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sabato 12 settembre 2009

Settembre, andiamo, è tempo d'epurare

RaiTre, la manifestazione del 19 «congela» il blitz contro Ruffini.
Rassegna stampa - l'Unità, Andrea Carugati, 12 settembre 2009.

A Rai3 si stanno ormai preparando i sacchi di sabbia, da mettere davanti alle finestre la settimana prossima, quando, così si dice, la manovra berlusconiana per cambiare volto a Rete e Tg prenderà corpo. Non fino a partorire le nuove nomine nel cda di giovedì 17: il presidente Garimberti ha chiesto e, pare, ottenuto, che alla vigilia della manifestazione di piazza del Popolo per la libertà di stampa del 19 non ci siano forzature. E tuttavia la settimana prossima resta decisiva. Il cda di giovedì affronterà il caso Annozero, con molti contratti ancora da firmare, a partire da quello di Marco Travaglio, gli spot promozionali pronti da giorni e mai andati in onda, persino l’estromissione, denuncia la redazione, dei sei telecineoperatori “storici”. Qui, come a Raitre, il clima è molto teso. «No, una partenza di stagione in un clima del genere non si era mai vista..,», sussurra un dirigente. Anche a Report si descrivono come «color che son sospesi». La questione della copertura legale dei giornalisti è ancora aperta, in luglio il Dg Mauro Masi ha reso esplicita l’intenzione di eliminare questa tutela che il gruppo della Gabanelli si era conquistata dopo anni di battaglie. Qui, come da Santoro, nessuno vuole parlare, nessuno osa scandire a voce alta la parola «boicottaggio». Il direttore di Raitre Paolo Ruffini è il bersaglio grosso: a lui vengono imputate tutte le trasmissioni “scomode”. Compreso Glob di Enrico Bertolino, che partirà domani, finora unico sopravvissuto certo. «La satira è un ingrediente essenziale di una tv libera e anche irriverente», dice Ruffini, che si gode questo piccolo risultato.
Il blitz a fine settembre?
Su di lui le nubi non si sono ancora diradate. Passata la manifestazione, probabilmente nel cda del 24 settembre, la maggioranza si prepara al colpo di mano in cda, cinque contro quattro. Il nome più gettonato per la guida di Rai3 è sempre quello di Gianni Minoli, professionista di livello e con molte amicizie nel centrosinistra. Che avrebbe però un mandato chiaro: ridimensionare nel più breve tempo possibile Fazio e la Dandini, decurtandone le puntate. Il contratto di «Che tempo che fa» per ora sembra destinato ad andare in porto in tempo utile per il 3 ottobre. Con una previsione iniziale di due puntate a settimana. Dalla direzione generale provano a buttare acqua sul fuoco. «Tutte le trasmissioni partiranno, il palinsesto dell’autunno è già stato votato dal cda». Su Report, assicurano gli uomini del dg Masi, «non ci sono problemi, avrà le tutele degli altri programmi Rai». Affermazione che però non trova riscontro, finora, né in redazione né tra i dirigenti della Rete. Gli uomini di Masi provano a ridimensionare anche le vicissitudini di Annozero. «Nessuna censura, stiamo solo facendo approfondimenti». E i ritardi? «È cambiato il direttore di rete, e poi c’erano le ferie...». Ma Travaglio spiega: «Di solito mi chiamavano in agosto per il contratto, quest’anno non ho ancora sentito nessuno». «Continue azioni di disturbo», commenta il consigliere in quota Pd Nino Rizzo Nervo. Nervi tesi anche al Tg3: sembra ormai tramontata l’ipotesi Enrico Mentana, che non avrebbe nè l’ok della redazione, nè l’unanimità dei consiglieri Rai, le due condizioni poste quando ha ricevuto la proposta a metà agosto. Antonio Di Bella non molla: in un’intervista in uscita oggi sul Corriere rivendica i risultati raggiunti e fa capire chiaramente di voler restare al suo posto. Molto difficile che Bianca Berlinguer presti il suo nome a una operazione di normalizzazione. Il rebus resta aperto. Anche perché, nonostante i tentativi di Masi di proporre nomi in grado di spaccare il Pd, il clima pre-manifestazione sembra aver compattato i democratici in difesa dei «gemelli» Ruffini e Di Bella. «Non c’è nessun motivo per sostituirli, e le opposizioni fanno bene a non cadere nella trappola, a respingere ogni trattativa sottobanco», li esorta Beppe Giulietti di Articolo21.
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Quando il silenzio è oro

Berlusconi, Zapatero: Taccio per rispetto istituzionale.
Il premier spagnolo dopo la conferenza stampa di ieri alla Maddalena "Rispetto gli incontri istituzionali e il ruolo che dobbiamo mantenere"
VideoPost - SkyTg24, 12 settembre, 2009.



"Se mantengo il silenzio è per un segno di rispetto e cortesia istituzionale". Il primo ministro spagnolo Josè Luis Zapatero risponde ai giornalisti, a margine del suo incontro a Parigi con il presidente francese Sarkozy, e così si esprime all'indomani della conferenza stampa che ha tenuto alla Maddalena con Silvio Berlusconi al termine dell'incontro bilaterale Italia-Spagna. Berlusconi si è visto costretto a rispondere a una domanda di un giornalista del quotidiano spagnolo El Pais che gli ha chiesto se avesse mai pensato di dimettersi dopo lo scandalo-escort.
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Fave e cicorie

Si stringe il cerchio.
D'Alema, ora parlaci di Tarantini.
Le quattro domande a "Baffino".

L'imprenditore pugliese deposita un esposto in Procura per la pubblicazione verbali di interrogatorio e conferma: "D'Alema dice che non mi conosce. Se necessario porterò le prove".
Rassegna stampa - Il Tempo, Michele De Feudis, 12 settembre 2009.

Una giornata interminabile di dichiarazioni e controdichiarazioni. Un ping pong serrato. E al centro c'è proprio il piatto forte della ristorazione barese, le "fave e cicorie", pietanza che Massimo D'Alema ricorderà tutta la vita. Galeotta fu la cena elettorale pagata dall'imprenditore Giampaolo Tarantini, il 28 marzo 2008.
Galeotta fu la cena elettorale pagata dall'imprenditore Giampaolo Tarantini, il 28 marzo 2008, allo stato maggiore del Partito democratico, nel ristorante La Pignata, nel centralissimo corso Vittorio Emanuele, alla presenza del gotha dei primari della Puglia. L'episodio, sempre minimizzato sia da D'Alema che dal sindaco di Bari Michele Emiliano, è diventato di colpo rovente dopo la ricostruzione della serata offerta sul settimanale Panorama. Non si è trattato di un incontro fugace, come in primo momento raccontato dai protagonisti, ma di una «mangiata» vera e propria. E la disposizione dei posti nella lunga tavolata non lascia dubbi. Il proprietario dello storico locale barese, Franco Vincenti, racconta che D'Alema «era seduto accanto a Tarantini». L'imprenditore barese, intanto, passa al contrattacco dopo esser stato rinnegato come Gesù Cristo da San Pietro prima della Crocefissione.
In mattinata, sbarbato, con abito scuro e camicia bianca, si è presentato accompagnato dal suo legale, Nicola Quaranta, nella Procura di Bari: ha depositato un esposto per la pubblicazione sul Corriere della Sera del contenuto dei verbali di interrogatori a cui è stato sottoposto dal pm Giuseppe Scelsi. Nel documento si ipotizzano i reati di violazione del segreto d'ufficio e pubblicazione arbitraria di atti di un procedimento penale. Stuzzicato dalle domande dei giornalisti, Tarantini ha puntualizzato: «Sbagliano quanti oggi dicono di non conoscermi o di non ricordarsi di me. Farebbero bene a ricordarsi chi sono». È presto detto a chi si riferisca. «Emiliano e D'Alema - ha specificato - hanno detto di non conoscermi: se ce lo chiederanno gli inquirenti forniremo tutte le indicazioni utili».
Il riferimento è alla famosa mangiata di «fave e cicorie». «Sì - taglia corto l'indagato - ma non dico nulla perché su quella cena sono in corso indagini da parte della Procura». La reazione del sindaco di Bari è scomposta e furente ma glissa sulle «fave e cicorie»: «Ove Tarantini non chiarisca immediatamente che non mi ha mai conosciuto, che io non gli ho mai chiesto alcunché e che non sono mai andato a casa sua lo querelerò senza indugio, perché ciò che ha dichiarato all'Ansa può far pensare che io non abbia detto la verità». Insomma si infuria ma non nega la cena. Dura la reazione di Massimo D'Alema: «Confermo che non ho mai avuto rapporti con Tarantini. Se sostiene il contrario, dica come, quando e dove». Eppure ci sarebbero le «fave e cicorie» degustate insieme che farebbero pensare almeno ad una «conoscenza superficiale»... Sornione in serata Tarantini si gode il successo della sua sortita scaccia-ipocrisia.
«Sorvolo sui toni minacciosi ed offensivi del sindaco Michele Emiliano, ma mi rallegra sapere che siamo d'accordo sull'unica cosa che io ho sempre dichiarato: cioè che abbiamo cenato insieme». Infine è in arrivo anche un esposto del ministro Raffaele Fitto. Il suo legale, il deputato Pdl Francesco Paolo Sisto reagisce così alla pubblicazione su un quotidiano nazionale di un articolo nel quale «si enfatizzava l'esistenza di conversazioni telefoniche, seppur irrilevanti, tra Gianpaolo Tarantini e Raffaele Fitto». «Non è possibile - conclude Sisto - che si continui sistematicamente a leggere atti e fatti di indagine coperti da segreto sulle pagine dei giornali».
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La scommessa

Il Cavaliere e il sondaggio del 4 per cento.
Rassegna stampa - Corriere della Sera, Francesco Verderami, 12 settembre 2009.

Berlusconi sa che non è finita e non finirà, che i media insisteranno sui festini e le donnine, che le vicende giudiziarie torneranno a lambirlo, che «i miei nemici» - come definisce l`indistinta coalizione di interessi a lui ostile - cercheranno di tenerlo sotto pressione. Ma la variabile oggi è Fini.
Perché se da una parte il Cavaliere è certo che il presidente della Camera continuerà a distinguersi - tenendo in fibrillazione governo, partito e maggioranza - dall`altra non riesce ancora a capire quale sia il vero obiettivo del «cofondatore» del Pdl. Era scontato che il premier lo accusasse di «tradimento», «ingratitudine» e «slealtà» dopo il suo discorso di Gubbio. Così com`era chiaro che l`ex leader di An avrebbe pubblicamente detto ciò che da tempo spiegava nei colloqui riservati: e cioè che «Berlusconi per difendersi si è consegnato nelle mani di Bossi», che «il Pdl è ridotto a una sorta di Forza Italia allargata», che «se spegnessero la luce nella stanza del governo e lì dentro ci fosse Tremonti non si sa cosa gli accadrebbe».
È vero che il tema sollevato da Fini sulla vita interna del nuovo partito è assai sentito, persino il capogruppo Cicchitto - subito dopo il congresso - sosteneva che «d`ora in poi la democrazia telefonica usata da Berlusconi in Forza Italia non potrà più bastare». Ma a Gubbio Fini si è spinto oltre, criticando la politica dell`esecutivo e - secondo il premier - «alimentando speculazioni» sul delicato tema delle inchieste di mafia. I tentativi di rattoppo non hanno nascosto lo sbrego, semmai l`hanno reso più evidente.
In più Bossi è tornato ad attaccare in modo veemente il presidente della Camera, con il quale - dopo il varo del decreto sicurezza - aveva tentato di stringere un accordo, se è vero che era andato a trovarlo di persona a Montecitorio: «Gianfranco, tienimi fuori dalle tue beghe con Silvio. Io non c`entro nulla e non voglio finirci in mezzo». Non è andata così.
E comunque resta senza risposta l`interrogativo del Cavaliere: dove vuole arrivare Fini? Finora sono state valutate due ipotesi. La prima è quella che il premier definisce «la sindrome da Elefantino», riferimento alla lista presentata da Fini alle Europee del '99, e con la quale l`allora capo di An provò a conquistare la leadership del centro-destra. Quell`operazione fallì. E fallirebbe anche stavolta, a detta di Berlusconi, che ha commissionato subito un sondaggio per rilevare l`appeal elettorale dell`alleato: «Se si presentasse con una sua lista e con le sue idee, non andrebbe oltre il 4%».
Ma prospettive di terzo polo non ce ne sono, anche Montezemolo ha voluto mettere a tacere i boatos. Inoltre Fini non intende «ballare da solo», sebbene si senta solo nel Pdl. Tanto che la mattina dell`attacco di Feltri sul Giornale notò che nemmeno Gianni Letta l`aveva chiamato per solidarizzare.
C`è allora l`altra ipotesi: quella cioè che Fini immagini un precipitare degli eventi per fattori al momento non noti. La sentenza della Consulta sul «lodo Alfano» è vissuta nel Palazzo come una sorta di sentenza sulla legislatura. Però non basta a spiegare tutto. Eppoi «io non me ne andrò mai, mai», ripete il Cavaliere, conscio che la sua immagine internazionale è irrimediabilmente rovinata, ma forte del consenso nel Paese. Anche i dirigenti del Pd l`hanno constatato nel primo rilevamento riservato che hanno ricevuto da Ipsos dopo la pausa estiva. Nonostante le polemiche e gli scandali, da luglio a settembre Berlusconi ha perso solo un punto nell`indice di fiducia (50,7%), restando davanti a tutti gli altri leader, anche loro tutti in calo. Di più: il Pdl, in trend positivo da luglio, è arrivato al 38,2%. E la forbice nelle intenzioni di voto per coalizioni è aumentato di un punto e mezzo, con il centrodestra oggi al 49,4% e il centrosinistra al 37,9%.
«E allora: cosa devo chiarire con Fini?», s`infuria il Cavaliere. Forse il premier dovrebbe valutare una terza ipotesi, esaminata da alcuni dirigenti del Pdl. È un altro scenario, non quello del «Fini contro Berlusconi», ma quello del «Fini dopo Berlusconi», magari logorato dagli attacchi. Ecco la sfida. Ecco la scommessa.
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«Suicidio è negare l'universalità dei diritti»

Immigrati, Fini a Bossi: suicidio è negare diritti.
Il presidente della Camera a Chianciano è tornato sul tema dell'immigrazione e, rivolgendosi al Senatùr, ha detto: "Negare l'universalità dei diritti dell'uomo è il suicidio della ragione" .
VideoPost - SkyTg24, 12 settembre 2009.



Sul tema dell'immigrazione, Gianfranco Fini ha replicato a Bossi che l'aveva accusato di volersi suicidare politicamente aprendo ai diritti per i migranti: "Suicidio è negare l'universalità dei diritti". Fini ha ribadito che "solo con il riconoscimento di precisi diritti si può davvero puntare all'integrazione degli immigrati". Il presidente della Camera ha quindi ribadito la propria fiducia al bipolarismo, seppur riconoscendo che quello italiano è al di sotto degli standard europei, frenando implicitamente sull'ipotesi di grande centro che lo vedrebbe coinvolto con Casini e Rutelli.
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Non c'è vaccino contro la pandemia Fini

Democrazia.
Ma il Pdl può permettersi uno come Fini?
Rassegna stampa - Il Riformista, Peppino Caldarola, 12 settembre 2009.

Il Pd è stato logorato da una leadership eccessiva che voleva abolire le sezioni, i militanti e i congressi. Il PdL rischia di farsi male per la ragione opposta, perché il partito accetta solo una leadership esagerata e mal sopporta il dualismo. Il problema Fini è tutto qui. E ha un nome preciso, molto in voga di questi tempi: "contagio". Se il metodo Fini dilagasse che cosa resterebbe in piedi del Pdl? Ovvero il Pdl può permettersi il lusso di riconoscere ad un suo leader lo statuto di oppositore permanente?
Lo sconcerto che accompagna ogni esternazione del presidente della Camera rimanda a questa paura di fondo: se si mette in discussione la leadership si indebolisce il progetto politico. Berlusconi ha abituato il suo mondo a vivere in un fortino assediato. In verità è ben più che un fortino, è un vero castello operoso in cui vive molta gente, con una variegata divisione dei compiti, con una gerarchia riconosciuta, i suoi sacerdoti, un apparato culturale e uno militare (penso, in entrambi i casi, ai giornali e alla tv) e un popolo disposto a combattere all`ultimo sangue ogni volta che sente l`aria della battaglia finale. È un partito moderno che ha riciclato tutta la plastica delle origini. Nel castello ogni dignitario ha una sua corte di seguaci. C`è l`algido Tremonti, odiato e temuto guardiano della cassaforte, ci sono i ministri laici e quelli che cercano sponde nella Cei, la massoneria sta come a casa propria, ci sono i nuovi capi (anche di sesso femminile) selezionati avventurosamente e uno per uno dal grande leader che si stanno mettendo in proprio, ci sono quelli che in periferia prendono i voti. C`è tutta quanta la destra italiana. È un mondo immenso che ha preso coraggio, che combatte nella società, che spera di far fortuna grazie ai nuovi potenti, che sogna ricchezza e successo, che odia la sinistra, che esibisce i suoi giornali di combattimento come i militanti del Pci esibivano l`Unità. È un mondo di interessi e di passioni. È un mondo vero. Questo mondo fa capo a Silvio Berlusconi.
Mentre tutti noi, iene dattilografe, ci esercitiamo sul dopo-Berlusconi, lui riceve il tributo quotidiano da questo suo mondo di fedeli. All`improvviso spunta Fini. E un politico di razza che ha tirato fuori dalle catacombe la destra storica e che adesso vuole dargli un nuovo profilo culturale. Dice cose ragionevoli di destra che eccitano la sinistra e deprimono i suoi compagni di partito. Perché lo fa è oggetto di discussione. Se ha ambizioni fa bene ad averle, se vuole trovare un nuova visibilità ripercorre altre carriere. Tuttavia lo fa, con tenacia e con cattiveria. L`invincibile armata mediatica del Cavaliere lo sottopone ad un massacro pressocchè quotidiano, i militanti si interrogano su quale sia il suo disegno, i suoi ex compagni di partito si sono dati alla fuga, in tanti gli chiedono di fermarsi o di sparire via ma lui va avanti imperterrito.
Molti si chiedono se questo Fini sia ancora un leader della destra o se non stia pensando ad altre avventure politiche. La mia idea, che ho già raccontato su queste colonne, è che Fini è di destra ma che stia costruendo il profilo di una leadership pronta per il giorno della successione. È lui l`uomo pubblico più popolare dopo Berlusconi, ha mostrato di avere la schiena dritta, si è tolto la cattiva fama del politico pigro e scarsamente combattivo. Quando Berlusconi cederà il passo, Fini avrà tutti i titoli per fare un passo avanti. I malumori che accolgono oggi le sue intemerate saranno altrettanti titoli di merito.
Ma, è questa la domanda, il Pdl può permettersi uno come Fini? Il problema non è il partito plebiscitario che ha un capo solo e mal sopporta dualismi. Il problema è che il Pdl è il primo tentativo vero di trasformare in un partito l`enorme e moderno aggregato elettorale della destra. Questa trasformazione si regge su un allargamento senza precedenti dei confini (nel Pdl l`assemblaggio di culture diverse andrebbe indagato perché è una cosa seria e profonda), su un forte radicamento sociale, su una classe dirigente locale diffusa che da un quindicennio fa l`esperienza di governo, su un ceto dirigente nazionale accuratamente selezionato.
Fini contesta la leadership nelle sue scelte, ma soprattutto lo fa con parole spesso sprezzanti alludendo ad un`altra visione del mondo. In un partito tradizionale la questione si risolverebbe in un congresso. Il Pdl non può farlo.
La lenta costruzione di questa formazione politica di massa non prevede la democrazia. Ovvero non prevede la democrazia classica, quella delle maggioranze e delle minoranze. In verità non la prevede neppure Fini che si guarda bene dal chiedere verifiche congressuali e si accontenta di fare l`oppositore solitario. Ma se il contagio Fini dilagasse, l`intero Pdl rischierebbe di esplodere.
Quanti casi Fini potrebbe tollerare la periferia del partito? La mappa del potere interno al Pdl racconta di divisioni profonde - appena poche settimane fa si è parlato addirittura della minaccia di un partito del Sud - ma la struttura del partito non prevede uno scontro politico fondato su alternative culturali. Tutto va dentro il cappello del berlusconismo. Se qualcuno vuole metterci un altro cappello, il progetto va per aria. La leadership assoluta può accettare il dissenso, la fronda, persino la congiura, non può sopportare l`alternativa culturale. Se la "sindrome Fini" diventa una pandemia, non c`è vaccino per il Pdl.
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La strategia "eversiva" nascosta dietro il dito

Nuovi attacchi ai magistrati per condizionare gli sviluppi di indagini in corso.
I pm Ingroia e Boccassini sotto tiro,Verdini (Pdl): sono nemici di Berlusconi.
Rassegna stampa - Liberazione, Gemma Contin, 11 settembre 2009.

Giustizia sotto scacco, anche ieri nel mirino dei vertici governativi, con un attacco personale al procuratore aggiunto di Palermo Antonio Ingroia e alla pm di Milano Ilda Boccassini, colpevoli, secondo il coordinatore del Popolo delle Libertà Denis Verdini, il primo di «essere andato a presenziare e a celebrare la nascita de Il Fatto, quotidiano di Antonio Padellaro e Marco Travaglio più antiberlusconiano che ci sia»; la seconda, «la cui ostilità a Berlusconi e al suo partito tutti conosciamo».
A parte le sgrammaticature del comunicato con cui Verdini rincalza un attacco istituzionale mai visto, è evidente che siamo di fronte a una forma di delirio allucinatorio di chi, avendo forse di che preoccuparsi, vede insidie ovunque e si sente vittima predestinata dei "poteri forti" rappresentati dalla magistratura, dall'informazione e dai soliti comunisti.
Nello sconnesso documento, neppure riveduto da quel noto correttore di bozze di Paolo Bonaiuti, il coordinatore del Pdl scrive: «Leggiamo da alcuni quotidiani che un gruppo di magistrati avrebbe "rispolverato" una pista per accusare Berlusconi delle peggiori nefandezze mafiose, e che, per confermare uno scenario talmente inverosimile che in 15 anni non ha avuto la dignità di uno straccio di prova, tornano a puntare l'indice contro Marcello Dell'Utri, il quale sarebbe stato indicato come collegamento tra Forza Italia e Cosa Nostra da un pentito e dal figlio dell'ex sindaco di Palermo Ciancimino sulla base non di prove ma di sentito dire e deduzioni».
Non basta, Verdini scende sul piano personale per dire: «Sarebbe semplice dare a Marcello Dell'Utri un segno della mia fraterna amicizia, della mia immutata stima e solidarizzare con lui per l'ennesimo vergognoso attacco giudiziario. Ma poi leggo i nomi di almeno due dei magistrati che secondo i quotidiani sarebbero al lavoro per cercare di dimostrare che Forza Italia sarebbe sorta anche nell'interesse della mafia e mi viene quasi da sorridere, se non fosse grave e drammatico l'attacco politico lanciato da alcuni magistrati attraverso lo strumento della lotta giudiziaria».
Sembrerebbe che l'assalto non sia quello portato da Berlusconi ai giudici e soprattutto ai pm, accusati davanti alla platea degli industriali tessili alla Fiera di Milano, proprio dall'uomo che usa i voli di Stato per far accompagnare le sue ospiti nelle sue residenze, di «sprecare i soldi pubblici in indagini inutili e contro di noi». Sembrerebbe che a essere presi di mira da chi controlla il potere esecutivo non siano i magistrati e la loro autonomia - quella di esercitare il potere giudiziario in modo indipendente dalla politica, e cioè tenendo le distanze dal governo e dallo stesso Parlamento, secondo la Costituzione - ma che viceversa sia il povero Silvio Berlusconi ad essere sempre nel mirino dei magistrati, che lo punterebbero per le sue amicizie pericolose: quelle con l'avvocato David Mills, condannato in primo grado a 4 anni e 6 mesi per corruzione in atti giudiziari, avendo i giudici ritenuto provati i fatti di corruzione e in particolare quello di aver ricevuto da Fininvest una mazzetta di 600 mila dollari per testimoniare il falso in due processi nei quali era imputato il premier, la cui posizione giudiziaria è stata stralciata grazie al "lodo Alfano"; e quelle con il senatore Dell'Utri, condannato in primo grado a 9 anni per concorso esterno in associazione mafiosa e con una condanna confermata in Cassazione per false fatture e frode fiscale ai tempi in cui era alla guida di Publitalia, patteggiata in 2 anni e 3 mesi.
L'alzata di tiro nasconde però dell'altro: una strategia che mira a modificare, nel sentimento comune e nel modo di percepire la giustizia da parte dei cittadini, le figure dei magistrati, anche sul piano personale oltre che per il ruolo istituzionale svolto, prima ancora di aver varato quella riforma e forse proprio al fine di forzarla. Una strategia "eversiva", verrebbe da dire "piduista". Ed è proprio quel richiamo allo «spreco di soldi pubblici per indagini inutili e contro di noi» che ne svela i risvolti occulti: un potere che non stando sotto l'ombrello diretto del governo (a vocazione peronista) deve essere metto sotto tutela, tenuto sotto osservazione, bacchettato appena alza la testa, svuotato della sua autonomia, sconfessato in ogni modo possibile. Sia con atti di delegittimazione istituzionale (Berlusconi) sia con attacchi personali (Verdini) che con intimidazioni preventive.
Ieri in difesa dei giudici è insorto il segretario dell'Associazione nazionale magistrati Giuseppe Cascini: «Al presidente del Consiglio non deve mai scappare detto nulla di sbagliato perché le sue parole hanno conseguenze istituzionali ed effetti dirompenti nel sistema - ha detto - e quando ricorda i latitanti catturati e i miliardi di euro sequestrati alla mafia, Berlusconi dovrebbe ricordare che il merito principale è della magistratura e delle forze dell'ordine impegnate sul territorio». Ma ieri, dopo le uscite di un premier fuori controllo, sono intervenuti anche i componenti laici di centrosinistra del Csm, Vincenzo Siniscalchi, Mauro Volpi, Letizia Vacca e Celestina Tinelli, chiedendo che si apra una pratica «a tutela dell'indipendenza e del prestigio dei magistrati e della funzione giudiziaria». E in una lettera al Consiglio superiore della magistratura, il Quirinale «auspica che l'esame delle pratiche a tutela avvenga con serenità ed equilibrio, in linea con l'esigenza di fare responsabile e prudente uso di un istituto che... si giustifica solo quando è indispensabile per garantire la credibilità dell'Istituzione nel suo complesso da attacchi così denigratori da mettere in dubbio l'imparziale esercizio della funzione giudiziaria».
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Verso la soluzione estrema

Il re è nudo.
Rassegna stampa - Liberazione, Dino Greco, 11 settembre 2009.

Berlusconi, il sedicente «torero» e «superuomo» ancora digrigna i denti, intimidisce, minaccia, ricatta, esibisce come virtù i suoi vizi e le sue perversioni, convinto che parlino al ventre profondo del Paese, al quale direttamente si rivolge. E ne ha per tutti. Ma la sua non è più la sicumera dei giorni migliori, quando tutto si riduceva ad uno scontato gioco del gatto col topo, con gli avversari - ovviamente - ma soprattutto con gli alleati, lesti a rientrare nei ranghi non appena il capo ringhiava, senza neppure dover percuotere il tavolo col pugno di ferro. I santuari del potere lo sostenevano, più o meno convintamente, o lo subivano, persuasi di poter trarre il massimo beneficio dall'uomo che più di ogni altro ha tentato di dimostrare che tutto e tutti possono avere un prezzo. Del resto, come ognuno può constatare, ciò si è ampiamente verificato. I conti, ora, non tornano più. Quel sodalizio si è logorato profondamente e su troppi fronti, perché il dispensatore di prebende non finisca per rappresentare un ingombro, un residuo antistorico, persino per una destra che vuole continuare a governare conservando integri i rapporti sociali esistenti. Berlusconi, in qualche modo prigioniero del suo atto politico di nascita e vittima del delirio onnipotente che ne accompagna il declino senile, è divenuto indecente e impresentabile, anche per le forze a lui alleate o contigue, per i poteri che dei suoi favori si sono sino a ieri avvalsi tappandosi naso e bocca. C'è la devastazione dell'immagine pubblica, l'insostenibilità del baratto patologico fra prestazioni sessuali e carriere politiche, c'è l'isolamento internazionale che travalica i tradizionali confini fra destra e sinistra, fra progressisti e conservatori, per divenire un unanime coro dileggiante. C'è, soprattutto, un sistema di potere che ha ammutolito il parlamento e fatto dell'esecutivo una muta di cortigiani. C'è l'attacco frontale alla magistratura e a ciò che resta della libera stampa. Ogni limite è stato ampiamente oltrepassato. Non solo la Costituzione è stata stracciata e vilipesa. L'inquilino di palazzo Chigi è ben difficilmente inscrivibile persino dentro le coordinate del più tiepido pensiero democratico, della stessa cultura liberale. La sindrome di Caligola lo ha portato al di là della soglia oltre la quale egli è divenuto un pericolo per i suoi stessi sodali, i più avvertiti dei quali colgono il rischio di essere travolti con colui che fino a ieri l'altro era l'osannato e indiscusso leader. C'è da scommettere - essendo già avvenuto tante volte nella storia patria - che, al dunque, non pochi dei fedeli ascari scenderanno dal carro con la stessa disinvolta rapidità con cui vi sono saliti. Sono ormai molti gli indizi che rendono chiaro come i poteri forti stiano coalizzandosi per "mutare spalla al proprio fucile". Gli uomini pronti alla bisogna ci sono già. I loro nomi e le loro mosse sono già visibili, le diplomazie trasversali in piena fibrillazione. In quanto «occorre cambiare tutto, perché nulla cambi», affinché la transizione post-berlusconiana avvenga senza troppi scossoni, senza che gli equilibri politici vengano alterati, contando anche sul sostegno silenzioso e senza pretese di un'opposizione parlamentare che non riesce - né prova - a toccare palla. Berlusconi lo capisce, sente che il cerchio si stringe, e si dibatte nell'arena come un animale ferito. L'arroganza di cui ha sempre fatto sfoggio è ora intrisa di visibile paura. Come tutti i dittatori nella fase del crepuscolo, egli tende a non fidarsi più di nessuno. Questo - occorre averne contezza - lo rende estremamente pericoloso. Berlusconi ha ancora dalla sua un enorme potere politico, economico, mediatico ed il sostegno per ora non incrinato della Lega. Non è un cane morto e forse non è imminente il suo 25 luglio. Per mantenersi in sella userà tutti i mezzi possibili ed inimmaginabili, ivi compresa quella che fa già balenare come la soluzione estrema: le elezione anticipate, concepite - oggi come non mai - come un plebiscito sulla sua persona con annessa, implicita richiesta, direttamente rimessa nelle mani del popolo, di disporre di un potere assoluto, privo di qualsivoglia condizionamento.
Questa è «l'arma ti tistruzione ti mondo» che Berlusconi-stranamore non esiterà ad usare, giocandosi tutto per ricondurre all'obbedienza chi vorrebbe disfarsi di lui e per assestare un colpo letale alla nostra più che traballante democrazia.
Nel breve volgere di un mese, eventi di diversa natura ed entità renderanno il clima politico incandescente: l'audizione di Massimo Ciancimino sui rapporti tra Stato e mafia e, in particolare, fra Provenzano e Dell'Utri, cofondatore, con Berlusconi, di Forza Italia; l'inizio del processo d'appello al medesimo, già condannato in primo grado a nove anni di carcere e all'interdizione perpetua dai pubblici uffici per concorso esterno in associazione mafiosa; la manifestazione promossa dalla Federazione nazionale della stampa per il prossimo 19 settembre in difesa della libertà di informazione; la sentenza della Consulta chiamata a pronunciarsi sulla costituzionalità del Lodo Alfano.
Ebbene, il combinato disposto di questi appuntamenti può avere un effetto dirompente sulla situazione politica del Paese. Rimane il fatto paradossale che la possibile, rovinosa caduta di Berlusconi non sarà il prodotto di una rivolta sociale, montata per la totale incapacità del governo di dare risposte adeguate alla crisi, per il drammatico stato di abbandono in cui versa il Mezzogiorno, per l'accentuarsi oltre ogni limite prima conosciuto delle diseguaglianze, per la distruzione progressiva del welfare, per le condizioni disperate in cui versa una generazione consegnata ad una precarietà economica ed esistenziale senza via di uscita, per l'attacco sistematico al lavoro e ai diritti sindacali, per la persecuzione razzista scatenata contro i migranti. Tutto questo ed altro ancora è totalmente fuori dalla scena.
Il Pd è pateticamente inerte, autisticamente immerso nel proprio duello interno, senza che si intraveda su quali progetti si svolga la contesa, giacché - per dirla con Franceschini - «chi oggi vota Pd non sa che cosa vota». Il sindacato, l'altro attore potenziale di una svolta di impronta sociale, o è consegnato - come Cisl e Uil - alla più docile subalternità alla Confindustria e al governo oppure, come la Cgil, traccheggia da troppo tempo, con il motore imballato, sostanzialmente ininfluente tanto nella crisi quanto nella vicenda politica del Paese. Quanto alla sinistra, a noi, per essere più espliciti, fra i pochi a stare nei modi possibili dentro le lotte che si accendono e si spengono in ogni dove, compete provare a mettere in campo una proposta, produrre uno scatto, che aiuti a rompere questa mortifera coazione al silenzio che abbandona le sorti del Paese all'esito di un conflitto tutto interno al blocco sociale e politico dominante. Da qualche parte bisogna pur cominciare. Il primo appuntamento è quello del 19, promosso - come più sopra ricordato - dalla Federazione della stampa. E se fossimo capaci di trasformarlo in una manifestazione di popolo, capace di dire, insieme, che l'Italia non può più essere governata da un caudillo, e che serve tornare alla lettera e alla sostanza della Costituzione antifascista?
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A Palermo non si indaga sulle stragi

Procuratore Palermo: sorpreso per parole di Berlusconi.
Non ci sono indagini in corso sulle stragi di mafia del '92 e 93. È quanto affermato dal magistrato Francesco Messineo, che si è detto sorpreso delle dichiarazioni del presidente del Consiglio.
VideoPost - SkyTg24, 12 settembre 2009.



Quanto detto da Silvio Berlusconi, lo scorso 8 settembre, su nuove indagini a Milano e Palermo relative alle stragi del '92-'93, lapidariamente definite come "follia pura", hanno provocato l'immediata reazione del procuratore capo del capoluogo siculo Francesco Messineo, appena rientrato da un viaggio in medio Oriente: "Mi hanno onestamente sorpreso le dichiarazioni di Berlusconi su noi e sulla Procura di Milano, perché noi non abbiamo indagini su tali stragi". Ha quindi parlato "delle indagini alle quali partecipa e collabora il pentito Gaspare Spatuzza", specificando, in ogni caso, che esse sono relative "a delitti di mafia avvenuti a Palermo. Non hanno nulla a che vedere con le stragi. Il nostro angolo di visuale su Spatuzza concerne i delitti attribuiti ai contesti criminali di cui lui faceva parte negli anni in cui operava".
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Anche i giovani provano a stare insieme

Si chiama Giovane Italia. La guida: un tandem di ex An e FI.
In città nasce il Pdl dei ragazzi.

Rassegna stampa - Il Giorno, Guido Bandera, 10 settembre 2009.

Fino a qualche mese fa c’erano Forza Italia giovani e Azione Giovani, movimento giovanile di Alleanza nazionale ed erede del Fronte della Gioventù del vecchio Movimento sociale. Oggi, dopo la costituzione del Pdl, con la riunificazione di Forza Italia e Alleanza nazionale, anche i movimenti giovanili si fondono in una unica struttura: Giovane Italia. Sparita la fiaccola di Azione Giovani, il logo ricorda direttamente quello del nuovo partito. Ma anche l’organizzazione. La segreteria provinciale del Pdl, infatti, è retta dalla diarchia costituita dal segretario di Forza Italia, Claudio Pedrazzini, e del segretario di An, Giancarlo Regali. Stessa situazione anche nell’organizzazione giovanile, dove la guida passa al rappresentante dei giovani di Forza Italia, Andrea Erba, assessore a San Colombano e già candidato alle provinciali per il Pdl, mentre il suo vice diventa Andrea Dardi, esponente di An, molto attivo durante la campagna elettorale degli ex esponenti di Alleanza nazionale, che ha partecipato anche alla «scuola estiva» di politica organizzata dal partito, con dirigenti di livello nazionale. Ma nel mondo del Pdl lodigiano non ci sono solo queste due realtà. In queste settimane è nata anche l’associazione Lodi Protagonista, che ha come punto di riferimento l’area di destra all’interno del nuovo Pdl. Qui, lentamente, stanno confluendo molti degli esponenti storici di Alleanza nazionale del territorio. Un’associazione che nasce quindi con lo scopo di fare da luogo di incontro e confronto per tutti coloro che provengono da quella storia, ma anche per rispondere all’esigenza di mantenere una struttura di coordinamento per tutta quella zona della geografia politica di centrodestra che non si riconosce in Forza Italia e nella sua, tradizionale, organizzazione «leggera».
Intanto, se il centrosinistra, e in particolare il Pd, sta affrontando una complessa fase congressuale, con la necessità di scegliere segretari cittadini e vertici provinciali, contemporaneamente alle primarie nazionali e all’organizzazione della campagna per le prossime elezioni comunali, anche nel Pdl le partite fondamentali sono tutt’altro che risolte. Stabilita, per ora, come punto fermo la leadership provinciale con la «diarchia» Pedrazzini-Regali, da poco è stato costituito un direttivo provinciale, in verità abbastanza ampio. Ma non è ancora stata affrontata la delicata, quanto strategica, questione dei vertici cittadini. Che (non solo formalmente) non esistono ancora, ma che serviranno invece anche in vista della sfida non troppo distante con il centrosinistra di Lorenzo Guerini.
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Domani la festa patronale

Brembio, arrivano Palio e festa del raviolo per il gran finale della sagra di Santa Maria.
Rassegna stampa - Il Cittadino, Andrea Bagatta, 12 settembre 2009.

Brembio - Entra nel vivo la festa patronale di Brembio, con il Palio della sagra, la festa del raviolo e la messa solenne concentrati tutti nel week-end: dopo l'anticipo dello scorso fine settimana, la festa patronale dedicata a Santa Maria Nascente raggiunge il culmine delle manifestazioni laiche e religiose.
L'evento clou è il primo Palio della sagra, che si terrà oggi tutto il giorno alla cascina Ca' del Parto. Varie squadre del paese, a oggi ne sono iscritte cinque, si contenderanno il Palio, un piatto in ceramica decorata raffigurante lo stemma di Brembio, in una serie di giochi antichi, dalle pignatte al lancio delle uova, dalla caccia al tesoro alla corsa con i sacchi e al tiro alla fune.
La squadra vincitrice, in rappresentanza di un'associazione, di un gruppo organizzato o anche solo di alcuni amici radunati insieme, terrà il Palio per un anno, salvo rimetterlo in gioco tra 12 mesi. «L'intento è quello di istituzionalizzare il Palio della sagra proprio per favorire il recupero delle tradizioni con i giochi di un tempo», spiega il sindaco Giuseppe Sozzi. A contorno del Palio, da venerdì sera, l'Osteria Ca' del Parto organizza una tre giorni di festa del raviolo, nella quale sono abbinati i piatti tipici della tradizione con la musica dal vivo ogni serata, latino-americano, disco-music e ballo liscio per andare incontro alle esigenze di tutti.
Domenica mattina, invece, le cerimonie religiose avranno il culmine con la messa solenne e l'offerta dei ceri votivi da parte dell'amministrazione comunale. Infine, sabato si terranno anche le finali del torneo di calcetto della sagra, mentre domenica è prevista una dimostrazione di motocross nei campi della Madunina di via Roma. Infine, la biblioteca non poteva mancare e organizza per oggi, domani e lunedì una mostra fotografica sulla Brembio di una volta e le scumagne, i soprannomi tipici del territorio.
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In edicola oggi - altri giornali

12 settembre 2009
Le prime pagine dei giornali.



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Fini non è Brancaleone

Mafia, Alfano non fa sconti: «Sulle stragi si va in fondo».
Il guardasigilli è d'accordo con Fini: «Siamo con i pm che cercano la verità».

Rassegna stampa - Il Secolo d'Italia, Antonio Marras, 12 settembre 2009.

Le parole di Gianfranco Fini sulla mafia non potevamo cadere nel vuoto. Ma se qualche giornale ha interpretato quel monito sulla necessità di fare chiarezza fino in fondo sulle stragi di mafia come un attacco indiretto a Berlusconi, ieri sono arrivare le dichiarazioni del Guardasigilli Alfano e di Marcello Dell`Utrí a fare giustizia delle dietrologie malevole.
Chi ieri ha cercato di gettarla in rissa, strumentalizzando il pensiero del presidente della Camera, ha volutamente ignorato la parte del discorso di Gubbio in cui Fini si dichiarava convinto che né Berlusconi né persone a lui vicine avrebbero avuto nulla da temere con l`eventuale riapertura delle indagini sui massacri di Cosa nostra. Il ministro della Giustizia, Angelino Alfano, ieri, proprio alla scuola di formazione politica del Pdl, a chi gli chiedeva un commento sulle dichiarazioni del presidente della Camera Gianfranco Fini, ha risposto: «Fini ha ribadito l`accanimento giudiziario contro il premier. Se c`è un uomo di governo che più di ogni altro può vantare straordinari risultati nella lotta alla mafia è Berlusconi che lo ha fatto non con parole straordinarie ma con fatti. Non nascondiamo che la nostra valutazione è che vi sia una componente della criminalità organizzata che abbia ragioni di rancore e ostilità nei confronti del presidente del Consiglio». Alfano ha ricordato i risultati ottenuti nella lotta alla criminalità organizzata e rivendica come questa sia una priorità del governo: «Se vi saranno elementi per riaprire i processi sulle stragi, i magistrati lo faranno con zelo e coscienza e siamo convinti che nessuno abbia intenzione di inseguire disegni politici, ma solo un disegno di verità». Alla domanda se le inchieste possano minare la credibilità del governo, Alfano risponde: «Non abbiamo queste preoccupazioni, riteniamo che il governo si sia qualificato per l`esatto contrario, per il contrasto alla criminalità organizzata, un contrasto con esiti straordinari».
A stretto giro sono poi arrivate le dichiarazioni di Fini, a commento della posizione del Guardasigilli: «La inequivocabile dichiarazione del ministro Alfano, che condivido al cento per cento, e che indica chiaramente l`auspicio del governo, spazza via le strumentali interpretazioni e le false dietrologie circa quanto ho affermato ieri sulla necessità di giungere alla completa verità sulle stragi mafiose degli anni `90», ha fatto sapere in una nota il presidente della Camera.
Del resto, era stato lo stesso Marcello Dell`Utri, chiamato in causa per un possibile ruolo nelle vicende legate alla mafia, a interpretare correttamente le dichiarazioni di Fini, in un`intervista a Libero. «Vedo un fallimento della magistratura ordinaria sulle cosiddette stragi. Con tutti i processi svolti, ora passati in giudicato, non si è risolto nulla, e adesso viene fuori che era tutto sbagliato», dice il senatore del Pdl Marcello Dell`Utri, che si dice «d'accordissimo» con Fini: «Trovo assolutamente corretta e anche adatta al suo ruolo istituzionale la presa di distanza di Fini dal Pdl. Non ci vedo nulla di cattivo dietro. Io stesso propongo la commissione d`inchiesta. Occorre procedere e cercare la verità». Sulle nuove prove emerse nel processo d`appello di Palermo, che lo vede imputato, il senatore afferma: «Vogliono colpire me per colpire Berlusconi. È un`operazione evidente, un rigurgito giudiziario, l`estremo tentativo di abbattere il capo del governo».
Nel Pdl, a parte qualche attacco isolato a Fini, sono in tanti a sottolineare come il presidente della Camera non avesse alcuna intenzione di sollevare un polverone contro Berlusconi, sollecitando invece la massima trasparenza sulle indagini di mafia. «Leggendo i giornali sembrerebbe che Gianfranco Fini si sia recato a Gubbio con l`elmetto per dichiarare guerra al Pd1, peraltro dando manforte a coloro che si esercitano quotidianamente nell`arte di pescare nel torbido. Credo che una risposta intelligente sia venuta da Marcello Dell`Utri nell`intervista a "Libero", cui rimando», dice il ministro delle Infrastrutture Altero Matteoli. Sulla stessa lunghezza d`onda anche Italo Bocchino, vicecapogruppo del Pdl alla Camera: «L`intervista di Dell`Utri a "Libero", le parole forti e chiare del ministro Alfano e la condivisione soddisfatta del presidente Fini fanno chiarezza su quanto detto da quest`ultimo sulla necessità di spronare la magistratura a ricercare sempre con zelo eventuali altri responsabili delle stragi di mafia, ponendo contestualmente fine a quella che lo stesso presidente della Camera ha definito persecuzione giudiziaria nei confronti dì Berlusconi». «Spazzata via ogni dietrologia dell`intervento di Fini a Gubbio - ha aggiunto l`esponente del Pdl - restano l`invito ad un più ampio dibattito nel Pdl e la proposta di ricercare un punto di incontro su questioni importanti come l`immigrazione e la legge sul fine vita. Questioni sulle quali tutto il Pd1 non può che essere d`accordo».
Anche Fabio Granata, vicepresidente della Commissione Antimafia, ritiene che le parole del ministro Alfano «rappresentino un importantissimo segnale politico e spazzano via ogni possibile strumentalizzazione» dell`intervento del presidente della Camera Gianfranco Fini. «Il governo e il Parlamento intero - ha detto Granata - devono sostenere l`azione della magistratura e auspicare che sulle stragi del '92 si accerti finalmente la verità e si individuino i responsabili». Fa dei distinguo, invece, il coordinatore del Pdl Denis Verdini, che spiega: «Quando ieri abbiamo sentito le parole di Fini abbiamo pensato che non era il caso, tutti, anche quelli di An». Sulle stragi di mafia «tutti vogliono la verità, ma c`è un gioco politico e non sulla verità quanto all`utilizzo. Più libertà per i pm di aprire e riaprire i fascicoli non ce n`è, dal `92 sono passati 17 anni e sono tanti per un`indagine. Quello che viene fuori dai giornali - ha sottolineato Verdini - ci sembra un`operazione strumentale».
Categorico e senza sconti sulla lotta alla mafia, è stato anche l`intervento tenuto da Renato Schifani, dal palco del seminario di Gubbio, che però ha detto no alle Procure che «tendono a riproporre teoremi politici» sulle stragi di mafia. Il presidente del Senato ha comunque espresso il «massimo rispetto» per l`autonomia e l`indipendenza della magistratura.
La tesi di Umberto Bossi è invece che anche l`affare-veline sia stato messo in piedi dalla mafia. «Abbiamo fatto leggi pesantissime contro la mafia - ha spiegato Bossi - e quindi l`ho detto anche a Berlusconi guarda che qui c`entra la mafia. Chi ha in mano le prostitute è la mafia, sono convinto ché è la mafia che ha organizzato tutta questa cosa qui». Per ritorsione contro il governo? Chiedono i cronisti. «Esatto», ha concluso Bossi.

Non così conciliante il Giornale di Feltri che in un articolo enumera le colpe dell'ex leader di An.
II confronto. Punto per punto, ecco come Fini tradisce il programma.
Il Giornale
, Emanuela Fontana, 12 settembre 2009.

Programma del Popolo della libertà, elezioni 2008. Ricerca per parola o frase chiave. Tasto del computer Control F. Voto agli immigrati: «Impossibile trovare il testo!». Cittadinanza agli stranieri dopo 5 anni di permanenza regolare: «Impossibile trovare il testo!». Norme per i diritti delle coppie di fatto: «Impossibile trovare il testo! La ricerca è molto frustrante e anche un po` noiosa: condivisibili o meno, sagge o demagogiche che siano, delle idee nuove di Gianfranco Fini nelle undici pagine del patto sottoscritto dalla coalizione di centrodestra con gli elettori un anno e mezzo fa non se ne trova traccia, accenno, indicazione approssimativa. Non esistono. Non pervenute.
È questo adesso il problema. La capacità di cambiare le opinioni può essere una dote e un motivo di fascino, «una perfetta contraddizione resta misteriosa ai savi come ai pazzi» scriveva Goethe. Ma nel caso del presidente della Camera Gianfranco Fini la dialettica con se stesso significa la sconfessione di un contratto messo per iscritto: chi vuole rendere conto a Fini lo farà - e lo sta già facendo, ad esempio la Lega - trascinando il presidente della Camera di fronte a quel testo che lui stesso controfirmò.
Il giorno era bisestile: 29 febbraio 2008. Data fausta: due mesi dopo il governo Berlusconi giurava fedeltà alla Costituzione nelle mani del presidente Giorgio Napolitano. Quel 29 febbraio di un anno e mezzo fa, dunque, Berlusconi lesse il programma elettorale in sette punti - missioni furono chiamate - all`Auditorium di via della Conciliazione a Roma.
In prima fila sedevano Gianfranco Fini, Roberto Maroni e Roberto Calderoli, Stefano Caldoro, Alessandra Mussolini, Giuseppe Pizza e Raffaele Lombardo: gli alleati. Tutti avevano condiviso le promesse con gli elettori. Punto per punto, missione per missione. La coalizione vinse sulla base di quel piano di azione articolato in sette obiettivi primari: sviluppo, famiglia, sicurezza-giustizia, servizi ai cittadini, sud, federalismo, piano straordinario di finanza pubblica.
Proprio la presenza di quel documento consente di mettere a confronto nel dettaglio le idee di programma e le «idee nuove» del presidente della Camera.
Missione terza del programma elettorale, punto 5: «Apertura di nuovi Centri di permanenza temporanea per l`identificazione e l`espulsione dei clandestini». Gianfranco Fini, 27 agosto, festa del Pd di Genova, venti giorni dopo l`entrata in vigore dell`ultima legge sulla sicurezza che allunga i tempi di permanenza nei Centri di espulsione: «Se si parte dal presupposto che l`immigrato è una persona, alcune politiche non dovevano essere inserite in un provvedimento legislativo».
Missione terza, punto 6: «Contrasto all`immigrazione clandestina». Gianfranco Fini, 1luglio, al quotidiano spagnolo El Mundo: «Sarebbe immorale dire subito "sei clandestino, ti rimando al tuo Paese". In alcuni casi, questa sarebbe una condanna a morte».
Missione seconda, principi generali: «La famiglia è al centro del nostro programma; per noi la famiglia è la comunità naturale fondata sul matrimonio tra uomo e donna». Gianfranco Fini, Il Foglio, 9 maggio (dichiarazioni confidenziali mai smentite): «Dobbiamo necessariamente prendere atto che nella nostra società ci sono forme di convivenza non assimilabili alle famiglie ma che vanno tutelate».
Anche il pensiero laico di Fini sul testamento biologico è in antitesi.
Missione 2, comma 3, punto 13. Così dice il documento del Pdl: «Esclusione di ogni ipotesi di leggi che permettano o comunque favoriscano pratiche mediche assimilabili all`eutanasia».
Infine l`aborto. Missione seconda, comma 3, punto 12: «D`intesa con le regioni, individuazione delle risorse finanziarie necessarie a garantire credibili alternative all`aborto». A questo proposito, Fini 1`8 agosto ha dichiarato: «Trovo originale pretendere che il Parlamento si debba pronunciare sull`efficacia di un farmaco (la RU 486, ndr). Ognuno ha le sue opinioni, anche io ho la mia, ma non è oggetto di dibattito politico».

E vediamo come il giornale di Feltri sberleffa gli ex-An che sono con Fini (articolo di Francesco Cramer, "La Russa si smarca da Fini, col «capo» solo 40 fedelissimi", 12 settembre 2009).

Ma quanti e chi sono quelli perfettamente sintonizzati sulla nuova lunghezza d`onda finiana, che trasmette messaggi contrastanti col programma del Pdl, premiato dagli elettori nel 2008? Pochini, per la verità. Una minoranza che, seppur nella peggiore delle ipotesi decidesse di sbattere la porta di via dell`Umiltà per fondare qualcosa di nuovo, non sarebbe determinante per le sorti della maggioranza di governo.
A Montecitorio, su 276 onorevoli pidiellini, quelli eletti in quota An sono stati 83. Di questi, i finiani doc sarebbero 28 o 29, non di più. Stando così le cose lui, l`ex capo della brigata aennina, alla Camera avrebbe perso per strada circa un terzo della sua truppa. A Palazzo Madama, invece, su un totale di 146 seggi pidiellini, quelli eletti in quota An sono stati 47. Tra questi, i più vicini a Fini sarebbero 12 o 15. Una fetta che rappresenta un quarto del suo vecchio partito.
Rimanendo l`incognita sul drappello di onorevoli alemanniani, per la sua corsa Fini potrebbe contare su una quarantina di onorevoli stampellle.
Eccola la minoranza interna al Pdl: un manipolo di parlamentari che giurano fedeltà alla terza carica dello Stato al grido di «Salvate il soldato Gianfranco». Oggi i finiani fino al midollo sono senza dubbio guidati da Italo Bocchino, Fabio Granata e Adolfo Urso. Il primo, ex portavoce di Tatarella, ex candidato alla Regione Campania, è quello che più fa da megafono alle richieste di dibattito interno. Il secondo, ex vice segretario del Fronte della gioventù, ex vice presidente della Regione Sicilia, nonché ex vice sindaco di Siracusa, è il supersupporter di Gianfranco. E solito ripetere che «il futuro del Pdl è Fini» e c`è lui dietro il disegno di legge sulla cittadinanza agli immigrati. Poi il terzo, Urso: natali a Padova, promotore della fondazione Osservatorio parlamentare, vicinissimo a Gianfranco, ex vice ministro alle Attività produttive nel 2001 ed ex vice ministro di Claudio Scajola, schierato con Fini soprattutto sul tema del biotestamento: «La posizione di Fini è maggioritaria nel Paese», giura. Accanto a questi anche Carmelo Briguglio, Luca Barbareschi, Giulia Bongiorno, Donato Lamorte, Flavia Perina, Souad Sbai, Giuseppe Scalia e Marco Zacchera.
Tra questi anche un neo-finiano, lontano mille miglia da An: Benedetto Della Vedova. Ex dirigente radicale, allergico alla sinistra ma insofferente verso quella che giudica «una deriva moralista e integralista intrapresa dal Pdl sui temi etici».
Al Senato, invece, Fini potrebbe trovare sponda nell`emiliano Filippo Berselli, nel sardo Mariano Delogu, in Domenico Gramazio, quello che stappò una bottiglia di champagne in aula quando cadde il governo Prodi e venne richiamato all`ordine dal presidente Franco Marini con l`oramai celebre «Collega, non siamo mica all`osteria!». Ma anche in Vincenzo Nespoli, Pasquale Viespoli e Maurizio Saia.
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Il partito di Fini

Quei cento pretoriani che aspettano lo strappo.
I parlamentari pronti a seguire il presidente della Camera.
Rassegna stampa - La Stampa, Fabio Martini, 12 settembre 2009.

Retroscena. La conta alla Camera e in Senato.
Sarà soltanto un caso. Nel suo giro di accreditamento tra le autorità istituzionali italiane, il nuovo ambasciatore americano a Roma ha incontrato per primo Gianfranco Fini, e proprio nell`anniversario dell`11 settembre. Ieri mattina nel palazzo di Montecitorio David Thorne si è trattenuto per mezzora nello studio del presidente della Camera e alla fine l`ex uomo d`affari (che parla bene l`italiano), si è congedato con una frase da diplomatico: «Siamo molto onorati di quanto viene fatto in Italia per ricordare chi in quella tragedia ha perso la vita». Certo, è del tutto casuale che il neo-ambasciatore Thorne, nel suo giro tra le autorità istituionali, abbia fatto visita a Fini in una giornata simbolicamente così importante per gli americani.
Ma è pur vero che l`amministrazione americana guarda con un`attenzione speciale al presidente della Camera. Grazie ad una sapiente trama diplomatica dietro le quinte, grazie ad un rapporto personale significativo con la speaker del Congresso Nancy Pelosi, Fini è un osservato specialmente ben visto dell`Amministrazione Usa, tanto è vero che nei primi mesi del 2010 il Presidente della Camera sarà in visita ufficiale negli Stati Uniti, onorando un invito della Pelosi, personaggio sempre più centrale nella dialettica politica americana. E dal 2003, anno della prima, storica visita in Israele, Fini ha via via conquistato il primato nelle preferenze nella classe dirigente dello Stato d`Israele, al quale fa riferimento una delle più potenti lobbies internazionali.
Per chi, come Fini, ha deciso di contendere a un personaggio come Berlusconi la leadership del centrodestra, è decisivo poter contare su una rete internazionale, su solide "divisioni" estere. Tanto più che in queste ore, dopo il duro intervento al convegno di Gubbio, torna una domanda finora confinata nei pourparler del Palazzo: ma su quante "truppe" può contare Fini? Domanda importante sia nel caso in cui il Presidente della Camera dovesse continuare la sua battaglia dentro il Pdl, ma anche nel caso (più improbabile) in cui Fini dovesse un domani mollare gli ormeggi e mettersi in proprio.
Nei giorni scorsi, diversi esponenti del Pdl a Montecitorio e a palazzo Madama si sono esercitati in calcoli complessi e in mancanza di una pubblica conta, ogni componente interna offre numeri diversi. Anche se alla fine c`è una sostanziale convergenza sui dati che riguardano il gruppo più numeroso, quello della Camera: dei 92 deputati ex An, 12-14 fanno capo a Ignazio La Russa, 7-8 a Maurizio Gasparri, 6-7 a Altero Matteoli. Quasi tutti gli altri, compresi i 16-18 vicini a Gianni Alemanno (in caso di conta interna viene dato come vicino a Fini), sono considerati dei non-allineati in qualche modo sensibili al presidente della Camera, che in caso di resa dei conti, ritiene di poter contare su circa il 70% dei deputati e su un 35-40% dei senatori, tra i quali è molto più incisiva l`influenza di un capogruppo iperattivo come Maurizio Gasparri. Semmai è interessante un altro fenomeno: l`avvicinamento a Fini di parlamentari che non appartenevano ad An: il radicale Della Vedova, la socialista Chiara Moroni, mentre già da tempo la Fondazione che fa capo all`ex ministro Beppe Pisanu collabora con quella di Fini, Farefuturo. E oggi il Presidente della Camera sarà a Chianciano, alla convention dell`Udc di Casini e Cesa.
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Alla Taverna del Lupo il crepuscolo degli dei

Nel suo intervento a Gubbio Fini ha parlato di "grembiulini e compassi".
L`ira di Berlusconi.
E nello scontro tra 1 due leader ora rispunta lo spettro della P2.

Rassegna stampa - La Repubblica, Francesco Bei, 12 settembre 2009.

Nonostante le smentite, resta molto alta la tensione tra Silvio Berlusconi e Gianfranco Fini. I due si vedranno stasera alla cena offerta a villa Madama da Fini agli altri presidenti dei parlamenti del G8, ma è improbabile che in quella cornice così ingessata ci sia spazio per un incontro di chiarimento. «Anche perché», ha ripetuto ieri Fini a Gianni Letta, che lo ha chiamato varie volte per implorare un riavvicinamento con il Cavaliere, «quello che ho detto a Gubbio è solo una parte dei problemi che abbiamo sul tavolo». E dunque servirà tempo per un faccia a faccia che, allo stato, dovrebbe tenersi a metà della prossima settimana. Ma c`è anche da tener conto della forte irritazione del Cavaliere nei confronti del suo antagonista.
Raccontano che Berlusconi sia uscito dai gangheri ascoltando un passaggio in particolare dell`intervento pronunciato da Fini alla scuola quadri del Pdl a Gubbio (organizzata per 8 anni da Bondi come scuola di Forza Italia e che il premier considera quindi come casa sua). È stato quando Fini, respingendo lo «stillicidio» di attacchi contro di lui, ha buttato lì una frase sibillina: «A differenza di altri, io non mi diletto con grembiulini e compassi». Con chi ce l`aveva? Tutti hanno guardato immediatamente i forzisti sotto al palco, dove sedevano alcuni nomi in odore di massoneria. Ma il Cavaliere ne ha dato un`altra interpretazione (quella autentica a sentire i fíniani) e ai suoi ha consegnato questo sfogo: «Ma Fini è impazzito? Le procure mi accusano di essere il mandante delle stragi e adesso lui rispolvera di nuovo questa storia della P2?». Insomma, il clima è ancora questo.
Berlusconi si sente sotto assedio - tanto che oggi ha annullato la visita alla Fiera del Levante appena gli è stato riferito che Patrizia D`Addario avrebbe provato ad intrufolarsi - e ha individuato proprio in Fini uno di quelli che provano ad abbattere con l`ariete il portone del fortilizio.
Nell`ambiente che ruota attorno al della Camera si ascoltano infatti questi ragionamenti: «L`affondo sulle stragi è stato il primo segnale, quello sulla P2 il secondo. Se Feltri e gli altri pretoriani di Berlusconi continueranno ad attaccare Fini, arriveranno altri contraccolpi». A Gubbio del resto l`umore prevalente è tutto contro il presidente della Camera, persino tra gli uomini che provengono dalle file di An, passati armi e bagagli tra i berluscones. Se ne è avuto un assaggio alla cena dei parlamentari del Pdl alla "Taverna del lupo", riservata e chiusa ai giornalisti.
Alla presenza di Renato Schifani è andato in scena un vero processo corale a Fini, ovviamente in contumacia. «Adesso è arrivato persino ad accusare Berlusconi di essere il capo della mafia», ha tuonato un forzista.
Mentre un senatore proveniente da via della Scrofa ha ironizzato: «Si lamenta della mancanza di democrazia del Pdl, ma fatevelo dire da chi c`era: quando stavamo in An la linea politica di Fini l`apprendevamo sempre dai giornali». Tutti contro Fini appassionatamente. Con tanta foga che Fabrizio Cicchitto, dopo l`accorato intervento dal palco contro le tesi del presidente della Camera, pare abbia dovuto farsi misurare la pressione.
La sostanza del problema è che Fini e Berlusconi hanno in mente due partiti radicalmente diversi. Il Cavaliere pensa a un movimento che ne assecondi le intuizioni e faccia la "ola", l`ex leader di An ha in mente un partito di iscritti, che discute. «Il Pdl è importante - ragiona Denis Verdini, uno dei tre coordinatori nazionali - ma la leadership lo è di più. Oggi ho fatto un esperimento andando a spasso per Gubbio con mia moglie. Su 12 persone che mi hanno salutato, tutte e dodici mi hanno detto di averci votato perché c`era Berlusconi. Votano lui, non il Pdl, chiaro?».
Le ostilità tra Fini e Berlusconi sono così profonde, i caratteri così diversi, che molti dubitano ormai che i due possano resistere a lungo sotto lo stesso tetto. Non è sfuggito l`appello fatto ieri dal palco di Gubbio da un applauditissimo Renato Brunetta: «Gianfranco, stai con noi». Già, fino a quando?

Stragi, P2, il catafalco per il funerale del Pdl ormai è apparecchiato. sentiamo la campana di Libero.
Il retroscena.
Furia Silvio su Fini: «Mi dà del piduista».
Cori da stadio per Schifani dei forzisti che non perdonano a Gianfranco i riferimenti alla massoneria diretti al premier.
Libero, Salvatore Dama, 12 settembre 2009.

«Un presidente! C`è solo un presidente... un presidenteeeee!». A un certo punto della serata il ristorante Taverna del Lupo sembra diventare la Curva B. Ha fatto il suo ingresso Renato Schifani e un gruppetto di senatori campani lo accoglie con un coro da stadio. È giovedì sera. Brucia ancora l`affondo pomeridiano di Gianfranco Fini sul partito e il suo leader. Come reazione, i parlamentari attovagliati per cena mollano le pappardelle al tartufo bianco e si mettono a inneggiare "l`altro", il presidente del Senato. «Meglio lui, tutta la vita».
È finita la prima giornata della Scuola di formazione del Popolo della Libertà. E i capigruppo hanno deciso di offrire il pasto serale agli onorevoli sbarcati a Gubbio in giornata. Siedono separati: i deputati, una cinquantina, in una sala grande; i senatori, di meno, in una stanzetta più piccola. Chiedono a Fabrizio Cicchitto di fare un discorso. Ma il presidente dei deputati del partito unico è con la moglie e non ne ha voglia. Allora si cimenta Simone Baldelli.
Intrattenitore nato, l`azzurro si esibisce nell`imitazione del capogruppo. E sono ricche risate, forse le uniche della serata. Il tema dominante, tra i commensali gomito a gomito, manco a dirlo: la dura invettiva finiana. C`è preoccupazione e arrabbiatura. La prima più sul versante An, la seconda appannaggio dei forzisti. Hanno assistito alla filippica finiana sulla giustizia, bocca aperta e occhi spalancati. E adesso, a tavola, c`è chi ha voglia di sfogarsi: «Roba da matti», si agita un azzurro indignato, «ma Fini pensa che Berlusconi sia il capo della mafia?». Le sensibilità aennine, invece, sono state più toccate dai passaggi dell`ex leader sulla democrazia di partito. Ricorda uno: «Ma se quando c`era An scoprivamo la linea politica dai giornali...» Berlusconi? È un`altra, ha confessato a suoi, la frase che più l`ha ferito. Il riferimento alla massoneria. «Non ho frequentazioni con compassi e grembiulini», giura Gianfranco in uno dei passaggi più caustici. Poi quella precisazione: «A differenza di altri». Chi? Secondo il presidente del Consiglio, «Fini si riferiva a un dirigente di partito». Ma non uno a caso, «ce l`aveva proprio con me»: il Cavaliere ha delle certezze. Ed è furioso. Farsi dare del piduista da Antonio Di Pietro è spiacevole, ma oramai Silvio c`ha fatto il callo. Da Gianfranco no, è inaccettabile.
Il reciproco risentimento personale rende ancora più complicato il lavoro delle diplomazie. Il sottosegretario Gianni Letta ieri ha speso più di una telefonata, componendo a ripetizione l`interno di Montecitorio. L`uomo dell`armonia ha informato la terza carica dello Stato della rabbia di Berlusconi e del motivo («Compasso e grembiulino»). Ciononostante lavora ugualmente a un incontro tra i due. Da tenersi magari la prossima settimana.
Stasera intanto Berlusconi e Fini si sfioreranno alla cena offerta per il G8 dei presidenti delle Camere. Difficile che 1`Auditorium, luogo della serata ufficiale, possa essere il teatro della pace.
Sul fronte opposto si muovono i buoni uffici di Ignazio La Russa e Italo Bocchino. Ci riusciranno? Chi lo sa. La tensione è alle stelle. Berlusconi non ha risposto subito alle polemiche finiane.
Peggio, secondo quelli di An. Meglio «uno scontro verbale che una reazione del premier a freddo». Oggi il capo del governo non sarà a Gubbio, gli organizzatori aspettano una telefonata.
Fini, invece, è atteso alla convention dell`Udc. E saranno altre botte a distanza. Intanto, per capire le vere intenzioni di Gianfranco, Silvio lavora di sponda. Ieri ha visto Luca Cordero di Montezemolo. L`uomo della presunta cospirazione con Fini e Casini giura: «Nessuna discesa in politica». E Silvio ha ritrovato il sorriso: un nemico in meno. «Il PdL sta con me», ne è sicuro. Ha il polso dei numeri. E se, come dice Umberto Bossi, Fini «ha deciso di suicidarsi», fatti suoi.
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12 settembre 2009
Le prime pagine dei giornali.




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