Fuori dai denti - Il corsivo di Brembiolus
Il blog della minoranza consiliare di destra “Brembio che cambia” riporta una frase tratta dal settimanale “Tempi” con l’intenzione forse di dimostrare che i “miti” della Chiesa attuale non si muovono sui binari del politically correct, che per dogma berlusconiano è ovviamente solo ed esclusivamente quello di ricercare il plauso della destra del predellino. Chi per caso e per fortuna ne raccoglie da altri ambiti e ambienti, come capita, ad esempio, sempre più spesso al presidente della Camera, va ridicolizzato, stritolato, affogato nella sua presunta contraddizione.
Mutatis mutandis qual è il mestiere di Carlo Maria Martini? si chiede il settimanale citato. Quello del biblista e pastore della Chiesa cattolica? E allora perché ha firmato una molto lusinghiera introduzione a un volume-manifesto del candidato alla segreteria Pd Ignazio Marino? Tutto qua? Dove sta il problema? Forse doveva prendere il manganello e bastonare il blasfemo “mite pannelliano”, come viene definito il reprobo Marino?
Non è certo intenzione di chi scrive difendere posizioni politiche non sue come quelle di Marino, ma si permetterà di chiosare che forse il giro di escort e di squillo di lusso ed altre tante nefandezze che fanno gridare al disgusto una nazione, non sono un buon pulpito da dove diffondere urbi et orbi anatemi. Recensire il libro di un blasfemo significa automaticamente sposarne e osannarne idee e filosofia? Se sì, che dire di chi li pubblica? Il libro è pubblicato da Einaudi, che come si sa dal 1994 fa parte del Gruppo Mondadori, cioè gira e rigira è pubblicato da Berlusconi. Perché non ci si chiede quale alla fin fine sia il mestiere anche di Silvio Berlusconi?
Ma non si vuole pretendere tanto. Mi basterebbe altro, minima cosa. Il settimanale chiude: “Quello di Feltri lo conosciamo. Ma che mestiere fa l’arcivescovo emerito di Milano?”. La mia curiosità, poiché non lo so, sono sincero, sta invece proprio nell’individuare il mestiere di Feltri. E visto che il redattore del blog, lui pure par di capire, lo conosce, potrebbe palesarlo a me pure?
PS. Inviterei a riflettere su queste parole di Giulio Einaudi: «È a questo principio della “religione della libertà” che ancor oggi la casa editrice si richiama, ben sapendo che i vari libri che essa pubblica sono al servizio di un sapere unitario e molteplice, ben sapendo che ogni libro si integra agli altri suoi libri, ben sapendo che senza questa integrazione, questa compenetrazione dialettica si rompe un filo invisibile che lega ogni libro all’altro, si interrompe un circuito, anch’esso invisibile, che solo dà significato a una casa editrice di cultura, il circuito della libertà».
Ma cosa ha scritto di così sconvolgente l'arcivescovo emerito di Milano? Qui sotto il testo.
La medicina e le mani di Dio. Il giudizio della persona è centrale.Carlo Maria Martini - Corriere della Sera, 6 settembre 2009.
«Padre, nelle tue mani consegno il mio spirito»: sono, secondo l’evangelista Luca (23,46), le ultime parole che Gesù morente «grida a gran voce ». Sono parole già presenti nella tradizione ebraica, dove figurano nel Salmo 31, una sofferta preghiera nella prova, che inizia con le parole «In te, Signore, mi sono rifugiato; mai sarò deluso». Al verso 6 si trovano le parole fatte proprie da Gesù morente: «Alle tue mani affido il mio spirito; tu mi hai riscattato, Signore, Dio fedele». Ma molte altre nella Bibbia sono le espressioni che indicano un abbandono dell’uomo nelle mani di Dio, come ad esempio il Sal 16[17],7: «Mi affido alle tue mani; tu mi riscatti, Signore Dio fedele». Nel Vangelo si può notare che Gesù, invece di invocare il «Signore, Dio fedele», si rivolge al «Padre», il che dà all’affidamento una accentuazione di ancora maggiore fiducia e tenerezza.
Noi sappiamo bene che questo concetto del «mi affido alle tue mani» è decisivo per ogni esistenza umana, a partire dal buttarsi fiducioso del piccolo nelle braccia della mamma e del papà, fino a tutte quelle realtà a cui affidiamo una buona parte della nostra crescita e della nostra maturazione, come la scuola, il gruppo di amici, le autorità civili e politiche, l’opinione pubblica e così via.
C’è oggi un’altra autorità a cui, più che in passato, noi sentiamo a un certo punto di essere «nelle sue mani». È l’autorità del medico, soprattutto quella che sopravviene quando non siamo più capaci di aiutarci da soli nella nostra vita fisica, quando si sviluppano in noi malattie gravi, che richiedono una cura competente e prolungata. Per questo il titolo dato al suo ultimo libro da Ignazio Marino Nelle tue mani: medicina, fede, etica e diritti corrisponde a questa esperienza di mettere, in certi momenti, il nostro futuro e la nostra sopravvivenza nelle mani di chi ha studiato il corpo umano, le sue malattie e le sorprese che esso può riserbarci: quali sono in questo caso le mie giuste aspettative, quali i miei diritti e doveri, che cosa spetta alle autorità pubbliche, quali i dilemmi che il medico vive in prima persona?
Emerge così chiaramente che quell’espressione «nelle tue mani » non si riferisce soltanto ad altri, ma tocca anche in prima persona ciascuno di noi, che sente di essere «nelle proprie mani». Così vengono a collegarsi i due elementi, cioè la forza della medicina e il sapiente e prudente giudizio della persona. I progressi dell’arte medica potrebbero portare avanti per molto tempo, usufruendo di macchine spesso complicate, anche una esistenza senza più coscienza né contatti con il mondo circostante, ridotta a pura vita vegetativa. Qui interviene il giudizio prudenziale non solo del medico, ma anzitutto della persona interessata o di chi ne ha la responsabilità, per distinguere tra mezzi ordinari e mezzi straordinari e decidere di quali mezzi straordinari vuole ancora servirsi.
Il libro esamina tanta di questa casistica e lo fa non tanto con assiomi generali, ma con la memoria di fatti avvenuti, di cui l’autore è stato testimone in prima persona. Una tale situazione in cui la vita fisica si trova in pericolo è anche l’occasione per descrivere da vicino i problemi e i dilemmi che si pongono al malato come al medico e a tutti coloro che hanno a cuore il malato stesso. Le enormi possibilità della scienza medica pongono non di rado di fronte a situazioni in cui è molto difficile stabilire che cosa sia un «rimedio ordinario», cioè quegli strumenti che ciascuno è tenuto, non per obbligo legale, ma per dovere e impulso interiore, a utilizzare, e che cosa siano invece quei «mezzi straordinari » che il malato o chi lo rappresenta, può decidere per ragionevoli motivi, di utilizzare o di respingere. Nasce qui quella domanda che vediamo emergere sempre più distintamente nel dibattito pubblico: fino a che punto può e deve spingersi la medicina? Certamente, come afferma l’autore «è dovere del medico non accanirsi, sapersi fermare quando non c’è più nulla da fare anche se questo provoca frustrazioni e sconforto». Ma quando si verificano questi casi, che vorremmo ancora chiamare «estremi », in particolare quando «c’è uno stato che non solo impedisce di esprimersi e di relazionarsi col mondo esterno, ma blocca la coscienza e riduce la persona a un puro vegetare e tale stato si rivela, dopo un attento e prolungato esame, come irreversibile?».
L’autore cerca di informare il lettore di tutte queste realtà e queste possibilità, pubblicando anche i documenti relativi, talora poco noti. Come narratore, egli ci fa partecipare ai suoi dubbi e alle sue certezze, facendoci per così dire vivere come in prima persona gli eventi narrati. Non si tratta solo di eventi riguardanti l’interrogativo dei limiti della medicina, ma anche di fatti riguardanti per esempio le sfide della sperimentazione, in particolare dei trapianti. Dal tutto traspare una umanità e una onestà nel considerare i singoli casi che spinge alla fiducia nel mettersi «nelle mani» di tanti servitori della vita. Ciò però non esclude il rischio e la responsabilità che ciascuno deve saper assumere quando venisse il momento di farlo. È così che chi sente il mistero di Dio incombere sulla propria vita potrà anche esprimere quella fiducia nelle mani del Padre, da cui siamo partiti in questa breve riflessione.