FATTI E PAROLE

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domenica 20 settembre 2009

Dodicesima Giornata del Donatore

Riceviamo e volentieri pubblichiamo.
Concerto della "Nevè Shalom Klezmer Band" e un piccolo spettacolo con protagonisti i "Bambini di Cernobyl.

Venerdì 25 settembre alle ore 21 in Piazza della Vittoria a Lodi, Associazione Amici di Serena, AVIS, AIDO e ADMO, in occasione della Dodicesima Giornata del Donatore offriranno un concerto con le musiche della "Nevè Shalom Klezmer Band".
Nella stessa serata i "Bambini di Cernobyl" ospiti del Lodigiano saluteranno la cittadinanza con un breve spettacolo. Sarà un momento di divertimento, ma anche un'occasione per riflettere su quanto si può fare per gli altri.
Siete invitati a partecipare portando quanti conoscete ed a diffondere al massimo questo annuncio.
In caso di maltempo lo spettacolo si terrà presso il Collegio Scaglioni in via Paolo Gorini.


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Una straordinaria iniziativa editoriale

A cura della Pmp edizioni è un documentario sulla vita del Patrono della diocesi.
“San Bassiano e il suo tempo”, un dvd da acquistare in libreria.

Rassegna stampa - Il Cittadino, 19 settembre 2009.

La Pmp edizioni lancia una straordinaria iniziativa editoriale: il dvd “San Bassiano e il suo tempo. Documentario sulla vita del Patrono della diocesi di Lodi”. Il dvd, posto in vendita nella libreria Paoline di via Cavour a Lodi al costo di 5 euro, porta la prestigiosa firma di Giuseppe De Carli, noto giornalista e vaticanista della Rai, e alterna al suo interno approfondimenti sul profilo del patrono e sul momento storico in cui è vissuto agli interventi di don Antonio Spini, del vicario generale della diocesi monsignor Iginio Passerini e dello storico don Angelo Manfredi, per concludersi con le parole del vescovo monsignor Giuseppe Merisi. Il contenuto mostra la figura di Bassiano come emblema non solo della comunità ecclesiastica lodigiana, ma della stessa città e del territorio di Lodi. Per questo il dvd non si limita ad aver un interesse pastorale e spirituale, ma ha rilevanza anche in ambito civile, storico, artistico e turistico. Di sicuro interesse l’approfondimento sulle vicende del territorio, sia dal punto di vista politico, con il disfacimento dell’impero romano e la calata dei Visigoti. In questo contesto figure come Bassiano, primo episcopo di Lodi, o come il vescovo di Milano Ambrogio divennero per il territorio non solo punti di riferimento religiosi e autorità morali, ma andarono a colmare le lacune di un potere politico ormai in inconsistente. Così la nascente Chiesa di Lodi si occupava dei poveri del territorio, ma addirittura con il foro ecclesiastico il vescovo diventava giudice civile. Insieme alle immagini che accompagnano l’audio, gli interventi di don Antonio Spini e di don Angelo Manfredi aggiungono anche un interesse artistico e turistico, il primo approfondisce infatti il tema degli scavi archeologici nell’antica Laus, il secondo dà un’interessante lettura della costruzione della basilica dei XII apostoli di Lodi Vecchio.
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I costi ritardano nuove case popolari

Casale - Ritardi in vista per gli edifici popolari del comparto “Peep 4”, che avrebbero dovuto garantire un tetto a circa 600 persone.
Case a basso costo, progetto bloccato.
Nuove norme: impennata nelle spese degli alloggi in cooperativa.

Rassegna stampa - Il Cittadino, Andrea Bagatta, 19 settembre 2009.

Le nuove disposizioni regionali per il contenimento energetico delle abitazioni, gli standard e le opere d’urbanizzazione di qualità fanno alzare i prezzi di costruzione, e il piano di edilizia economica e popolare “Peep 4“ non decolla. Il “Peep 4” è un progetto avviato da anni, che prevede la realizzazione di 18 lotti di edilizia economica e popolare, con una previsione di circa 600 nuovi abitanti. Un nuovo quartiere sistemato tra la zona industriale di via Labriola e il distributore Agip sulla Mantovana, prima dell’ingresso in Casale.
In fase progettuale si era previsto di realizzarlo con standard qualitativi elevati per le zone pubbliche, i giardini, le piazzette e le vie interne, con una ciclabile e altre opere di collegamento tra il centro città e la zona di via Labriola. «Proprio le elevate richieste in termini di standard, le importanti opere d’urbanizzazione e il cambiamento nella normativa sul contenimento energetico delle abitazioni hanno portato a un aumento dei costi, per cui i costruttori sono in difficoltà - dice il geometra Patrizio Rocca, coordinatore degli operatori -. Abbiamo chiesto al comune un adeguamento del prezzo di convenzione, perché altrimenti non tutti riusciranno a costruire». I piani di edilizia economica e popolare infatti sono realizzati da cooperative e altre società con requisiti particolari, e gli alloggi possono essere venduti a prezzi stabiliti da un’apposita convenzione stipulata con l’amministrazione comunale. Nel caso del “Peep 4”, il prezzo di vendita fissato nel 2006 era di circa 1.200 euro al metro quadrato in base alla tipologia di alloggio, di circa 780 euro al metro quadrato per i box, e i costruttori hanno chiesto un adeguamento di almeno il 10 per cento. «Oltre alle difficoltà di questo piano, la crisi dell’edilizia non ha aiutato gli operatori - prosegue Rocca -. Se non si muove qualcosa, però, difficilmente chi non ha ancora iniziato lo farà nei prossimi mesi». Dei 18 lotti previsti, soltanto due palazzine sono quasi concluse. Altri tre palazzi sono in piedi fino al tetto, ma ancora privi delle finiture e con gli interni da realizzare, come i due condomini Aler. Sette palazzine sono quindi a buon punto. Di altri tre palazzi è stata perimetrata l’area o fatti gli scavi delle fondamenta, mentre degli ultimi otto non c’è nessuna traccia. Le previsioni indicavano nel 2010 o poco dopo la conclusione dei lavori, ma è evidente che il piano è in netto ritardo e che l’anno prossimo forse sarà pronto un terzo dei lotti. Per saziare la fame di case popolari bisognerà attendere il 2011 od oltre.
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Condanna definitiva per Guarischi

Caselle Landi - Pena di cinque anni ma grazie all'indulto non andrà in carcere, l'avvocato ora punta a revisione o Corte europea.
Confermata la condanna per Guarischi.
A nove anni dall’arresto arriva la sentenza definitiva in Cassazione.

Rassegna stampa - Il Cittadino, Carlo Catena, 19 settembre 2009.

Caselle Landi - Confermata in Cassazione la condanna a cinque anni di carcere per Massimo Gianluca Guarischi, il consigliere regionale di Forza Italia (attualmente sospeso) che era finito in carcere il 21 settembre del 2000 assieme ad altri quattro lodigiani nell’ambito dell'inchiesta sui lavori di regimazione idraulica in Valtellina, dopo l’alluvione del 2004, quella che si portò via anche il ponte sull’Adda a Bertonico. «Non c’è però il rischio del carcere - assicura il suo difensore, Alessandro Diddi di Roma - in quanto bisogna scontare i tre anni di indulto e quanto già trascorso in custodia cautelare (127 giorni, ndr). La pena verrà quindi sospesa ma non intendiamo arrenderci: stiamo valutando una revisione del processo o un ricorso alla Corte di giustizia europea».
A ricorrere in Cassazione, dopo il verdetto d’appello del 2007 che aveva fatto cadere l'accusa di corruzione ma inasprito la pena, anche tre imprenditori già condannati per la vicenda: anche per loro la suprema corte ha confermato il verdetto precedente.
La vicenda per cui il manager e politico oggi 45enne era entrato nel mirino dei pubblici ministeri milanesi Fabio Napoleone e Claudio Gittardi aveva visto finire in cella anche l’allora assessore regionale alla protezione civile Milena Bertani: l’ipotesi accusatoria era che appalti regionali per 50 miliardi di lire fossero stati aggiudicati alle imprese del gruppo Guarischi (fondate dal padre, Gianpiero) e ad altre ad esso collegate, come subappaltatrici, versando tangenti dai 40 ai 250 milioni di lire a funzionari regionali, pagati anche sotto forma di consulenze.
La sentenza di secondo grado aveva visto inoltre pene di un anno e 5 mesi per Antonio Lambri, ex sindaco di Caselle Landi, e 3 anni e 3 mesi a un funzionario regionale Emilio Galli. La corte d’appello aveva disposto per Guarischi anche l’interdizione perpetua da incarichi pubblici, oltre a un risarcimento di 131mila euro alla regione Lombardia, confermando le imputazioni di associazione per delinquere, turbativa d’asta e abuso d’ufficio. Nella medesima sentenza invece era stata confermata l’assoluzione per Monica Barbara Guarischi, sorella del politico e all’epoca amministratore delegato delle imprese Flumiter, Cogni, Ilesi, Progetti e Costruzioni, confermando però la tesi accusatoria in base alla quale esisteva un sistema per pilotare gli appalti conseguenti ai dissesti dell’alluvione del 1994. Tra i lavori al vaglio della procura di Milano c’erano anche due interventi sul Po.
Avevano invece patteggiato già in primo grado Roberto Anelli di Caselle Landi, Maurizio Cogni, zio di Guarischi, e Francesco Sverzellati di San Rocco al Porto, mentre Teodoro Cominetti di Caselle Landi aveva patteggiato in un processo stralcio. Dopo questa vicenda alcune delle imprese coinvolte, specializzate in lavori sulle rive dei fiumi, si erano trovate costrette a chiudere.
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Adempimenti fiscali per gli enti di volontariato

La comunicazione di "status" entro il 30 ottobre; riguarda circa mille realtà. Associazioni assediate dall’erario, a rischio sgravi e benefici tributari.
Rassegna stampa - Il Cittadino, Alberto Belloni, 19 settembre 2009.

Poco più di un mese per comunicare il proprio “status” ed evitare di perdere gli sgravi fiscali indispensabili per sopravvivere. È questa la delicata corsa contro il tempo che attende il migliaio di associazioni del mondo "no profit" lodigiano, obbligate dalle nuove leggi a consegnare entro il 30 ottobre all’Agenzia delle Entrate il nuovo Modello di comunicazione dei dati rilevanti ai fini fiscali relativo agli enti associativi - Modello Eas. La novità riguarda la stragrande maggioranza delle associazioni senza scopi di lucro attive sul territorio, dallo sport dilettantistico alla cultura passando per il volontariato, la promozione sociale e gli ambientalisti. Chiunque, in sostanza, preveda il versamento di una quota dai propri associati, fornisca beni o servizi a pagamento (come corsi e attrezzature), introiti ricavati da sponsorizzazioni e pubblicità (soprattutto società e associazioni sportive dilettantistiche) e svolga attività commerciali non occasionali dovrà compilare il questionario, disponibile gratuitamente sul sito www.agenziaentrate.gov.it.
Rispondendo alle 38 domande e inviando la documentazione per tempo, le associazioni in regola continueranno a godere degli attuali benefici; in caso contrario, il fisco ne considererà ogni attività di natura "commerciale", tassando come tali anche il versamento delle quote associative e la già citata vendita di beni e servizi. Primo passo di una politica pronta a sottoporre il mondo "non profit" a continui controlli incrociati, la "rivoluzione" rappresentata dal nuovo Modello di comunicazione Eas chiama insomma l’associazionismo a una tempestiva risposta. La comunicazione, da inviare esclusivamente in via telematica, oltre a richiedere un’ingente mole di informazioni è molto articolata e complessa, e il tempo a disposizione per capire con certezza chi dovrà adempiere al nuovo obbligo è sempre più ridotto. Solo al capitolo sport, per esempio, risultano censite ben 546 associazioni: e nei registri del LausVol, risultano "solo" 800 delle almeno mille organizzazioni "no profit" stimate sul territorio.
A tale proposito, lo stesso LausVol Centro servizi Volontariato della provincia, è pronto a mettersi a disposizione delle associazioni per la compilazione del questionario fin dal 1 ottobre: per usufruire del servizio, aperto per "l’emergenza" anche a tutti coloro che non sono i suoi utenti istituzionali,con un contributo alle spese, le associazioni dovranno però prenotarsi entro il 30 settembre compilando il "form" presente sul sito www.lausvol.it o ritirandolo presso gli uffici di Via Selvagreca 20 a Lodi. Anche le organizzazioni di Volontariato iscritte al registro provinciale sono invitate a rivolgersi al LausVol per verificare se non hanno svolto attività commerciali o se sono titolari di partita iva. È una scadenza importante e da non sottovalutare, per questo si chiede a tutto il no profit lodigiano di contattare il LausVol per richiedere tutte le informazioni necessarie. Il Centro Servizi si attiverà con incontri informativi, consulenze personalizzate e invio telematico.
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Cambio al vertice dei distretti sanitari

I nuovi presidenti e i sindaci lodigiani vogliono lasciare alle spalle le vecchie frizioni politiche. Distretti sanitari, cambio ai vertici. Taravella e Parmesani eletti per le assemblee di Lodi e Casale.
Rassegna stampa - Il Cittadino, Cristina Vercellone, 19 settembre 2009.

Cambio al vertice dei distretti sanitari di Lodi e Casale. Al posto dell’ex sindaco di San Martino Angelo Gazzola è stato eletto il primo cittadino di Ossago Angelo Taravella. Alla vice presidenza, invece, è rimasto in sella Pietro Segalini di Casalmaiocco. Nell’assemblea distrettuale di Casale, in sostituzione dell’ex sindaco di centro sinistra Angelo Pagani è stato nominato l’attuale primo cittadino Flavio Parmesani. La vice presidenza, invece, prima occupata da Giuseppe Passerini, attuale assessore di Casale, è andata al sindaco di Somaglia Giuseppe Medaglia. Situazione invariata, invece, a Sant’Angelo: sulla poltrona dell’assemblea distrettuale resta seduto il sindaco Domenico Crespi. «Con le nuove elezioni amministrative - spiega l’assessore ai servizi sociali del comune di Lodi Silvana Cesani - si era posto il problema di rinnovare le assemblee distrettuali. E così è stato. Interessante, secondo me, è stata l’unanimità delle votazioni, sia a Casale che a Lodi. C’è stata piena condivisione di tutti i sindaci presenti». Si sono lasciate così alle spalle, una volta per tutte, le divisioni del passato che tenevano Lodi e Casale da una parte e Sant’Angelo dall’altra. «Tutti i sindaci - commenta Cesani - hanno manifestato l’intenzione di continuare a lavorare insieme per un unico piano di zona che riunisca le tre assemblee distrettuali. È giusto e sensato che la programmazione territoriale venga fatta da tutti i comuni insieme». A portare il saluto ieri, ad entrambe le assemblee distrettuali, è arrivato il nuovo direttore generale dell’Asl Emilio Triaca. Il manager ha salutato e voluto conoscere i sindaci per la prima volta, in attesa che al suo fianco arrivi anche il nuovo direttore sanitario. «Uno degli elementi importanti del nostro cammino - annota Cesani - è la costituzione del tavolo per la continuità di cura tra ospedale e territorio e la gestione delle dimissioni protette, nato dalle ceneri del tavolo politico per l’ingresso in ospedale della don Gnocchi. Molti dei nodi di questi anni sono stati risolti: volevamo un ente gestore dei servizi sociali e abbiamo costituito il consorzio, volevamo una programmazione unica e l’abbiamo ottenuta. Volevamo che la separazione tra Asl e Ao venisse ricomposta e abbiamo costituito il tavolo di lavoro». Il prossimo passo è unire le case di riposo in una rete unica che faccia capo al consorzio. «Questo progetto però - annota Cesani - è lontano. Attualmente la situazione è delicata, le case di riposo attraversano una forte crisi economica».
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Il patriottismo guerrafondaio odia la dissidenza

Diabolica (e ipocrita) perseveranza.
Rassegna stampa - Liberazione, Dino Greco, 20 settembre 2009.

Un coro ipocrita - che in qualche caso diventa minaccioso e violento - intima il silenzio a chi sostiene che la missione militare in Afghanistan debba finire e il contingente italiano debba essere riportato a casa. Subito. Gli strali di un risorto patriottismo guerrafondaio si abbattono senza requie persino contro chi prova a sollevare dei sommessi dubbi sull'utilità di una presenza militare palesemente destinata a scivolare in una compartecipazione diretta del nostro Paese al conflitto - giova ricordarlo - scatenato unilateralmente da Bush dopo l'attentato dell'11 settembre. Tutto l'armamentario retorico possibile e immaginabile viene in queste ore scatenato per inibire sul nascere qualsiasi osservazione critica, o semplicemente razionale, sul senso dell'occupazione dell'Afghanistan. Persino il dolore dei familiari dei militari caduti è stato evocato per accusare di tradimento chi oggi suggerisce che quelle morti sono state - come sono state - tragicamente inutili. Mallevadore (ohinoi!) il Presidente della Repubblica, uno schieramento che unisce i due principali partiti del governo e dell'opposizione ha chiuso ogni spazio di discussione. Labili voci dentro il Pd, di cui si ode appena il fruscio, lasciano intendere che si potrebbe tornare a discutere di come trasformare l'intera missione - oggi divisa fra la guerra angloamericana e l'intervento di peace-keeping a guida Nato - in una presenza diversa, capace di mettere al bando i bombardamenti che mietono sistematicamente vite umane fra la popolazione civile. Non vi è nulla di più velleitario di questo straparlare di immaginifici scenari. La situazione in Afghanistan è gravemente peggiorata. Quando un tronfio De Michelis spiega che l'accentuarsi degli attentati non è altro che la conferma del successo dell'azione militare, pronuncia un'enormità senza pari. I talebani oggi controllano quattro quinti del territoio afghano. La loro capacità di penetrazione sin nel cuore di Kabul, la facilità con cui vengono portati a termine gli attentati raccontano, indirettamente, dell'ostilità sempre più diffusa nella popolazione per un'occupazione militare che - nella logica belligerante - non può fare altro che aumentare il proprio potenziale offensivo. Gli Stati Uniti hanno appena annunciato che entro l'anno il loro contingente sarà implementato di ventunmila uomini. E agli alleati essi chiedono uno sforzo analogo. Se c'è un'evoluzione evidente nel processo in corso, questa è proprio l'intensificazione del conflitto, destinata a togliere di mezzo l'esile foglia di fico che separa l'azione militare propriamente detta dalla missione Isaf.
Non c'è che una soluzione per imporre un diverso modo di guardare alla questione afghana, di interrompere la coazione ripetitiva che avvita il conflitto su se stesso, senza via di uscita. Ed è quello di pervenire ad una conferenza internazionale di pace. Ma perché questo avvenga, perché una simile svolta si inveri, la guerra deve essere fermata.
Il contributo che il nostro Paese può dare a questo obiettivo è guardare lucidamente al piano inclinato su cui rotola il conflitto e fare un passo indietro. Riportare a casa i soldati. Costringere gli alleati a cambiare strategia. Contribuire a creare una situazione nuova, dove alle armi si sostituisca la diplomazia. Questo suggerirebbe una rediviva saggezza politica e imporrebbe la nostra bistrattata Costituzione.
Se questa resipiscenza si facesse strada, anche i nostri soldati non sarebbero morti senza ragione.
Il fatto è che da troppo tempo il movimento della pace è silente, perché sfiancato dalle sconfitte subite e perché privo di un'interlocuzione politica ricettiva. Eppure è quella la tela da ritessere. Occorre crederci, rammendando l'ordito sconnesso del popolo della pace, riunendo le tante voci dal basso, non assuefatte, non renitenti, non rifluite in una autodistruttiva passività. Riproviamoci. Siamo in diversi, in questi giorni, a rimandarci questo messaggio, attraverso la modesta ma non rassegnata voce della stampa di sinistra, quella non addomesticata, o attraverso i tanti segnali di vita che percorrono la rete telematica. Proviamo a dare un corpo, una visibilità, ad un pensiero e ad un protagonismo tramortiti da tante battute d'arresto, ma non estinti.
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L'ultimo rigurgito

Un piano per far fuori Berlusconi.
Brunetta parla di tentato colpo di Stato della sinistra e dei poteri forti. Esagera? No. E vi spieghiamo perché. Sconfitti alle elezioni progettano l'ennesimo ribaltone nel Paese e in Parlamento. Il sogno: disarcionare il premier.



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L'intollerante berlusconismo integralista

Per rendersi conto pienamente chi sia l'interlocutore bisogna leggere, leggere e leggere.
Il prete sciacallo e il silenzio del Cardinale.
Rassegna stampa - Il Giornale, Alessandro Sallusti, 20 settembre 2009.

Ci sono parole e fatti che indignano i professionisti della protesta. Altri no. Basta che Berlusconi, Brunetta, la Gelmini, Bossi e suo figlio aprano bocca che subito le agenzie battono reazioni allarmate dei vari esponenti dell'opposizione e dell'intellettuale di turno. Di Pietro insegna. Non avendo un lavoro né nulla di interessante da fare, il leader dell'Idv passa la giornate a sfornare pareri non richiesti su tutto e tutti. Ma, dicevamo, a volte non è così. Per esempio ieri non abbiamo sentito o letto condanne e prese di distanza da quegli imbecilli che stanno imbrattando i muri delle nostre città con la scritta «-6» in segno di esultanza per il successo dei talebani nell'attentato di Kabul contro i nostri soldati. Mani anonime, si dirà. Certo, ma la matrice politica è chiara, ed è da cercare nell'area dell'antiberlusconismo radicale alla quale non pochi signori che vediamo ogni sera nei talk-show televisivi strizzano l'occhio. Sono curioso di vedere se oggi la democratica Concita De Gregorio scriverà qualche cosa contro questi mascalzoni sulla sua Unità sempre pronta a dare lezioni di morale. O se Ballarò e Santoro dedicheranno qualche minuto delle loro trasmissioni per smascherare e denunciare gli sciacalli di sinistra.
Ma soprattutto mi colpisce il silenzio del cardinale di Milano, Dionigi Tettamanzi, nei confronti di un suo dipendente, don Giorgio de Capitani, parroco a Lecco, diocesi ambrosiana. Questo prete, già noto per le sue violente omelie contro Berlusconi, ieri ha detto e scritto sul suo sito che i parà uccisi a Kabul «sono solo dei mercenari» che non meritano tanta commozione. Oggi, interpellato dal nostro inviato Luca Fazzo, rincara la dose e confida che «su tante cose anche il cardinale Tettamanzi la pensa come me, solo che non può dirlo». Ora, noi non ci permettiamo di mettere becco in casa altrui, sappiamo che nella Chiesa c'è posto per tutti, anche per gli svitati, ma è chiaro che delle due l'una: o oggi, subito, vengono presi provvedimenti tali da impedire a don Giorgio di offendere i nostri morti a nome e per conto di Dio, oppure ha ragione lui e il silenzio del cardinale diventa benedizione e complicità.
Anche perché ieri il Tettamanzi ha ricevuto parole di encomio importanti. Cito testualmente: «Il capo della diocesi milanese è l'unico che ci difende, appoggiando la nostra richiesta di costruire delle moschee. Fino ad ora è stato l'unico ad avere espresso nei nostri confronti parole cristiane e rispettose della costituzione che garantisce a tutte le religioni di avere propri luoghi di culto». A sbilanciarsi in tanto ringraziamento è stato Abdel Hamid Shaari, presidente del centro islamico milanese. Vorremo poter dire altrettanto, e cioè ringraziare il nostro cardinale per aver difeso senza indugio, oltre che i diritti degli islamici, anche quelli dei nostri soldati che non sono mercenari ma che erano a Kabul mandati dal nostro Parlamento, cioè da tutti noi, in pieno rispetto del dettato costituzionale.
Si potrebbe obiettare: don Giorgio è don Giorgio, Tettamanzi è altro. Giusto. Ma senza entrare in questioni ecclesiali, mi sembra ovvio che un fedele quando ascolta il suo parroco sia convinto che questi non parli a titolo personale ma che le sue parole siano ispirate ai sacri testi. E allora non vorremmo che qualche buon cristiano sia convinto che il buon Dio o il suo vicario in terra considerino i nostri soldati gente indegna. Senza contare che tutti i cristiani, e i preti in particolare, debbono obbedienza al proprio vescovo. Speriamo che quest'ultimo abbia tempo e voglia di farsi obbedire.

L’intervento Mai più sottomesse: la mia sfida all’umiliazione del burqa.
Rassegna stampa - Il Giornale, Daniela Santanchè leader del Movimento per l’Italia, 20 settembre 2009.

Perché lanciare una mobilitazione contro il burqa? E perché farlo proprio ora, all’indomani dell’ennesimo assassinio di una ragazza musulmana giustiziata dal padre in nome della purezza dell’islam e dell’odio contro i cristiani infedeli? Non so quante saranno le immigrate che si presenteranno questa mattina alla nuova moschea di Milano nascoste dalla testa ai piedi sotto un burqa o la sua versione ridotta - il niqab - per celebrare la fine del ramadan. Io ci sarò. Ma fosse anche una sola, dovrà esser fermata, identificata e sanzionata come prescrive la legge italiana. Non per punirla, sappiamo bene che non è sua la prima responsabilità di quella scelta, ma per lanciare un messaggio chiaro di solidarietà a tutte le donne dell’immigrazione che lottano per strappare nelle loro comunità un minimo di emancipazione e di diritti. E per inviare un segnale ancora più chiaro della presenza dello Stato agli imam che hanno armato e guidato la mano di quel padre santificando nelle loro moschee la sottomissione e l’umiliazione della donna.
Di questa umiliazione il burqa è il manifesto, il libretto di circolazione. Nei Paesi dove la faccia più barbara e oscura dell’islam prende il sopravvento, il primo provvedimento del regime è sempre quello di imporre alle donne il burqa o qualcuno dei suoi derivati. E anche noi, come in Francia, dovremmo impedirne la circolazione non per soli motivi di sicurezza, ma per ciò che rappresenta. Nell’Afghanistan dei talebani che oggi riempie le pagine dei giornali, le donne che usavano ribellarsi al burqa e alle sue leggi venivano decapitate negli stadi o nelle piazze ed era ai loro familiari che toccava l’onore di eseguire l’esecuzione. Il burqa viola la donna musulmana tanto quanto l’infibulazione. Tutte e due cancellano la sua identità più profonda. Tutti e due, burqa e infibulazione, per sottomettere la sua femminilità, la annullano come persona. Tutte e due le assegnano un’unica missione, quella di trasformarsi in una fabbrica di figli e di sottomettersi ciecamente alla volontà degli uomini della famiglia. Così come appare evidente nell’ultimo episodio avvenuto nei giorni scorsi in Italia. E se tradisce la sua missione, se si avventura fuori dallo stretto recinto che le è stato assegnato, nei luoghi del fondamentalismo c’è la lapidazione o la forca. Da noi si ricorre al coltello. E poi non ci sono solo le 37 povere donne sgozzate, ce ne sono centinaia di cui non si parla. Finite in ospedale con le ossa rotte, la testa spaccata, i segni dei calci e del bastone stampati su tutto il corpo. È proprio di questo che stamattina tutti noi siamo chiamati a rispondere davanti all’ingresso della nuova moschea di Milano.

Risultato sotto l'occhio di fotografi e telecamere che non potevano perdere il ghiotto evento di provocazione: Milano, protesta contro il burqa: aggredita Santanchè.
Il leader del Movimento per l'Italia è stata strattonata e gettata per terra da islamici davanti al teatro Ciak dopo avere cercato di strappare il velo ad alcune musulmane.



A Milano il leader del Movimento per l'Italia Daniela Santanchè è stata strattonata e gettata in terra da un gruppo di islamici. La Santanchè stava protestando contro l'uso del burqa davanti al Teatro Ciak, dove si sta svolgendo una festa islamica per la fine del Ramadan. Esponenti della comunità musulmana milanese hanno negato che ci sia stata aggressione e, a loro volta, hanno denunciato l'atto della Santanchè.
La leader del Movimento per l'Italia, impegnata da tempo in una battaglia per l'integrazione e contro il fondamentalismo islamico, era giunta stamane con l'intento di vietare l'ingresso delle donne in burqa.
Dopo i tafferugli Daniela Santanchè ha ottenuto di poter entrare nel luogo dove i musulmani stanno pregando. L'europarlamentare è entrata in un clima di forte tensione scortata dalla polizia ed ha parlato con alcune donne. Esponenti della comunità musulmana hanno stigmatizzato l'aggressione e gli insulti verso la leader del Movimento per l'Italia, ma hanno anche rivendicato il diritto delle loro donne ad indossare il burqa e hanno fornito la loro versione dei fatti, parlando di "atto propagandistico fatto sulla pelle dei musulmani".
Alla Fabbrica del Vapore i partecipanti negano l'aggressione e sostengono che sia stata l'esponente politico, con le persone che l'accompagnavano, "ad aggredire strappando il velo alle donne e a gettarsi a terra" aggiungendo che "comunque la festa non è stata assolutamente rovinata". Il presidente dell'Istituto culturale islamico di viale Jenner, Abdel Hamid Shaari, molto sereno, ha affermato: "Se la signora Santanchè ritiene che qualcuno l'ha aggredita faccia la sua denuncia e poi ci sono organi preposti ad accertare la verità. Comunque nessuno l'ha aggredita o minacciata, cosa impossibile visto che c'era un cordone delle forze dell'ordine che ringraziamo. Oggi siamo in festa e lei ha cercato con un manipolo di persone di strappare il velo alle donne velate. Una provocazione vera e propria".
Analoghe le accuse del portavoce dell'Ucoii e imam di Firenze, Izzeddin Elzir: "L'ex parlamentare Santanchè è andata a provocare le donne musulmane con un gruppetto di squadristi. È un atto gravissimo togliere il velo. C'è stata una reazione e nel caos è successo quel che è successo".










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L'intervista di Brunetta al Giornale

Brunetta: "Il golpe? Progettato da sinistra e dall'Italia peggiore".
Rassegna stampa - Il Giornale, Antonio Signorini, 20 settembre 2009.




Ministro Renato Brunetta, quindi stiamo assistendo all’«offensiva della parte peggiore dell’Italia», a un «colpo di Stato di élites irresponsabili». Ma da dove sbucano fuori?
«Il nostro Paese è da sempre diviso in due. Una parte maggioritaria che è l’Italia dei produttori e del buon capitale. Commercianti, professionisti, lavoratori dipendenti, agricoltori, piccole imprese. Un mondo che produce, non è esente da difetti e da vizi piccoli o grandi, ma è l’Italia del buon lavoro e del buon profitto».
E l’altra parte?
«È minoritaria, legata alla cattiva rendita finanziaria, bancaria e burocratica. È espressione dei poteri forti, quelli delle cattive speculazioni. È l’Italia caudataria, al servizio e dipendente dal potere che negli anni della Democrazia cristiana aveva i suoi giornali e una rappresentazione culturale. A quei tempi la sua presenza era mitigata proprio dalla Dc e dalla dottrina sociale della Chiesa».
E oggi?
«Dopo il golpe dell’inizio anni Novanta e dopo l’avvento di Berlusconi e del berlusconismo al potere è andata di fatto la prima Italia, cioè una classe dirigente in nessun modo legata ai salotti buoni o cattivi. Va al potere per la prima volta senza inutili mediazioni e lo fa con programma molto chiaro: distruggere la seconda Italia, quella dei parassiti».
Quindi la campagna mediatica contro il governo sarebbe istinto di sopravvivenza.
«È il risultato del fatto che la seconda Italia, che non aveva mai voluto entrare in conflitto con il potere in quanto parassitaria, per la prima volta si è sentita veramente in pericolo e ha cercato una sponda. L’ha trovata a sinistra. Nei partiti sconfitti dalla storia dopo il crollo del muro di Berlino».
Tutto sommato è un successo per una sinistra che era sempre stata marginalizzata riuscire a imbarcare delle élites, non crede?
«Intanto sono soi-disent élite. E poi usano la sinistra come un tassì. Certo, è un taxi scalcagnato, ma le élites della rendita avevano bisogno di un luogo politico, visto che non hanno funzionato i vari club che hanno costituito. E questo luogo non poteva che essere il Pci-Pds-Ds-Pd. Un bell’abbraccio mortale che sta portando a fondo entrambi».
Buon per voi che state dall’altra parte.
«Ma no. Intanto è un paradosso mondiale che la sinistra si allei con la rendita parassitaria, ma poi questa è una miscela insopportabile e impossibile per tutti. Ma come si fa politica con partiti sfasciati e l’opposizione in mano ai giornali?».
E cosa dovrebbe fare l’opposizione?
«Io voglio fare un appello alla buona sinistra: liberati dall’abbraccio mortale delle lobby della rendita e della cattiva finanza, non è quello il tuo mondo. Stai dalla parte del popolo. Attacca il governo, criticaci, proponi politiche alternative, ma lascia stare i colpi di Stato. Lo stesso berlusconismo, il gruppo dirigente maggioritario, ha bisogno di un’opposizione politica vera. A sinistra c’è tanta gente per bene che non può sentirsi rappresentata dai padroni del cattivo vapore. Dai soliti noti come i passeggeri del Britannia».
Nel Pd chi potrebbe meglio raccogliere il suo appello, Bersani o Franceschini?
«Fino a ieri dicevo Bersani, adesso ho dubbi persino su di lui. Negli ultimi tempi ha mostrato una sua faccia stalinista che non mi piace affatto. Pensavo fosse figlio del riformismo emiliano, evidentemente con la corsa al potere si è avvicinato alle élites della rendita».
Franceschini?
«Non è nemmeno in gioco. Un traduttor dei traduttor d’Omero. Io ho stima di personalità come Chiamparino».
Facciamo qualche nome dell’Italia parassita. Intanto la sinistra.
«La campagna antigovernativa non viene dalla sinistra. Sono le finte élites che vogliono tentare il colpaccio».
Se dice «élites», di fatto sta citando un recente articolo di Andrea Romano sul «Sole 24 Ore» a proposito della retorica contro le classi dirigenti.
«Agli Andrea Romano direi di studiare un po’ più di economia e di storia recente e meno recente di questo paese. I caratteri costituivi delle élite non sono quelli che pensa lui. Una élite non si autodefinisce, non è tale perché possiede giornali o televisioni, ma perché rappresenta un popolo. Perché è parte del processo di accumulazione».
Il giornale che ha ospitato quel ragionamento è degli industriali.
«Ha scritto bene Nicola Porro sul Giornale; è strano che il quotidiano della Confindustria, dei produttori dia spazio a interpretazioni di questo tipo. Marcegaglia fa parte di una élite vera, di una famiglia che ha rischiato e insieme a lei i tanti imprenditori che hanno costruito il Paese insieme ai loro dipendenti. Queste sono le élites del nostro Paese. Non basta imbarcarsi nel Britannia per sentirsi élite, bisogna avere etica del capitalismo».
Se lei cita Andrea Romano, tutti diranno che ce l’ha con Luca Cordero di Montezemolo. È giusto?
«Per nulla. Dico una cosa che forse doveva restare riservata: ho ricevuto da poco una telefonata da Montezemolo e mi ha detto che è d’accordo con me. Mi ha fatto molto piacere perché ho avuto conferma che in Italia il buon capitale c’è. E non deve essere confuso con la cattiva rendita finanziaria, con finte cooperative, pensiamo ai processi di questi giorni».
Diamo un volto politico agli aspiranti golpisti. Pier Ferdinando Casini?
«No, quella è un’altra partita. Residuale. Non mi sembra un attore, semmai uno che aspetta. Ma uno che aspetta l’evoluzione dello scontro non potrà mai essere protagonista».
Gianfranco Fini.
«A me il discorso di Fini al congresso fondativo del Pdl piacque moltissimo. E considero il Fini di quel discorso una ricchezza per il partito».
Sta dicendo che vorrebbe che Fini tornasse quello di allora?
«Non è mai uscito. I suoi dubbi sono una ricchezza per il Pdl. Il Popolo della libertà non può che essere un partito rigoroso, ma accogliente».
A cosa puntano i golpisti?
«A fare un governo. Lo stanno già progettando, quest’estate ci sono stati incontri e hanno pure stilato le liste dei ministri, il programma di governo».
Quindi crede ai retroscena usciti in queste settimane?
«Sì, ma ne sorrido. Sono un uomo del popolo e penso che il potere sia nel popolo. Per questo quando vedo questi conati salottieri non mi preoccupo più di tanto».
Che governo farebbero le finte élites parassitarie?
«Il classico governo tecnico dei sedicenti migliori. Commis, apparati e sepolcri imbiancati. Un governo con un unico programma: la protezione della rendita».
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Morire per quindici euro

Missionario italiano ucciso in Brasile: tre fermi.
Don Ruggero Ruvoletto, sacerdote della Diocesi di Padova, era arrivato due anni fa in Amazzonia. I sospettati dell'omicidio sono tre ragazzi appena maggiorenni che gli avrebbero sparato per rubargli quindici euro.
VideoPost - Sky Tg24, 20 settembre 2009.



Si chiamava Don Ruggero Ruvoletto, 52 anni, il missionario della diocesi di Padova ucciso con un colpo di pistola alla testa nella sua parrocchia di Santa Evelina alla periferia di Manaus nel nord est del Brasile. Ruvoletto era molto amato dagli abitanti del posto. Proprio la gente ha aiutato gli inquirenti a catturare tre giovani sospettati dell'assassinio. Due dei fermati, un 18enne, e un 19venne, sono sospettati di aver ucciso un altro ragazzo la scorsa settimana, del terzo non sono state rese note le generalità. Durante l'agguato sarebbero stati rubati alla vittima una quindicina di euro.
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Nessun timore che fugga l'attimo per protestare

Gad Lerner: «Siamo in emergenza... ma qualcosa scricchiola».
La manifestazione per la libertà di informazione è stata rinviata al 3 ottobre.

Rassegna stampa - Liberazione, Antonella Marrone, 19 settembre 2009.

La manifestazione per la libertà di informazione è stata rinviata al 3 ottobre. Va bene? O forse si poteva cogliere l'occasione per avvicinare temi non così lontani, la libertà, l'informazione e la pace?
Credo che il rinvio sia stato un gesto di responsabilità. Saremmo scesi su un terreno di contrapposizione, saremmo stati accusati di aver ignorato il lutto nazionale. Non avrei timore che fugga l'attimo per manifestare. Stiamo vivendo un momento molto fluido, in cui con una rapidità superiore a quello che si poteva immaginare, il piedistallo sul quale si è autoinnalzato Berlusconi scricchiola. Non è mantenere o rinviare la manifestazione che cambia la sostanza di questa fase.
Elementi di questo scricchiolio?
Secondo me il deterioramento dell'egemonia personale rende Berlusconi molto litigioso e, da uomo che ha il senso del marketing e della comunicazione, avverte la presa di questa fase sull'opinione pubblica e cerca di militarizzare, vedi la vicenda Rai. E commette anche degli errori, come quello di Porta a Porta dell'altra sera. Errori dettati dall'ansia di riconfermare il suo carisma, di riconfermare il fatto di essere invidiabile. Decisivo, secondo me è come si è incrinato il suo rapporto con le donne: da grande seduttore, all'uomo grottesco, ridicolo, patetico...
Non credi che libertà di informazione e guerra, ossia l'omologazione informativa che spesso a proposito delle guerre...
Il lutto non impedisce mai di riflettere su scelte difficilissime di politica estera. Penso al pacifismo israeliano che conosco bene. Onorare i caduti e il comportamento leale dei soldati ed essere vicini al dolore delle famiglie non è in contraddizione con l'esprimere un giudizio critico. Per questo non credo che annullare la manifestazione voglia dire proibire di fare una riflessione sull'Afghanistan.
Su alcuni temi, però c'è una sorta di autolimitazione della libertà di informazione, e la guerra è uno di questi...
Ho capito dove mi stai portando, ma non sono d'accordo. Nel senso che se ragioniamo sulla situazione in Afghanistan, probabilmente io e te la pensiamo in maniera diversa, nel senso che io vivo il senso drammatico di una scelta che non può essere vincente, ma che secondo me non si può non fare... Non sarei per il ritiro immediato. Detto ciò rispetto molto le posizioni più critiche. Noi siamo lì per difendere un equilibrio geopolitico e non per difendere la democrazia, visto che i politici afgani ai quali ci appoggiamo, dal punto di vista democratico, sono piuttosto simili ai talebani contro cui combattono, quindi... Quello che mi spaventa è che anche a sinistra (come a destra) si faccia il ragionamento di finto "buon senso", molto insidioso perché molto efficace: «ma perché vi occupate di quelle sciocchezze, di gossip, donnine, quando invece c'è la disoccupazione, l'economia sta male, c'è la guerra...», come se la stampa italiana - che per altro è piuttosto tremebonda con poche eccezioni - si occupasse di frivolezze, mentre le questioni importanti sono nascoste. Questo mi sembra un falso. Perché ci sono questioni sostanziali - la dignità della politica, il rapporto uomo donna, il rapporto fra interesse privato e pubblico - che sono fondamentali nella democrazia ed è fondamentale il ruolo dell'informazione e della libertà di stampa.
La lottizzazione non è, per quanto riguarda la televisione pubblica, uno dei freni maggiori alla libertà di informazione? Basti pensare al Tg1...
Io sono da sempre favorevole alla privatizzazione della Rai, almeno di una componente principale, come Raiuno, perché escludo - per come è fatta la nostra storia - che possa esserci in Italia un servizio pubblico sottratto alla lottizzazione. Per la storia italiana questa tv è di proprietà del Parlamento quindi dei partiti che su questa smania proprietaria trovano unanimità trasversale.
Una storia che ti ha toccato direttamente visto come ti sei dimesso da direttore del Tg1...
Il fatto di aver abolito il pastone politico, in cui si davano 10 o 12 secondi di dichiarazione a ogni singolo partito, ogni sera, mi ha portato ad avere l'ostilità compatta di tutti. Quelli erano convinti, secondo me a torto, che 10, 12 secondi a sera erano decisivi per la loro esistenza, e che invece la mia controproposta, quella di fare un servizio ampio quando c'era un'iniziativa importante da presentare, dicevano che era un tranello per fotterli...
In questo senso le ragioni dei radicali - che non hanno aderito alla manifestazione - hanno un qualche motivo di essere?
Bisogna sempre saper individuare i fatti nuovi per cui ci si muove. È uno scandalo il modo in cui si va alla Rai, siamo oltre la lottizzazione. Stiamo andando verso uno uso propagandistico sfacciato di quello che nel passato erano le aree di informazione. Quando ero direttore del Tg1 i casini del centrosinistra li raccontavo eccome, perché erano notizie. Oggi il Tg1 non rispetta le norme più elementari della gerarchia delle notizie.... Ma la manifestazione non risponde ad esigenze di riforma strutturale del sistema televisivo e della carta stampata. Unisce persone che su questi progetti possono essere divise. Credo che sull'emergenza militarizzazione dell'informazione che riguarda la presa della Rai a cui viene tolta ogni dignità giornalista, le minacce a cinque giornaliste donne dell'Unità e l'attacco a Repubblica, su questo, anche pensandola diversamente sul ruolo della Rai, possiamo stare insieme. Per me potevano esserci eccome i radicali.
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Un intero popolo devastato dalla guerra

«Più diplomazia e maggiori risorse, nuova strategia per aiutare Kabul».
Rassegna stampa - Liberazione, Frida Nacinovich, 19 settembre 2009.

Un'altra strage. Decine di morti e feriti, militari italiani e civili afghani. Parliamo di Kabul con Rosa Villecco Calipari.
Il primo pensiero - e non potrebbe essere altrimenti - va ai soldati che hanno perso la vita cercando di onorare il compito che il nostro paese gli ha affidato, ai loro colleghi rimasti feriti. Sento forte il dovere di essere vicina ai loro familiari in un momento in cui sono costretti a misurarsi con un enorme shock, con un dolore insopportabile. Altrettanta pietà voglio rivolgere alle vittime civili di questo vile attentato e alle centinaia di afghani rimasti feriti. Non ci sono solo integralisti e kamikaze, c'è un intero popolo devastato dalla guerra.
Che fare? Stiamo parlando di uno dei paesi più poveri al mondo, dove ci sono appena state le elezioni, dove le Nazioni unite segnalano irregolarità, un paese diviso, sull'orlo della guerra civile.
Sappiamo dalle Ong operanti in Afghanistan - come ActionAid ed Intersos - che la situazione è drammatica. La popolazione vive da anni in condizioni di gravissima difficoltà, le donne sono le più colpite: il tasso di analfabetismo femminile supera l'85% e quello della mortalità durante il parto è il secondo più elevato al mondo, con 1.800 morti ogni 100.000 nati vivi. Ritengo sia giusto chiedersi, a questo punto, se il sostegno della comunità internazionale e specialmente dell'Italia alla democrazia afgana siano efficaci. È necessario pretendere un dibattito serrato e risultati concreti sul tema dei diritti umani e soprattutto su quelli delle donne. Donne, come ci ricorda la risoluzione 1325 delle Nazioni unite, che dovrebbero essere coinvolte nella promozione della pace e nella prevenzione della violenza, durante e dopo i conflitti.
In Parlamento si discute, palazzo Chigi annuncia una transition strategy. In Germania il governo sta predisponendo una via d'uscita con la consegna del paese alle autorità locali. Anche perché la cancelliera Merkel sa che i sondaggi rilevano come il 60% dei tedeschi sia favorevole al ritorno a casa dei soldati.
Non vorrei cadere nella retorica, non amo la retorica. E in momenti drammatici come questi bisogna cercare di non alzare i toni, altrimenti si fa male anche a chi rimane. Ne so qualcosa. Da tempo, non da oggi, come Partito democratico - sono capogruppo in commissione Difesa - abbiamo osservato che la missione in Afghanistan dava segnali sempre più preoccupanti, soprattutto per i nostri militari. La situazione andava peggiorando, con continui attacchi e molte vittime civili. Lo abbiamo denunciato in Parlamento discutendo l'ultimo decreto di rifinanziamento. Bisogna riflettere sulla strada che stiamo percorrendo da otto anni. Sembra che gli Stati Uniti di Obama abbiano cambiato strategia nel tentativo di stabilire un legame più stretto con le popolazioni locali. Potrebbe mutare il volto della missione Usa, che è diversa da quella della Nato. L'Afghanistan ha bisogno di sostegno e risorse. Di questo dobbiamo discutere nelle sedi internazionali, anche con Russia e Cina, al fine di assumere una forte e seria iniziativa politica da affiancare alla presenza militare internazionale. Il paradosso è che il nostro paese così fortemente impegnato nella missione militare non riesca a sviluppare un'iniziativa diplomatica altrettanto efficace, come sarebbe invece necessario soprattutto all'indomani dell'elezione di Karzai su cui si avanzano sospetti di brogli che ne mettono in discussione la legittimità.
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Berlusconi e la rabbia delle italiane

La rivolta delle donne contro Berlusconi.
Rassegna stampa - l'Unità.it, 20 settembre 2009.

«Dopo un'estate in cui Silvio Berlusconi è stato varie volte accusato di "frequentare minorenni", di dormire con prostitute e di dare viziosi party nella sua villa in Sardegna, è giunto il momento della reazione femminista». Così, l'Observer, l'inserto domenicale del quotidiano britannico The Guardian, torna sul caso Berlusconi-D'Addario e sugli strascichi che ha prodotto in questi ultimi mesi. A cominciare dalla lunga serie di interventi pubblicati da l'Unità e aperti dalle riflessioni di Nadia Urbinati, L'articolo, intitolato «Il "sessista" Berlusconi affronta il boomerang della rabbia delle italiane», prende spunto dal documentario, "Il Corpo delle donne" apparso su web e visto «da più di mezzo milione di persone» che «è un'aspra critica al sessismo quotidiano che caratterizza la tv commerciale italiana».
Secondo l'Observer infatti, «il bersaglio» di questa «rivolta» femminista, «non è solo Berlusconi ma la cultura diffusa di un paese in cui un premier può sopravvivere a simili accuse». Un femminismo che, scrive l'Observer, è partito quest' estate dalle docenti universitarie e ora sta «montando fuori dai corridoi degli atenei». Così, «mentre giudici, senatrici, suore, storiche e donne d'affari hanno fatto circolare due petizioni per la fine del sessismo in tv, la Corte europea dei diritti dell'uomo dovrà decidere se Berlusconi potrà essere sanzionato per sessismo dopo che due politiche, Donata Gottardi e Anna Paola Concia, hanno adito alla Corte per le ripetute dichiarazioni irrispettose della vita e della dignità delle donne», conclude l'Observer.

Veline, l'Osce al premier Berlusconi: ritiri le querele a Repubblica e Unità.
Rassegna stampa - l'Unità.it, 20 settembre 2009.

Il rappresentante dell'Osce (l'Organizzazione per la sicurezza e la cooperazione in Europa) per la libertà di stampa, in una nota, ha lanciato un appello al premier italiano Silvio Berlusconi, chiedendogli di ritirare le sue querele per diffamazione contro i quotidiani la Repubblica e l'Unità per le domande e le rivelazioni sugli scandali legati alla vita privata del presidente del Consiglio.
Secondo Miklos Haraszti, i dirigenti politici devono accettare un livello di critica più elevato rispetto al cittadino ordinario per via delle funzioni che svolgono, secondo i principi giuridici su cui si basa la Corte europea per i diritti dell'Uomo. «Porre continuamente domande, anche se di parte, è uno strumento della funzione correttiva dei media. Il diritto a sapere del pubblico include inevitabilmente il diritto dei media a porre domande», dice ancora l'esponente dell'Osce.
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Il berlusconiano perfetto

Il ministro aveva accusato la sinistra di golpismo e aveva detto "muoia ammazzata". "Se mi attaccano per una battuta facciano pure, nel merito non ho avuto obiezioni. "Brunetta insiste: "Non mi scuso è in gioco la democrazia".
Rassegna stampa - Repubblica.it, 20 settembre 2009.

Roma - "Non sono un ipocrita, non mi scuso per i toni che ho usato: se i giornalini o i giornaloni si attaccano a una battuta ironica fatta in romanesco facciano pure, nel merito di quello che ho detto non ho ricevuto nessuna obiezione". Torna sulle polemiche scatenate dalle sue dichiarazioni il ministro Renato Brunetta che ieri aveva detto: "Sinistra golpista, vada a morire ammazzata".
"I benpensanti dicono che ho usato toni forti, ma qui è in gioco la democrazia", aggiunge. E spiega: "Io ho fatto un identikit delle èlites parassitarie che si appoggiano alla sinistra e che vogliono far cadere un governo democraticamente eletto. Non chiedetemi i nomi: la domanda la giro a voi, pubblica opinione e giornalisti, basta cercare sulle pagine dei giornali negli ultimi cinque mesi".
E a Dario Franceschini, che aveva commentato le dichiarazioni sulla "sinistra per male" con una battuta ("l'unica brunetta che rispetto è quella dei 'Ricchi e Poveri'"), il ministro della Pubblica amministrazione risponde: "Mi turba il commento di Franceschini, invece di interrogarsi sulla sinistra e le èlites parassitarie risponde con un commento da vero intellettuale, dobbiamo farcene una ragione".

Il commento.
Demagogia al governo.
Rassegna stampa - Repubblica.it, Michele Serra, 20 settembre 2009.

Ci sono "élite di merda che vivono di rendita" e tramano contro il governo e dunque contro il popolo sovrano. Così, in sintesi, ha detto ieri il ministro Brunetta, entusiasmando una platea amica e disgustando una volta di più l'altra metà degli italiani, si suppone in rappresentanza delle élite di merda.
Brunetta è il classico fanatico: uno che quando parla gli saltano uno dopo l'altro i freni inibitori, e gli esce fumo dalle orecchie. In quanto tale, in una fase così aspra dello scontro politico, ascoltarlo aiuta a mettere a fuoco almeno alcuni dei sentimenti profondi che muovono questa maggioranza. A partire dal fascismo, l'odio per le élite (vedi il complotto demo-pluto-giudo-massonico) è un classico del populismo autoritario. Ricchi malvagi, gelosi dei loro privilegi, tramano nell'ombra per contrastare l'avvento luminoso di una nuova era.
Gli archivi di Libero e del Giornale, quando gli storici vorranno occuparsene, sono da questo punto di vista una illuminante e annosa collazione di tutto o quasi il malanimo che la piccola borghesia di destra, elettrice dei Brunetta e lettrice dei Feltri, nutre per le cosiddette élite: gli Agnelli, la borghesia azionista, De Benedetti e Scalfari, gli intellettuali altezzosi, Miuccia Prada (?!), i professori snob, gli urbanisti, i cineasti, i radical chic, secondo una classificazione biliosa e scriteriata che non discende tanto dal reddito e tantomeno dalle persone, quanto, diciamo, dall'immagine sociale, vera o presunta, dei bersagli via via individuati. In blocco, e un tanto al chilo, essi sarebbero la spina dorsale di una sinistra debosciata, scroccona e classista. (Va da sé che i circa diciotto milioni di elettori di centrosinistra, forse non tutti urbanisti o rettori, per comodità non vengono inclusi nel quadro polemico: non è mai la realtà, è il suo fantasma a favorire le ossessioni politicamente più produttive).
Se il ministro Brunetta, piuttosto che un iracondo e un demagogo, fosse una persona ragionevole, e davvero parlasse per conto del popolo italiano e nei suoi interessi, saprebbe che il nostro Paese, nell'ultimo paio di secoli, ha molto patito non già a causa delle élite, ma della loro gracilità, o mancanza. Se, per esempio, la grande borghesia conservatrice non fosse stata spazzata via (vedi l'affaire Montanelli, vedi la morte di Ambrosoli, vedi eccetera eccetera) dalla piccola borghesia reazionaria e malaffarista che ha schiantato il senso dei diritti e il senso dei doveri, e oggi regge il timone del Paese, magari avremmo ancora ministri come Visentini e non come Brunetta e Bondi, altro fazioso vaniloquente.
Destra e sinistra, in tutto questo, sono un criterio piuttosto confuso, quasi un velame. Meglio varrebbe (e in questo, bisogna ammetterlo, il socialista Brunetta ci aiuta parecchio) provare a riclassificare lo scenario socio-politico italiano secondo i vecchi criteri dell'analisi di classe. Il poco che rimane della borghesia antifascista (certamente un'élite) e della classe dirigente repubblicana e costituzionale (un'altra élite) è l'ultimo argine culturale, etico e storico che si frappone al trionfo incontrastato dei Brunetta, del loro adorato leader e della piccola borghesia reazionaria che li vota in massa. Il loro capo, da solo, ha più potere dei fantasmatici "poteri forti" messi assieme, più denaro, più media, più altoparlanti e più balconi, più giornali, più giornalisti, più servitù e più tutto. Ma, effettivamente, nonostante questo potere fortissimo, Berlusconi non è élite, non è classe dirigente, non è statista (gli statisti uniscono i popoli, non li spaccano a metà come una mela). È potere senza rispetto, ricchezza senza status, popolarità senza prestigio. Brunetta, che è animoso e sincero, avverte nel profondo questa inadeguatezza. Ma piuttosto che investirne, con la dovuta umiltà, se stesso e il suo capo, si aggrappa al popolo e indica nelle "élite di merda" il Nemico da combattere.
In questo Brunetta (come parecchi ex socialisti, ahimè) è il berlusconiano perfetto: pur di non dubitare di se stesso, attribuisce ogni problema alla malvagità del Nemico. Urgerebbe un analista se anche gli psicanalisti non fossero, come è ovvio, una élite di merda.
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La storia di Gianpaolo Tarantini

L'analisi. Quel tentativo disperato di chiudere il caso escort. Dalle mosse dei magistrati gli ultimi guai di Tarantini.
Il ruffiano e il presidente.
Rassegna stampa - La Repubblica, Giuseppe D'Avanzo, 19 settembre 2009.

Gianpaolo Tarantini deve essersi detto: faccio così, ammetto negli interrogatori quel che non posso negare o contraddire e dunque le feste a Palazzo Grazioli e a Villa Certosa; il pagamento delle prostitute che infilavo nelle cene e nel letto di Silvio Berlusconi; l'uso della cocaina che a decine di grammi distribuivo nelle mie feste private. Confesso i legami cuciti - sempre attraverso notti di sesso nella garçonniere all'angolo Extramurale Capruzzi, a Bari - con gli amministratori regionali di sinistra, come quel Sandro Frisullo. Lascio capire che anche quel D'Alema - sì, quel D'Alema - l'ho avuto a tavola o in barca.
"Qualche volta" dico, alludendo a un'amicizia che purtroppo non è mai nata. Concludo che qualche affaruccio me n'è venuto - è vero, diciamo una certa "visibilità con i primari" che poi mi dovevano comprare le protesi che vendevo - ma poi niente di che, tutto sommato. Chiedo il patteggiamento (due anni di pena) ed esco da questa storia un po' ammaccato e con qualche benemerenza da mettere sul tavolo nella mia seconda vita. Ho soltanto 35 anni, no? Un merito sarebbe stato sicuro e consistente, deve aver pensato Tarantini. Se patteggio, tengo fuori dai guai "il Presidente" perché nessuno potrà più ficcare il naso nelle decine e decine di telefonate tra me e lui - intercettate, purtroppo. Quelle chiacchiere, sì che lo metterebbero in imbarazzo.
La strategia di difesa di Tarantini è legittima, come tante altre. Si sbriciola dinanzi al rifiuto del pubblico ministero. Che nega il patteggiamento (applicazione della pena su richiesta delle parti) perché - dice il procuratore di Bari, Antonio Laudati - "l'attendibilità delle dichiarazioni dell'indagato deve essere verificata con ulteriori accertamenti. È vero, ho detto che, leggendo i verbali sui giornali, appare evidente che non ci sono responsabilità del presidente del Consiglio, ma le indagini non sono terminate e si deve verificare quanto è stato raccontato. Lo faremo in tempi rapidi".
Le parole del procuratore devono aver spaventato Tarantini, e non soltanto Tarantini. Che era nei guai e ci si ficca ancora più a fondo, a testa in giù. Comincia (sostiene la guardia di finanza) a trafficare con i testimoni e con le prove. Se le aggiusta per rendere attendibili, per i magistrati, i suoi ricordi. Forse, progetta una fuga all'estero per tirare il fiato e alleggerire la pressione in attesa di una luna migliore. Si vedrà se gli investigatori hanno visto giusto.
Nell'attesa, alla mossa di Gianpi, la procura ne oppone un'altra, tattica e astuta. Non ne chiede l'arresto, ma soltanto il fermo. Quindi, è obbligata a consegnare al giudice delle indagini preliminari, che dovrà convalidarlo, soltanto qualche pezzullo di carta che documenta il pericolo di fuga o l'inquinamento probatorio e nulla di più. Lo scrigno delle fonti di prova già raccolte resterà chiuso e quindi, per il momento, le intercettazioni del presidente del Consiglio, le testimonianze delle giovani falene che hanno trascorso la notte a Palazzo o in Villa, gli amici di Gianpi che tiravano su la cocaina che egli dispensava con generosità, le tracce dei traffici sanitari resteranno ben protette.
* * *
Un'indagine penale non è soltanto l'accertamento di responsabilità personali (come sembra credere Ernesto Galli Della Loggia), è anche teatro, memoria collettiva, luce che illumina il mondo, che rivela pratiche, passioni, coraggio, debolezze, irresponsabilità, che racconta la tenuta di regole e dispositivi che evitano anarchia e soprusi e fanno ordinato il nostro vivere insieme. È un ordigno che riesce a dirci, qualche volta, e spesso non in modo esaustivo, dove viviamo, che cosa vi accade, con chi abbiamo a che fare. Da questo punto di vista, la storia di Gianpaolo Tarantini non è questo termitaio dai corridoi intricati.
Gianpi è in affari e s'è fatto ruffiano per accrescerli. Tutto qui, in soldoni. La sua intuizione è che, nell'Italia di oggi, il potere del sesso - l'influenza che può avere sugli uomini che governano il Paese o una Regione o un'Azienda sanitaria - ha la stessa energica forza corruttiva del denaro, grimaldello decisivo per gli affari neri degli anni novanta. È acuto il fiuto del giovanotto che forse avrà studiato anche psicologia sociale nel suo master in marketing all'università di Herisau, nello svizzero Canton Appenzello. L'intuizione, comunque, è subito vincente a Bari. Sandro Frisullo, vicepresidente regionale, abbocca all'amo di Tarantini. Gianpi gli organizza in un appartamento in affitto in via Giulio Petroni, angolo via Extramurale Capruzzi, incontri sessuali ora con Terry De Nicolò ora con Vanessa Di Meglio, ricompensate con cinquecento euro.
Tarantini attende l'arrivo dell'amico. Cenano in tre. Al caffè, Gianpi si leva di torno. Le chiama "attenzioni" non corruzione. "Le attenzioni da me avute per Frisullo mi hanno consentito - dice - di essere presentato al dottor Valente, direttore amministrativo dell'Asl di Lecce. Chiedevo un'accelerazione dei pagamenti per le prestazioni effettuate dalle mie aziende e l'esecuzione di una delibera adottata in materia di acquisto di tavoli operatori. So che Frisullo ha rappresentato più volte le mie esigenze a Valente ed io personalmente ne ho parlato con lo stesso Valente. I pagamenti sono avvenuti anche se comunque in ritardo, altrettanto per la delibera. La frequentazione di Frisullo mi serviva soprattutto per acquistare visibilità agli occhi dei primari che portavo da Frisullo".
* * *
Il metodo funziona, dunque. Tarantini decide di fare un salto, il gran salto, l'avventurosa capriola verso un sorprendente, inatteso successo. Dice a se stesso che se la sua intuizione è efficace in Puglia perché non deve esserlo altrove. Magari a Roma, nella Capitale, e con l'uomo che ha in mano in Paese? Dicono che le cose siano andate così. Non è stato il giovane ruffiano a bussare alla porta di Berlusconi, ma - scaltro, forse già conosce le debolezze del presidente - Tarantini è riuscito a giocare con Berlusconi come il gatto con il topo.
Accade nell'estate del 2008. Tarantini affitta, pagando centomila euro al mese (pare), la villa Capriccioli, a cinque minuti da Porto Cervo e non troppo lontano dalla Villa Certosa del capo del governo. A quel punto è un gioco da ragazzi - anche se molto, molto costoso - riempire la casa, il giardino, la spiaggia di bellezze, di cocaina, di allegria e risate e poi attendere, immobile come un ragno. Il calabrone cade nella rete. Pare che l'Egoarca non se ne capacitasse e il suo grandioso senso del sé ne fosse ferito: quelle giovani donne non si dirigevano alla Certosa, ma altrove, da un altro. Chi diavolo è questo "Gianpi" di cui tutti parlano quest'estate? Berlusconi chiede di sciogliere l'arcano a Sabina Beganovic, "l'ape regina" (Dagospia), donna così fidata da essersi tatuata su un piede "S. B. l'uomo che mi ha cambiato la vita". La Beganovic torna dall'Egoarca con le informazioni giuste e Tarantini ha finalmente accesso a corte. Con lui, le sue "ragazze".
"Io - sostiene oggi il giovanotto - ho voluto conoscere il presidente Berlusconi e mi sono sottoposto a spese notevoli per entrare in confidenza con lui e, sapendo del suo interesse per il genere femminile, non ho fatto altro che accompagnare da lui le ragazze che presentavo come mie amiche tacendogli che a volte le retribuivo". Berlusconi gradisce molto e consente a Tarantini di coltivare un sogno di potenza: perché rinchiudersi nel piccolo recinto degli affari sanitari pugliesi e non pensare in grande? Perché non diventare, grazie all'amicizia con "il Presidente", un imprenditore di carattere nazionale, europeo o, perché no?, un lobbista per tutte le decisioni che "il Presidente" può favorire, per i business che l'intervento del "Presidente" può rendere fluidi e vincenti?
L'impresa non pare impossibile a Tarantini. Bisogna investire un po' di denaro, pagare le prostitute, accompagnarle a Palazzo Grazioli. Che ci vuole? La difficoltà semmai è avere sempre le "ragazze" a disposizione perché, si sa com'è "il Presidente", magari chiama nella tarda mattinata, prima o dopo un Consiglio dei ministri, e vuole che a sera - dopo un paio d'ore, maledizione - la festa sia organizzata. Ci sono giorni che Gianpi è come fuori di testa. Lo vedono agitato e inquieto come una mosca contro un vetro. Ha chiamato "il Presidente" e lui non ha disposizione quel che serve. Telefona, ritelefona, chiama e richiama questo, quello, chiunque possa aiutarlo, chiunque conosca almeno "una donna immagine che all'occorrenza avrebbe potuto anche effettuare prestazioni sessuali". Così ingaggia, il 16 ottobre, Patrizia D'Addario.
Gianpi riesce sempre a cavarsela con un salto mortale. Per non farne più, e rompersi il collo, comincia a corteggiare con accorti regali la rete di "ragazze" controllate, per così dire, da Sabina Beganovic. Forse per ingraziarsele, le rifornisce di cocaina, in palazzi sbagliati, off-limits. Non ne possono venire che guai che, infatti, non mancano. Il 20 dicembre del 2008, l'"ape regina" perde la pazienza, telefona a Gianpi (intercettato) e lo affronta a muso duro.
Sabina. "Hai capito Gianpaolo, che cazzo fai? Mandi alla gente regali e metti a me in una bruttissima situazione. Cioè io non so niente e tu ti spacci per mio amico ... Per favore, non mi mettere in questa situazione"
Gianpaolo. "Io non l'ho fatto perché ti voglio sorpassare".
Sabina. "Ma figurati, non fare il furbo con me... Non mi mettere nei casini. Non fare il paraculo con me".
Gianpaolo. "Io non ho mai portato niente".
Sabina. "Ah bello!, io ho i testimoni. Ti ho detto: non fare il furbetto con me".
* * *
I conflitti con Sabina Beganovic non impediscono, in cinque mesi, a Tarantini (come ammette) di accompagnare trenta "ragazze" a diciotto cene del Presidente. Non tutte sono state pagate, non tutte sono prostitute, anche se in qualche caso "non disdegnano di essere retribuite per prestazioni sessuali". Gianpi tocca "il cielo con un dito". È nelle grazie del Presidente, finalmente. Può chiedergli di incontrare Guido Bertolaso per certe sue ambizioni (che, dice, ambizioni resteranno). Tarantini è il compagno fisso del "Presidente" in spensieratezze notturne, così appassionate da convincere il capo del governo a saltare qualche impegno pubblico. Come (lo racconta l'Espresso in edicola) tra il 23 e il 28 settembre. Le cose vanno così.
Il 23 settembre iniziano i lavori delle Nazioni Unite. Ci sono i leader del mondo. Durante la prima giornata parlano George W. Bush, Nicholas Sarkozy, il presidente iraniano Ahmadinejad. Gianpi a Roma ha organizzato per il premier una festicciola con Carolina Marconi, Francesca Garasi, Geraldine Semeghini, Terry De Nicolò. Ci si diverte e si fa presto a vedere l'alba. Il giorno dopo (mercoledì) Berlusconi decide di non partire più per il Palazzo di Vetro. Diffonde una buona ragione. Patriottica e irreprensibile. Deve seguire da vicino la crisi dell'Alitalia. Se ne stufa presto, però, ammesso che ne abbia mai avuto l'intenzione. In gran segreto raggiunge il castello di Torre Errighi, nei pressi di Melezzole di Montecchio di Terni e Health Center di Marc Méssegué, riaperto per la sua improvvisa visita. "Berlusconi di fatto scompare dai radar per cinque giorni" scrive l'Espresso. Frattini e Letizia Moratti sono costretti a presentare da soli l'Expo 2015 di Milano mentre Gianni Letta, sostenuto da Walter Veltroni, fa i salti mortali per far firmare la pace tra la Cai e i sindacati e salvare l'Alitalia.
L'indimenticabile settimana dell'Egoarca finisce così. Domenica 28 un elicottero della protezione civile lo accompagna dal castello di Torre Errighi a Ciampino, dove prosegue per Milano, destinazione San Siro. C'è il derby, e sugli spalti "il Presidente" è in compagnia di Tarantini. Gianpi ha con sé una nuova ragazza. La chiamano l'Angelina Jolie di Bari. Si chiama Graziana Capone, che racconta il post-partita: passeggiata in auto, arrivo ad Arcore, cena e festino con una decina di ragazze. Il Milan ha vinto uno a zero, il premier è euforico. "Abbiamo tirato fino a tardi, le quattro forse, qualcuna si è addormentata sul divano" (Repubblica). Il fastidio alla schiena del Presidente non c'è più, come per un miracolo. Dopo poche ore di sonno, Berlusconi può festeggiare di nuovo sul lago Maggiore i suoi settantadue anni in una scena, questa volta tutta familiare. "Ora resto a lavorare - dice ai giornalisti - Nessuna festa serale, perché abbiamo già festeggiato oggi" (l'Espresso).
* * *
Tarantini oggi vuole riuscire nell'impresa di liberarsi con il minimo danno dalle sei inchieste che lo coinvolgono senza danneggiare il presidente del Consiglio. Un'altra avventurosa capriola. Dice: "Ho fatto una cavolata, sono stato uno stupido. Quando ho avuto la possibilità di conoscere Berlusconi, ho toccato il cielo con un dito. Non mi sembrava vero. Poi l'ho conosciuto sul piano personale, con la sua simpatia, il suo calore umano, il suo rispetto per gli altri, la sua genialità. Davvero irresistibile. E ho creduto che sarebbe stato più facile frequentarlo facendomi accompagnare da bellissime ragazze. Gli chiedo scusa" (il Giornale). Gianpi non deve essere stato sollevato quando ha sentito "il Presidente" fingere dalla Maddalena di non ricordare nemmeno il suo cognome. "Un imprenditore di Bari, Tarantino o Tarantini, era venuto ad alcune cene facendosi accompagnare da belle donne. Erano ragazze che questo signore portava come amiche sue, come sue conoscenti".
Tutto cancellato, dunque? Come se quei fantastici mesi di feste, scorribande, canti, barzellette, cene, belle donne in tubino nero e trucco leggero, passioni, sesso non fossero mai esistiti. Come se le decine e decine di conversazioni telefoniche tra lui e "il Presidente" - quanto pressante, a volte - non ci fossero mai state. Come se il sogno di Tarantini fosse soltanto il delirio di un provinciale convinto che il potere del sesso è quel che serve oggi per fare affari e addirittura chiudere in una rete di ragno, quel calabrone del capo del governo. "Utilizzatore finale" - certo - ma anche complice del ruffiano (le intercettazioni documentano la sua disponibilità per i maneggi del giovanotto) e regista di uno spettacolo di cui era unico protagonista, unico spettatore, il solo impresario.
Può essere anche che finisca senza conseguenze la ricostruzione giudiziaria, si vedrà, ma quel che ci racconta quest'indagine penale è altro e ben visibile. Ci dice dove viviamo, che cosa vi accade, con chi abbiamo a che fare e non è sempre necessaria una sentenza della magistratura per comprendere e giudicare. Spesso, basta soltanto buon senso e un miccino di onestà.
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Gli «ospiti sbagliati» del premier

Barbara Guerra: Lo querelo, mi ha tirato in ballo senza motivo. Mi ha rovinato la carriera. La D'Addario: ma con me si è sempre comportato correttamente, ci ha messo la faccia. "Gianpi se l'è andata a cercare" l'imbarazzo delle ragazze delle feste. Graziana Capone: lo conosco poco, voleva accreditarsi con il premier per prestigio personale.
Rassegna stampa - Repubblica.it, Paolo Berizzi, 20 settembre 2009.

Bari - Un po' lo scaricano e un po' lo difendono. Un po' lo condannano - anche in modo beffardo, "a giocare col fuoco... " - e un po', forse, lo temono. Di certo molte vorrebbero dimenticarselo. Ma, per ora, è impossibile. Per ognuna di loro Gianpaolo Tarantini è stato qualcosa. Un formidabile contatto, un mediatore, fisso o casuale, un amico "che conta", che le aveva benissimo inserite fino a portarle lassù, alla corte e finanche nel letto dell'uomo più ricco e potente d'Italia. Qualcuna se ne era pure "invaghita".
Adesso però Gianpi è finito in carcere. Nel giro delle "ragazze delle feste" - trenta per diciotto serate, 1000 euro a chi "restava con il presidente" secondo il tariffario Tarantini - la notizia dell'arresto è deflagrata spargendo schegge di preoccupazione e imbarazzo. Ma ha sprigionato anche il sapore della vendetta. "Chi se le va a cercare, poi fa i conti con quello che gli succede". La voce di Barbara Guerra è rotta dalla rabbia. Stando ai verbali di Tarantini, lei, 30enne di Mariano comense, ex concorrente della Fattoria 4 e già "schedina" della Domenica sportiva, è una delle vallette che Gianpi ha portato a Palazzo Grazioli (l'8 ottobre e il 16 ottobre 2008, assieme alla escort rumena Ioana Visan) e alle quali avrebbe pagato, oltre al viaggio, anche i 1.000 euro "per un eventuale rapporto sessuale" con il premier. Guerra non smentisce di essere stata a casa di Berlusconi. Però nega di essere una escort e di avere avuto rapporti sessuali con lui. "Tarantini lo querelo", ha annunciato. Ora che l'imprenditore è stato arrestato, tuona: "Mi ha tirato in ballo così, senza motivo, inventandosi cose che non esistono, e rovinandomi la carriera". La showgirl dice di essere prima di tutto preoccupata per il suo futuro: "Sì, Tarantini è in carcere, e se l'è cercata, ma a me interessa la mia di situazione. Ora non lavorerò più".
Un pensiero che pare non assillare Patrizia D'Addario. La escort barese è praticamente in tournée permanente in giro per l'Europa, set fotografici, interviste, ospitate in tv. Sui suoi rapporti con Tarantini, a giudicare dall'incastro tra i racconti dell'uno e dell'altra, non sembrano esserci dubbi: li ha presentati Massimiliano Verdoscia (amico e collaboratore di Gianpi) e lui le ha proposto di partecipare a una cena nella residenza romana di Berlusconi. Di più: fu proprio Tarantini a chiedere a Patrizia il curriculum per una candidatura alle elezioni europee, ridimensionata poi a una corsa nella lista "La Puglia prima di tutto". Su Gianpi la D'Addario non ha mai espresso giudizi trancianti. Con chi le ha parlato nelle ultime ore il commento è stato "è una persona che con me si è sempre comportata correttamente", un amico no, ma comunque uno che almeno "ci ha messo la faccia", non come quelli che "dicevano di non conoscermi e invece mi mandavano gli sms di auguri".
Nella ricca agenda alla quale Tarantini attingeva per reclutare ospiti da portare a Silvio Berlusconi Patrizia occupava la sezione "escort". O meglio, come ha fatto mettere a verbale, "donne immagine che all'occorrenza avrebbero potuto effettuare prestazioni sessuali". Poi c'erano i volti della tv. Manuela Arcuri, la sua amica Francesca Lana ("si era invaghita di Gianpaolo", racconta Alessandro Mannarini in un interrogatorio), Linda Santaguida, Carolina Marconi e altre vallette dell'orbita Mediaset. Tutte furibonde con Gianpi dopo la pubblicazione dei verbali sulle feste in compagnia del presidente del consiglio. Nessuna di loro sembrava conoscerlo, negli ultimi giorni, Tarantini. Figurarsi nell'attuale condizione di detenuto ("A giocare col fuoco ci si scotta", taglia corto una di loro). Smentiscono di averci mai avuto rapporti.
Eppure la Guardia di Finanza ha ricostruito serate che le hanno viste ospiti, alcune, alle feste di Gianpi. In barca e in villa. Arcuri, Lana, Santaguida, Raffaella Zardo ("Fede era arrabbiato perché lei frequentava Tarantini", dice ancora Mannarini). Chi non se la sente di condannare Tarantini è Graziana Capone, l'"Angelina Jolie" di Bari, 25 anni, neo avvocato che chiese a Gianpi - presentatole da un amico - di potere incontrare Berlusconi (lo riferisce lo stesso Tarantini, risultato: per lei due inviti a Arcore e a Roma). "Non lo conosco bene perché l'ho incontrato solo due volte - dice -. Oddio, avrà fatto quello che ha fatto, ma mi dava l'impressione di uno che voleva accreditarsi agli occhi di Berlusconi per prestigio personale più che per interessi o per affari".

Quattro indagati per droga ospiti del premier. L'11 agosto 2008
il gruppo partecipa ad una festa nella residenza sarda del Cavaliere. Quella cena dei "bravi ragazzi" tra i lussi di Villa Certosa. Nella villa di Cala di Volpe, in Costa Smeralda, una cassaforte per custodire la "polvere".

Rassegna stampa - Repubblica.it, Paolo Berizzi, 19 settembre 2009.

Bari - C'era Simon Le Bon che cantava. C'era Simona Ventura. Ma c'erano anche gli "ospiti sbagliati". Quelli che "danno la droga a tutti", quelli che "brindiamo a questo vino sopraffino e facciamoci sopra un bel tirino". Quelli che "stanno riempiendo di coca mezza Sardegna" - come dice al telefono, una notte, "in stato confusionale", la soubrette Francesca Lana. Quelli delle feste dove sniffano "come i matti" e sciolgono le pasticche di Md nei bicchieri, e dove all'alba il domestico trova una ragazza svenuta in giardino, "ma cosa le hanno dato?!". Ma certo, "quelli di Bari", come li chiamavano in Costa Smeralda.
Definizione smilza e efficace, da "goodfellas". Quei "bravi ragazzi" erano tutti seduti a tavola, l'11 agosto 2008, a Villa Certosa. Ospiti del presidente del Consiglio Silvio Berlusconi. A mangiare e a bere e a cantare, nella residenza estiva del premier, il gruppo è al gran completo. Quattro. Tutti indagati dalla Procura di Bari per cessione di cocaina. Gli "ospiti sbagliati" (da una definizione di Berlusconi) sono i "tre moschettieri" Gianpaolo Tarantini, Massimo Verdoscia, Alessandro Mannarini (il primo è in carcere, il secondo agli arresti domiciliari). E un quarto amico, Nicola De Marzo, detto Nick.
Si divertono, tra loro c'è chi filma la festa con il telefonino. Gianpi è seduto vicino a Berlusconi, la barba curata. Ci sono il suo amico e socio Max Verdoscia e il leccese Mannarini che grida "vai Gianpi!" mentre Berlusconi canta Apicella e Simon Le Bon canta se stesso. Alcune ospiti, tra gli applausi, ballano sul palco. Il video di quella notte dell'11 agosto - diffuso da l'Espresso - restituisce oggi uno scenario inquietante.
Così come "inquietante" è il quadro che il gip di Bari Vito Fanizzi traccia dell'estate che spalanca a Tarantini - imminente e futuro procacciatore di escort - le porte del cerchio magico del presidente del Consiglio. Finché i due diventano amici. La coca, certo. Coca a fiumi offerta dal gruppo Tarantini agli ospiti dei party organizzati nella villa di Cala di Volpe con cassaforte installata apposta per custodire le scorte di polvere bianca.
Tanti bei nomi a quelle feste: imprenditori, stilisti, dame e damine della tv. "Ci devi prendere a piccole dosi, siamo ragazzi cattivi" dice Mannarini (telefonata intercettata dai finanzieri il 27 luglio 2008) ad una ragazza che prova a tirarsi fuori dal giro ("altrimenti mi devasto"). Quanta cocaina tiravano e quanta ne facevano girare, "quelli di Bari", lo certificano le conversazioni telefoniche e le intercettazioni ambientali. E i verbali degli interrogatori degli indagati. Che si accusano l'un l'altro scaricandosi a vicenda.
Sempre sulla cocaina. Chi l'ha comprata, chi l'ha trasportata in Sardegna, chi la distribuiva. Tarantini ammette di averne data a Francesca Lana - l'amica del cuore di Manuela Arcuri che pure ha partecipato, assieme a lei, ad una festa a casa di Gianpi (giugno 2008, villa di Giovinazzo). A lei sì ma non a Sabina Began, amica di Berlusconi e del gruppo barese, alla quale, invece, "sono sicuro - dice Gianpi - l'hanno ceduta sia Verdoscia sia Mannarini".
Alla fine sembrano sfumature, piccole crepe persino scontate. La cocaina per gli ospiti "sbagliati" del premier è "un costume usuale": così lo definisce il gip Sergio Di Paola. Il consumo di polvere serve al gruppo per "mantenere elevato il livello delle relazioni sociali". Lo schema Tarantini. Ragazze e coca "per avere successo in società". Nella sua fase sarda la fitta rete di rapporti che ha catapultato Gianpi fin dentro la corte di Silvio Berlusconi è una trama che tiene dentro, come protagonisti o comprimari, personaggi trasversali e diversi tra loro.
Accomunati da una predisposizione al consumo di droga. La scorta Tarantini e soci l'avevano fatta a Bari. Un acquisto in stock il cui peso specifico gli investigatori ritengono essere di molto superiore ai 50-70 grammi di cui ha parlato l'imprenditore barese in un interrogatorio. "Stanno riempiendo di coca mezza Sardegna, lo sa anche Briatore (totalmente estraneo alle indagini, ndr)". Le parole sconcertate di Francesca Lana sono il timbro dell'estate sarda di Gianpi e dei suoi (ex?) amici. Poi c'è un'immagine. Quella che chiude il video della cena a villa Certosa. Silvio Berlusconi di bianco vestito che, a un certo punto, avanza verso i "baresi" e chiede di smetterla di filmare con il telefonino. Ma il brutto doveva ancora venire.
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In edicola oggi

20 settembre 2009
Le prime pagine dei giornali.






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