manifesto, Matteo Bartocci, 23 ottobre 2009.

Il ministro dell'Interno sembra vivere su Marte. «Abbiamo dato disposizioni perché il sito contenente minacce al premier apparso su Facebook venga subito chiuso e denunciati alla magistratura tutti quelli che sono intervenuti». Roberto Maroni è sicuro: «Non credo che esista un paese al mondo dove qualcuno può scrivere su un sito 'uccidiamo il premier'. È apologia di reato, anzi peggio. È un problema di cultura: se passa il concetto che uno può scrivere impunemente queste cose, c'è il rischio che poi a qualcuno venga in mente di metterle in atto».
Eh già. Eppure il Viminale proprio non aveva detto nulla quando sempre sul social network di Palo Alto era comparsa la pagina «Immigrati clandestini, torturarli è legittima difesa». Una pagina che ai militanti del Carroccio piaceva molto, visto che era «linkata» da almeno un centinaio di circoli della Lega sparsi in tutta Italia. Compresi due «big» come Umberto Bossi e il capogruppo alla camera Roberto Cota. Il quale, giustamente, all'epoca si era difeso così: «L'amicizia su Fb si dà in buona fede e non si può in alcun modo essere responsabili delle condotte altrui». Maroni allora taceva. Come quando è toccato al figlio di Bossi, Renzo, inventare un orrendo giochino - «Rimbalza il clandestino» - e pubblicarlo sulla sua pagina proprio nei giorni in cui affondava un barcone con 73 eritrei a bordo.
Stavolta no. Enfatizzare le minacce al premier fino a ipotizzare impossibili chiusure di pagine private situate in California attraverso costosissime rogatorie internazionali serve a mantenere alta la tensione e a parlar d'altro. Come per le lettere di minacce più o meno fantasiose recapitate ai giornali in questi giorni. Al governo conviene rilanciare. Il ministro degli Esteri Franco Frattini usa proprio Facebook per declamare il rischio che si torni agli anni '70: «Queste iniziative sciagurate vanno isolate, combattute e sconfitte con fermezza e durezza». Parole d'altri tempi.
La polizia postale intanto indaga e ha notificato a Facebook la richiesta di fare i nomi dei creatori delle pagine incriminate. Facebook ha risposto chiedendo i documenti in inglese. La polizia li ha mandati in traduzione legale e se il caso attiverà presto una rogatoria internazionale. Ben tre magistrati sono al lavoro. Complimenti. La libertà di parola, anche se di cattivo gusto come in questo caso, va contrastata ma senza censure impossibili.
Il Pd fa notare che non è certo solo Silvio Berlusconi l'incubo degli italiani. Su Facebook solo "contro" Franceschini ci sarebbero 180 gruppi. Si va dal «Sopprimiamo Franceschini» al «Franceschini sparati». Poi ci sono il lapidario «Io odio Franceschini», il controverso «Accettiamo Franceschini» (nel senso con l'accetta), «Quelli che impiccherebbero Franceschini al primo albero» o il pittoresco «Gettiamo Franceschini nel cratere dell'Etna». Ma l'elenco dei personaggi, veri o virtuali, minacciati di uccisione è lunghissimo. Costantino, Patty, Moccia, Mughini, Bassolino, Franceschini, Prodi, Travaglio, Nedved, Arisa, Hello Kitty, Mourinho, Pingu, Prezzemolo, Clippy, Quaresma, Spongebob, le ex, Doraemon, Beep Beep, Lucignolo, Walker Ranger, Spaccarotella, Pikachu, Burdisso, Hamilton, Mowgli, Molinaro, Topolino, i cani della carica dei 101, Jankulosky, Calimero, Rivas, Cenerentola, Larrivey, Candy Candy, Bombolo, Ibrahimovic, Topo Gigio, Capezzone, Gelmini, Loria, Ping Ping, Fritzl, Coccolino, Cupido, le suocere, Paolini, Winny Pooh, Doraemon, i piccioni, le zanzare, Cimoli, i geologi, Perrotta, Hamtaro, Ligabue, Beautiful, Moratti, Winny Pooh, doctor House, Gigi D'Alessio, Goku, Dexter, Maurizio Mosca, Marco Carta, i Teletubbies, la Befana, Babbo Natale e Mendeleev. Un elenco completo è impossibile. La magistratura avrà molto da lavorare.
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«È quello di Canale 5?». «Quello»

Palermo. Il Pg chiede alla corte di sentire i pentiti che accusano il premier nel processo d'appello al fondatore di Forza Italia. Decisione il 30. «Berlusconi e Dell'Utri erano i referenti di Cosa nostra fino al 2003».
Rassegna stampa - il manifesto, Federico Scarcella, da Palermo, 24 ottobre 2009.

Quando la mafia andava in via Veneto era per parlare di politica. Nel '94 il boss palermitano Giuseppe Graviano, seduto a Roma a un tavolo del bar Doney, dice a Gaspare Spatuzza, ora pentito, che era molto felice: «Abbiamo ottenuto tutto, queste persone non erano come quei quattro 'crasti' (cornuti, ndr) dei socialisti». La persona di cui parlava Graviano era, secondo il racconto di Spatuzza, Silvio Berlusconi, il quale avrebbe avuto un intermediario, «un nostro compaesano», alias Marcello Dell'Utri. Il pentito l'ha raccontato ai magistrati di Palermo, sottolineando che di quell'incontro il suo capo gli disse testualmente: «Ci siamo messi il Paese nelle mani». Dunque era il momento d'agire per l'ultima spallata, e infatti Spatuzza ebbe il via libera per un attentato allo stadio Olimpico, poi fallito, che secondo i pm avrebbe dovuto avere l'effetto di riscaldare la trattativa.
Il tema è sempre lo stesso, la trattativa tra stato e mafia degli anni '90. E ora fa ingresso in nel processo d'appello che vede come imputato proprio Dell'Utri, già condannato a 9 anni in primo grado per associazione esterna alla mafia. Ieri mattina il procuratore generale Antonio Gatto ha interrotto la sua requisitoria chiedendo di acquisire i verbali di Spatuzza e di sentirlo, assieme ai mafiosi Giuseppe e Filippo Graviano e Cosimo Lo Nigro. La corte ha rimandato la sua decisione al 30 ottobre.
L'8 ottobre scorso Spatuzza ha spiegato ai magistrati di Palermo che la trattativa tra la mafia e lo stato durò almeno fino al 2003-2004 e i referenti politici della mafia sarebbero stati proprio Berlusconi e Dell'Utri. Il pentito ha parlato anche di un incontro precedente a quello di Roma, che sarebbe avvenuto a Campofelice di Roccella, paese a una cinquantina di chilometri da Palermo, dopo le bombe di Firenze del '93. In quell'occasione, oltre a Graviano c'era anche Lo Nigro. «Voglio precisare - racconta Spatuzza - che quell'incontro doveva programmare un attentato ai carabinieri da fare a Roma. Noi avevamo perplessità perché si trattava di fare morti fuori dalla Sicilia. Graviano per rassicurarci ci disse che da quei morti avremmo tratto tutti benefici, a partire dai carcerati».
Spatuzza afferma che fu quello il momento in cui lui capì che c'era una trattativa: «Graviano chiese a me e a Lo Nigro se noi capivamo qualcosa di politica». Alla domanda retorica il boss aggiunse: «Io ne capisco». Fino al '94 l'allora braccio destro del boss di Brancaccio non sapeva chi fosse Berlusconi, e così accennò una domanda al suo capo: «È quello di Canale 5?». «Quello», rispose Graviano.
La prova che la trattativa sarebbe proseguita fino al 2004 l'ex killer di Brancaccio la evince da un colloquio con Filippo Graviano, fratello di Giuseppe, del 2004. I due si incontrarono nel carcere di Tolmezzo, in cui erano detenuti. «Graviano mi disse che si stava parlando di dissociazione, ma che noi non eravamo interessati. Nel 2004 ebbi un colloquio investigativo con Vigna, finalizzato alla mia collaborazione che, però, io esclusi. Tornato a Tolmezzo ne parlai con Graviano che mi disse: 'se non arriva niente da dove deve arrivare è bene che anche noi cominciamo a parlare con i magistrati'». Ieri Dell'Utri, presente al processo, ha commentato così: «Sono tutte grandi cazzate di cui riesco ancora a ridere. È tutto un teatrino che mi fa divertire. Lo faccio passare, altrimenti il danno sarebbe maggiore di quello che viene dalle sentenze. I Graviano non li conosco, mai sentiti neanche per telefono». L'avvocato di Berlusconi, Niccolò Ghedini, annuncia iniziative contro Spatuzza: le sue dichiarazioni su Berlusconi «sono del tutto prive di ogni fondamento e di ogni possibile riscontro».
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Difficile crederlo

Editoriale. Democrazia nella palude.
Rassegna stampa - il manifesto, di Norma Rangeri, 24 ottobre 2009.

Dopo la velina anonima del caso Boffo ecco la telecamera nascosta del caso Marrazzo. Quattro sottufficiali dei carabinieri sono stati arrestati per aver tentato di ricattare il presidente regionale del Lazio con un filmino girato in camera da letto. Il generale dell'Arma ha smentito ogni dietrologia allontanando l'ombra del complotto, spiegando che si tratta di «mele marce».
Difficile crederlo quando a finire nella trappola non è una persona qualunque ma un politico di prima fila: non erano i soldi l'obiettivo principale, ma il killeraggio di un uomo politico. E, in ogni caso, la corruzione di un gruppo di carabinieri con i gradi, non è un episodio da rubricare sotto la voce criminalità comune. Quando il metodo del pedinamento, del ricatto personale, dei dossier confezionati e offerti da archivi stranieri diventa il timbro di una fase politica, è tutto il cesto italiano ad esserne avvelenato.
Il presidente della Regione Lazio sarebbe sotto ricatto da mesi, il gruppo di carabinieri che lo aveva seguito e filmato viene scoperto per caso e arrestato alla vigilia delle elezioni primarie del Pd, all'inizio di una lunga campagna elettorale per il rinnovo del governo regionale. Il metodo della delegittimazione sferra un altro colpo. Tutti i politici, di maggioranza o opposizione, da un governatore regionale al presidente della camera, stiano attenti. Nessuno deve sentirsi al sicuro. Il messaggio arriva ai destinatari, la strategia è chiara. E i cittadini ascoltino con attenzione i telegiornali della sera: non è solo il grande capo a non essere un santo. Come se le escort-candidate e quel che ognuno è libero di fare nella sua vita privata fossero la stessa cosa. Distinguere è un esercizio destinato ad affondare nel fetore della palude.
Le scosse violente tra le istituzioni di garanzia e il capo del governo, le rivelazioni sulla trattativa tra la cupola mafiosa e pezzi dello stato, la questione morale delle tangenti che riemerge al nord e si specchia in una questione criminale al sud. Anche una democrazia forte e in buona salute, e non è il caso nostro, ne verrebbe sfregiata, colpita negli anticorpi che indeboliscono e non riescono ad arginare l'estendersi dell'infezione. La paura si infila nelle relazioni umane, la convivenza incattivisce nell'odio sociale sbarrando la strada a idee e speranze.
Tanto più indifesi di fronte allo tsunami della disoccupazione e davanti a una protesta sociale larga, orgogliosa, generosa che scende in piazza ma non trova una leadership in grado di rappresentarla. Con l'aggravante di una «nebbia fitta» come dice Tremonti, che avvolge i palazzi romani nel rincorrersi di voci su possibili dimissioni del ministro dell'economia, cioè dell'architrave di un governo che non riesce ad affrontare la crisi. Un ministro sotto attacco e un altro, Bossi, che gli assicura la sua protezione.
La politica come una questione di chi guarda le spalle a chi.
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La trave

Le primarie viste dall'opposizione... scusate, dalla maggioranza di governo.

C'era una volta un partito all'opposizione che si vedeva al governo, diceva e agiva come fosse stato al governo. C'è oggi un partito (ma sì! un partito) al governo che dice e pensa come fosse sempre, eternamente all'opposizione. Lo si constata ogni giorno, un partito che per sentirsi sicuro deve attorniarsi di molossi abbaianti e morsicanti. E occhio alle chiappe! come la quotidianità dimostra. Da RagionPolitica.it, il pensatoio di Forza Italia ai tempi di Gianni Bagget Bozzo, riprendo questo articolo sulle primarie del Pd che sono il tema della giornata. E vi invito a leggerlo in maniera distaccata, poi a rifletterci sopra meditando sulle sensazioni che l'articolo ha suscitato in voi. Infine ditevi se è un articolo di chi si fa forte di un consenso maggioritario nel paese o non piuttosto un messaggio preoccupato da una ridotta sperduta in attesa dell'ultimo assalto del nemico. Un nemico tremendo, che mangia bambini. I bambini mai cresciuti di Forza Italia.
Le primarie della molletta.
Rassegna stampa - RagionPolitica.it, Gabriele Cazzulini, 23 ottobre 2009.

«Ci tengo». È il motto, adesso si dice «claim», delle primarie del Pd. Niente di entusiasmante. Nessun incitamento all'azione o al pensiero. Nessuno slancio emotivo. «Ci tengo». Un perfetto messaggio conservatore. Cioè sto fermo, me lo tengo stretto. Ma non c'è un oggetto. A cosa tengo? Non c'è scritto. Forse perché non c'è spazio sufficiente su una molletta. Sì, una molletta come quelle che si usano per stendere i panni lavati. «Ci tengo», su una molletta. Infatti ogni elettore delle primarie riceverà una molletta con «ci tengo».
C'era una volta la falce e il martello. Ora c'è la molletta, per stendere una storia che non ha più un senso. Eppure Bersani non demorde: lui la storia la vuole dotata di senso. È il classico acquirente di auto usate (leggi: comunismo) che però vuole a tutti i costi munite dello stereo più alla moda. La macchina è una carretta; però con lo stereo fa tanto baccano, così qualcuno si accorge che esiste ancora. Franceschini e Marino invece si accontentano di molto meno. Il primo accoglie l'appello di Tremonti a conservare il posto fisso, cioè il suo, e spera che gli elettori gli diano una mano in questo senso. Il secondo si è ritagliato la figura perfetta del jolly che sorride sempre - Marino sui media è sempre il più sorridente dei tre. Bersani deve fare il muso duro del comunista romagnolo col sigaro mezzo spento e la calvizie che divide il suo cranio in due emisferi contrapposti come ai tempi della guerra fredda. Franceschini è un incallito mediano, fa mezze smorfie e mezzi sorrisi - perché con quest'ambigua espressione le spara grosse (vedi l'uscita sui figli di Berlusconi) ma poi si rimangia subito tutto (vedi la critica al rancore storico del comunismo verso le imprese). Se può resta volentieri segretario del Pd, anche se è salito al potere promettendo che si sarebbe presto dimesso. Ipse dixit. Marino invece è il più subdolo perché, a differenza del classico terzo incomodo, lui è comodissimo, infatti non infastidisce, non punzecchia, non contraddice più i suoi due rivali. Riversa i suoi veleni con chirurgica perizia contro Berlusconi. Stop. Così potrà avere comunque uno spazio all'interno del nuovo Pd di Bersani-D'Alema.
È vera competizione questa? Sì, in effetti la lettura partitica di queste primarie è l'interpretazione più realista. Se non fosse così, dopo le primarie dovrebbero seguire le elezioni politiche, ma ciò non è vero. Qui non si sceglie il candidato premier. Si sceglie l'amministratore del Pd. Queste primarie sono un'operazione di potere di partito. La politica non c'entra. Nessuno dei tre candidati possiede piattaforme ideologiche e programmatiche per offrire un'alternativa alla destra. È una competizione, anzi una lotta interna per il potere interno. È in gioco il governo del partito, non il governo del paese. C'erano una volta i congressi del Pci. Ora ci sono le primarie del Pd. Manca sempre il senso di una scelta popolare che, tra Bersani e Franceschini, non produrrà cambiamenti sostanziali. Si ritornerà all'Unione oppure si andrà avanti col Pd che tenta sempre abboccamenti con l'Udc e non rompe mai con l'Idv. È rimescolare la solita minestra. E poi come la mettiamo con eminenze neanche tanto grigie come D'Alema e Veltroni? È strano, ma la conferma che queste primarie siano una manovra di potere interno proviene dal grande interesse più per i loro effetti collaterali - come l'uscita di Rutelli - che non per il profilo stesso del partito.
La sinistra, con o senza questo Pd, non si svita dalla sua crisi cronica. È inchiodata in un accanimento dell'etica (vedi la campagna d'odio contro la privacy di Berlusconi) e della politica («Ci tengo» a votare a priori, ma non so per cosa). Ma la politica non è un sistema di regole da rispettare a prescindere. Anche i grandi dittatori e i loro regimi totalitari portavano a votare grandi masse - ma, forse, il voto non è questione di quanto si vota, ma di come si vota e per chi, cosa si vota. Il Pd non ha ancora capito questa lezione. Per loro basta votare in massa. Tutto il resto viene dopo. O meglio: è nelle mani di altri, dai sindacati alle cooperative, dal potentissimo ceto degli amministratori locali fino alle élites culturali e soprattutto ai media sempre più potenti e prepotenti. Ma questo è un discorso tutt'altro che democratico...
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«Uno scherzo, un puro annuncio»

«È uno scherzo, quello che ora serve è sostenere bassi redditi e consumi».
Rassegna stampa - Liberazione, Roberto Farneti, 24 ottobre 2009.

«Uno scherzo, un puro annuncio». Massimo Florio, docente di Scienza delle Finanze all'Università statale di Milano, liquida così la promessa («Pronti a tagliare l'Irap fino a cancellarla») ribadita l'altro giorno dal presidente del Consiglio, Silvio Berlusconi, in occasione dell'assemblea degli artigiani della Cna. Per Florio «non esistono minimamente le condizioni in questo momento» per pensare a un intervento del genere, dato che il gettito complessivo dell'imposta è di 38,5 miliardi di euro. Inoltre, «anche in una logica di intervento sulle condizioni macroeconomiche - sottolinea il professore - l'abolizione o la riduzione dell'Irap, va messa tra le misure meno efficaci».
Confindustria è entusiasta, sostiene che abolire questa tassa aiuterebbe le imprese a crescere; la Cgil ribatte che, se si vuole uscire dalla crisi, bisogna invece rilanciare la domanda interna, riducendo le tasse a lavoratori e pensionati. Chi ha ragione?
Se guardiamo a quello che si è fatto in Europa in termini di interventi congiunturali di sostegno all'economia, ci sono pochi dubbi sul fatto che le misure più efficaci siano quelle dal lato della spesa pubblica. Ad esempio, un effetto sulla congiuntura più alta lo si può avere aumentando le pensioni sociali, i sussidi di disoccupazioni, perché quel tipo di contribuenti ha una propensione al risparmio molto bassa, per cui 100 euro in più che ricevono sono 100 euro in più che spendono. Questo ovviamente vale anche per i salariati a basso reddito. Quando invece agisco sul versante della tassazione, il tipo di imposte che ha dimostrato di avere maggiore efficacia dal punto di vista moltiplicativo sono quelle sui consumi, perché determinano una riduzione dei prezzi e quindi maggiori possibilità di acquisto. Questo intervento può essere realizzato, come in alcuni paesi è stato fatto, attraverso una diminuzione dell'Iva selettiva, ad esempio sui beni di prima necessità, quelli di maggiore consumo per la fascia di popolazione meno abbiente. Il problema è evitare che l'alleggerimento della pressione fiscale vada a favore del risparmio, invece che dei consumi.
Ridurre l'Irap alle imprese non serve a riavviare la domanda interna?
No, se non nel lungo periodo. E poi il punto è che non si capisce che cosa il governo voglia concretamente fare. Vuole abolire l'Irap entro cinque anni senza sostituirla con altre tasse? E con il bilancio pubblico come la mettiamo?
La Cgia di Mestre, a proposito dell'Irap, propone di dedurre dalla base imponibile gli interessi passivi. Costo: 3,5 miliardi. Che ne pensa?
Mi sembra un ritorno a un regime fiscale che c'era molti anni fa in Italia e che in sostanza era un perfetto meccanismo per eludere le imposte da parte delle imprese. Le spiego come funziona. Sono un piccolo imprenditore e ho un bilancio che darebbe un profitto tassabile. E allora che cosa faccio? Ho dei risparmi, posseggo dei titoli di debito pubblico, li metto in banca e, a fronte di questo, concordo una operazione di prestito alla mia impresa a un tasso più elevato di quello che avrei se mi autofinanziassi. Porto in deduzione gli interessi passivi e così abbatto il profitto tassabile all'interno dell'impresa. E non pago imposte.
Perché tante polemiche sull'Irap? Francesco Giavazzi, sul Corriere della Sera , parla di «imposta odiosa che colpisce indifferentemente le imprese che guadagnano e quelle che perdono». L'ex ministro Visco, che l'ha inventata, ricorda che l'Irap ha semplificato la vita delle aziende, avendo sostituito sette tasse diverse. Con «un saldo a favore delle imprese», calcola la Cgil, che «dopo il 1998 è stato di 12 miliardi». Chi ha ragione?
L'astuzia dell'Irap fondamentalmente consiste nel fatto di sganciare la base imponibile dai risultati dell'impresa. In un paese in cui le imprese le imposte non le pagano, le evadono, le eludono, Visco si è dovuto inventare un meccanismo che, per un verso, è ingiusto. Il problema di una imposta di questo tipo è che su cento imprese che si dichiarano in perdita, può darsi che ce ne siano dieci che lo sono veramente. Questa "piccola" ingiustizia è a fronte dell'enorme ingiustizia di un sistema di imprese che non paga le imposte nel modo che sarebbe più equo, cioè come imposta sul reddito di impresa.
Non si potrebbe pensare a un modo per rendere questo meccanismo di prelievo fiscale un po' meno "tranchant"?
Un modo ci sarebbe ed è quello di dare la possibilità a chi è effettivamente ha bilanci in perdita, di aprire nei confronti del fisco una procedura per difendersi. Il problema è che questo è anche il paese degli avvocati, per cui è facile prevedere che a quel punto avremo milioni di imprenditori pronti a mettere in moto una procedura per cercare di essere esentati dall'Irap, dicendo che loro sono veramente prossimi alla rovina. Il nostro è un paese complicato da questo punto di vista, per cui tutto quello che si può inventare da un punto di vista tecnico si scontra con una immoralità fiscale talmente diffusa da costringere chi governa a inventarsi dei meccanismi tipo l'Irap.
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Urne aperte fino alle 20

Oggi il Pd sceglie il suo segretario nazionale.
Bersani, Franceschini o Marino? Chiunque sarà dovrà dare un nuovo volto al Partito Democratico.

Stamattina prima dell'apertura dei seggi, quelli veri, com'era programmato, il nostro sondaggio è terminato. Non sono stati tanti quelli che hanno partecipato al gioco di designare il nuovo segretario del partito democratico, sicuramente di più quelli che oggi si sono recati o si recheranno ad esprimere la propria preferenza al seggio aperto presso il Centro Diurno per Anziani. Alle 11,40 avevano votato 115 persone. Vediamo i risultati del nostro sondaggio:



Di seguito alcune fotografie dell'evento reale scattate questa mattina. Lo spoglio dei risultati questa sera dopo la chiusura dei seggi. In tarda serata si dovrebbero conoscere i risultati.