Ivana Castagnone su Il Cittadino di oggi ci parla del gruppo di operai è asserragliato per protesta all’interno dell’azienda di Lambrate: Non si dorme e le zanzare ci massacrano».
Lodigiano guida la protesta della Innse.
Massimo Merlo è da tre giorni sulla gru: «Difendo il mio lavoro».
Rassegna stampa.
Stanco, accaldato e preso d’assalto dalle zanzare. Da due giorni vive arrampicato su una gru, all’interno dell’officina, a 20 metri di altezza, per difendere il posto di lavoro. Suo e degli altri 48 compagni della Innse, la ex Innocenti di Milano Lambrate. Massimo Merlo, 53 anni, di Lodi, insieme a Vincenzo, Luigi, Fabio e Roberto, rappresentante della Fiom, è salito sul carro ponte nella fabbrica di via Rubattino, per fermare lo smantellamento delle macchine avviato dal torinese Silvano Genta. Quest’ultimo, che ha acquistato la fabbrica per 700 mila euro, due anni fa, quando era in amministrazione controllata, impegnandosi a mantenere l’attività produttiva, ora ha già venduto 7 delle 30 macchine utensili per 2 milioni e mezzo. «Entrare dentro era l’unico mezzo che avevamo a disposizione - racconta al telefono Massimo, che è anche rappresentante delle Rsu, insieme a Vincenzo e da 32 anni lavora alla Innse -. Se Genta avesse continuato a smontare nessuno avrebbe più potuto comprare la fabbrica. Sarebbe stata una scatola vuota. Abbiamo deciso martedì mattina, alle 11. Non potevamo più restare fuori sapendo che dentro smantellavano tutto. Nello stesso tempo non avevamo la forza per sfondare i 450 uomini delle forze dell’ordine, così abbiamo deciso che sarebbe entrato solo un gruppetto. Era anche un modo per dimostrare che in qualsiasi momento possiamo fare ingresso nella nostra fabbrica e poi dare uno scossone a quelli che dovrebbero difenderci. In questo momento non possono essere i sindacati che risolvono la situazione, sono i politici che devono farlo».
Ma non avevate paura che vi succedesse qualcosa?
«Lo fai sapendo i rischi che corri, se no sei un matto».
Come avete fatto a dormire lì stanotte, sulla gru?
«Abbiamo dormicchiato, seduti, con le gambe allungate».
Non avevate paura di cadere?
«Ci sono le protezioni»
Avete mangiato?
«Sì, ci hanno portato da bere e da mangiare. La Digos ci conosce e sa che manteniamo le promesse. Abbiamo detto agli agenti che di notte gli altri non sarebbero entrati dentro. Così anche loro stavano più tranquilli. I nostri compagni del presidio ci hanno preparato i sacchetti con il cibo e poi lo abbiamo tirato su con le corde. Non ci hanno fatto mancare niente».
E quando dovete andare in bagno?
«Usiamo le bottiglie dell’acqua. Facciamo come facevano i gruisti che non scendevano mai, per il resto non so come faremo...».
Cosa avete provato quando siete entrati in fabbrica?
«Abbiamo visto che ci stavano smontando le macchine e abbiamo provato tanta rabbia. Abbiamo chiesto che quelle persone uscissero se no sarebbe successo di tutto e la Digos li ha fatti uscire».
Ora siete stanchi?
«Un po’ sì, e anche nervosi».
Cosa spiegherà lei ai suoi figli, che ha dovuto compiere un gesto così perché lei e gli altri volete solo lavorare?
«Gli spiegherò come funziona questo Stato, che non è uno Stato di diritto, ma uno Stato dei padroni difeso dai politici. La nostra dovrebbe essere una Repubblica fondata sul lavoro, ma non sembra proprio. Il diritto al lavoro non esiste».
Volete essere di esempio agli altri operai?
«No assolutamente. Se poi qualcuno, può prendere qualcosa dalla nostra esperienza per migliorare la sua lotta, tanto meglio. Anche noi commettiamo degli sbagli».
Si sente un eroe?
«Proprio no. Io e i miei compagni stiamo difendendo il nostro posto di lavoro».
Il vostro gesto ha anche un altro significato?
«La Innse non è figlia della crisi. Con la nostra lotta vogliamo far capire che senza produzione il mercato chiuderà».
Secondo te le crisi delle aziende lodigiane, dalla Polenghi in giù, avrebbero potuto essere gestite diversamente?
«Certo, difendendo i mezzi produttivi e non lasciandoseli portare via e sottoscrivendo accordi come quelli firmati alla Unilever. Lo smantellamento inizia con un reparto e poi normalmente continua con gli altri. Guardi noi, eravamo in 2000, siamo rimasti in 50».
In questi mesi, oltre a presidiare l’azienda avete coltivato la cultura della lotta operaia.
«Quando abbiamo iniziato l’autogestione, i primi ad arrivare sono stati quelli dei centri sociali di Milano, la Panetteria occupata e il Baraonda. Hanno chiesto se avevamo bisogno di aiuto. Poi si è creato un collegamento con le officine di Bellinzona che ci hanno invitato al festival di Locarno alla presentazione di un documentario sulla loro occupazione. Abbiamo girato la Germania, la Francia e la Svizzera tedesca e francese a raccontare la storia della Innse. All’inizio eravamo più conosciuti all’estero che in Italia. Anche in questi giorni stanno manifestando a Zurigo e a Basilea dove hanno tentato di entrare nel consolato italiano per difenderci. E qua fuori, oggi, ci sono tante persone a sostenerci».
L’area fa gola all’Expo?
«C’era un progetto immobiliare con la vecchia proprietà dell’area; ora la nuova Aedes è disposta ad affittare o a vendere i capannoni. C’è un’agenzia che conosce bene la Innse e sta trattando la vendita. In 15 giorni ha già trovato un possibile acquirente disponibile a iniziare la trattativa per comprarla, oltre alla Ormis che è sempre in gioco. Magari tra 2 o 3 giorni possono farsi avanti altri interessati».
Perché non comprate voi la fabbrica e l’autogestite?
«Non ci interessa, noi vogliamo un padrone, anche se in tre mesi e mezzo di autogestione, lo scorso anno, abbiamo fatto guadagnare a Genta 180 mila euro. Io non mi metterei mai a controllare il lavoro di un altro».
Avete prodotto presse, laminatoi e tubifici per tutto il mondo.
«Abbiamo fatto anche i pezzi per il ponte di Copenaghen e l’acceleratore del Cern di Ginevra».
Genta ha detto che voi avete firmato un accordo che prevedeva di dismettere in parte l’azienda, costruire un capannone più piccolo, utilizzare parte delle macchine presenti nell’azienda e continuare la produzione.
«Non c’era nessun accordo sullo spostamento delle macchine e sullo spostamento dell’area. Nel momento in cui Genta avesse voluto sostituire una macchina avrebbe dovuto farlo in accordo con le Rsu e comunque sostituirla con un’altra della stessa capacità».
E adesso cosa farete?
«Rimarremo ancora qua su, anche stanotte, fino a quando non si arriva ad un accordo accettabile, non ci assicurano che le macchine non si smantellano, ma si proseguono le trattative di vendita».