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domenica 11 ottobre 2009

Se lo avesse fatto D'Alema una rivoluzione

La Casta, l'onda anti-privilegi è stata narcotizzata: è peggio di prima.
Intervista di Marco Lillo a Gian Antonio Stella.
Rassegna stampa - Il Fatto Quotidiano, 11 ottobre 2009.

La Casta oggi è più forte e il ripristino dell'immunità potrebbe rappresentare la chiusura di un processo di restaurazione. Però per Gian Antonio Stella, firma di punta del “Corriere della sera” e autore del best seller "La casta", scritto nel 2007 con Sergio Rizzo "l'azione dei magistrati non credo preoccupi più di tanto i politici. I pm non fanno paura al cittadino qualunque, figurarsi ai potenti".
Si riparla di immunità, la corruzione dilaga. Due anni dopo, cosa rimane dell'ondata di indignazione seguita al vostro libro nel 2007?
Bisogna accettare l'idea che l'indignazione collettiva non è un sentimento eterno ma un'onda che va e viene. Ora mi sembra siamo in piena risacca.
Ora si parla addirittura di ripristinare l'immunità. Secondo lei, se lo facessero, ci sarebbe una scossa?
Non mi stupirei se la destra introducesse una qualche forma di immunità. Anzi. Se saranno bravi ad agghindarla bene, il centrosinistra potrebbe anche accettarla.
E i suoi lettori? Quelli che protestavano contro i ministri Mastella e Rutelli che usavano gli aerei di stato per andare al Gran Premio? Non fiateranno?
Mi sono chiesto spesso cosa sarebbe accaduto se "La casta" fosse uscito oggi. Chissà se avrebbe avuto quel successo. Non credo. L'elettore di centrodestra è di bocca più buona. Berlusconi ha usato un elicottero della Protezione civile per andare al centro Messeguè a fare i massaggi. Ti immagini cosa sarebbe accaduto se lo avesse fatto D'Alema? Una rivoluzione!
Perché ai leader di destra invece perdonano tutto?
Magari non perdonano. Però ci passano sopra. Persino quando si vedono i vigili del fuoco che fanno da accompagnatori a Gianfranco Fini durante le sue immersioni, quasi nessuno si indigna. Gli elettori di sinistra no, loro hanno punito duramente i leader che avevano snobbato l'indignazione popolare come un sentimento "di destra". Non era così. Ma l'hanno capito troppo tardi.
D'altra parte perché l'indignazione dei cittadini su questi temi è sana in Inghilterra e qui è bollata di qualunquismo?
Sembra che i politici in questo periodo non abbiano limiti né controlli. Il periodo è quello che è. La magistratura mi sembra che abbia il morale basso, l'opposizione anche. Ma il primo controllo che non funziona è proprio l'elettorato. Se la Casta è più forte è perché ha il consenso. Oggi il dibattito è tutto qui: noi abbiamo vinto, voi perso. Fine.
Ma se i media raccontassero bene gli elicotteri di Berlusconi, e tutto il resto, sarebbe lo stesso?
Non credo. È chiaro che le tv hanno un ruolo fondamentale. I giornali, più o meno, fanno il loro dovere. Ma le televisioni che orientano gran parte dell'opinione pubblica non raccontano più tutto come due anni fa. E se non sai le cose, come fai a indignarti?

Tutto cominciò con le monetine contro Craxi.
Quando lo sdegno popolare costrinse il Parlamento ad abolire l’immunità che si era trasformata in impunità.
Rassegna stampa - Il Fatto Quotidiano, Marco Travaglio, 11 ottobre 2009.

Il 29 aprile 1993, di buon mattino, i ministri del nuovo governo Ciampi, subentrato ad Amato, giurano davanti al presidente Scalfaro. Nel pomeriggio la Camera deve votare pro o contro cinque richieste di autorizzazione della Procura di Milano contro Bettino Craxi, accusato di corruzione, concussione e finanziamento illecito. La giunta di Montecitorio ha già detto sí, escludendo che le accuse del pool siano viziate da fumus persecutionis. Craxi si difende per 53 minuti. Intona il “così fan tutti”, strilla contro i “processi sommari di piazza”, evoca complotti.
A favore dell’autorizzazione a procedere si dichiarano Rifondazione, Pds, Rete, verdi, radicali, Pri, Lega e Msi. La Camera vota a scrutinio segreto e per quattro volte respinge le richieste dei magistrati. Accolta (e per appena due voti) solo una richiesta. L’aula diventa una bolgia. ”Ladri! Ladri!”, gridano in coro le opposizioni di destra e sinistra. “Elezioni! Elezioni!”. Tra i socialisti c’è chi piange di gioia. Amato non è presente in aula e ci tiene a farlo sapere: “Per me sarebbe stato particolarmente difficile decidere come votare”. Gridano i leghisti, urlano i missini, che lanciano in aria pacchi di volantini. I commessi corrono cercando di sedare le risse, poi formano un cordone umano che divide in due l’emiciclo. Giorgio La Malfa protesta: “Abbiamo scavato un abisso con la pubblica opinione”. Il dc Francesco D’Onofrio accusa Msi e Lega di aver salvato Craxi nel segreto dell’urna, per delegittimare il Parlamento e scatenare la piazza. Gli risponde urlando Gianfranco Fini, suo futuro alleato: “È una mascalzonata, siete stati voi ladri a difendere un ladro”. E Bossi: “È una mascalzonata dei porci democristiani”. I socialisti si trasferiscono in massa all’hotel Raphael a festeggiare Craxi. Arriva anche Berlusconi. Maroni invoca “elezioni subito”. Diego Novelli annuncia che la Rete si autosospende dal Parlamento “per non confondersi con la palude del regime della corruzione” . Occhetto ritira dal governo neonato: i ministri Visco, Barbera e Berlinguer, seguiti a ruota dal verde Rutelli. Il “popolo dei fax” si mobilita. In piazza sventolano di bandiere rosse miste a quelle verdi della Lega e tricolori dell’Msi. Sul Corriere, il giustizialista Galli della Loggia si straccia le vesti: “E’ ormai chiaro che sulla scena pubblica italiana esiste un nocciolo duro di malaffare politico… Dc-Psi sufficientemente forte per tentare una battaglia di resistenza contro il cambiamento”.
Perciò intima a Ciampi di “mettere con le spalle al muro il nucleo della sua stessa maggioranza, spingerla a viva forza, con le buone o con le cattive, verso il suicidio politico di se medesima”. Craxi viene bersagliato di monetine e banconote false da una piccola folla riunita dinanzi al Raphael.
Da tutto il Paese, un solo urlo: basta impunità. E la classe politica, nel tentativo disperato di salvare la faccia, abolisce l’autorizzazione a procedere, nata per proteggere le opposizioni da processi per reati politici e trasformata in un salvacondotto per coprire i delitti più infami, dalla mafia alla corruzione, giù giù fino agli assegni a vuoto e alle percosse. Nella legislatura finita nel ’92, il Parlamento ha respinto 186 richieste su 229. E in un anno di quella nuova ne sono piovute ben 540: 107 per corruzione, 89 per concussione, 46 per ricettazione, 116 per finanziamento illecito, 108 per abuso. Così ben 11 gruppi parlamentari propongono l’abrogazione di quello che Fini, Gasparri e La Russa definiscono “un privilegio medievale” e uno “strumento per sottrarsi al corso necessario della Giustizia”, mentre la Lega (che ha appena sventolato un cappio da forca a Montecitorio) lo bolla con Bossi, Maroni e Castelli come “immotivato e ingiustificato privilegio senz’altra giustificazione se non un corporativo interesse di parte”, con “conseguenze aberranti e inaccettabili”. Il relatore è Carlo Casini, braccio destro di Forlani (ora eurodeputato Pdl): “Il principio del princeps legibus solutus è medievale e quindi superato. Se vi è istanza di eguaglianza, quindi, essa deve riguardare in primo luogo gli autori della legge”. Tutti i partiti di maggioranza e opposizione votano a favore. Il 12 ottobre la Camera approva con 525 sí, 5 no (fra cui Sgarbi) e un astenuto. Il Senato fa altrettanto il 27 ottobre, con 224 sí, 7 astenuti e nessun no. Oggi i superstiti sono quasi tutti per l’immunità. Anzi, per l’autoimmunità.
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Un’isola privata del suo mare

La vedova Borsellino dopo l’appello di Annozero “Sono una vedova di guerra”.
Rassegna stampa - Il Fatto Quotidiano, Sandra Amurri, 11 ottobre 2009.

Agnese Borsellino, vedova di Paolo, oggi assomiglia ad un’isola privata del suo mare che non ha perduto la speranza che le onde tornino a bagnarla. Parla di “Verità nascoste”, la puntata di Annozero. Delinea con la sua consueta signorilità il ritratto di chi ha perduto definitivamente la memoria e di chi la memoria la sta riconquistando pian piano. “Santoro e Ruotolo hanno fatto quello che i magistrati non sono riusciti a fare per 17 anni - dice - sulla bilancia sono stati messi i fatti e la bilancia ha smesso di pendere. Fatti che raccontano una storia molto pericolosa ancora da scrivere che sono stati affrontati con grande rigore etico. Credo che ora ognuno di noi abbia maggiori strumenti per accrescere la propria coscienza civica. Giovedì, a dimostrazione di quanto bisogno vi sia di un’informazione libera capace di spezzare la catena che protegge il muro di silenzio, sono saltati alcuni anelli”.
Per questo Liofredi, direttore di Raidue, voleva che quelle “Verità” restassero “nascoste”?
Ne sono rimasta colpita ma non meravigliata. Tuttavia preferisco non fare commenti e lasciare a chi legge e ascolta di trarre le considerazioni che vanno tratte.
Alcune memorie continuano a ad essere fuori uso. Altre, lentamente, iniziano a funzionare. Perché?
Perché i tempi sono cambiati. Forse ci si sente meno soli, nel senso di isolati, anche grazie al ruolo dell’informazione, almeno di una certa informazione onesta. Le parole smuovono le coscienze, agitano gli animi. Oggi la magistratura indaga in quella direzione. C’è una coscienza collettiva che sta prendendo consapevolezza e ricordare diventa più facile . Talvolta in questo Paese gli uomini tacciono perché la loro vita scorre ancora tutta dentro le maglie di un potere senza il quale sarebbero nudi. Le loro coscienze sono troppo, troppo pesanti. E per volare nel cielo limpido della legalità bisogna essere leggeri dentro. Provo una certa tenerezza, sa, per loro. Mi appaiono bambini che balbettano parole appena imparate e muovono incerti i primi passi. Solo che, a differenza dei bambini, hanno perduto il piacere della scoperta, la freschezza della curiosità, il gusto di vivere in un Paese pulito”.
Si è mai trovata faccia a faccia con qualche “smemorato”?
Sì. E’ accaduto. Hanno farfugliato qualche parola di giustificazione non richiesta che ho lasciato cadere. A cosa serve dire loro ciò che già sanno? Il coraggio della verità, se lo si vuole, lo si può conquistare nel tempo, ma non lo si può inventare lì per lì.
C’è da dire che all’ombra degli eroi antimafia sono fiorite brillanti carriere.
Non voglio sentir parlare di mafia e antimafia. Chiacchiere da tempo perso. Tutte vittime, tutti eroi, come se fossimo accomunati dalla stessa storia. Non è così. Io non mi sento una vittima della mafia, non sono una vedova di mafia ma piuttosto una vedova di guerra. Sono una donna che ha perduto suo marito in guerra. Dunque, se mio marito è un eroe, è un eroe di guerra, perché quella che si è consumata è una guerra tra Antistato e Stato in cui ha vinto la ragion di Stato e…
E ?
E ragioni, interessi diversi. Mio marito ha continuato a lavorare di fronte ad una morte annunciata che lo rincorreva come una persona colpita dal cancro che sa di avere ancora poco tempo a disposizione. La morte non l’ha sorpreso eppure non è fuggito. Ricordo bene quando disse in tv che il tritolo per lui era già arrivato.
Diversamente da Di Pietro, avvisato e mandato all’estero, a suo marito nessuno disse nulla.
Lui lo aveva appreso dalle indagini che stava conducendo. Ripeto: lo disse in tv. Ma non accadde nulla. Ha combattuto con il valore della sola arma che possedeva: il senso dello Stato, di cui si sentiva un umile servitore. Un soldato che in quel momento si stava sacrificando sopra ogni forza per restituire giustizia alla morte del suo compagno di battaglia, Giovanni Falcone. Ne è seguito un attacco preventivo. Ucciderlo voleva dire eliminare un ostacolo che impediva il raggiungimento del fine.
Una guerra terminata con la strage di via D’Amelio?
No. Non è finita. Si è trasformata in guerra fredda che finirà quando sarà scritta la verità. Come può esserci pace in un Paese popolato ancora da ricattatori e ricattati? La mia fiducia è tutta dentro quel viso pulito, fiero di Cecilia, la ragazza di 14 anni intervenuta ad Annozero. Sapere che la morte di Paolo ha un senso anche per chi non era ancora nato è una gioia immensa che spero possa provare presto anche chi ancora tace.
“Vi chiedo in ginocchio di parlare” ha scritto nella lettera inviata ad Annozero. Un appello disperato.
Vi prego di non dimenticare che non si è mai lontani abbastanza dalla verità per poterla trovare. Vuol dire che non c’è più tempo per fuggire e forza per resistere: è giunto il tempo della verità.
Come riesce a gestire quel conflitto tra emotività e ragione?
Con l’aiuto della fede, la sola capace di quietare il dolore, facendo prevalere la logica per non smarrire la lucidità dell’analisi. Paolo non mi ha mai detto nulla e non ha lasciato documenti in casa volutamente per evitare di metterci in pericolo. Ma Paolo era mio marito, lo conoscevo bene, ci conoscevamo bene. Sapevo interpretare i suoi silenzi, i suoi umori, cogliere quella sua irrefrenabile voglia di vivere con una sola preoccupazione : fare la differenza. Lo ripeteva spesso, i miei figli sono intrisi delle sue parole: non è il ruolo che fa grandi gli uomini, è la grandezza degli uomini che fa grande il ruolo. Ho rimesso assieme frammenti di ricordi: parole ascoltate da una telefonata, sguardi rubati tra porte socchiuse, silenzi improvvisi e immotivati, gioie spezzate dall’angoscia”. L’eredità di Paolo Borsellino è una scuola di pazienza, come lo è il mare che insegna a mostrare mani che si sporcano su cui puoi contare, gesti che dicono da che parte sta il tuo cuore, respiri che regalano la sapienza del riconoscere l’anima di chi si incontra al di là delle vesti che indossa e le maschere che calza per essere altro da sé o per paura di non sapere volare.
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Destra rabbiosa

Nomine in Provincia, la replica del Pd: «Reazione scomposta e volgare».
Rassegna stampa - Il Giorno, R.L., 10 ottobre 2009.

Dopo la furiosa replica di Foroni, in difesa della nomina nello staff di Mirko Villa, che si è aggiunta alla richiesta di dimissioni di Mauro Soldati «reo» di aver attaccato la Provincia, il Pd fa quadrato intorno al suo uomo. E arriva una lettera firmata da tutti i componenti del gruppo in Provincia, con l’aggiunta di Margherita Fusar Poli, della lista Felissari. «Sono state rese alla stampa dichiarazioni, richieste dagli stessi giornalisti a corollario della notizia — premettono cauti —. È stato quindi richiesto un commento, il cui contenuto è parte integrante del diritto di opinione, valore imprescindibile in una democrazia; il consigliere Mauro Soldati ha espresso considerazioni condivise dall’intero gruppo; e in linea con il compito che ricopriamo ha annunciato un’interpellanza per chiarire i contorni della vicenda, nonché la sua veridicità, così come è diritto di ogni consigliere. Non è stata messa in dubbio la possibilità di scelta fiduciaria da parte del Presidente della Giunta, ma l’opportunità; la reazione scomposta e con elementi di volgarità con la quale il centrodestra reagisce, non sono conciliabili né con le dichiarazioni sulla trasparenza amministrativa, né con il difficile momento che il Paese e il Lodigiano stanno vivendo. Il Pd [invita] ad evitare inutili nervosismi e a concentrarsi sui problemi reali del territorio, primo fra tutti il lavoro».
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Il pericolo amianto

«L’eternit rilascia fibre pericolose già subito dopo l’installazione».
Rassegna stampa - Il Giorno, L.D.B., 10 ottobre 2009.

A proposito del ‘caso’, denunciato da alcuni residenti, del tetto in eternit del deposito Star, nel quartiere San Bernardo, abbiamo chiesto un parere tecnico a Roberto Facchini, responsabile tecnico-scientifico di un’azienda specializzata in bonifiche e disinfezioni anche per quanto riguarda l’amianto: «L’amianto, in generale, dopo 5 o 6 anni, a causa degli agenti atmosferici, rilascia sicuramente delle fibre. In realtà comincia a farlo dal primo giorno. Quel particolare conglomerato edilizio si dilata e restringe con caldo e freddo, un po’ come la nostra pelle: ma qui il peeling è cancerogeno. E quella palazzina lì a fianco, da quanto mi risulta, è pure sottovento. Noi abbiamo strumenti in grado di rilevare le nanoparticelle delle fibrille di amianto, quelle che poi penetrano nel nostro corpo in profondità. A parte la rimozione, l’unico sistema per evitare la dispersione delle fibre è la stratificazione dell’eternit, che nella maggior parte dei casi veniva utilizzato per i tetti di edifici, con resine. Non è neppure molto costosa: per una superficie di circa 10 mila mq, come è stimato sia quella della Star, è attorno agli 80-90 mila euro. Ma ci sono anche bandi di finanziamento per le bonifiche».
Ma Facchini si occupa anche di prevenzione sanitaria. «Da una settimana - afferma Facchini - il nostro trattamento contro l’H1n1 ha ottenuto la certificazione dall’istituto Zooprofilattico di Brescia, come avevamo ottenuto quella dell’Oms (Organizzazione Mondiale della Sanità) per la Sars».
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Casse in rosso

I T-red sequestrati sbagliavano una multa su due.
Rassegna stampa - Il Giorno, Guido Bandera, 11 ottobre 2009.

Le multe che producevano hanno sollevato proteste, ricorsi e inchieste. Ma i T-red installati nel Lodigiano, come pure in altre province italiane, forse sorprendono di più per le multe che non hanno prodotto. Tante volte, troppe in verità, hanno scattato fotografie che non sono mai diventate multe. E lo scarto fra le foto scattate e le multe prodotte, che in termini tecnici è la percentuale d’errore, arriva a livelli talvolta impressionanti.
Specie se confrontati con i limiti imposti dal Codice della Strada, che impone uno scarto massimo del 5 per cento per l’omologazione delle apparecchiature. A raccogliere, con pazienza certosina, 142 pagine di dati sui T-red di tutta Italia, quindi anche del Lodigiano, è stato Giorgio Marcon, trevigiano che da multato si è trasformato in uno dei più attivi esponenti di uno fra i molti comitati anti-semaforo che sono sorti nel Nord. Nelle pagine fitte di tabelle si trovano indirizzi degli impianti, numero delle foto scattate, numero delle multe effettuate nel periodo di funzionamento, con la percentuale di errore dei vari T-red. E le sorprese non mancano. A Livraga, ad esempio, fra il 20 settembre e il 4 ottobre del 2006, il semaforo «intelligente» di via Risorgimento, direzione Ospedaletto, scatta 105 foto di presunti trasgressori. Ma solo 53 vengono effettivamente multati. Gli altri, erano «innocenti». E la percentuale d’errore è del 49 per cento. Ma la percentuale è anche peggiore, in un altro periodo. Sempre in via Risorgimento, fra il 20 luglio 2006 e l’11 agosto, il semaforo sulla corsia per Lodi scatta 325 foto, ma solo 74 servono per emettere una multa. L’errore è del 77 per cento. Le cose non vanno meglio a Sant’Angelo Lodigiano. Un esempio? Il T-red di via Trento, direzione Pavia. Qui fra il 14 luglio e l’11 agosto 2006 l’apparecchio scatta 655 foto. Ma solo 164 diventano multe. Il resto è da buttare, con un errore del 74,96%. Ma Sant’Angelo offre anche altri esempi di rilievo. Siamo ancora su via Trento, questa volta in direzione opposta. Il semaforo controlla le auto che passano col rosso e vanno verso Lodi. Il periodo è lo stesso. Qui, in un mese circa, il T-red scatta la foto a 548 automobilisti. Solo 399, però, sono effettivamente passati con il rosso.
A Tavazzano sembra andare solo un poco meglio. Sempre fra il 14 luglio e l’11 agosto, il T-red sulla via Emilia, direzione Lodi, registra 551 passaggi col rosso. Ma solo 331 sono reali: l’errore è «solamente» del 39%. Ma anche qui, siamo abbondandemente sopra l’errore massimo tollerato dalla legge che è fermo al 5 per cento. Ma in altre occasioni, le cose sono andate decisamente peggio. Lo stesso apparecchio, sullo stesso incrocio della via Emilia, ancora a Tavazzano, fra il 12 febbraio del 2007 e il 9 marzo, fece la fotografia a 206 presunti furbi che passavano con il rosso. Peccato che però, controllando le fotografie, i vigili sono riusciti a trasformarle in sanzioni amministrative (salatissime) per solo 105 automobilisti. Gli altri presunti trasgressori erano, evidentemente, in piena regola. Così l’errore registrato sale addirittura al 49 per cento del totale.
Una sorta di lotteria, che si ripete più volte e in periodi diversi, con risultati a volte diversi, ma sempre con tassi di errore che superano abbondantemente il tetto massimo imposto dal Codice della strada. Fra i Comuni che hanno scelto i T-red come soluzione all’indisciplina degli automobilisti ai semafori c’è anche Montanaso Lombardo. Ma non pare affatto che cambiare Comune porti a risultati differenti, rispetto agli altri centri del Lodigiano. Lo dimostrano i dati delle apparecchiature montate sul semaforo della Provinciale 16, all’incrocio con la Provinciale 202, in direzione Lodi. Le rilevazioni sono quelle effettuate fra il 29 luglio e l’11 agosto. Le foto scattate sono state in tutto 234. Peccato che, a conti fatti, i vigili siano riusciti a trasformarne in multe soltanto 149. E l’errore è «solo» del 36 per cento. Questo, naturalmente, senza contare il fatto che una parte di quei 149 multati hanno pure presentato ricorso contro un’apparecchiatura che, anche per il suo tasso di errore, è finita al centro delle polemiche.

«Occhio ai photo-red A volte ritornano...»
Rassegna stampa - Il Giorno, 11 ottobre 2009.

Codice della strada alla mano — spiega il comitato semafolle (Comitato spontaneo di cittadini del Lodigiano) — quasi il 100% delle multe è colpa di semafori inaffidabili. «Hanno ridotto i tempi del “giallo” a 3 secondi, poi a meno. Hanno fatto scattare t-red in concomitanza con segnalatori di velocità, piazzati prima dei semafori. Una cosa vietata», fanno sapere i leader. L’elenco delle lamentele è lungo. «Abbiamo visto foto scattate a vetture che andavano a 35 km/h. Magari un automobilista era sotto il semaforo, un altro era distante 400 metri e si stava avvicinando. Se quest’ultimo veniva rilevato oltre i 50km/h, il semaforo t-red faceva scattare giallo e rosso. Risultato? Chi era sotto il semaforo restava fregato. Fra Montanaso e Tavazzano, ben 10.400 multe sono state fatte così», attacca il gruppo “anti t-red”.
Ma il sindaco di Paullo difende la bontà dello strumento, se funziona correttamente.
«A Paullo, con i tempi del “giallo”, erano nelle stesse condizioni di Montanaso e Tavazzano. Qualche ingegnere ha valutato in 7 secondi il tempo di durata giusto del giallo, in modo da dare possibilità anche agli anziani, che hanno tempi di reazione più lenti. È stato chiesto al Ministero, per ora senza risultato. A Lodi abbiamo attaccato i t-red di Montanaso e Tavazzano perché i verbali venivano gestiti da una ditta privata di Rimini. A Paullo, da quel che sappiamo, veniva garantito alle ditte un “tot” di soldi a fotogramma e un “tot” a verbale».
Ci sono stati anche i sequestri dei t-red.
«A Montanaso e Tavazzano non è scattato alcun sequestro, perché quando è nato il comitato semafolle è sparito tutto. Sono andati invece avanti a Spino d’Adda. E lì i sequestri sono arrivati».
Il sindaco di Paullo non capisce perché alcuni comitati difendono automobilisti che passano col rosso...
«Possiamo accompagnarlo da un signore che conserva 100 copie di fotogrammi scattati dai t-red dove si può valutare la velocità del veicolo: vedrà che nessuno è passato facendo il delinquente. Nessuno difende chi va in giro a fare il matto...».
Un lettore si è lamentato perché gli è appena arrivata la comunicazione che gli hanno tolto 6 punti dalla patente per una multa beccata al t-red di Spino d’Adda.
«Possibile. Il Prefetto di Lodi ha archiviato 770 verbali, il Consorzio di Polizia locale Nord Lodigiano ha fatto ricorso al giudice di pace, che ha confermato l’archiviazione. La Polizia locale ha tentato 5 ricorsi al Tar: li hanno persi e dovrà pagare 300 euro a ricorso. Si sono appellati al Capo dello Stato. Non credo avremo brutte sorprese: il consorzio di Polizia non può opporsi alla Prefettura, organo deputato al suo controllo».
Nessuno più «munge» gli automobilisti?
«Per ora, il fenomeno è finito. Ma occhio. A Ospedaletto Lodigiano è arrivato il photo-red, simile al t-red...».

A Lodi lo scandalo del rosso facile esplose 2 anni fa.
Rassegna stampa - Il Giorno, 11 ottobre 2009.

Tutto cominciò proprio alla metà di ottobre del 2007, con un esposto presentato in Procura, alla Corte dei Conti, al Garante della privacy e persino all’antimafia. Ma soprattutto con 777 ricorsi per l’annullamento di altrettante sanzioni amministrative, presentati dagli automobilisti al Giudice di pace, contro i verbali emessi dai T-red in uso al Consorzio intercomunale di Polizia locale del Nord Lodigiano. Tutte persone che, sollevando il problema della durata del «giallo», giudicata troppo breve, ma anche dell’omologazione delle apparecchiature (con relativo tasso di errore) si riunirono in un comitato, chiamato Semafolle, che alla fine ha preso in carico circa 10mila contravvenzioni da contestare. Poco dopo, arrivarono i sequestri dei T-red di Segrate, decisi dalla Procura di Milano, e quelli in mezza Italia decisi dai magistrati di Verona. Poi, indagini, colpi di scena, ricorsi e dissequestri. Una vicenda che non è ancora conclusa.
Fra i multati lodigiani che hanno contestato le sanzioni, molti le hanno rimediate a Spino d’Adda, lungo la Paullese. I dati del comitato di Treviso aiutano anche qui a capire quali erano le percentuali medie di errore degli apparecchi, prima ancora di emettere le sanzioni. A Spino, fra il 18 settembre 2007 e il 3 ottobre 2007, il T-red installato sul semaforo all’angolo fra la Paullese e via della Vittoria, in direzione del centro storico, ha registrato 1.190 immagini. Teoricamente avrebbero dovuto ritrarre automobilisti che passavano con il rosso. Peccato che, in realtà, quando i vigili hanno scaricato le immagini per stendere i verbali da inviare agli automobilisti, si siano potute elevare solamente 195 sanzioni amministrative. Praticamente, l’83 per cento delle fotografie era da buttare via. Un errore. Che certamente si mostra molto distante dal limite di legge del 5 per cento. Sempre a Spino, allo stesso semaforo, ma in direzione opposta, verso Lodi, invece, nello stesso periodo, le fotografie-bufala sono state addirittura più del 92 per cento.
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Quando guardo il mio paese vedo l'inciviltà totale

Intervista - Il fondatore di Emergency dal Sudan.
Gino Strada: la Fiom? Baluardo di democrazia.

Rassegna stampa - il manifesto, Sara Farolfi, 10 ottobre 2009.

Dal centro di cardiochirurgia fondato a Khartoum, in Sudan, Gino Strada ha voluto solidarizzare con i metalmeccanici che ieri hanno sfilato per le vie del centro di Milano. Una solidarietà «per nulla formale», racconta Strada: «Recentemente la Fiom ha versato a Emergency 30 mila euro, quanto ottenuto cioè per la vittoria di due processi seguiti alla morte di due operai, e non si tratta che dell'ultimo episodio di un rapporto di fratellanza e di condivisione di valori che ci lega alla Fiom». Il fondatore di Emergency in tasca ha la tessera del sindacato metalmeccanico, la seconda tessera onoraria che la Fiom ha dato, dopo quella a Pietro Ingrao. Da Khartoum l'Italia sembra ancora più misera di quanto non sia e la Fiom, dice lui, «l'ultimo, ma proprio l'ultimo, baluardo di democrazia».
In collegamento telefonico con la piazza hai detto di provare vergogna di essere cittadino di questa Italia. Di cosa ti vergogni?
Mi vergogno di essere un cittadino di un paese che sceglie la guerra, la volgarità, la violenza, il razzismo, un paese che fa carta straccia della propria costituzione. Cosa vuol dire che l'Italia è una repubblica fondata sul lavoro? Già quella era una formula compromissoria rispetto a chi voleva scrivere, l'Italia è una repubblica di lavoratori. Il lavoro dovrebbe essere alle fondamenta del nostro paese e invece non c'è o, quando c'è, è sfruttato, maltrattato. Sono rimasto allibito nell'apprendere che cinque milioni di italiani hanno perso il posto negli ultimi anni, significa che ci sono centinaia di migliaia di famiglie che non possono permettersi, non dico di andare al ristorante, ma di conprare un libro, e sappiamo che se non c'è cultura, le porte sono aperte a tutti i tentativi di imbarbarimento. Quando ero ragazzo speravo nel progresso della civiltà e invece quando guardo il mio paese oggi vedo l'inciviltà totale. Perciò mi sento un italiano per caso.
I metalmeccanici lottano per la democrazia, per potere decidere delle proprie condizioni di lavoro. Non è battaglia solo sindacale, non credi?
È questione che tocca i diritti umani fondamentali e questo riguarda certamente anche la guerra, che è una delle più grandi operazioni bipartisan, fatta tanto dal centro destra quanto dal centro sinistra. Il diritto di scegliere oggi è negato a tutti e questa è la ragione per cui non voto da anni. Perchè i nostri governanti non lo chiedono ai cittadini, come vorrebbero che fossero spesi i soldi provenienti dalle tasse, cioè i loro soldi? Si dice «il popolo, il popolo, il popolo», e se magari lo ascoltassimo questo popolo forse, chissà, ci troveremmo in un paese migliore.
La settimana scorsa anche molti metalmeccanici sono scesi in piazza per la libertà di stampa, ieri il corteo romano si è concluso sotto la Rai. Ma l'informazione li ripaga con l'oscurità, cosa ne pensi?
È una scelta, i giornali giudicano più interessante aggiornarci su cosa fa una prostituta, piuttosto che sulle condizioni in cui milioni di persone si trovano. E a farlo non sono solo i giornali «di regime» ma proprio quell'informazione che reclama la libertà. Che è doverosa, ci mancherebbe, ma non sempre è sinonimo di qualità.
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«Quale stato ha trattato con la mafia»

Stragi del '92, lo Stato trattò con Cosa Nostra?
Annozero, Mancino smentisce Martelli.

Rassegna stampa - il manifesto, 10 ottobre 2009.

Per Santoro e Annozero ancora polemiche e insulti. Il viceministro alle comunicazioni Paolo Romani definisce la puntata sulle "verità nascoste" tra stragi del '92, politica e mafia «terribile, inguardabile, indegna del servizio pubblico. Una puntata a tesi per dimostrare con testimoni e documenti inattendibili che Silvio Berlusconi è legato alla mafia ». Ciononostante non ha fatto il record d'ascolti di Patrizia D'Addario ma quasi. L'hanno vista 5.844.000 spettatori (share del 23,3%). Beppe Giulietti, portavoce di Articolo 21, la considera «una straordinaria pagina di tv».
A destare scalpore soprattutto le dichiarazioni di Claudio Martelli, ex ministro della Giustizia del Psi, a conferma di una trattativa tra lo stato e «cosa nostra» prima e dopo l'omicidio del giudice Paolo Borsellino nel '92. Ieri Nicola Mancino, attuale vicepresidente del Csm che all'epoca era il ministro dell'Interno, ha smentito invece l'ex collega. «Nessuno mi parlò di possibili trattative», dice Mancino, che smentisce anche un incontro al Viminale con il giudice Borsellino il 1 luglio del '92: «Non l'ho incontrato né quel giorno né successivamente». Secondo Mancino, anzi, il pentito Gaspare Mutolo riferì che Borsellino gli aveva detto di essersi incontrato al Viminale con Contrada e Parisi. «Se schegge o apparati di servizi deviati hanno commesso azioni illegali, ciò deve essere dimostrato dalla magistratura. La magistratura proceda anche a verificare le eventuali coperture», conclude.
Luciano Violante invece difende Annozero e ammette la trattativa. Ma chiede ora di capire «quale stato ha trattato con la mafia». Martelli ieri sera ha corretto il tiro almeno in parte: «Non ho mai parlato di trattativa tra mafia e governo. Chi intende in questo modo deforma la realtà». Lo stato è tante cose: prefetti, servizi, giudici. Ci possono essere stati «funzionari sleali o dirigenti che hanno compiuto veri e propri abusi». E aggiunge: «Il Ros non aveva alcun titolo per interloquire in quel modo».
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Parole e fatti

Opinioni.
Il caso Torre del Greco.
Rassegna stampa - il manifesto, Arturo Scotto (Sinistra e libertà, 10 ottobre 2009.

Caro Di Pietro, perché ti opponi tanto a Berlusconi e governi insieme al Pdl?
Italia dei valori e Pdl governano insieme. Impossibile? No. Torre del Greco, la quarta città della Campania, è amministrata da una giunta sostenuta proprio dal partito di Di Pietro e quello di Berlusconi.
Il comune è stato negli ultimi due anni e mezzo il laboratorio di un esperimento che resiste ancora oggi. Questo inedito patto di potere è nato dalla scelta da parte del centrosinistra di non candidare a sindaco Ciro Borriello, specialista in chirurgia plastica già deputato di Forza Italia, transitato nell'Udeur e infine candidato alle politiche del 2008 dai dipietristi. Un cursus honorum simile a quello di Sergio De Gregorio, leader di «Italiani nel mondo».
Eletto sindaco nella primavera del 2007, Ciro Borriello lascia l'Idv - che comunque mantiene due assessori in giunta - e salta di là, partecipando alla costituente della Pdl. Per lui è un ritorno all'ovile che non pregiudica, in ogni caso, la stabilità dell'amministrazione.
Già nel luglio di quest'anno, di fronte al silenzio imbarazzato dell'opposizione in consiglio comunale, ho rivolto alcune domande ad Antonio Di Pietro e al responsabile regionale dell'Idv Nello Formisano: «Come è conciliabile la linea antiberlusconiana dei dipietristi con la permanenza in una giunta di centrodestra?».
Una scelta così in controtendenza rispetto ai proclami nazionali e getta come minimo un'ombra sulla coerenza dell'ex pm. Derubricarla esclusivamente a una dinamica locale, infatti, sarebbe un errore. Il capogruppo della Pdl Luigi Russo, nonché candidato alle ultime elezioni provinciali e braccio destro del sindaco, è stato condannato in primo grado - poco più di un mese fa - a 5 anni di interdizione dai pubblici uffici e 4 di reclusione per reati contro la pubblica amministrazione. Non solo non ha avuto la sensibilità di dimettersi da solo, ma neppure gli altri (sindaco, Pdl, Idv e Pd) hanno avuto la forza di chiederglielo.
Nel comune intanto si perpetua il «familismo»: gran parte degli incarichi pubblici già da due anni vanno a parenti del sindaco e dei consiglieri. Come se non bastasse il sindaco ha appena nominato come nuovo assessore un fratello di un consigliere, Maida, esponente del movimento di De Gregorio. Più in generale, la qualità della giunta è mediamente , salvo rare eccezioni , di modesto profilo. Basti pensare che alla pubblica istruzione c'è un'assessora, Virna Bello detta la «braciolona», "famosa" alle cronache per aver frequentato le feste di Villa Certosa, come documentano diverse fotografie pubblicate dall'Espresso.
Da deputato chiesi alla magistratura di far luce sulla vicenda di Franco Antifono, primo dei non eletti dell'Italia dei Valori. Ancora oggi tutto tace: nessuno sente il bisogno di sapere perché Antifono dichiarò che fu indotto a ritirare un suo ricorso che avrebbe determinato la caduta dell'Amministrazione in seguito a minacce e promesse di ricompensa. Denunciai la vicenda in una lettera pubblicata a luglio su diversi giornali di Napoli. E Formisano intervenne dandomi ragione e preannunciando che presto tale anomalia sarebbe stata corretta.
A metà settembre l'Italia dei valori locale ha lasciato gli assessori in giunta e dichiarato che il rapporto con il sindaco Borriello si sarebbe interrotto qualora quest'ultimo avrebbe scelto di candidarsi alle regionali di marzo, tralasciando così la guida della città. La risposta del sindaco è stata poco più che un'alzata di spalle. Dunque il quadro politico è lo stesso. L'Idv resta in maggioranza e in giunta.
p.s. È di questi giorni il plauso del sindaco alla possibile candidatura del noto Nicola Cosentino (sottosegretario all'Economia) a presidente della regione del Pdl...
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Obama vince senza comitato senza canzoncina

Corsivo.
Un altro sgambetto comunista.

Rassegna stampa - il manifesto, Alessandro Robecchi, 10 ottobre 2009.

Un altro schiaffo nella settimana dei ceffoni. Silvio Berlusconi non ha vinto il premio Nobel per la Pace. (Avvertenza: è una battuta. E avrebbe dovuto essere una battuta anche proporlo!). Lo ha vinto invece Barack Obama, che non aveva nemmeno un comitato per candidarlo (Silvio sì) e non aveva nemmeno la canzoncina (Silvio sì). Attendiamo con fiducia qualche spiritosaggine razzista e passiamo alle cose serie. Eccoci qui a valutare se il Nobel per la Pace di oggi è un bicchiere mezzo pieno (si è fatto molto peggio: Kissinger!) o mezzo vuoto (si è fatto molto meglio: Mandela!). La discussione sarà pure accademica, ma la perplessità resta. Festeggeranno in Afghanistan? Speriamo di no: di solito quando festeggiano, tipo matrimonio, gli arriva in testa un missile che stermina qualche famiglia. Festeggeranno a Gaza? Non credo succederà nemmeno lì. Certo, la volontà di dialogo. Certo, la morte dello scudo spaziale, cretinata bushista per far fatturare un po' l'industria militare. Certo, il discorso del Cairo. È poco ma sicuro che faccia più per la pace Obama anche solo soffiandosi il naso di quanto abbia fatto la combriccola dei delinquenti texani di prima per otto anni. Eppure rimane il fatto: si tratta di un Nobel per la pace dato, per così dire, sulla parola. Sulla fiducia. Al buio. Al presidente di una grande potenza che senza dubbio sta cambiando musica, ma che certamente, almeno per realpolitik, sarà costretto a prendere qualche stecca, prima o poi. Ma forse c'è di peggio. C'è che la situazione del porco mondo così com'è pare tanto difficile e precaria che non si riesce a nemmeno a dare un Nobel per la Pace con la felice motivazione della missione compiuta. Si dà allora un Nobel per la Speranza della Pace. Auguri, complimenti, felicitazioni. Ma non è la stessa cosa.
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Graffiante Vauro

Le cinque ultime vignette pubblicate su "il manifesto".
FotoPost.









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Riflettere su tutte le facce della «libertà di stampa»

La ragione dei folli.
Rassegna stampa - il manifesto, editoriale, 10 ottobre 2009.

Che direste se in una prossima riforma le elezioni diventassero un'eventualità, condizionandone lo svolgimento all'accordo tra tutti i partiti presenti in Parlamento, altrimenti niente, altrimenti non si vota? Gridereste al golpe, alla fine della democrazia e all'inizio di un'oligarchia, direste che viene violenta la sovranità popolare. Beh, questa è la condizione «normale» in cui sono costretti i lavoratori dipendenti, per quanto riguarda le norme - i contratti - che periodicamente determinano quanto guadagnano, quanto e come faticano (chi un contratto non ce l'ha non gode nemmeno del privilegio di questa privazione). L'accostamento potrà sembrare eccessivo, ma gli ostacoli che la democrazia trova sui luoghi di lavoro (e tra i sindacati) sono un bel pezzo della sua crisi più generale, un modello del collasso della rappresentanza e quindi una fucina autoritaria.
E che direste se la quasi totalità di giornali, radio e televisioni decidessero, senza nemmeno bisogno di un editto bulgaro di cancellare o ridurre al minimo l'opinione di una parte consistente (se non della maggioranza) dei cittadini e di chi li rappresenta? Gridereste alla censura, al regime mediatico e alla fine dell'indipendenza dell'informazione. Beh, questo è quanto accade da anni a milioni di persone per quanto riguarda la parte della loro vita che passano al lavoro, condizione che è stata ridotta a - eventuale - rappresentazione della disperazione sociale, da descrivere sotto una gru o un tetto. Ed è quanto succede a quelle organizzazioni sindacali che a quella disperazione non vogliono ridurre il rapporto tra capitale e lavoro. Anche questo è un paragone ardito, qualche collega se ne offenderà, ma varrebbe la pena riflettere su tutte le facce della «libertà di stampa», anche quelle che si tengono nascoste perché meno presentabili.
Ieri un bel po' di metalmeccanici, scioperando e manifestando, hanno ricordato questi problemi. Sembrerà strano, ma sono convinti che la crisi economica vada affrontata con un contratto di lavoro che difenda salari e occupazione, che la democrazia si possa consolidare e persino allargare praticandola, che la libertà d'informazione sia una cosa che li riguarda e a cui possono contribuire (anche se gli esperti del campo continuano a considerarla una «piazza esclusiva»). Politicamente scorretti, sono arrivati a dire che non ne possono più di vedere e sentir ruotare tutto attorno al presidente del consiglio, ai suoi processi e alle sue escort. Sembravano matti, nell'Italia d'oggi: non è una follia ragionevole che varrebbe la pena ascoltare?

Si torna a parlare di immunità parlamentare

«Napolitano di sinistra, ma auspico leale dialettica». Bocciato il lodo, governo al lavoro sulla giustizia: torna l'immunità parlamentare?
Berlusconi ci prova ma non si scusa: «Non mi dimetto, sono il migliore».
Rassegna stampa - Liberazione, Angela Mauro, 10 ottobre 2009.

A tre giorni dalla bocciatura del lodo Alfano da parte della Corte Costituzionale, il premier ci prova a smorzare i toni della polemica contro il capo dello Stato. Lo fa a modo suo, senza scusarsi e senza realmente rivedere le sue posizioni. Ma lo fa perchè gli è chiaro che riportare il confronto su binari istituzionalmente un pochino più accettabili è l'unica via per continuare a governare, cosa che gli è indispensabile per mettere mano alla giustizia e trovare metodi legislativi che "cancellino" i processi in corso a suo carico. Sì: "cancellino", in quanto la tenaglia alla quale stanno già lavorando i fidi Ghedini e Alfano mira di fatto ad evitare che il premier possa finire alla sbarra. Un disegno dal quale non è escluso un ritorno all'immunità parlamentare, abolita dopo Tangentopoli.
Un respiro di sollievo arriva in mattinata quando Silvio Berlusconi, parlando al Tg5, auspica una «leale dialettica tra Quirinale e governo per il futuro». Poi però spiega subito il motivo dei suoi auspici: «Sono certo che non ci saranno ostacoli al programma di riforme per cambiare l'Italia». Su Giorgio Napolitano non si è ricreduto. Lo dice al Tg5, torna sul tema nella conferenza stampa a Palazzo Chigi dopo il consiglio dei ministri, dove ripete che gli erano state «date delle assicurazioni» sul via libera al lodo Alfano, «ma non ho mai immaginato che la Consulta, organo politico, con undici magistrati messi lì da tre Presidenti della Repubblica consecutivamente di sinistra, potesse approvare il lodo». Nessun sollievo, è sempre lui che si accanisce di nuovo sulla Corte Costituzionale che «non è stata leale con il Parlamento». È lui che non fa retromarcia sulle accuse al presidente della Repubblica, «uomo di sinistra» e, come se fossimo nella Repubblica presidenziale francese, parla di «coabitazione politica» con l'inquilino del Quirinale. «Ormai è chiaro a tutti che non c'è nessuno che in Italia si possa considerare super partes. Non è sicuramente super partes la Corte Costituzionale. Ed è un fatto che Napolitano sia sempre stato un protagonista della sinistra e nulla può cambiare la sua storia». Viene da ridere poi sulle altre frasi: «Non darò le dimissioni, sono il miglior premier di sempre perchè sono un argine alla sinistra che vuole sovvertire il voto degli elettori». Viene da ridere per la gaffe: «Sono in assoluto il maggior perseguitato dalla magistratura di tutta la storia di tutte le epoche del mondo. Il più grande perseguitato della storia, visto che sono stato sempre assolto, con due prescrizioni. Ho speso 200 milioni di euro per i giudici...scusate, per gli avvocati». Viene da ridere pensando all'accusa di corruzione del giudice Metta nel processo a carico di Fininvest per il Lodo Mondadori («Berlusconi corresponsabile», è scritto nelle motivazioni della sentenza che condanna il gruppo a pagare 750milioni di risarcimento alla Cir di De Benedetti). Viene da ridere, se non fosse che dietro il solito delirio di onnipotenza c'è un programma di governo che i suoi stanno affilando in gran fretta dopo la bocciatura del lodo Alfano.
Quasi quasi ne parla lui stesso, quando, esclusa la possibilità di scendere in piazza, il premier spiega le mosse future, certamente più sostanziali di una manifestazione (peraltro a rischio flop). «Ci stiamo inoltrando verso la riforma del processo penale. L'obiettivo è abbreviare i tempi della giustizia». Ed è questo il punto. Si sa del lavoro svolto in maniera previdente da Ghedini per abbreviare i tempi della prescrizione nel processo Mills (al 1998, cioè quando i 600mila euro di fondi neri furono versati, e non al 2000, quando l'avvocato inglese ne entrò in possesso). Di riforma della professione forense (separare accusa e difesa), di giro di vite sulla legge sulle intercettazioni e su quella sulla procedura penale (entrambe all'esame del Senato) parla il Guardasigilli Alfano in un'intervista al Corriere della Sera. Il ministro torna anche sulla separazione delle carriere (giudici e pm) e sulla conseguente riforma del Csm, con legge Costituzionale. Insomma, tutti i progetti messi in campo subito dopo le politiche e che il governo negli ultimi tempi aveva accantonato. Ma c'è una novità: si torna a parlare di immunità parlamentare. Lo fa Alfano ma anche finiani come il politologo Alessandro Campi, Italo Bocchino, che auspica però una larga maggioranza in Parlamento. E la cosa fa breccia in una parte dell'opposizione. Dallo schieramento bersaniano del Pd, apre Marco Follini, «così tutti si liberano dei loro fantasmi: il centrodestra delle leggi su misura, il centrosinistra della spallata giustizialista». E anche se Follini sembrerebbe isolato, le sue parole scatenano un coro di critiche dai sostenitori dell'attuale segretario. «No mai», dice Dario Franceschini che magari. Contrario il terzo candidato al congresso, Marino («Serve una nuova classe politica») e il leader dell'Idv Di Pietro che chiede al Pd di «chiarire» e al presidente del Consiglio di «dimettersi». Dall'Udc Casini non chiude, «ma è inappropriato parlarne ora», dice. Anche perchè lo scontro istituzionale resta in agguato e se Berlusconi non smorza davvero i toni, come ormai tutta la sua maggioranza lo invita a fare, se non prende quella «camomilla» che gli consiglia il leader Udc, a nessuna delle forze politiche dell'opposizione conviene avviare un dialogo sulle riforme. «C'è il rischio di una deriva autoritaria», è l'allarme di Franceschini che con Bersani continua a non chiedere le dimissioni del premier, «per rispetto alla Consulta».
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Inchiostro simpatico

Quei cortei operai oscurati dalla "libera stampa".
Rassegna stampa - Liberazione, Dino Greco, 10 ottobre 2009.

Neppure la più scrupolosa ricerca vi consentirà di scovare, nei giornali di ieri, (ivi compresi quelli di area riformista) la più labile traccia dello sciopero generale dei metalmeccanici. Dell'evento si sono occupati solo Liberazione e qualche altro foglio della sinistra-sinistra. La rimozione totale compiuta da testate come La Repubblica e l'Unità della mobilitazione intrapresa, in condizioni di straordinaria difficoltà, dalla più grande categoria di lavoratori dell'industria è lì a dimostrare due cose, entrambe inquietanti. La prima è che la rivendicazione di un'informazione libera e indipendente, risuonata con forza sabato scorso in una piazza del Popolo gremita soffre di clamorose amnesie da cui è afflitta una parte cospicua di coloro che quella mobilitazione hanno sostenuto e persino promosso. La seconda è che il Pd vive la scesa in campo delle tute blu per lo meno con imbarazzo, considerandosi esso - nel suo insieme e nelle parti - assai più vicino alle tesi e alla pratica collaborazionista della Cisl e della Uil, vale a dire ad un sindacalismo che ha bandito dai propri "fondamentali" i concetti di democrazia e di autonomia. Queste elementari constatazioni spiegano molte cose del contorto mondo della politica italiana. In queste ore ci sentiamo sollevati e persino euforici per la sentenza con la quale la Consulta, cancellando il lodo Alfano, ha salvato la Costituzione e la democrazia da una vulnerazione grave e forse irreversibile. Sentiamo indebolita la protervia di cui Berlusconi fa quotidiano sfoggio. Sicchè l'arrogante sbocco di superbia da lui esibito dopo lo smacco incassato pare più la spia di un sentimento di paura che non di sicurezza. Eppure, proprio in questo momento di massima debolezza personale del caudillo di Arcore, emerge, sconfortante, lo stato di paralisi delle forze che dovrebbero innescare un processo di cambiamento. Tutto ciò che avviene si svolge nei santuari e nelle foresterie del potere. Tutti a dire che il governo non deve cadere. Da non crederci! Tutti: dal Pdl al Pd. Sì, anche il Pd, terrorizzato dal rischio di una contesa elettorale da cui teme di uscire con le ossa rotte. Non conta che il Paese sia allo stremo, non contano i tre milioni di persone in stato di povertà assoluta, i disoccupati a reddito zero e senza prospettive, non bastano la latitanza di una qualsiasi strategia di contrasto alla crisi, una legge finanziaria evanescente e atti di politica fiscale banditeschi.
Prevalgono il misero calcolo di bottega, il riflesso conservativo dettato dalla consapevolezza del proprio stato confusionale, dell'inconsistenza di una proposta davvero alternativa, capace di parlare alle classi subalterne e suscitare il coinvolgimento delle energie vitali del Paese. Prevale il puro controcanto polemico, la giaculatoria mediatica, dove tutto si risolve nel sembrare, piuttosto che essere, opposizione. Interclassismo ideologico e bipolarismo politico formano la camicia di forza nella quale si avvita senza prospettive la crisi culturale e politica del mai nato partito democratico. In questa grottesca situazione - dove tutto ciò che si muove, si compone e si scompone, è avulso dalla dinamica sociale - potrebbe essere proprio Berlusconi a coltivare l'idea salvifica delle elezioni anticipate, dell'appello diretto al popolo, dal quale egli ritiene di avere ricevuto un mandato assoluto. Il suo istinto gli dice una cosa vera, al di là del delirio onnipotente che ne descrive la patologia, e cioè che qualcosa di molto profondo si è innestato nella società italiana, nella nervatura della società civile, nel senso comune. Egli ne è l'espressione più corrotta e manigolda, ma attinge ad un brodo di coltura, di disinformazione, di assuefazione che è stato preparato, coltivato, nutrito con meticolosa, scientifica perseveranza, complice una sinistra condannatasi all'eutanasia. È quello che con una scorciatoia letteraria chiamiamo "berlusconismo", osso da rosicchiare ben più duro del fondatore di Forza Italia perché destinato a sopravvivergli, deriva culturale profonda da indagare e contrastare con minore approssimazione di quanto colpevolmente non si faccia. Di questo torbido patrimonio di consenso Berlusconi potrebbe servirsi, trasformando le elezioni in un plebiscito, dal quale egli sente di poter uscire persino irrobustito, forte di un potere personale mai visto se non nel ventennio fascista. E allora? Allora la cosa peggiore è l'immobilismo, l'indifferente abulia di forze talmente poco alternative che ristagnano nel brodo di un liberismo (temperato?), incapaci di guardare persino a quel pezzo del mondo del lavoro ancora capace di iniziativa, di antagonismo sociale, di reattività politica e morale. E qui torniamo ai grandi cortei operai di oggi, trattati - lo ripetiamo - col malcelato disinteresse che si riserva ai fatti più marginali. Temiamo che la stessa sorte toccherà ai migranti, i quali il 17 ottobre manifesteranno per chiedere che l'art. 3 della Costituzione - quello in base al quale il lodo Alfano è stato dichiarato illegittimo - valga anche per loro. Ecco, finché l'opposizione non comprenderà che queste sono le risorse su cui far leva, Berlusconi e gli scalpitanti pretendenti al suo trono potranno dormire sonni tranquilli.


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Aforismi azzurrognoli

Dopo quella su Rosy Bindi il cavaliere ne ha dette tante altre.
Rassegna stampa - Liberazione, Andrea Rivera, 10 ottobre 2009.

Berlusconi, oltre a quelle cose su Rosy Bindi, ha detto:
- Mia moglie: Veronica ora è più Lario che Berlusconi.
- Mangano: è più stalliere che mafioso.
- Dell'Utri: è più mafioso che stalliere.
- Napolitano: sulla carta è più fedele a me che alla Carta.
- Gattuso: è più un terzino che un centrocampista.
- Mara Carfagna: è più un ministro pieni di impegni in calendario che un calendario pieno di impegni per diventà ministro.
- Papa Ratzinger: più che un cattolico è uno che non me dà la comunione.
- D'Alema: è più comunista che skipper.
- Fassino: è più invisibile che l'opposizione.
- Obama: è più abbronzato che la moglie.
- Chiambretti (da quando è su Italia 1): è più marchette ora che prima.
- Tarantini: è più uno che si spaccia per imprenditore che uno che si spaccia e basta.
- Mike Bongiorno: è più in cielo che a Sky.
- La Gabanelli: è più uomo che Rosy Bindi (tanto mo gli ho dato l'assistenza legale).
- Liberazione: è più famosa che L'Altro.
- Previti: è più avvocato mio che condannato.
- Ghedini: è più avvocato mio che condannato (purtroppo).
- D'addario: è più.... D'Addario? E chi cazzo è? Mai sentita.
- Totò Cuffaro: è più uno che vigila Rivera in Commissione Rai che uno condannato a 5 anni. Ma allora, se vigila Rivera, Rivera che cazzo ha combinato?
- Gli italiani: sono più mafiosi che coglioni.
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Info dal Sistema Bibliotecario

Dalla Newsletter del Sistema Bibliotecario Lodigiano.

Biblioteca comunale Laudense.
La biblioteca adulti non è più aperta dal 26 settembre. La biblioteca dei ragazzi sarà aperta fino al 14 novembre compreso. Chiusura totale dal 16 novembre al 10 gennaio 2010. La biblioteca (adulti e ragazzi) riaprirà l'11 gennaio 2010 nella sede provvisoria individuata presso il collegio San Francesco - Via San Francesco, 13 (con orari che saranno comunicati con adeguato anticipo).
Avviso relativo al prestito interbibliotecario: stanti le chiusure, per consentire la restituzione dei volumi in tempi utili, il servizio di interprestito (sia adulti che ragazzi) non funziona più come comunicato dal 26 settembre: dopo tale data non sono più evase richieste. Tutti gli utenti in possesso di volumi richiesti alla biblioteca di Lodi e provenienti da altre biblioteche del sistema bibliotecario dovranno restituirli entro e non oltre il 31 ottobre.
Avviso per gli studenti: da lunedì 6 luglio l’aula studenti – ex Salone dei Notai, è chiusa per consentire l’inizio dei lavori di ristrutturazione della Biblioteca. A partire dal 14 settembre 2009 presso l'edificio di Villa Braila - Via T. Zalli, 5 (piano terra) - è disponibile uno spazio per studio con libri propri. L'aula studio osserva i seguenti orari di apertura: dal lunedì al sabato dalle 9.00 alle 18.00.
Maggiori informazioni: http://lodi.bibliotechelodi.it/

Gli orari della Biblioteca comunale di Livraga.
Mercoledì: dalle ore 16.30 alle ore 18.00
Giovedì: dalle ore 16.00 alle ore 18.00
Venerdì: dalle ore 14.00 alle ore 17.00

Sistema Bibliotecario Lodigiano.
Il Sistema bibliotecario lodigiano e la Provincia di Lodi organizzano l’iniziativa “Sfida all’ultimo libro”. Otto classi delle scuole superiori di Lodi (classi terze e quarte) si sfideranno, tra gennaio e maggio, nella prima edizione di un torneo letterario che propone la lettura di insoliti libri di narrativa contemporanea. Le iscrizioni delle classi partecipanti dovranno pervenire entro e non oltre il 30 ottobre.
Info e regolamento: http://www.bibliotechelodi.it/

Ottobre, piovono libri: i luoghi della lettura.
Alcune biblioteche lodigiane hanno aderito alla manifestazione “Ottobre, piovono libri: i luoghi della lettura”, la campagna promossa dal Centro per il Libro e la Lettura della Direzione Generale per le biblioteche, gli istituti culturali e il diritto d'autore del Ministero per i Beni e le Attività Culturali, in stretta sinergia con la Conferenza delle Regioni e delle Province Autonome, l'Unione delle Province d'Italia e l'Associazione Nazionale Comuni Italiani.
Di seguito l’elenco delle iniziative che devono ancora aver luogo:
Biblioteca Comunale di Cornegliano Laudense.
Giovedì 22/10, ore 16.30, c/o la Biblioteca comunale: “I piccoli in biblioteca”. Lettura animata per bambini da 0 a 3 anni a cura delle educatrici dello Spazio Gioco, a seguire merenda.
Domenica 25/10, dalle 9.30 alle 18.00 in Piazza del Comune: “Biblioteca fuori di sé”. La Biblioteca, in occasione della “Sagra della zucca”, si sposta in piazza per promuovere i suoi servizi, fare proposte di lettura e regalare un ricettario a tema.
Biblioteca Comunale di Lodivecchio.
Dal 20 al 27/10: iniziative di promozione della lettura nell’ambito della manifestazioni legate alla Sagra del Ringraziamento.

Biblioteca di Codogno.
Giovedì 15/10, ore 21.15, c/o Vecchio Ospedale Soave (Viale Gandolfi 6): “Appennino nascosto – La grande montagna. Monti Sibillini, Monti della Laga, Gran Sasso”, relatore Mariano marcotti, presidente del CAI di Codogno.

Torino.
Dal 21 al 25 ottobre 2009, Torino/Saluzzo/Savigliano: FESTIVALSTORIA V Edizione “Il potere dei libri, i libri contro il potere”. Quattro giorni di iniziative diversificate, rivolte a un ampio pubblico, nelle quali trasmissione della conoscenza e capacità di intrattenimento sono sempre contraddistinte da un rigoroso scrupolo scientifico. Ogni edizione di FESTIVALSTORIA ha un tema, un filo rosso in grado di consentire l’articolazione degli eventi secondo precisi percorsi e svolgimenti: incontri, lezioni magistrali, interviste, spettacoli, concerti. L’edizione 2009 affronterà il tema dei libri nella storia.
Info: http://www.festivalstoria.org/
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L'origano in soccorso al mais

Nuove strategie nella lotta biologica contro i parassiti delle piante.

Nuove strategie nella lotta biologica contro i parassiti delle piante sfruttando meccanismi già presenti in natura. Un esempio molto interessante riguarda il mais, salvato dall’attacco della larva di un insetto, attraverso l’introduzione nel suo Dna di un gene proveniente dall’origano. L’origano infatti contiene il codice genetico per produrre una sostanza che attira altri invertebrati nemici delle larve che predano il cereale, e che intervengono come una “task force” per salvare i raccolti. Quello che rende interessante la cosa è che il mais in origine poteva farcela da solo, essendo esso stesso in grado, se minacciato dalla larva, di produrre una sostanza chiamata cariofillene, per attirare gli “alleati”. Ma nel tempo, hanno perso la capacità di emettere il cariofillene. Con questa nuova tecnica, il gene dell’origano viene inserito nel Dna del mais, che così riacquista la capacità di attrarre i nemici della larva: la “task force” da essi costituita contribuisce a ridurre i danni al raccolto.


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Agorà - Spazio di discussione, 2

Tutti in divisa a scuola?

A Pordenone, la scuola media “Centro storico” con 400 alunni, un terzo dei quali straniero, ha adottato polo bianche, felpa blu con il marchio della città. L’idea è della preside Viol; il Consiglio d’istituto ha approvato, il sindaco ha concesso il logo della città. Primi ad aderire proprio gli extracomunitari: nelle loro scuole nello Sri Lanka, in Africa, la divisa è la norma. Duplice l’obiettivo: "Sviluppare il senso di appartenenza a una comunità. E frenare la corsa alla griffe". E noi cosa ne pensiamo?

Spazio foto.
Chi volesse inviarci delle foto che riguardino l'argomento, può spedircele per e-mail. Le pubblicheremo in questo spazio.



Quando la divisa era il grembiule (da notare anche la maestra).
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