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domenica 16 agosto 2009

Favole e fatti

Riprendiamo da Liberazione di ieri un interessante articolo di Roberto Farneti relativo al rapporto della Cgia di Mestre.
Cresce l'indebitamento delle famiglie anche al Sud, segnala la Cgia di Mestre. Ferrero: «Stop aiuti ai ricchi, aumentare i salari».
Crisi, smentite le favole di Berlusconi.
Confindustria: la disoccupazione salirà.
Rassegna stampa.

Altro che stop alla crisi. Quello che sembra possa valere per le locomotive europee Francia e Germania, le cui economie nel secondo trimestre 2009 sono tornate a crescere dello 0,3%, non vale purtroppo per l'Italia. E ciò non solo perché il paese continua a viaggiare nel tunnel della recessione (il Pil ha perso lo 0,5%) ma soprattutto perché, non avendo il governo messo in campo politiche adeguate di sostegno alle imprese e ai consumi, l'Italia avrà maggiori difficoltà nell'agganciare il treno della graduale ripresa, prevista a partire dal prossimo anno.
Se qualche segnale confortante arriva dalle esportazioni «che mostrano - spiega sul Sole 24 Ore Enrico Giovannini, da pochi giorni presidente dell'Istat - un certo dinamismo verso i paesi meno colpiti dalla crisi economica come la Cina», lo stesso non si può dire per la domanda interna. A causa della crisi e dei bassi salari, infatti, gli italiani fanno sempre più fatica ad arrivare alla fine del mese.
Con il risultato che i consumi sono in picchiata e che l'indebitamento medio delle famiglie - causato dall'accensione di mutui per l'acquisto della casa, dai prestiti per l'acquisto di beni mobili, dal credito al consumo, dai finanziamenti per la ristrutturazione di beni immobili - ha toccato nel dicembre del 2008 i 15mila euro. A rilevarlo è una analisi della Cgia di Mestre, da cui si apprende anche che dall'introduzione dell'euro ad oggi l'indebitamento medio delle famiglie italiane è cresciuto dell'81%. A livello provinciale le "sofferenze" maggiori sono a carico delle famiglie di Lodi (20.960,45 euro), seguite da quelle di Roma (20.953,6) e di Milano (20.857,3), ma è significativo che si ritrovino sopra la media tante realtà provinciali della Puglia, della Campania e dell'Abruzzo, ossia zone caratterizzate da livelli di reddito mediamente inferiori rispetto a quelli del nord. Basti dire che, a fronte di una media nazionale per ciascun contribuente pari a 18.890 euro - calcolata dall'Associazione nazionale consulenti tributari sulla base delle anticipazioni diffuse dal Dipartimento delle Finanze sulle dichiarazioni dei redditi presentate nel 2008 -, dieci Regioni del Centro Sud, comprese le due Isole, sono al di sotto di questo valore.
Le associazioni dei consumatori non ci stanno e puntano il dito contro il governo. Invece di «aiutare le famiglie indebitate, contribuendo così indirettamente a far lievitare il Pil grazie ad un rilancio dei consumi, Tremonti e Berlusconi - accusa il Codacons - hanno puntato ad aiutare in primo luogo banche ed imprese, continua l'associazione - lasciando le briciole ai consumatori e limitandosi, per le famiglie, a due provvedimenti spot: 2,4 miliardi di euro per il bonus famiglie e 40 euro al mese di social card per 600mila persone, a fronte di dati Istat secondo i quali il 19,1 % della popolazione italiana, ossia circa 4 milioni e 633 mila famiglie, non arriva a fine mese, essendo poco sopra la soglia di povertà».
Per parte sua l'Adiconsum annuncia che richiederà «all'Abi, sotto l'alta supervisione del Governo, la sottoscrizione di un "avviso comune"», come avvenuto con Confindustria. «Le famiglie sono in difficoltà nel pagare la rata del mutuo o i vari prestiti contratti con il credito al consumo - osserva l'Adiconsum - per questo è indispensabile che, come per le imprese, anche per le famiglie venga prevista una moratoria sui prestiti, per evitare che molte di esse cadano nell'illegalità».
In questo contesto, rappresenta una magra consolazione il fatto che la corsa dei prezzi - secondo l'Istat - si sia fermata, dal momento che in molti paesi dell'area euro l'inflazione ha addirittura ingranato la retromarcia. Da qui il calo record del tasso medio annuo registrato a luglio da Eurostat: meno 0,7%.
Tutti numeri che dimostrano che l'ottimismo di Silvio Berlusconi («l'Italia è il paese che va meglio in Europa», ha affermato di recente il presidente del Consiglio) è pura propaganda. Tuttavia, specie quando si parla di economia, il tempo è galantuomo. Prima o poi, la verità viene a galla, sospinta verso l'alto dalle condizioni di vita concrete delle persone: «Non credo che il peggio debba ancora arrivare però la ripresa è lenta», ammette ora il ministro delle Riforme Umberto Bossi. Anche Confindustria non crede alla favola che la crisi sia finita: «Nella seconda parte di quest'anno e nel 2010 probabilmente la caduta del Pil si ridurrà - prevede Giampaolo Galli, direttore generale di viale dell'Astronomia - ma salirà la disoccupazione, perchè molti giovani e immigrati non troveranno lavoro e anche perchè si manifesteranno situazioni di crisi aziendale».Chi non ha mai creduto alle bugie del governo è la sinistra: «Gli ultimi dati sull'andamento dell'inflazione e sull'indebitamento delle famiglie italiane dicono che la crisi è lungi dal risolversi e si sta anzi aggravando», afferma il segretario di Rifondazione comunista Paolo Ferrero. «La causa prima della crisi - sottolinea Ferrero - sono precisamente le politiche economiche attuate dalle destre, che sostengono unicamente le rendite e i redditi più elevati a discapito di lavoratori dipendenti, pensionati e inoccupati». Il problema è che «senza intervenire attraverso un aumento generalizzato dei salari e la redistribuzione del reddito - avverte il segretario del Prc - non ci sarà via d'uscita reale dalla crisi, perchè le famiglie continueranno a indebitarsi e i consumi non potranno riprendere».

L'Italia in miseria

Riproponiamo l'editoriale di Carlo Daccò su Il Cittadino di ieri.
Editoriale. Otto milioni alla soglia della povertà.
Rassegna stampa.

La situazione che ci attende dopo le vacanze estive non sarà delle migliori, nonostante si cerchi di assicurare che il trend negativo della crisi si sia fermato. I dati, che parlano eloquentemente, non lasciano spazio a ben sperare, bensì ad illusioni. Basta guardarci in casa nostra: nelle scorse settimane abbiamo letto che più di ottanta aziende a settembre avranno i cancelli chiusi. E non manca giorno che ci porti ulteriori novità dolorose. Troveremo otto milioni di italiani sulla soglia della povertà, dei quali tre milioni al di sotto di detta soglia. Cioè in miseria. Questi sono i numeri recenti e reali, non inventati, che accompagnano queste giornate d’agosto nelle quali, chi ancora ce l’ha fatta, e speriamo senza nuovi indebitamenti, si è permesso un’ultima boccata d’aria.
Le richieste di aiuto che in questi mesi sono arrivate nelle diocesi che hanno aperto fondi di solidarietà hanno segnalato una escalation paurosa, e gli ammortizzatori sociali non riescono a soddisfare nemmeno le necessità primarie. La Chiesa con i suoi organismi di carità fa quello che può, ma il pozzo ha un fondo prossimo a prosciugarsi.
I giovani precari che perdono il lavoro ritornano a carico dei genitori, e non per mammismo; molte giovani famiglie si appoggiano ai nonni pensionati; i cinquantenni sono ormai votati alla disoccupazione stabile. C’è proprio di che essere ottimisti! Una povertà così diffusa, si parla del 13% della popolazione, forse non si è avuta se non dopo la seconda guerra mondiale, quando un Paese sconfitto si trovò nella miseria più nera. Lì si dovette veramente abbandonarsi alla speranza in una ripresa; ma questa speranza poggiava su basi fondate, perché il futuro del Paese era affidato a persone di valore, il cui peso politico ed umano fu capace di conquistarsi la stima e la fiducia non solo del popolo, ma addirittura dei governi vincitori, che hanno accettato la nostra cambiale in bianco, garantita soltanto dalla serietà di chi ci governava.
Ci volle la forza di politici di alta statura intellettuale e morale, di quei “santi” che rispondono ai nomi di De Gasperi, La Pira, Dossetti, Lazzati, Moro, e di molti altri politici, appartenenti anche schieramenti o a ideologie opposte, ma che si misero insieme faticando con saggezza per il bene comune. Uso di proposito il termine di “santi”, non solo perché su molti di essi è in corso il processo di beatificazione, ma perché tutti, secondo le loro opzioni, anche non cristiane, esercitarono doti eroiche per servire lo Stato e rimettere in piedi un’Italia allo sbando. E ci riuscirono. Innanzitutto dotandola di una Costituzione di cui ancora oggi apprezziamo e godiamo i valori di democrazia, di giustizia, di solidarietà; e poi testimoniando personalmente quei valori morali vissuti sulla propria pelle e spesi per ricostruire sulle macerie materiali e spirituali di un Paese che aveva provato col sangue cosa significasse perdere democrazia e libertà.
Qualcuno lamenta, oggi, la mancanza di politici di quella statura, tuttavia di essi ci rimane la storia con il loro esempio, il loro magistero, la prova provata di una militanza di trasparente onestà, spesa per ridare pane e lavoro a tutti. Tuttavia anche oggi, se pensassimo un po’ più politicamente e usassimo meglio quel discernimento libero da pregiudizi, potremmo trovare ancora politici di buon livello, di lungimiranza e di sicura moralità. Alcuni di questi li abbiamo demoliti proprio con le nostre mani! Noi ora non pretendiamo altri santi: ci bastano persone serie, capaci di mettere in giusta scala le necessità primarie di un Paese, usando professionalità e quella saggezza del buon padre di famiglia.
Tuttavia in un sistema democratico succede che il prodotto comprato non è stato sempre ben valutato, ed ora ci si accorge che la merce è scadente. È inutile nasconderci che un po’ tutti siamo stati imbavagliati da una pseudocultura mediatica che ci ha lavato il cervello o che ci ha portato dietro l’onda, e poi ci ha chiesto il conto. Non è forse vero che anche ora, quando acquistiamo prodotti di consumo, siamo attratti più dalle immagini che dalla sostanza? Trent’anni di TV commerciale ci ha indottrinato a suo profitto. Ci è anche mancata profezia, o non l’abbiamo ascoltata, in tutti i campi; mentre la formazione per una cittadinanza responsabile è stata pressoché abbandonata.
Se vogliamo una suonata diversa, oggi serve una mentalità nuova, alla quale dobbiamo educarci con fatica e farci educare da chi ancora lotta per trasmettere valori di giustizia sociale, di rispetto della dignità della persona, di ogni vita umana in tutti i vari momenti dell’esistenza. È legittimo aspettarsi dai nostri governanti una politica che affronti seriamente la crisi. Ma tutti, in qualche modo dobbiamo fare la nostra parte, magari incominciando a pensare politicamente, al di sopra delle tifoserie. Cosa succederebbe se gli otto milioni di poveri, stanchi di essere ignorati, nauseati da scandali e simili, si mettessero insieme per gridare la loro sete di dignità? Potrebbero far saltare l’establishment. Sarebbe una rivoluzione!
Diritti e doveri richiedono una politica capace di coniugare simultaneamente queste due necessità. Ma senza sconti o privilegi per nessuno, come sta invece avvenendo oggi con lo scudo fiscale che ancora premia chi è stato disonesto ed ha fatto il furbo.
Chi ha letto la recente enciclica di Papa Benedetto “Caritas in Veritate”; e non sono mancati pubblici elogi e condivisione piena da parte di chi pigia i bottoni della politica e si autodichiara cristiano, non avrebbe potuto in coscienza votare alcune leggi passate in questi giorni sulla pelle degli ultimi. Fortunatamente, tuttavia, il documento non ha la data di scadenza, come i prodotti della società dei consumi, tanto auspicata come unica via per l’uscita dalla crisi. Allora lo si legga per intero, perché contiene valori umani e cristiani utili per un radicale cambiamento della società, mondiale e nazionale.
E lo si traduca nei fatti, perché vi ci si trova, ancora una volta, e in maniera aggiornata, la chiave per rispettare ogni persona, la sua vita, la sua dignità.

Rifondazione vs Lega

L'appello bossiano all'abbraccio coi padroni e la vera "natura" del leghismo che si disvela.
Agrippa, l'Umberto, la borghesia e gli «inconvenienti della società».

Rassegna stampa - Liberazione di ieri.

« ...inde apparuit ventris haud segne ministerium esse, eumque acceptos cibos per omnia membra disserere, et cum eo in gratiam redierunt ». Dev'essere che l'Agrippa Memenio Lanato autore del famigerato apologo del 493 avanti Cristo per ricondurre a ragione la plebe dell'Urbe in rivolta nella secessione del Monte Sacro fu lo stesso che dieci anni prima, eletto console, aveva sottomesso a Roma i vicini Sabini, parenti dei meridionali Sanniti. Ma insomma, che proprio d'una così tipica figura di (potente) romano antico volesse ripercorrere le gesta proprio il padano e anti-romano che più non si può, Umberto Bossi, chi se l'immaginava? Eppure, è così. La dichiarazione bossiana di ieri a proposito della lotta degli operai della Innse e del suo attuale successo - «Quella lotta ha pagato, ma ora non si deve dare il via alla lotta di classe» - sembra mutuare proprio gli argomenti e l'immagine organicista dei rapporti sociali affermata da Agrippa più di 2mila e 500 anni fa, quando il profeta del dio Po dice: «Oggi gli imprenditori sono dei poveri disgraziati. Non si deve pensare che sono contro gli operai, lavorano anche loro per il bene delle fabbriche». Appunto: l'agrippiano stomaco contro cui le membra protestano, ma che è fondamentale per la loro stessa vita. Certo, l'Umberto è un pragmatico; dunque, sottopone il suo appello all'ecumenismo interclassista ad un certo qual vincolo contingente. «Oggi», annota: oggi «non è il momento per quelle cose lì». Oggi che c'è la crisi. In verità: oggi che «quelle cose lì» possono spaventare di più, perché è ragionevole prevedere che avvengano.
Seriamente. C'è un noto passo della terza parte del "Manifesto del partito comunista", che almeno non risale a 2 millenni e mezzo or sono bensì a 161 anni fa , nel quale Karl Marx e Friedrich Engels - due buonteponi dell'epoca cui oggi, quando c'è la crisi, Time e Newsweek si sentono costretti a rendere omaggio - per descrivere «il socialismo conservatore o borghese» premettono una frase folgorante: «Una parte della borghesia desidera di portar rimedio agli inconvenienti sociali, per garantire l'esistenza della società borghese». E argomentano qualche riga dopo: «I borghesi socialisti vogliono le condizioni di vita della società moderna senza le lotte e i pericoli che necessariamente ne derivano». Come «la borghesia si raffigura naturalmente il mondo ov'essa domina come il migliore dei mondi», così questo «socialismo borghese non fa in sostanza che pretendere dal proletariato che esso rimanga fermo nella società attuale, ma rinunci alle odiose idee che di essa s'è fatto». Quindi, Marx e Engels ne riassumono la proiezione «retorica», più che programmatica: «Libero commercio! nell'interesse della classe operaia; dazi protettivi! nell'interesse della classe operaia; carcere cellulare! nell'interesse della classe operaia». Annotando: «Questa è l'ultima parola, l'unica detta seriamente, del socialismo borghese». Conclusione: «Il loro socialismo consiste appunto nell'affermazione che i borghesi sono borghesi - nell'interesse della classe operaia».
Ecco: quando queste idee si sono coniugate al cancro del nazionalismo, se n'è sviluppato un veleno della storia quale fu il nazionalsocialismo. Ossia, il nazismo - con il suo precursore nel fascismo italiano, non a caso fondato da un socialista traditore quale Benito Mussolini. Diverso, certo, l'esito dell'uso che invece ne ha fatto la Chiesa cattolica: quando, superata per forza di cose e d'interesse l'avversione alla borghesia, ha cercato comunque un controllo del "moderno" proprio attraverso l'interclassimo - e ne ha fatto la sua bandiera, come sancito dalla Rerum Novarum .
Tutto questo per dire semplicemente che, in effetti, l'accorato appello alla rinuncia alla «lotta di classe» da parte di Umberto Bossi spazza via un po' di panzane. Quelle che negli anni si sono sprecate, ad esempio, proprio a proposito della "natura" della Lega Nord: pronunciate soprattutto da parte di chi da essa s'è visto sconfitto e ne ha derivato un complesso d'inferiorità col quale in realtà sublima ogni senso di colpa nei confronti dei referenti sociali che avrebbe dovuto tutelare. Sono le panzane riassumibili approssimativamente in una, principale; e cioè che il leghismo tenderebbe a presentarsi come un nuovo "partito operaio". Una variante ne è stata l'indimenticabile definizione dalemiana della «Lega costola del movimento operaio». Definizione, quest'ultima, che quanto meno ha un che di rivelatore, su chi l'ha pronunciata e sul «movimento operaio» che rappresentava.
Il leghismo, in grazie della viva voce di chi ne fu l'inventore e tuttora ne è a capo, si presenta per quel che è: non proprio nazi-fascismo ma ad esso molto affine, benché del fascismo «romano» abbia sempre fatto un avversario simbolico; e non più egemonia democristiana ma di essa, malgrado il bossiano disprezzo per la stessa Chiesa «romana», degno successore nel Settentrione. Perché di entrambi ripropone una comune funzione, certo diversamente svolta: appunto quella di esorcizzare, per coazione più o meno brutale, gli «inconvenienti della società», a pro della conservazione del suo ordine di dominio. Come comprova il suo feroce e "aggiornato" razzismo, il leghismo tende piuttosto alla prima matrice ed è con essa che sostituisce la seconda, nei suoi territori d'elezione.
D'altronde, la sortita dell'Umberto di panzana ne spazza via anche un'altra, di genere diverso (ma non troppo). E cioè che la "specificità" italiana attuale sarebbe tale che, malgrado la crisi e la sua globalità, da queste parti non bisogna aspettarsi conflitto sociale - che è pur un modo di prevenirne il rischio e, soprattutto, preparasi a reprimerlo. Se è il Bossi tanto "in sintonia" con "l'anima" della produttiva società nord-italiana, a sentire il bisogno di far appello ai subalterni affinché non si inoltrino nella «lotta di classe», c'è da starlo a sentire: evidentemente quel "rischio" c'è, eccome.

Pd e primarie

Il Pd verso il congresso.
Speciale, [13].
Un po' di numeri.

Sulla questione delle primarie d’ottobre del Pd, che dovrebbero decidere il segretario del partito, è stato realizzato da Simulation Intelligence Sìmera tra il 07/07/2009 ed il 10/07/2009 e pubblicato il 24 luglio un interessante sondaggio basato su un campione casuale rappresentativo dell’universo dei cittadini italiani dai 18 anni in su, attraverso 1.000 interviste telematiche effettive. Evidentemente il sondaggio è stato attuato prima dell’ammissione finale di tre soli candidati, Bersani, Franceschini e Marino. Ma proprio per questo è ancor di più degno di attenzione.
La prima domanda era: “Pensa di andare a votare ad ottobre alle primarie del PD?”, con le risposte possibili: “sicuramente si”, “probabilmente si”, “probabilmente no” e “sicuramente no”. Come si vede dal grafico sottostante, solo l’11 per cento degli interrogati ha dichiarato con sicurezza la loro intenzione di partecipare all’evento.

La seconda domanda era “Conosce il nome di qualche candidato?” con risposte spontanee. I nomi, uno o più, dunque forniti dagli interrogati erano relativi a presunti possibili candidati, convinzione formata evidentemente dall’informazione dei media o da proprie ipotesi, e Franceschini è stato indicato nel 49 per cento dei casi, secondo Bersani nel 36 per cento, Grillo (perché allora era aperta la querelle) nel 33 per cento dei casi, Marino nel 21 per cento, e via via nell’ordine Fassino, D’Alema, Veltroni, Prodi, Rutelli e Adinolfi.
Interessante il terzo quesito: “Le leggo i nomi degli attuali potenziali candidati. Lei, sia che abbia intenzione di andare a votare o no, chi vorrebbe come segretario del PD? - Mario Adinolfi - Pierluigi Bersani - Dario Franceschini - Beppe Grillo - Ignazio Marino - Nessuno di loro - Non so”. Ha dato questo risultato in valori percentuali: Bersani 25, Franceschini 10, Grillo 10, Marino 5, Adinolfi 1. Molto più consistenti i due “partiti” del “nessuno di loro”, 28 per cento, e del “non so”, 31 per cento.
L’ultimo quesito era: “Se si votasse domani…? - Mario Adinolfi - Pierluigi Bersani - Dario Franceschini - Beppe Grillo - Ignazio Marino” che ha dato questo esito: Bersani 41%, Franceschini 28%, Marino 8%. Da tener conto che i due non candidati attuali, Grillo e Adinolfi, hanno preso rispettivamente il 22 e l’1 per cento, che se spostati su Marino sarebbero comunque insufficienti, ma su Franceschini bastanti per superare alla grande Bersani.
E veniamo al sondaggio più recente di IPR Marketing (committente Associazione "Per l'Italia"), diffuso su Il Riformista l’11 agosto, di cui si è detto in precedenti post nel blog. Per il sondaggio è stato utilizzato un campione rappresentativo dell'universo di riferimento (residenti con età uguale o superiore a16 anni ) disaggregato per sesso, età, area di residenza ed ampiezza comune, costituito da 8138 intervistati telefonicamente residenti in Italia con età uguale o superiore ad anni 16. Il primo quesito era: “Il 25 ottobre all’interno del Partito Democratico si voterà per eleggere il nuovo segretario nazionale. Lei pensa di andare a votare per le elezioni primarie interne al Partito Democratico?”. Queste le percentuali delle risposte relative all’intero corpo elettorale: Sicuramente sì 8, Probabilmente sì 11, Probabilmente no 45, Sicuramente no 25, Non sa 11. Riguardo al sottoinsieme dell’elettorato del Pd, queste le risposte: Sicuramente sì 22, Probabilmente sì 34, Probabilmente no 13, Sicuramente no 18, Non sa 13. La possibile partecipazione, minimamente certa, alla scelta del segretario nel popolo del Pd andrebbe insomma dal 22 al 56 per cento degli elettori.
E veniamo alla domanda “Come prossimo segretario nazionale del Partito Democratico, Lei chi preferirebbe fra: Bersani, Franceschini, Marino”, domanda che è stata posta soltanto a chi ha dichiarato di essere propenso di andare a votare alle primarie del 25 ottobre (in totale 651 intervistati). Le percentuali dei risultati che riportiamo di seguito, sono calcolate al netto dei “Non sa/Non indica” (18%): Pierluigi Bersani 54%, Dario Franceschini 35%, Ignazio Marino 11.
Considerando le dichiarazioni escluse dei “Non sa/Non indica” riguardo ai due leader che si giocheranno la segreteria si ha un Bersani al 45 per cento e un Franceschini al 29 per cento (Marino rimane all’8%, stesso risultato dell’altro sondaggio). Dunque, i giochi sono tuttora aperti.

(13 - continua)