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venerdì 21 agosto 2009

Un po’ d’attenzione fatta a metà

La sicurezza e la viabilità vista da un utente.

Mi rifaccio alla lettera di mercoledì 8 Luglio, quando segnalavo degli inconvenienti viabilistici al termine di via Roma. Orbene, questa mattina, mentre transitavo per Secugnago, con un po’ di sorpresa notavo che, falciata la savana che oramai stava invadendo la strada e ripristinata in parte la visibilità al cartello che segnala la barriera salvagente, si è provveduto a mettere in sicurezza, in parte, il marciapiede che sovrasta il vicino fosso irriguo, oltre ai due cavalletti in ferro non ancorati già esistenti, con due salvagente in plastica che delimitano la nuova canalizzazione irrigua. Per il cavo elettrico che, appoggiato sulle sponde in cemento della nuova canalizzazione e sul manto stradale della nuova via, si è provveduto a ingabbiarlo fra due assi affinché non venga schiacciato dai mezzi in transito in quel punto. Non voglio pensare al peggio, visto ciò che succede oggigiorno anche sulle nostre strade; però, si può notare guardandoci in giro, che per evitare situazioni di pericolo i punti critici vengono evidenziati e messi in sicurezza in modo diverso; come vuole la normativa. Questo è chiedere troppo?



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Notiziando qua e là

Notizie dal lato oscuro di Internet e varia umanità.

La notizia è di qualche giorno fa: Readers' Digest, la rivista delle nonne sta per fallire, vittima di Internet e del crollo della pubblicità dopo 77 anni di storia gloriosa. La lista, dunque, delle vittime del calo della pubblicità si allunga.
Il Reader’s Digest, che è la rivista più diffusa al mondo con 50 edizioni in 21 lingue in 78 Paesi, si appresta a finire in bancarotta. L’edizione italiana "Selezione del Reader’s Digest" fu già chiusa nel dicembre del 2007.
Il gruppo - ci dicono le cronache - farà ricorso volontariamente al cosiddetto «Chapter 11», l’amministrazione controllata per ristrutturare il proprio debito che ha raggiunto l’astronomia cifra di 2,2 miliardi di dollari. Reader’s Digest, dopo aver raggiunto un accordo con i creditori, punta ad uscire con un buco di "soli" 500 milioni di dollari. La bancarotta pilotata riguarderà solo le attività statunitensi. Reader’s Digest, lanciata nel 1922 da una coppia a Pleasantville nello Stato di New York, pubblicava una selezione di articoli particolarmente interessanti scritti e pubblicati da altri periodici. Attualmente circa 9 dei 94 magazine che fanno parte delle due edizioni vantano una circolazione di oltre 8,1 milioni di copie solo negli Usa. A livello mondiale le sue pubblicazioni raggiungono 78 paesi e vantano 130 milioni di lettori.
Da La Stampa abbiamo appreso ieri che La Biblioteca nazionale di Francia ha capitolato, affidando a Google la costosissima digitalizzazione dei suoi libri. E così è probabile che vada in fumo Europeana, il progetto di biblioteca digitale europea voluto da Francois Mitterand per contrastare il dominio nel mondo dei libri del gigante americano della ricerca su Internet. Sarebbe proprio l’enorme spesa dell’operazione che ha fatto cambiare idea alla biblioteca nazionale francese, per anni alla testa degli oppositori al leader americano dei motori web, che ha già messo on line 10 milioni di libri (tra i quali 1,5 milioni protetti ancora da diritti d’autore, cosa che ha scatenato numerosi processi, anche in Francia). Solo per digitalizzare le sue opere che vanno dal 1870 al 1940 - quelle del periodo della Terza Repubblica - la biblioteca dovrebbe mettere in conto una spesa tra i 50 e gli 80 milioni di euro. Evidentemente troppo: il budget annuo previsto per mettere on line il suo patrimonio è di soli 5 milioni di euro. I francesi cedono dunque di fronte a calcoli matematici: realizzare la biblioteca digitale costerebbe tra i 0,12 e i 0.74 euro a pagina ed in stock ci sono 14 milioni di libri.
«Se Google può permetterci di andare più veloce e più lontano, perchè no?», si è giustificato Denis Bruckmann, direttore di collezione della Biblioteca nazionale, parlando al quotidiano economico La Tribune, che ha reso nota la notizia. «I negoziati - continua - potrebbero concludersi tra qualche mese». Tutta la stampa francese ha parlato di questa più che probabile alleanza nello sbigottimento generale. Soprattutto perchè la biblioteca per anni si è opposta all’idea di affidare il proprio patrimonio librario, ed anche quello europeo, al motore di ricerca americano. Nel 2005 l’ex direttore, Jean-Noel Jeanneney, aveva messo in guardia il mondo culturale contro il «rischio di monopolio della digitalizzazione dei libri» da parte di Google. La Francia si è anche battuta per il progetto di biblioteca virtuale europea (Europeana) che, inaugurata nel novembre 2008, conta «solo» 4 milioni di documenti.
Il gigante americano è già molto più avanti, con i suoi 10 milioni di testi consultabili gratuitamente su Google Libri. Dal 2004 il motore di ricerca ha tessuto legami con 25.000 editori e sedotto una trentina di prestigiose università nel mondo, da Harvard a Stanford. In Europa, la prima ad affidargli il suo fondo è stata la Bodleian Library dell’ateneo di Oxford.
In Francia, la Biblioteca nazionale francese segue invece le orme della biblioteca universitaria di Lione. Per adesso, spiega La Tribune, Google non si arricchisce con queste digitalizzazioni, ma in cantiere ci sarebbe il progetto di una piattaforma di vendita di libri on line, che potrebbe far concorrenza a Amazon, un altro americano.
E dopo la cultura, veniamo al lato oscuro di Internet. Nei giorni scorsi il dipartimento della Giustizia americano ha scoperto il più vasto furto di identità della storia: un uomo di Miami, il ventottenne Albert Gonzalez, e due hacker che "vivono in Russia o vicini alla Russia", sono stati incriminati per avere rubato 130 milioni di numeri di carte di credito dalla Heartland Payment System, una delle più grosse società di transazioni elettroniche. Ad annunciarlo è stata la magistratura del New Jersey. I tre dal dicembre del 2007 avrebbero trafugato anche 4 milioni di dati dalla catena di supermercati Hannaford e un numero non ancora precisato dalla 7-Eleven, una catena di negozi presente in 19 Paesi, popolarissima negli States. La tecnica d'assalto informatico prevedeva un giro di ricognizione tra i siti delle 500 società più ricche degli Usa secondo la rivista Forbes, per esaminare i punti deboli del sistema di difesa prima di procedere con la frode. Attraverso un software riuscivano a tracciare in tempo reale i movimenti delle carte all'interno dei network delle aziende monitorate. Le comunicazioni avvenivano tramite chat. Per l'hackeraggio erano stati usati computer in California, Illinois, New Jersey, Lettonia, Ucraina e Olanda.
Il piano, che era stato ribattezzato "Get rich or at least try" (diventa ricco o almeno provaci), è stato scoperto perché i tre hanno cercato di vendere i numeri delle carte di credito ad altre bande. In alcuni casi, i tre hanno fatto sopralluoghi in centri commerciali, per studiare il sistema di pagamento usato. Gonzalez, che in rete usava come pseudonimi "segvec", "soupnazi" e "j4guar17", si può definire un recidivo: era già stato arrestato sei anni fa in New Jersey per il suo ruolo in un'altra storia di traffico e frodi con carte di credito. È stato inoltre incriminato lo scorso anno per violazioni nei database di alcune aziende. Al momento è in custodia federale a New York.
Per venire in Italia, una notizia di mercoledì. Una maxi frode fiscale a livello internazionale per 90 milioni di euro è scoperta dalla Guardia di Finanza di Roma nel settore del commercio del materiale informatico. La truffa era realizzata attraverso fatture false per un valore di 450 milioni di euro e l'utilizzo strumentale di dieci società operanti in tutto il territorio nazionale. Queste ultime, con la compiacenza di operatori commerciali esteri, hanno effettuato ingenti acquisti di materiale hardware e software in Germania, Paesi Bassi, Lussemburgo, Regno Unito, Belgio, Spagna, Slovenia e Danimarca omettendo la regolarizzazione delle operazioni nel territorio nazionale e, di conseguenza, il versamento dell'I.V.A. per un ammontare di oltre 90 milioni di euro. Il disegno criminoso è stato messo a punto dai responsabili di una società, con sede a Roma, per commercializzare i beni acquistati applicando prezzi particolarmente concorrenziali, potendo contare sull'ampio margine del 20% costituito dall'IVA evasa e determinando così, oltre all'ingente evasione delle imposte, anche una turbativa del mercato.
La ricostruzione del sistema fraudolento, effettuata dal I Gruppo della Guardia di Finanza di Roma, è stata particolarmente complessa ed ha richiesto due anni di intense indagini coordinate dalla locale Procura della Repubblica. A capo delle società erano nominati prestanome compiacenti ma queste erano gestite da un ristretto gruppo di persone con interessi commerciali nella Capitale, reali destinatari della merce acquistata all'estero. Per depistare le investigazioni, inoltre, venivano dichiarate sedi fittizie delle società e gli amministratori erano avvicendati frequentemente, rendendo ancor più difficoltosa l'individuazione dell'unico soggetto economico che ha fruito dei notevoli benefici dell'ingente evasione. Numerose sono state le perquisizioni ed sequestri di documenti effettuati in tutto il territorio nazionale. I quattro principali responsabili degli illeciti sono stati denunciati per i reati di associazione a delinquere, occultamento e distruzione di scritture contabili, emissione ed utilizzazione di fatture false finalizzata alla frode fiscale.
Internet, informatica, media. L'ultima notizia è di lunedì e riguarda alla lontana Striscia la Notizia. Max Laudadio voleva trascorrere un Ferragosto in tutta tranquillità con la famiglia ma alcuni ignoti vandali gli hanno guastato la serata. Max Laudadio si era recato con la moglie Loredana e la figlia Bianca alla tradizionale festa di Cavagnano, una frazione di Cuasso al Monte, paese dove l'inviato di Striscia la Notizia abita da circa tre anni. Qualcuno si è accanito contro la sua jeep squarciando due dei quattro pneumatici. Subito i residenti del posto si sono prodigati per dargli una mano: chi si è offerto di accompagnare a casa la famigliola, chi ha portato il fuoristrada in un parcheggio privato in attesa che oggi il proprietario tornasse per la sostituzione delle ruote. Ed ecco la seconda amara sorpresa: durante la notte qualcuno ha scagliato diverse pietre contro il veicolo danneggiando seriamente la carrozzeria. Se da un lato non si esclude il gesto vandalico di qualcuno che magari aveva alzato troppo il gomito alla festa, dall'altro neppure si esclude una ritorsione vera e propria nei confronti del giornalista che, risedente nello splendido borgo dell'Alpe Tedesco di Cuasso al Monte, da tempo si è fatto portavoce dei bisogni dell'ambiente e del territorio, promuovendo anche una petizione per la salvaguardia del monte Poncione e che ha già raggiunto settecento firme in due mesi.
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La mamma degli imbecilli è sempre incinta

Il titolo riprende l'ultimo commento all'articolo pubblicato mercoledì dall'edizione di Milano di La Repubblica. Siamo di fronte ad un caso di palese discriminazione basata su motivazioni "etniche" se non di razzismo vero e proprio. Capriate non è a due passi da Brembio, ma vale la pena di riportare la notizia perché anche qui da noi si rifletta su certe scelte elettorali troppo di pancia e non di buon senso.
Rassegna stampa - L'articolo è di Gabriele Cereda.
Capriate San Gervasio, la giunta leghista vieta il kebab e i negozi etnici in centro.
Divieto di accesso per gli imprenditori stranieri alla centrale via Vittorio Veneto: le loro attività devono traslocare in periferia del paese bergamasco governato da una giunta leghista. Sorte da condividere con i phone center, anche questo un mercato controllato da capitali extracomunitari.

Kebab vietati in centro. Lo ha deciso il comune di Capriate San Gervasio, in provincia di Bergamo, con una delibera di giunta. Nero su bianco, l’amministrazione guidata dalla Lega bandisce “kebaberie e simili” ma non altri esercizi pubblici. I 30mila turisti che ogni mese visitano il villaggio operaio di Crespi d’Adda, gioiello di archeologia industriale, patrimonio dell’Unesco, a due passi dal salotto cittadino, dovranno fare a meno del gustoso spuntino made in Africa. Dal Comune si difendono: “Decisione di carattere urbanistico, non vogliamo discriminare nessuno”. Ma l’opposizione è sul piede di guerra.
Provvedimenti simili erano già stati adottati a Bergamo e Lucca, ma in quel caso l’ordinanza colpiva tutti i bar e i ristoranti che avrebbero potuto disturbare la quiete pubblica. Sulle rive dell’A dda, invece, il diktat è più restrittivo e riguarda solo i locali di chiara impronta etnica. Via libera quindi a bar e pub, abituali luoghi di ritrovo, purché gestiti da autoctoni. Divieto di accesso per gli imprenditori stranieri alla centrale via Vittorio Veneto. Le loro attività devono traslocare in periferia. Sorte da condividere con i phone center, anche questo un mercato controllato da capitali extracomunitari.
"Non si tratta di un provvedimento di carattere razzista – spiega Libero Guida, assessore al Commercio e alla sicurezza – In centro ci sono pochi parcheggi, quelle attività finirebbero per congestionare la viabilità". "Quelle degli italiani invece no – ribatte Enzo Galbiati, consigliere di centrosinistra, all’opposizione – È una scelta discriminatoria, non lasceremo nulla di intentato pur di azzerare questa decisione". A due velocità anche l’ autorizzazione per aprire un’attività in centro. Per gli stranieri controlli a raffica e trafila burocratica più lunga: è "una ghettizzazione", attaccano dal centrosinistra.
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La Lega degli inni e dei colori

Riprendiamo dall'edizione di Milano di La Repubblica questo articolo, un altro che dimostra le prioritarie preoccupazioni degli amministratori locali leghisti.
Bergamo, il diktat del presidente leghista.
"Addio fascia azzurra, sì ai nostri colori".
Pirovano, esponente della Lega Nord, ha deciso di sostituire le fasce che gli amministratori provinciali devono indossare nelle cerimonie ufficiali. Non più il colore azzurro, dunque, introdotto per tutte le province d'Italia nel 2000, ma il giallo e il rosso, colori del gonfalone orobico.
Rassegna stampa.

"Basta con le anonime fasce azzurre, ora torniamo a quelle coi colori del nostro territorio". In un periodo di polemiche sull'inno nazionale, sui dialetti e sulle bandiere regionali, il presidente della Provincia di Bergamo, Ettore Pirovano, esponente della Lega Nord, ha deciso di sostituire le fasce che gli amministratori provinciali devono indossare nelle cerimonie ufficiali. Non più il colore azzurro, dunque, introdotto per tutte le province d'Italia nel 2000, ma il giallo e il rosso, colori del gonfalone orobico.
Il presidente provinciale leghista aveva già indossato la nuova fascia qualche settimana fa, in occasione dell' inaugurazione della Brebemi. Martedì scorso poi i nuovi colori erano stati indossati dall'assessore provinciale Giovanni Milesi. Ora a Bergamo è scoppiata la polemica. Il sindaco del capoluogo orobico Franco Tentorio (Pdl) ha bocciato con un "no" deciso l'idea: "Al tricolore io non rinuncio", ha spiegato. Pirovano, invece, ha chiarito di aver "preso la decisione di indossare la vecchia fascia a giugno, quando ancora non ero stato eletto. Così - ha aggiunto - siamo tornati a prima del 2000 quando era in vigore una legge che consentiva a ogni Provincia di usare i propri colori".
Il presidente ha voluto però rimarcare che non si tratta di una provocazione targata Carroccio: "Non è una fascia verde, ma è rossa e gialla. Poi non mancano i riferimenti alla Repubblica, perchè il simbolo si trova comunque nella parte bassa. Cambia solo la base". L'obiettivo è chiaro, secondo Pirovano: "Dare un segnale al governo affinchè riveda le proprie decisioni. È importante rivendicare le identità dei territori di tutta Italia". Pirovano, infine, vuole fare da apripista: "Spero che anche i sindaci rinuncino alle fasce tricolori. Che bello sarebbe - conclude - se in provincia di Bergamo i 244 primi cittadini indossassero fasce diverse senza rinunciare al simbolo della Provincia".
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Multe trasparenti

Autovelox: mai più pattuglie nascoste.
Dalle agenzie - Agi.

Stop alla gestione degli autovelox a società private. Mai più pattuglie nascoste per la rilevazione della velocità. Massima tutela della privacy. Sono alcuni dei contenuti della direttiva del Ministro dell'Interno Roberto Maroni "volta a garantire - spiega una nota - un'azione coordinata di prevenzione e contrasto dell'eccesso di velocità sulle strade, emanata proprio a ridosso dei rientri dalle vacanze. La direttiva firmata dal Ministro, inviata ai Prefetti e agli organi di polizia stradale, mira a disciplinare l'utilizzo degli strumenti di controllo della velocità ispirandosi a criteri di efficienza e trasparenza. L'obiettivo è la prevenzione sulle strade, in vista del traguardo fissato dalla Commissione Europea di dimezzare entro il 2010 il numero delle vittime per incidenti stradali". La direttiva affida ai Prefetti il compito di monitorare sul territorio il fenomeno della velocità e di pianificare le attività di controllo, avvalendosi del contributo delle Conferenze Provinciali Permanenti, dove sono rappresentati tutti i soggetti pubblici interessati alla materia. In particolare, dovranno essere individuati i punti critici per la circolazione dove si registrano più incidenti (con riferimento al biennio precedente) e dovrà essere previsto il diffuso impiego della tecnologia di controllo remoto, che consente il controllo di tutti i conducenti che passano in un determinato tratto di strada con contestazione successiva della violazione. La Polizia Stradale, quale Specialità della Polizia di Stato, attuerà il coordinamento operativo dei servizi con il compito anche di monitorare i risultati dell'attività di controllo svolta da tutte le forze di polizia e dalle polizie locali. Questi i contenuti principali della direttiva: - gestione delle apparecchiature solo dagli operatori di Polizia -controllo periodico di funzionalità degli apparecchi - modalità di segnalazione della presenza delle postazioni di controllo improntate alla massima trasparenza - modalità di accertamento e contestazione delle violazioni in materia di velocità (non è sempre richiesto il fermo del veicolo per contestare la violazione) - tutela della riservatezza (le foto o le riprese video devono essere trattate solo da personale degli organi di polizia incaricati al trattamento e alla gestione dei dati.

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Lodigiani elettrici

Media italiana: 912 watt per abitante. A Lodi 12mila.
Centrali, sulla nostra pelle il record di potenza elettrica.

Rassegna stampa - Il Giorno di oggi.

Poco più di 200mila abitanti e 2.640 megawatt di potenza termoelettrica installata. Due numeri che ritraggono senza pietà la condizione tutta particolare in cui Lodi vive grazie alla presenza sul territorio di una vecchia, ma rinnovata, centrale a Tavazzano e della nuova struttura a turbogas che Sorgenia costruisce a Bertonico. Un confronto? In Italia, senza contare fonti rinnovabili, la potenza installata negli impianti termoelettrici, quelli che consumano gas, olio e carbone, supera di poco i 55 megawatt. Lo stesso numero, circa, della domanda elettrica dell’intera nazione. Basta dividere la cifra per il numero degli abitanti, 59 milioni circa, e si ottiene una cifra assai più bassa che nel Lodigiano. In Italia, in media, ogni cittadino ha sulla testa 912 watt di potenza termoelettrica installata. Per intendersi, un terzo della potenza massima che può erogare il contatore che ciascuno di noi ha in casa. E a Lodi? A Lodi, virtualmente, i «contatori» sulla testa di ogni abitante sono quattro. Traducendo in cifre, significa che i 1640 megawatt della centrale di Tavazzano, sommati a quelli di Bertonico che saranno 800, costruiranno un complesso di 2.640 megawatt di potenza termoelettrica installata. Che divisi per i 219mila residenti del Lodigiano fanno la ragguardevole cifra di 12.018 watt di potenza per ciascun Lodigiano.
Chi afferma che questa provincia quanto a disponibilità per accettare impianti «fastidiosi» ha «già dato», probabilmente non ha torto. Non che questo semplice calcolo abbia procurato proteste di massa. Ad Aprilia, nel Lazio, in una situazione meno compromessa dal punto di vista ambientale, i cittadini e le amministrazioni locali hanno creato talmente tanti ostacoli sulla strada dell’impianto che Sorgenia sta costruento, praticamente uguale al nostro, che solo questa settimana è arrivata la posa della prima pietra della nuova centrale. A Lodi, invece, nonostante le proteste dei politici, condite anche da qualche polemica fra i partiti, e qualche rara manifestazione organizzata da comitati e ambientalisti, da mesi lo scheletro in acciaio della centrale è lì che svetta fra i campi della Bassa. Segno evidente che, in fondo, a spianare la strada di questa centrale siamo stati noi stessi.
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L'urgenza di fare cassa il vero problema di Casale

Riscatto: trenta euro al metro quadrato per i diritti di superficie.
Il municipio «svende» le proprietà pubbliche.
Rassegna stampa - Mario Borra, Il Giorno di oggi.

Case in vendita per fare cassa. Il bilancio del Comune di Casale ha un enorme bisogno di risorse: dopo il flop della vendita delle quote della Metano Casale, con il conseguente mancato introito, ad oggi, di circa due milioni e mezzo di euro, e la stima al ribasso circa le entrate degli oneri di urbanizzazione (un milione di euro in meno), il sindaco Flavio Parmesani sta puntando a mettere in atto un’operazione che dovrebbe fruttare, se andrà in porto, qualche risorsa aggiuntiva. Infatti, l’esecutivo ha intenzione di mettere in vendita il patrimonio immobiliare di proprietà pubblica: circa un centinaio di case che attualmente sono assegnate in diritto di superficie per 99 anni.
Il Comune ha fissato la quota, 30 euro al metro quadrato, in base alla quale chiederà al proprietario della singola abitazione di riscattare l’immobile per sempre. «È un’iniziativa che ha preso piede in altri comuni. A Casale sono solo tre o quattro coloro che, negli ultimi anni, ne hanno approfittato. Forse anche perché era stata scarsamente pubblicizzata».

La Giunta ha chiesto la restituzione di 770mila euro.
Ex Peveralli, sogno sfumato. E il Comune «batte cassa».


Il Comune ha chiesto formalmente la restituzione della polizza fidejussoria di 770mila euro per i mancati lavori «a sconto di oneri di urbanizzazione» che la società proprietaria della Peveralli, l’ex fabbrica di falegnameria che si affaccia sulla via Emilia, non avrebbe realizzato nei tempi concordati. Sullo stabilimento - dismesso ormai da anni - vi è un progetto di recupero edilizio di grande respiro che prevede la realizzazione di appartamenti e loft. Nell’ambito dell’accordo tra privato ed ente pubblico, era stato concordato un piano di realizzazione di alcune opere a scomputo del pagamento degli oneri di urbanizzazione: il soggetto privato, infatti, si impegnava a riqualificare il parco della Montagnola, a sistemare la viabilità all’altezza di viale Cadorna attraverso la costruzione di una rotonda e mettere a punto degli stalli per le auto presso la stazione ferroviaria. «Questi lavori non sono stati effettuati nei tempi dovuti e concordati con la procedente amministrazione — ha spiegato ieri il sindaco Flavio Parmesani — l’11 agosto scadevano i termini entro i quali le opere dovevano essere pronte. Preso atto che questo non è avvenuto, abbiamo dato mandato all’ufficio preposto di inoltrare una formale domanda all’istituto assicurativo di pagare la quota relativa alla fidejussione. I soldi dovranno essere incamerati dal comune entro il prossimo 10 settembre.
«Con le risorse che entreranno realizzeremo noi le opere che non sono state fatte in questi anni», precisa il primo cittadino. Per Parmesani la richiesta di escussione della polizza fidejussoria era un atto dovuto. «Abbiamo assolto ad un nostro obbligo. Sono soldi pubblici e dunque non possiamo permetterci di non fare questo passo. Non vogliamo andare incontro a nessun tipo di contestazione futura né ad essere chiamati in causa per eventuale danno erariale. Comunque il privato può andare avanti a costruire poiché i tempi della concessione edilizia sono diversi. A noi premeva mettere un punto fermo e far rispettare un obbligo temporale che era stato messo nero su bianco tra le parti».
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Se il Ramadam diventa esodo

Ritorniamo sulla questione con un articolo di oggi de Il Giorno.
Riti islamici.
Ramadan, trasloco per Sant’Angelo Chiusura a Casale.
Rassegna stampa.

La folta comunità islamica di Sant’Angelo Lodigiano non è riuscita a trovare uno spazio adeguato dove celebrare la festa del Ramadan. E allora, da qualche settimana, era partita la caccia a un luogo adatto nel quale ospitare riti e preghiere legate al mese di digiuno. Nulla. Nessuna struttura è stata trovata né è stato possibile chiedere uno spazio pubblico. Grazie anche all’interessamento di un consigliere comunale di Lodi di un partito di sinistra, però, la comunità ha trovato un luogo alternativo. Si tratta di una comunità di recupero di Vidardo, a pochi chilometri dal centro di Sant’Angelo, che ha dato la disponibilità ad accogliere le preghiere. Intanto a Casale il centro di preghiera islamico chiuderà, salvo ripensamenti dell’ultima ora, il 26 agosto. Il sindaco Flavio Parmesani metterà la firma all’ordinanza prima della fine del Ramadan. Lo ha confermato ieri ribadendo che la ricevuta della raccomandata con le risposte del comune alle controdeduzioni della proprietà dell’immobile di via Fugazza è arrivata ieri ed accerta che la comunicazione era stata recapitata il 19 agosto.
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La Regione per l'acqua lodigiana

Greta Boni su Il Cittadino di oggi ci parla di interventi a Sant’Angelo, Castiraga, Salerano, Borghetto e nella Bassa; nei progetti un nuovo pozzo a Mulazzano.
Acqua più buona nel giro di due anni.
Dalla Regione 600mila euro per migliorare gli impianti lodigiani.

Rassegna stampa.

Nel giro di due anni l’acqua che scenderà dai rubinetti lodigiani dovrà essere più buona. Regione Lombardia ha stanziato 628mila euro per gli interventi più urgenti da realizzare sul territorio, il contributo è stato messo nero su bianco nell’ultimo bollettino ufficiale del Pirellone, dove si affronta la questione dell’accordo di programma quadro “Tutela delle acque e gestione integrata delle risosrse idriche”.
Tra l’elenco delle opere più importanti, stilato in base alla segnalazione del territorio, si trova una serie di interventi destinati a migliorare la qualità dell’oro blu negli impianti di trattamento di Salerano, Bertonico, Borghetto, Mairago, Turano, oltre al potenziamento di quelli di Sant’Angelo e Castiraga. In cantiere c’è poi la costruzione di un pozzo a Mulazzano, nella frazione di Quartiano.
Sotto la voce “quarta fase, secondo stralcio”, sono invece segnalati i lavori sugli impianti di Cavacurta e Santo Stefano, per un finanziamento di 391mila euro. In questo caso, l’obiettivo sarebbe quello di ridurre il parametro arsenico nell’acqua, nonostante nel Lodigiano non siano superati i limiti consentiti per legge è necessario che ogni provincia dia il suo contributo a favore della causa.
In realtà, le risorse messe a disposizione non rappresentano una sorpresa per gli addetti ai lavori, perchè erano previste da tempo. «Non si tratta di una novità - fanno sapere dall’Ato, l’Autorità d’ambito di Lodi -, la Regione ha riassestato risorse già previste attraverso un accordo fatto con il ministero dell’Ambiente, per finanziare una serie di opere. Gli interventi sono stati suddivisi in quattro fasi, a seconda dell’erogazione effettuata proprio dal ministero. Le prime tre fasi, in particolare, hanno coinvolto la fognatura e la depurazione: si trattava di lavori urgenti per ridurre il più possibile l’inquinamento dell’Adriatico, in base a quanto deciso dalle direttive comunitarie».
Per poter usufruire delle risorse, però, è obbligatorio avviare tutti le opere entro due anni. E ultimarle nei due anni successivi. «L’obiettivo è quello di migliorare la qualità dell’acqua per gli utenti - sottolineano dall’Ato -, non solo per quanto riguarda il gusto, ma anche per quanto riguarda l’olfatto e la vista».
E a proposito di oro blu, secondo una ricerca dell’Istat dal 2000 al 2008 il consumo di acqua per uso domestico - nel capoluogo di provincia - ha avuto degli alti e bassi. negli ultimi tre anni è passato 72,2 metri cubi per abitanti a 79,8, scendendo poi a 77.
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Un servizio da salvaguardare soprattutto dall'intolleranza

Andrea Bagatta su Il Cittadino di oggi ci informa che è stata chiesta maggiore «collegialità» al sindaco di Casale che ribadisce la disponibilità a individuare alternative.
Lavoratori credenti, l’Udc alza la voce.
«Sulla chiusura del capannone non siamo stati informati».

Rassegna stampa.

Massima disponibilità nei confronti dei Lavoratori credenti, ma impossibilità a proseguire l’attività nel capannone di Zorlesco per motivi tecnici e di sicurezza. Questa è la posizione dell’amministrazione comunale in merito all’addio programmato del servizio di consegna mobili e arredamento usato ai poveri da parte dei Lavoratori credenti di don Peppino Barbesta, che entro l’anno lasceranno lo stabile dove operavano da 15 anni. L’Udc, però, per bocca dell’assessore Pietro Pea, si lamenta perché la situazione non è stata affrontata in modo collegiale. A luglio era stato l’assessore Luca Peviani a prendere contatto con don Peppino Barbesta dopo un sopralluogo nel capannone comunale dove si svolge il servizio. «Abbiamo contattato don Peppino Barbesta e gli abbiamo dato la massima disponibilità per arrivare a una soluzione - dice l’assessore -. I problemi di sicurezza erano evidenti anche a lui, che infatti ha concordato sull’impossibilità di continuare a usare il capannone. Purtroppo per noi è impossibile in questa fase pensare di poter sistemare a nostre spese il deposito, ma abbiamo dato la nostra disponibilità per una convenzione qualora l’associazione avesse potuto metterlo in sicurezza. Di fronte alla cifra necessaria, 170 mila euro, i Lavoratori credenti ci hanno spiegato che avrebbero valutato altre possibilità, chiedendo solo la cortesia di dare loro il tempo necessario a sistemarsi». Analoga disponibilità viene manifestata anche oggi dall’amministrazione, che per bocca del sindaco Flavio Parmesani si dice pronto a collaborare con l’associazione. «Se si tratta di sistemare il capannone o di trovare un’altra sede nel comune di Casale, siamo in difficoltà - spiega il primo cittadino -. Da parte di tutti però c’è piena disponibilità a collaborare con l’associazione per trovare una sistemazione adeguata nei paesi vicini o comunque nella Bassa». Il fronte dell’amministrazione è compatto su questa linea, in particolare nel rispetto delle condizioni di sicurezza, anche se l’Udc rimarca qualche differenza più di metodo che di sostanza sulla conduzione della vicenda. «Io non voglio pronunciarmi prima di aver affrontato la questione in giunta - afferma l’assessore Pietro Pea segretario cittadino Udc -. Infatti, di fronte a problemi di sicurezza e di salute non resta altra possibilità che la chiusura del capannone. Tuttavia il servizio dei Lavoratori credenti a favore dei poveri è da salvaguardare, e per questo c’è differenza tra indicare la sola chiusura o proporre delle soluzioni alternative. Vista la delicatezza della vicenda, spero che la giunta possa esprimersi collegialmente e non solo per bocca del sindaco o di un singolo assessore».
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Lodi dichiara guerra alla Casale leghista

Quando Lega significa stupida intolleranza o, se si vuole, intollerante stupidità: due articoli su Il Cittadino di Lodi descrivono oggi lo scoppio della bagarre tra il capoluogo e la cittadina della Bassa legadipendente sull'imminente Ramadan. Il primo è di Matteo Brunello.
Il sindaco Guerini attacca il collega Parmesani, intanto i musulmani chiedono al comune l’uso del PalaCastellotti.
La moschea di Lodi rischia di scoppiare.
Per il Ramadan potrebbero arrivare anche gli islamici della Bassa.

Rassegna stampa.

Centinaia di fedeli attesi per il Ramadan. Domani sera alla moschea di Lodi dovrebbero iniziare i riti di preghiera per il mese sacro degli islamici. E dai prossimi giorni potrebbero aggiungersi anche i musulmani della Bassa, dopo l’annunciata chiusura del luogo di culto di Casale. Un gran numero di presenze attese, che rischia di riempire la moschea di via Lodivecchio, con conseguenze su traffico e tranquillità della zona. «Già non ci stiamo noi, e per questo ci stiamo dando da fare per allargare gli spazi a nostra disposizione - spiega Sabri Sashouk, responsabile della comunità islamica di Lodi - per questo credo che con l’arrivo di altre persone la situazione diventerà più complicata. In ogni caso, credo che se anche dovesse chiudere il centro di Casale, molti si dirigeranno a Piacenza e non verranno nel capoluogo lodigiano. Certo, se arriveranno non potremo mandarli via, li accoglieremo». Sul tema è intervenuto anche il sindaco di Lodi, Lorenzo Guerini, che non ha risparmiato dure critiche al primo cittadino di Casale. In una dichiarazione Flavio Parmesani aveva detto che una soluzione per la preghiera del mese sacro, concordata anche con la comunità islamica di Casale, poteva essere quella di andare a Lodi. E Guerini ha giudicato la presa di posizione «irresponsabile, dal punto di vista istituzionale, e contraddittoria dal punto di vista politico». «La moschea di Lodi, che è luogo privato, rispetta le esigenze e le realtà di un territorio urbano come la città di Lodi - ha spiegato Guerini - per questo non credo possa assorbire una richiesta che va oltre questo bacino di utenza. In più dall’inizio del mio mandato avevo compiuto la scelta di dire no al progetto di una grande moschea in città, che avevo ritenuto sovradimensionata rispetto alla realtà locale e alla sua società. Così, sulla base anche di quella scelta, trovo poco corretto che il luogo di culto di Lodi debba assorbire i fedeli di tutto il territorio. E non accetto una soluzione da scaricabarile sui problemi, come mi pare faccia il sindaco di Casale. E poi cosa dicono su questo aspetto i vari esponenti locali della Lega, i vari Rossi e Segalini, che erano stati tra i primi a bocciare il piano di una nuova grande moschea a Lodi?».
Intanto il centro culturale islamico “Al Fath” della moschea di Lodi ha presentato ufficialmente una richiesta in comune per celebrare la preghiera conclusiva del Ramadan alla Faustina. Nello specifico, si legge nel testo che «la comunità islamica di Lodi e provincia chiede di poter usufruire del palazzetto dello sport per la preghiera di fine Ramadan possibilmente nella mattinata del 20 settembre 2009». Sul tema l’amministrazione comunale ha fatto sapere che, compatibilmente con la disponibilità della struttura, non c’è contrarietà alla concessione dello spazio pubblico. «È già accaduto qualche anno fa e non vedo perché dovrebbero esserci problemi, visto che si tratta di un utilizzo limitato nel tempo - osserva il sindaco di Lodi, Guerini -: altra cosa se avessero chiesto il palazzetto dello sport per un mese intero. Comunque, verificheremo con la Gis la disponibilità».

Casale sceglie la “linea dura”: «I fedeli vadano nel capoluogo»

«Quello spazio non è utilizzabile come luogo di culto. Stiamo cercando soluzioni alternative per il mese del Ramadan. Una delle ipotesi suggerite, anche dalla stessa comunità islamica locale, è quella di andare alla moschea di Lodi»: così si esprime il sindaco di Casale, Flavio Parmesani, sulla situazione del locale di via Fugazza, all’incrocio con la via Emilia, adibito a centro per la preghiera musulmana. Come riferito dal primo cittadino di Casale, nello stabile sono state riscontrate irregolarità, tra cui anche un utilizzo non corrispondente alla sua attuale destinazione d’uso. Per questo la chiusura dovrebbe essere ormai questione di giorni. Si pensa ad una breve moratoria, ma il mese sacro per gli islamici (il cui inizio è previsto per domani) dovrebbe essere celebrato altrove.
Il sindaco di Casale ha spiegato di aver ereditato una situazione con «un immobile non idoneo ad ospitare un luogo di culto, per questo sono stati compiuti dei sopralluoghi dall’ufficio tecnico del comune, e l’iter procedurale è quasi completato». Intanto l’amministrazione ha informato di aver già incontrato i vertici della comunità musulmana di Casale, per trovare una soluzione, anche in vista dell’inizio del mese sacro. «Potremmo decidere una proroga di qualche giorno, ma tutto dovrà essere in linea con le disposizioni di legge - riprende Parmesani -: per questo si stanno valutando altre possibilità, tra cui l’ipotesi di Lodi». La chiusura della moschea dunque è attesa e il provvedimento potrebbe arrivare a breve. Si stanno completando gli atti burocratici, ma il quadro per l’amministrazione municipale è già delineato. Tutto questo sulla base di una valutazione delle disposizioni di legge e sulla spinta anche di continue lamentele da parte dei residenti di via Fugazza sull’occupazione del suolo pubblico, sulle difficoltà di parcheggio, sui disagi vissuti dagli abitanti nei momenti d’uso di quello spazio. Si avvicina dunque il momento dello spostamento del luogo di preghiera islamica, ma per ora un’altra soluzione non è ancora stata individuata e tutti potrebbero trasferirsi a Lodi per le invocazioni del Corano.
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Fondo di solidarietà provinciale

Fondo di solidarietà, un centinaio di richieste in arrivo.
Rassegna stampa - Il Cittadino di oggi.

A settembre dovranno essere valutate le nuove richieste per distribuire ai lodigiani le risorse del fondo di solidarietà. Secondo una prima stima dei sindacati, le richieste che arriveranno sul tavolo saranno più di cento. Mario Uccellini, segretario provinciale della Cisl, ne ha in serbo una sessantina, mentre Domenico Campagnoli, segretario provinciale della Cgil, ne ha una quarantina, ma la cifra potrebbe salire nei prossimi giorni. Tra i lavoratori in difficoltà ci sono stranieri e italiani, persone che non hanno a disposizione ammortizzatori sociali o contratti di solidarietà; il fondo creato dalle istituzioni e dalle associazioni del territorio dovrebbe garantire loro almeno una boccata d’ossigeno. Per alcune famiglie del territorio, che devono arrivare alla fine del mese con un solo stipendio e con dei figli a carico, il contributo rappresenta un’ancora di salvezza. «Il 10 settembre - spiega Sergio Rancati, presidente del Consorzio per i servizi alla persona -, scadrà il termine per la presentazione delle domande, che saranno poi valutate entro il 30 settembre». Fino a questo momento sono state soddisfatte una quarantina di richieste. I sindacati sperano che tutti i sindaci del territorio diano il loro sostegno all’iniziativa, anche perché a settembre aziende e lavoratori dovranno affrontare una situazione difficile. Nelle scorse settimane, la provincia di Lodi ha inviato una lettera ai primi cittadini dei comuni, per chiedere di mettere a disposizione due euro per ogni abitante a favore del fondo. Il documento era firmato dal presidente di palazzo San Cristoforo, Pietro Foroni, dal sindaco del comune di Lodi, Lorenzo Guerini, dal presidente del Consorzio per i servizi alla persona, Sergio Rancati, e dai tre segretari provinciali di Cgil-Cisl-Uil, Domenico Campagnoli, Mario Uccellini e Fabrizio Rigoldi. Tutti i protagonisti si augurano che la risposta del Lodigiano sia positiva, soprattutto perché i segnali della ripresa non sono dietro l’angolo. Anche le associazioni di categoria hanno invocato negli ultimi tempi l’aiuto delle banche, per favorire l’accesso al credito per le imprese.
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La crisi continua

Greta Boni su Il Cittadino di oggi ci dice che i settori più in difficoltà sono chimico, metalmeccanico e costruzioni.
I sindacati: «I guai non sono ancora finiti».
La crisi “morde”, sos dalle imprese.
In un anno la cassa integrazione cresce del 400 per cento.
Rassegna stampa.

I numeri sulla cassa integrazione sono senza pietà: nel giro di un anno le ore di cig ordinaria e straordinaria sono cresciute del 392,19 per cento nel Lodigiano. Le cifre sono state pubblicate in questi giorni dalla Cisl lombarda: la ricerca mette a confronto i dati del primo semestre 2008 con quelli del primo semestre 2009. L’anno scorso nel Lodigiano le ore autorizzate di cassa integrazione ammontavano a 263.172, ma oggi sono salite a quota 1.295.308. In tutta la Lombardia, invece, sono passate da 27.821.680 a 96.048.939, con un incremento del 245,23 per cento.
A registrare la “performance” peggiore sul territorio è il settore chimico: la cassa integrazione è aumentata del 1567,89 per cento, il dato peggiore di tutta la Lombardia. Il comparto metalmeccanico ha registrato un più 278,11 per cento, mentre l’edilizia più 54,84. L’agroalimentare ha utilizzato solo la cassa integrazione ordinaria, le ore sono cresciute da 24 a 5.064, il legno ha dovuto ricorrervi per la prima volta nel 2009, raggiungendo le 45.630 ore, i trasporti e le comunicazione hanno usufruito della cassa straordinaria passando da 2.964 del 2008 alle 170.553 del 2009. Alcuni settori, però, sono rimasti fino a questo momento sostanzialmente indenni, come per esempio il commercio e il ramo dei cartai e poligrafici. Nonostante ci sia già chi parla di ripresa, non sono pochi coloro che preferiscono la prudenza. Fra questi il segretario provinciale della Cisl, Mario Uccellini, il quale non ha mai nascosto le sue previsioni: «Ci aspetta un periodo difficile - afferma -, non si respira la sensazione che la crisi sia passata e nemmeno si vede un segnale di tenuta occupazionale, per questo credo che l’emorragia non si sia arrestata. Non per essere pessimista, ma dal punto di vista occupazionale non penso che nel 2010 si vedano segnali positivi». Ci si aggrappa alla speranza che almeno alcuni settori riescano in qualche modo a sopravvivere senza grossi colpi, a differenza di quello che è successo nell’edilizia, nel settore chimico e nel comparto metalmeccanico. Per la prima volta, inoltre, anche la logistica ha dovuto subire l’assalto della crisi.
Le istituzioni e le associazioni del territorio hanno creato un fondo di solidarietà per aiutare i lavoratori in difficoltà e proprio in questi giorni è partita una lettera che chiede a tutti i comuni del territorio di partecipare all’iniziativa mettendo a disposizione due euro per abitante. Le prime risposte degli amministratori arriveranno probabilmente a settembre, dopo il periodo delle vacanze. Tutti si augurano che i comuni partecipino senza esitazioni all’iniziativa.
Anche le piccole e medie imprese hanno dovuto fare i conti con la crisi, alcune stanno resistendo senza cassa integrazione ma non sanno fino a quando potranno andare avanti con l’acqua alla gola. «Anche noi abbiamo utilizzato gli strumenti a nostra disposizione - dice Mauro Sangalli, segretario dell’Unione artigiani e referente lodigiano dell’Elba, Ente lombardo bilaterale artigianato -, nei primi sei mesi del 2009 sono stati utilizzati i contratti di solidarietà, con la riduzione degli orari di lavoro. Di solito venivano consegnate una decina di domande, questa volta le richieste arrivano da circa 200 dipendenti. Le aziende hanno cercato di non licenziare i lavoratori, per le piccole imprese le risorse umane che hanno cresciuto all’interno sono fondamentali». L’Elba, attraverso un fondo della Camera di commercio, è riuscita ad anticipare la liquidità ai dipendenti. «I prossimi mesi saranno determinanti - conclude Sangalli -, ma serve anche l’aiuto delle banche».
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I sindaci cementano, i lodigiani incrementano

Cristina Vercellone su Il Cittadino di oggi ci racconta di un boom lodigiano, quello delle nascite.
Il primario dell’ospedale Maggiore detta le regole per risolvere i casi critici: «Più nascite significherà anche più urgenze».
Baby boom nel Lodigiano: 1.500 parti.
Serve maggior personale per affrontare situazioni d’emergenza.
Rassegna stampa.

Luci basse e musica a scelta di sottofondo. Ma anche tende colorate, vasca per il parto, poltrone confortevoli, epidurale 24 ore su 24 e soprattutto personale disposto a soddisfare le richieste delle donne in attesa. Il punto nascita dell’ospedale Maggiore di Lodi è così gettonato che si avvia a raggiungere i 1.500 parti all’anno. Il 2008 si era chiuso con un totale di 1.412. Ad agosto di quest’anno l’ospedale ne conta già 20 in più. «Millecinquecento però - commenta il primario Massimo Luerti - incomincia ad essere considerevole. Più parti vuol dire anche un’organizzazione del lavoro diversa, più possibilità di avere casi complicati e necessità di una sala parto autonoma». Mentre l’amministrazione ospedaliera deve decidere come organizzare il personale della sala cesarei, che è condiviso con il resto del blocco operatorio, il direttore di reparto e i suoi collaboratori stanno stendendo un protocollo per affrontare meglio le emergenze. «Si tratta di stilare delle regole rigide per far fronte alle principali condizioni di rischio in tutta l’azienda - spiega Luerti -. I protocolli interni al reparto ci sono, ma il valore del protocollo attuale, che sarà controfirmato dalla direzione sanitaria e pubblicato sul sito, sarà maggiore». Uno dei casi di emergenza principale è l’emorragia post partum: questa, infatti, è, in Italia, ancora una delle principali cause di mortalità materna. «Introducendo delle manovre innovative - spiega Luerti - è possibile fermare l’emorragia senza togliere l’utero». Regole ben precise sono state definite anche per la distocia di spalla, che è un’altra delle emergenze più frequenti. Si verifica quando le spalle del bambino bloccano la sua nascita. «In questo caso ci sono solo 5 minuti di tempo - precisa il primario - per mettere in campo una serie di manovre in successione che tolgono il nascituro dall’empasse. E non sono per niente facili». Altri principi del protocollo riguardano, tra gli altri, le spiegazioni su come far fronte al parto prematuro e come sorvegliare la salute fetale. «Delle regole ci volevano - aggiunge Luerti -, con 1.500 parti aumenta anche la percentuale di possibili emergenze». E anche i cesarei d’urgenza saranno di più. Per affrontarli però, se questi aumentano ancora servirà una sala autonoma con strumentisti in grado di essere presenti quando è necessario. «Il cesareo d’urgenza - annota il primario - è veramente d’urgenza. Mentre un’appendicite acuta può aspettare anche due ore, un cesareo d’urgenza non può aspettare neanche un minuto. Più aumentano i numeri dei parti più questi casi diventano frequenti».
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Teste di ronda

La Lega sulle ronde: «Dopo le parole passiamo ai fatti»
Rassegna stampa - Il Cittadino di oggi.

«Sulle ronde si passi al più presto dalle parole ai fatti»: la richiesta viene dal capogruppo della Lega nord in consiglio comunale, Mauro Rossi. In un ordine del giorno urgente, presentato in consiglio, l’esponente del Carroccio invita il primo cittadino ad emanare «in tempi brevi» un’ordinanza per ricorrere ad associazioni di volontari per la sicurezza nel capoluogo. «Il sindaco di Lodi, anche in qualità di presidente Anci Lombardia, si è speso con dichiarazioni a favore dell’utilizzo di questo strumento per la sicurezza. Tuttavia ho notato che sul tema sono intervenuti dei rappresentanti di forze di maggioranza, che hanno subito preso le distanze da questa possibilità - osserva Rossi - . La preoccupazione è che si presti credito a tali dichiarazioni, che sono di stampo puramente ideologico». Il rappresentante leghista in comune ha evidenziato, che seppure in città non esista un’emergenza criminalità, l’utilizzo di volontari come osservatori del territorio è uno strumento in più per garantire sicurezza. «Le si chiami come si vuole queste iniziative, ma si evitino retaggi mentali che appartengono al passato», spiega Rossi. E il riferimento viene chiarito nell’odg urgente, portato in comune: «Come da dichiarazioni rilasciate a mezzo stampa, alcune forze politiche che sostengono l’attuale maggioranza negherebbero di fatto la possibilità a tutti i cittadini di Lodi, compresi quelli che non li avevano votati, di dotarsi di un efficace strumento di prevenzione e controllo della legalità e della sicurezza, tra l’altro gratuito e riconosciuto per legge». E nel testo viene anche citato l’impegno del primo cittadino su questo tema: «Considerato che il sindaco di Lodi si era più volte espresso favorevolmente circa le disposizioni contenute nel cosiddetto pacchetto sicurezza e più segnatamente all’utilizzo delle cosiddette ronde cittadine di volontari». Un discorso, quello della vigilanza attiva dei cittadini, che potrebbe così presto approdare in consiglio comunale.
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