FATTI E PAROLE

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venerdì 4 settembre 2009

Il teatro di Casale avrà un futuro?

Casale. Il sindaco Parmesani spera di chiudere la partita sulla gestione.
«Sul teatro si decide lunedì».

Rassegna stampa - Il Giorno di oggi, Mario Borra.

«Siamo ancora in trattativa febbrile». È questa la fotografia della situazione attuale riguardante il futuro gestionale del teatro comunale, dopo che il 31 luglio scorso è terminata la convenzione con la società Lenz. Il sindaco Flavio Parmesani, a settembre ormai iniziato, sta cercando di arrivare ad una soluzione, anche se la strada sembra irta di ostacoli. Dopo il primo bando andato deserto, l’attenzione si è rivolta a tre operatori che si erano dichiarati disponibili alla cosiddetta gestione «ponte», cioè la sottoscrizione di un contratto annuale. In un primo momento, sembrava che due su tre privati interessati si fossero defilati e il Comune dovesse interloquire solo con uno di questi. Ad oggi però la situazione non sembra ancora chiarita.
«Il problema è che la stagione teatrale e quella cinematografica è difficile affidarli in una sola mano - spiega il primo cittadino -. Non è escluso che si possa anche prevedere due operatori che possano predisporre due calendari differenti, ma stiamo ancora valutando. Lunedì mattina si terrà un altro incontro. Speriamo in quella sede di chiudere la trattativa. Il 1° ottobre dovremmo avere il calendario pronto». Era già stata scartata da tempo l’ipotesi di lavoro presentata dal Comitato per il teatro, un gruppo di casalesi composto da Sergio Galuzzi, Ottorino Buttarelli, Vanny Rossi ed Enrico Cipelletti, secondo la quale sarebbe stato meglio istituire una commissione ad hoc con incarico a termine, presieduta dall’assessore alla Cultura che si fosse fatta carico di una sorta di «gestione provvisoria». Parmesani però aveva rimandato al mittente la proposta. «Il tempo stringe. Non è possibile mettere attorno al tavolo una ventina di persone in questo momento».
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Tra musica, birre e salamelle

«Spazio giusto per elaborare proposte politiche».
Fra birra e dibattiti in cerca di identità.

Rassegna stampa - Il Giorno di oggi, Daniele Bellocchio.

Con il passaggio del testimone della Festa dell’Unità a quella del PD c’è stato anche il passaggio tra quella che era la Sinistra Giovanile a quelli che invece sono oggi i Giovani Democratici. Così tra musica, birre e salamelle, allo spazio giovani della festa non sventolano più le bandiere della SG, ma più anonimamente si scorgono le bandiere della pace e solo uno striscione scritto a caratteri cubitali ricorda che quella è anche la loro festa, la festa dei Giovani Democratici. Fra ex «sinistri» e giovani della Margherita, oggi tra Lodi e provincia ci sono circa cento tesserati. Laura Tagliaferri, segretaria provinciale dei Giovani Democratici, spiega “Quando c’è stata l’unione tra Sinistra Giovanile e Giovani della Margherita a Lodi, inizialmente c’era una situazione un po’ particolare perchè la maggior parte dei ragazzi proveniva dall’ala della Sinistra Giovanile e i ragazzi della Margherita erano solo un esigua minoranza. Però ci siamo uniti benissimo e le idee degli uni e degli altri hanno permesso di arricchirci molto. Moltissimi però sono anche i ragazzi che si sono tesserati dopo questa unione e per noi è una cosa molto positiva”.
Per i Giovani Democratici, la festa del Pd resta comunque l’evento politicamente più importante della stagione «Per noi la Festa è la principale fonte di finanziamento, di dibattito e proposta politica - spiega sempre Laura Tagliaferri -. Facciamo assemblee, cene etniche e teniamo spazi per dibattiti. Ma anche durante l’anno non restiamo con le mani in mano. Per esempio abbiamo sancito collaborazioni con l’associazione antimafia “Libera”, tenuto un dibattito aperto a tutti sul testamento biologico e poi soddisfatto i palati con la “kebabbata” sempre per un motivo d’integrazione culturale». «Siamo un’organizzazione autonoma rispetto al partito», tengono a precisare i giovani Pd. Però confessano che in occasione della campagna elettorale appoggiano il loro partito di riferimento. «Siamo numerosi e organizzati - conclude la segretaria provinciale -. Già per settembre abbiamo in cantiere alcune idee. Infatti vorremmo scendere in piazza con banchetti ed eventi per la libertà di stampa, e poi ci piacerebbe molto collaborare con l’Anpi per tenere vivo il ricordo della Resistenza».
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Un Monte Stellone nel Lodigiano

Il Pirellone conferma le obiezioni al piano territoriale sull’immondizia. L’alternativa: allargare Cavenago o aprire a Senna.
Rifiuti inerti, la Regione vuole più spazio nel Lodigiano.
Rassegna stampa - Il Giorno di oggi, Guido Bandera.

In apparenza tutto è fermo. Ma sulla nostra testa incombe una quantità di rifiuti inerti che oscilla fra 1 milione di tonnellate e 2 milioni di tonnellate. La prima cifra corrisponde all’ipotetico allargamento della discarica di Cavenago, la seconda ai numeri che la Regione, che ha bocciato il piano rifiuti della Provincia. Per la verità, un’altra cifra esiste: 300mila tonnellate. Proprio quelle stimate dal piano bocciato come spazio necessario per i prossimi cinque anni. La partita, anche se tutto tace, però prosegue silenziosa nelle stanze della burocrazia milanese. Sul tavolo della Regione, infatti, c’è ancora la richiesta della Cre per la realizzazione di un impianto per lo smaltimento di rifiuti inerti a Senna Lodigiana che dovrebbe ospitare 1,7 milioni di metri cubi. Qui, lo dice lo stesso presidente della Provincia, Pietro Foroni, l’ultima novità è l’avvio del procedimento per ottenere dalla Regione il vincolo ambientale che potrebbe (il condizionale è necessario) bloccare l’impianto.
Per ora, dopo l’avvio della richiesta di vincolo, sono attive delle norme di salvaguardia, ovvero dei vincoli provvisori, che comunque, secondo la Provincia, sono già un buon motivo per bocciare la discarica. La Regione, però, deve ancora convocare la conferenza dei servizi, il tavolo tecnico-politico, che deve concretamente decidere sull’eventuale discarica di Senna. Ma non è stata neppure convocata. Forse la decisione definitiva sul commissariamento prima di decidere. L’ultima riunione sulla discarica di Senna, infatti, risale ancora ai tempi della giunta di Osvaldo Felissari. Lì si era posta una ulteriore questione preliminare e tutto era stato rinviato, in attesa che la Regione decidesse una nuova data per incontrarsi. Ma nessuno da Milano ha fatto sapere nulla. Intanto, però, procede parallelamente anche la partita su Cavenago d’Adda. La società di gestione ha infatti sondato, in una riunione, il parere di Provincia, Comune, Parco e ente irriguo sull’ipotesi di un ampliamento. Che dovrebbe essere di circa un milione di tonnellate, da riservare a rifiuti non pericolosi, fra cui comune immondizia urbana, ma anche i famosi inerti. Nessuna grave opposizione è emersa sul progetto. Ora la società però deve presentare un piano dettagliato, con i numeri e le soluzioni tecniche per richiedere l’ampliamento. Solo così gli enti interessati potranno esprimere un parere compiuto sull’ampliamento. I tempi, però, potrebbero non essere così rapidi.
A meno che non si sveltisca tutto con l’avvio del commissariamento. Che è poi la terza partita aperta sul tema dei rifiuti. La Regione, bocciato il piano di Osvaldo Felissari, si appresta quasi certamente a bocciare anche il secondo piano, quello che la Provincia di Lodi sta riscrivendo in questi giorni. La scelta, quindi, indipendentemente dalle scelte della giunta provinciale in materia di rifiuti, è quella di passare dagli strumenti ordinari a quelli straordinari. Lo stesso Pietro Foroni, infatti, conferma che nonostante l’iter di riadozione del piano rifiuti sia ancora in corso, certamente sarà nominato commissario. «Una cosa che è già accaduta in tante altre province», afferma, come per ridimensionare la notizia. Sta di fatto che, una volta scattato il commissariamento, Pietro Foroni raccoglierà su di sé tutte le competenze in fatto di rifiuti. Quale sarà il grado di autonomia rispetto alle decisioni regionali poi è tutto da vedere. Per adesso, comunque, in attesa che i «superpoteri» in fatto di rifiuti vengano attribuiti a Foroni, lo stesso presidente annuncia che, in vista della nomina e delle nuove competenze, sceglierà un esperto da nominare come consulente che lo assista in queste complesse partite.

Lo scenario.
Macerie e terre da bonifica.
I numeri che non tornano nei conti fatti a Milano.

Impossibile sapere chi ha ragione. Da una parte ci sono le cifre del piano provinciale sui rifiuti, bocciato dalla Regione, che stima che al Lodigiano per i prossimi 5 anni servirà spazio per 300mila tonnellate di rifiuti inerti, dall’altra invece c’è il Pirellone, che afferma che nel Lodigiano serve uno spazio sufficiente ad ospitare 2 milioni di tonnellate di inerti. Una differenza non trascurabile. Ma qualcosa su questi numeri si può comprendere scorrendo le fitte e complesse pagine del piano rifiuti provinciale. Le obiezioni della Regione, avanzate oltre un mese fa in una lettera firmata direttamente dall’assessore Massimo Buscemi, si basano su calcoli che Milano non ha divulgato.
Il piano scritto a Lodi, invece, dà più dettagli e sembra francamente accreditare l’ipotesi che due milioni di tonnellate di inerti nei prossimi 5 anni a Lodi siano davvero eccessive. Ma perché? Semplice: la produzione reale di inerti, certificata anche dai rapporti inviati annualmente all’Arpa sui rifiuti, nel Lodigiano è di circa 100mila tonnellate all’anno. Una cifra che, se sommata, porta il fabbisogno di 5 anni a 500mila euro. Ma a questi vanno sottratti gli inerti che ogni giorno vengono riciclati e riutilizzati nell’industria delle costruzioni grazie al lavoro dei 13 impianti provinciali di trattamento, che hanno una capacità di oltre 1 milione di tonnellate, non utilizzata appieno, e che già importano inerti da fuori provincia. Le stime della Regione, però, potrebbero essere fondate. Solo che i conti non si sa su quali cifre si basino. Ad ogni modo, per un territorio come il Lodigiano, dove all’orizzonte non ci sono grandi progetti di ristrutturazione o bonifica resta difficile immaginare una produzione autonoma di rifiuti inerti di 2 milioni di tonnellate in 5 anni.
Per costruire un paragone efficace, basta pensare che le macerie di Milano, dopo i bombardamenti alleati nell’ultima guerra, finirono a comporre una collina, il Monte Stella, che ospita in tutto 100 mila tonnellate di inerti. Lodi invece dovrebbe ospitarne 2 milioni. Al momento, però, è difficile prevedere qualcosa di ugualmente distruttivo come le bombe degli aerei angloamericani.

Il presidente Pietro Foroni
«Divento commissario straordinario, nomina entro settembre».

Pietro Foroni, presidente della Provincia, fa il punto sul tema dei rifiuti e sulle discariche.
Presidente, a che punto è la partita contro la discarica di Senna Lodigiana?
«Per quanto riguarda Senna, l’ultima novità resta l’avvio dell’iter per il vincolo ambientale, che comunque giuridicamente non c’è ancora. In compenso, dopo la pubblicazione del primo verbale sono già scattate le cosiddette misure di salvaguardia: tutti i progetti che cozzano contro i criteri contenuti nel verbale devono essere cassati».
A quando il prossimo incontro con il Pirellone?
«La conferenza sevizi non è stata ancora convocata. Ma non è detto che lo sia: la Regione potrebbe decidere anche di archiviare tutto. Se convocherà la conferenza dei servizi sulla discarica di Senna, inevitabilmente si dovrà tenere per forza presente il tema del vincolo ambientale».
A che punto è invece l’iter per l’allargamento della discarica di Cavenago?
«L’incontro che si è tenuto su Cavenago è solo preliminare. La società che gestisce la discarica ha presentato una bozza programmatica, per chiedere agli enti un parere preliminare su un eventuale allargamneto. La risposta è stata favorevole, nel senso che gli enti coinvolti hanno chiesto all’azienda di presentare un progetto vero, che ora non c’è, e di verificare gli esatti quantitativi dell’allargamento. L’importante è non cadere nella sindrome della discarica di Senna. Bisogna valutare bene le necessità reali del territorio. L’allargamento deve corrispondere a quanto serve a Lodi per i prossimi cinque anni. Non di più. Non bisogna cedere al panico da discarica».
Quanto alla bocciatura del piano rifiuti da parte della Regione?
«Il 24 agosto è stata depositata la diffida alla Provincia per la modifica del piano. Entro 30 giorni dobbiamo riadottarlo, accettando alcune indicazioni e non altre. Di fatto però l’iter è quello del commissariamento, come accaduto altrove. La nomina arriverà forse entro fine settembre. Ma non è detto che non slitti. Comunque, visto che le competenze sui rifiuti saranno in capo a me, sceglieremo un esperto dal quale farci affiancare».
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È la stampa, bellezza

Berlusconi e il piano P2 sulla stampa.
Rassegna stampa - Liberazione di oggi, Paolo Ferrero.

Prima, la querela al gruppo Repubblica-Espresso, "colpevole" di avergli posto dieci domande, dieci, sulla moralità dei suoi comportamenti privati e pubblici. Poi, quella all'Unità, e alle sue giornaliste, "colpevoli" sempre dello stesso, unico, "delitto": lesa maestà. E cioè di voler indagare e chiedere conto al premier, non tanto dei suoi vizi privati, quanto della sua assoluta mancanza di pubbliche virtù. Nel mezzo, la campagna denigratoria, volgare e offensiva condotta dal suo Giornale (di famiglia, in quanto controllato direttamente dal fratello Paolo) - dove ha richiamato in servizio Vittorio Feltri, che aveva dato il peggio di sé, in questi anni, dirigendo Libero - contro il direttore di Avvenire Dino Boffo. Campagna che è arrivata a costringere lo stesso Boffo alle dimissioni. Una campagna che aveva il chiaro obiettivo di "rimettere in riga" quella Chiesa cattolica che ha osato, in questi mesi, prendere posizioni non sempre (o, almeno, non tutte) favorevoli al governo, dal dl sicurezza ai diritti di profughi e migranti. Ecco perché, pur nella assoluta differenza di posizioni politiche e di ogni considerazione sui comportamenti personali, che non rientrano nelle nostre valutazioni, al giornale dei vescovi e al suo direttore va, oggi, la nostra piena solidarietà.
Non è una novità - e, direbbero i giornalisti, forse neppure "una notizia" - l'atteggiamento del premier nei confronti del mondo dell'informazione. Il Presidente del Consiglio Silvio Berlusconi, infatti, ha sempre avuto una concezione tutta e solo "proprietaria", nel senso classico e peggiore del termine, quello ottocentesco, dei giornali e delle televisioni. Per il premier, cioè, i media o sono "i suoi" o non devono mai disturbare il manovratore. Senza voler risalire alla notte dei tempi, e cioè all'origine del suo impero mediatico (Fininvest e, poi, Mediaset) e dunque delle sue fortune, basti ricordare un dato di fatto, ormai consegnato alla storia. Berlusconi era un membro affiliato della Loggia massonica segreta P2 di Licio Gelli, che puntava a sovvertire l'ordinamento costituzionale anche (o soprattutto) attraverso il controllo para-golpista di giornali e della Rai-tv.
E il Berlusconi della Loggia P2 è lo stesso Berlusconi che, quando l'allora già "Cavaliere nero" stava per accingersi a scendere in politica, la prima cosa che fece fu di mettere in riga i giornali (e le tv) in suo possesso. Possesso, peraltro, già allora in "flagranza di reato", visto che violava le norme della legislazione antitrust.
È lo stesso Berlusconi che licenziò, dalla sera alla mattina, un giornalista e uno scrittore apertamente di destra ma dalla specchiata indipendenza e libertà come Indro Montanelli.
Ed è sempre lui, Berlusconi, che, tornato al potere per la seconda volta, nel quinquennio 2001-2006, una delle prime cose che fece è il famigerato "editto bulgaro" (in quanto lanciato da Sofia, capitale della Bulgaria) contro Enzo Biagi e il suo "Fatto", Michele Santoro e il suo "Anno Zero" e, persino, contro il comico e show-man Daniele Luttazzi. Oggi, tornato nuovamente al potere, Berlusconi non ci ha messo molto per ripercorre la strada a lui più congeniale. Quella dell'intimidazione e del puro ricatto. Occupata, manu militari, la Rai attraverso il controllo del suo pacchetto azionario, Commissione di Vigilanza e cda Rai, nonostante i due presidenti siano due personalità autonome come Sergio Zavoli e Paolo Garimberti, la prima mossa del governo è stata quella di porre il servizio pubblico sotto occhiuta e odiosa tutela. La campagna elettorale alle europee - che non ha solo "cancellato" la presenza della nostra lista comunista e anti-capitalista da tutti i tg e dai principali talk-show ma che mirava, anche se vi è riuscita solo in parte, a sopprimere ogni voce politica indipendente e autonoma - ne è stato l'esempio più eclatante. Poi, con le nomine del nuovo cda Rai, tutto di fedele e stretta osservanza berlusconiana con qualche spruzzatina di An, mentre l'opposizione era confinata nel ‘recinto' Tg3, siamo arrivati alla "democratura", come direbbe il professor Sartori, e cioè al regime. Un regime che non sopporta stecche né voci "fuori dal coro", come dimostra in modo tristemente lampante il Tg1. Un telegiornale che, pur forte di riconosciute e storiche professionalità, è stato ridotto a farsi megafono del premier, sfiorando spesso il ridicolo, nel dare le notizie. Notizie che il Tg1 del "trombettiere" di Berlusconi, il giornalista Augusto Minzolini, ex "retroscenista" di fiducia del premier, tratta in un modo da far rimpiangere l'Eiar di epoca fascista e che, neanche stesse confezionando, per gli ignari telespettatori, un moderno cinegiornale Luce, glorificano le imprese del novello Duce "a prescindere".
Questo abbiamo visto accadere, sotto i nostri occhi, negli ultimi mesi e settimane, quando i palesi e giganteschi conflitti tra il governo e la Chiesa sugli sbarchi dei clandestini, i casi "Papi" e D'Addario, per non dire di tutte le conflittualità sociali scoppiate nel Paese contro il mordere della crisi ma anche contro la gestione al ribasso e ‘minimal' che ne fa il governo, sono stati derubricati a piccoli incidenti. Resta, volendo, il Tg3, ma anche lì si vive sotto costante e continua minaccia, da parte di un premier che ha eletto i suoi redattori a principale bersaglio.
Cosa dobbiamo aspettarci, ancora? Le minacce dirette, a livello fisico, dei giornalisti che ancora osano porre domande scomode, al premier? Speriamo di no ma l'emergenza democratica, oggi in Italia, è emergenza informazione. Ecco perché abbiamo deciso da subito, come Rifondazione comunista, di aderire all'appello promosso dall'associazione di giornalisti "Articolo 21", associazione - e sito omonimo (www.articolo21.info) già meritoria per mille motivi, a partire dalla campagna giustamente rigorosa e costante che svolge su un dato altamente drammatico, le morti sul lavoro. Ecco perché, nel pieno rispetto della libertà di tutti gli organi d'informazione, di tutti i giornalisti italiani e del loro autonomo e libero sindacato, la Fnsi, saremo al loro fianco, sabato 19 settembre, in questa battaglia fondamentale, decisiva fatta per avere un'informazione veramente libera.
Al premier Berlusconi, quel giorno, diremo, con tutto il fiato che abbiamo in gola, una frase molto semplice. Quella che è diventata un'icona per ogni giornalista e che viene pronunciata da Humprey Bogart in un film degli anni Trenta, L'ultima minaccia. Film dove il personaggio-giornalista Bogart fa sentire il rumore delle rotative del giornale in stampa al padrone che cerca di mettere le "mani sulla città" e controllare tutti i giornali, e gli urla: «È la stampa, bellezza, e tu non puoi farci niente!».
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Quell' opaco blocco di potere laicista

Il quotidiano Liberazione così racconta oggi l'ultimo atto della vicenda Feltri-Boffo. L'articolo è di Alessandro Speciale.
«Violentati me e la mia famiglia». Bagnasco fa dietrofront (perché?) e accetta le dimissioni.
Avvenire, Boffo lascia, Chiesa disorientata.

Rassegna stampa.

Alla fine, Dino Boffo ha dovuto darsi per vinto. Con una lunghissima lettera nel suo stile debordante e torrenziale, l'ormai ex-direttore di Avvenire ha annunciato di aver presentato sul tavolo del presidente della Cei, il cardinale Angelo Bagnasco, le sue dimissioni «irrevocabili». Troppo forti erano diventate le pressioni all'interno della Chiesa, troppo assordante il clamore mediatico che lo circondava, troppi e troppo dettagliati i resoconti - soprattutto sul settimanale Panorama - della sua frequentazione nel 2001 con la giovane ternana che lo aveva denunciato per molestie e con quello che all'epoca era il suo avvenente fidanzato: impossibile sapere quale sia stata la proverbiale "goccia che ha fatto traboccare il vaso" è ha spinto la Cei a compiere il passo che aveva fin qui ostinatamente rifiutato. La Cei però non muta la sua linea: Bagnasco si limita a prendere atto "con rammarico" delle dimissioni irrevocabili di Boffo, e gli conferma "personalmente e a nome dell'intero episcopato, profonda gratitudine per l'impegno profuso in molti anni con competenza, rigore e passione" e "esprime l'inalterata stima per la sua persona, oggetto di un inqualificabile attacco mediatico".
Nessuna marcia indietro, quindi. Anzi, nella sua lunghissima lettera, Boffo torna ampiamente sulla vicenda e non risparmia stoccate: "Da sette giorni la mia persona è al centro di una bufera di proporzioni gigantesche che ha invaso giornali, televisioni, radio, web, e che non accenna a smorzarsi, anzi. La mia vita e quella della mia famiglia, le mie redazioni, sono state violentate con una volontà dissacratoria che non immaginavo potesse esistere". L'ex-direttore di Avvenire coinvolge nella requisitoria contro l'attacco "smisurato, capzioso, irritualmente feroce", "sconsiderato e barbarico" di cui è stato oggetto non solo la direzione del Giornale , puntando il dito contro il direttore Vittorio Feltri e il condirettore Alessandro Sallusti, ma l'intero pantheon della stampa di destra, da Libero al Tempo , che - scrive - hanno subito "spalleggiato" l'offensiva dal quotidiano della famiglia Berlusconi: "Un opaco blocco di potere laicista si è mosso contro chi il potere, come loro lo intendono, non ce l'ha oggi e non l'avrà domani". Boffo rivendica la "autonomia culturale e politica" del proprio operato in questi anni e la misura con cui ha seguito gli scandali legati alle vicende personali del premier: alla fine, dice minacciosamente, "apparirà chiaramente l'irragionevolezza e l'autolesionismo di questo attacco".
L'ex-direttore di Avvenire non manca di registrare come le dichiarazioni del ministro dell'Interno Maroni e del Gip di Terni abbiano "chiarito che lo scandalo sessuale inizialmente sventagliato contro di me, e propagandato come fosse verità affermata, era una colossale montatura romanzata e diabolicamente congegnata", pur ammettendo di "non aver dato il giusto peso ad un reato "bagatellare". Ma, soprattutto, Boffo si concentra sul gioco di potere che si è consumato sulla sua persona: "Mentre sento sparare i colpi sopra la mia testa mi chiedo: io che c'entro con tutto questo? In una guerra tra gruppi editoriali, tra posizioni di potere cristallizzate e prepotenti ambizioni in incubazione, io - ancora - che c'entro? Perché devo vedere disegnate geografie ecclesiastiche che si fronteggerebbero addirittura all'ombra di questa mia piccola vicenda?".
Un fiume di parole, quello di Boffo, che sembra destinato a non arrestarsi: già oggi dovrebbe, ancora dalle colonne di Avvenire , tornare sulla vicenda ed è probabile che, nei prossimi mesi, l'ex-direttore del giornale dei vescovi potrà - se vorrà - togliersi numerosi sassolini nella scarpa accumulati in 15 anni da braccio destro mediatico del cardinale Camillo Ruini.
Ma resta la domanda sul come si sia arrivati, nelle ultime convulse 48 ore, a questa scelta, dopo che la prima reazione era stata quella di confermare la fiducia a Boffo e di lasciargli mano libera per difendersi colpo su colpo sul suo giornale: l'ipotesi più accreditata è quella che guarda direttamente a papa Ratzinger, che nel pomeriggio del primo settembre, in una telefonata con Bagnasco, aveva chiesto "notizie e valutazioni" sul caso. Forse, il pontefice non è rimasto soddisfatto. Di certo, l'impressione di una Chiesa divisa, impaurita, disorientata resta. A rafforzarla anche la notizia, emersa in serata, di un incontro - presumibilmente riparatore - dello stesso Bagnasco con Bossi e Calderoli.
Ma molto dipenderà anche da chi sostituirà Boffo: il toto-nomine è subito partito e i nomi più accreditati sono quelli di Gianfranco Fabi, direttore di Radio 24 , e di Domenico Delle Foglie, editorialista e fino a due anni fa vicedirettore di Avvenire , oggi portavoce di Scienza e Vita . Ma, a quanto pare, c'è sul tavolo anche l'ipotesi di "pescare" dal vasto bacino della stampa cattolica, guardando però al di fuori della redazione Avvenire , in cerca di un giornalista di grande esperienza nazionale e internazionale...
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I nipotini delle vecchie lampadine

Rivoluzione Oled.

Non abbiamo fatto in tempo a metabolizzare il passaggio dalle tradizionali lampadine a incandescenza a quelle fluorescenti compatte “a risparmio energetico” e ai Led (diodi a emissione luminosa) che sul mercato stanno già arrivando prodotti e tecnologie in grado di rivoluzionare lo scenario dell’ illuminazione. Primi tra tutti, gli Oled, in cui la luce – come già nei Led - non è ottenuta con un filamento o un gas, ma con un film di materiali organici capaci di funzionare grazie al fenomeno dell’elettroilluminescenza. Gli Oled (acronimo di Organic Light Emitting Diode) sono piccoli pannelli ultrapiatti, emettono luce propria, non richiedono componenti aggiuntive per essere illuminati, e ciò consente di ottenere schermi molto sottili e che funzionano con ridotte quantità di energia. Il risparmio potenziale rispetto alle lampade a incandescenza è dell’80% , un bel risparmio se pensiamo che l’illuminazione da sola, incide per il 19% sui consumi di energia. Per di più i pannelli luminosi sono pieghevoli e arrotolabili, particolarità che invoglierà i designer a creare lampade e non solo, dalle forme del tutte inedite.
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In aumento i crimini basati sull'intolleranza

Riceviamo e volentieri pubblichiamo.
Comunicato stampa.
Amnesty International è preoccupata per l'aumento degli attacchi omofobici in Italia.

All’indomani del terzo grave attacco omofobico verificatosi a Roma in meno di due settimane, Amnesty International ha espresso la propria preoccupazione per la crescente intolleranza nei confronti di lesbiche, gay, bisessuali e transgender (Lgbt) in Italia e ha sollecitato indagini e misure di prevenzione efficaci.
Il 22 agosto una coppia gay è stata aggredita all’uscita del Gay Village da un attivista di estrema destra chiamato “Svastichella”. Uno dei due ragazzi è stato colpito con un coltello ed è stato necessario il suo ricovero d’urgenza. L’assalitore, inizialmente identificato e lasciato a piede libero, è stato poi arrestato ed è in attesa di essere processato.
Il 29 agosto il Qube, un noto locale che organizza settimanalmente eventi gay, ha subito un attentato incendiario. Poiché il locale era in ristrutturazione, nessuna persona è rimasta ferita e le fiamme sono state prontamente domate dai vigili del fuoco.
Il 2 settembre due skin-head hanno lanciato due potenti bombe carta contro la folla in via San Giovanni in Laterano, popolare luogo d’incontro della comunità Lgbt romana. Fortunatamente solo una persona è rimasta ferita, in forma lieve. I due aggressori sono riusciti a dileguarsi e sull’episodio la polizia ha avviato un’indagine.
Nelle ultime settimane, diversi altri attacchi omofobici sono stati registrati ancora a Roma e in altre città italiane. In assenza di dati ufficiali relativi ai crimini basati sull’intolleranza contro persone Lgbt, l’Arcigay ha segnalato che il numero di tali episodi nei primi nove mesi del 2009 ha già raggiunto quello complessivo del 2008.
Di fronte a questo scenario, Amnesty International chiede alle autorità italiane di assicurare che i crimini commessi contro persone a causa della loro identità di genere o del loro orientamento sessuale siano efficacemente indagati e che chiunque sia ritenuto responsabile sia portato di fronte alla giustizia. Le autorità italiane, secondo Amnesty International, dovrebbero contrastare con maggiore decisione gli atteggiamenti omofobici e garantire più sicurezza alle persone Lgbt.
Roma, 4 settembre 2009
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Col sorriso del Caimano

Chiudiamo questa rassegna odierna ancora ampia sulle vicenda, come l'abbiamo chiamata, dell'armageddon mediatico, riprendendo dal suo blog il commento di Concita De Gregorio, direttrice de l'Unità, pubblicato ieri sera, il cui titolo è stato usato per titolare un altro nostro post.
Delitto perfetto.

Non sono stato io, dice ora il killer (per l'azione di risarcimento di questo numero del giornale, di certo prossima, preciso fin d'ora che si tratta di una citazione. Da «azione di killeraggio», cfr. Gianfranco Fini, 2 settembre). Dice anche che se «il Vaticano ha accettato le sue dimissioni ci sarà un buon motivo» dando per scontato che le dimissioni corrispondano ad un'ammissione di colpa. È la logica dei killer. Se te ne vai è perché sei colpevole. Dei gregari, fra i killer. Perché i capi e i mandanti restano sempre, anche da colpevoli. Restano quando sono condannati in tutti i gradi di giudizio e si fabbricano leggi apposta per non farsi condannare. Restano lì col sorriso del Caimano e più sono al sicuro dalla legge, più attaccano quelli che non hanno nessun lodo Alfano a tutelarli, onnipotenti e impunibili. I gregari no, i gregari sono stipendiati. Quando la Federazione nazionale della stampa ha chiesto a Vittorio Feltri se corrispondesse a verità che Silvio Berlusconi lo ha ingaggiato con 15 milioni di euro di buonaentrata e 3 annui, ha risposto sprezzante che la smettessero di bere. Nel suo linguaggio significa no. Ma ha fatto proprio quel che oggi lui e Belpietro rimproverano a Boffo: non ha «detto subito» come stanno le cose.
Non è questione di soldi? Certo che lo è. Perché poi la circostanza che il tuo datore di lavoro si dissoci da te pochi giorni dopo averti ingaggiato, e di seguito conceda un'intervista al tuo/suo giornale tre giorni dopo essersi dissociato, rende tutto grottesco, paradossale e alla fine insultante per l'intelligenza degli italiani. In ogni caso Berlusconi ci guadagna. Ha ottenuto la testa di colui che, dal giornale dei vescovi, lo attaccava sull'immigrazione, sulla condotta privata, sulle alleanze internazionali. Ha anche ottenuto che il suo giornale di famiglia guadagnasse copie dallo scandalo. Ha ottenuto soldi e silenzio, come sempre. Le dimissioni, si diceva. In questo paese sono inconsuete e sono, di norma, un gesto di dignità. Certo si fa fatica a spiegarlo a casa del Sultano, perché la dignità non si compra e non si vende. La ragione, e bisogna leggere la lettera di Boffo con attenzione, è che l'omicidio mediatico esiste. Uccide senza lasciare cadaveri. Boffo ha esposto le sue ragioni, ha ottenuto la solidarietà del Papa e solo quando è stato in condizione di non farlo ha deciso di dimettersi. «C'è qualcosa che non torna», dicono Feltri e Belpietro. Certo, dal loro punto di vista non torna. Detto questo, Boffo non ha voluto farsi eroe suo malgrado e non lo faremo noi al posto suo. Abbiamo fortissimamente dissentito dalle posizioni del suo giornale (sul testamento biologico, per dire l'ultima) e siamo ogni giorno a denunciare le ingerenze vaticane e i baratti col governo. Siamo stati denunciati dal premier anche per questo. Non ci sfugge la battaglia in corso tra Cl e quel che resta dei ruiniani. Comprendiamo bene come la resa dei conti sia anche interna alle gerarchie ecclesiatiche. Cionondimeno: il metodo usato con il direttore di Avvenire è criminale, indegno di un paese democratico e civile. Senza paura, con gli occhi spalancati e il mondo che ci guarda aspettiamo il prossimo delitto.
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«Un ridicolo pericolo pubblico»

Editorial.
Peligro público.
Rassegna stampa - El País.

Desde el 14 de mayo el diario italiano La Repubblica publica cada día 10 preguntas dirigidas al primer ministro, Silvio Berlusconi, sobre distintas cuestiones cuyo hilo conductor es la relación entre sus comportamientos privados y sus responsabilidades públicas. Por ejemplo, si le parece grave haber recompensado con candidaturas electorales y promesas de cargos a las chicas "que le llaman Papi". Berlusconi no ha contestado a esas preguntas, pero sí ha demandado al periódico que las publica, así como al diario ex comunista L'Unità, y ha anunciado acciones legales contra otros extranjeros (EL PAÍS, entre ellos) y contra los nacionales que han reproducido lo que en la prensa internacional se dice sobre él.
Ayer, el director de La Repubblica publicaba un artículo en el que sostenía que Berlusconi sí ha contestado con sus hechos a una de las preguntas: la de si podía garantizar que no ha utilizado a la policía y los servicios secretos contra los jueces, testigos y periodistas que según él forman parte de una conspiración para sacarle del poder. Esa respuesta sería una "nota informativa", sin firma, incluida en Il Giornale, periodico de su propiedad, en el que se dice que la policía sabe que el director de otro periódico, L'Avvenire, tiene el "pequeño vicio" de ser homosexual y que en su día estuvo procesado por acosar a la mujer de un hombre con el que tenía una relación. Una novedad de este ataque es que ese diario es el órgano oficial de la Conferencia Episcopal italiana, que se había hecho eco de las críticas de sacerdotes y otros lectores a la doble moral del primer ministro.
Además de controlar los medios públicos, Berlusconi es el mayor empresario de comunicación de Italia. Ahora quiere liquidar a los medios, nacionales y extranjeros, que se resisten a su dominio. Incluso ha pedido a los empresarios que no anuncien sus productos en esos periodicos que le critican. Este hombre es, como ha dicho su mujer, "ridículo"; pero es también un peligro público.

(Traduzione) - Dal 14 maggio il quotidiano italiano La Repubblica ha pubblicato tutti i giorni 10 domande al primo ministro, Silvio Berlusconi, su temi il cui filo comune è il rapporto tra il suo comportamento privato e responsabilità pubbliche. Per esempio, se gli sembrasse grave aver ricompensato con candidature elettorali e con promesse di cariche le ragazze "che lo chiamano Papi". Berlusconi non ha risposto a queste domande, ma ha fatto causa al giornale che le pubblica, così come al quotidiano ex comunista L'Unità, e ha annunciato azioni legali contro gli altri giornali stranieri (El País, tra questi) e quelli nazionali che hanno riprodotto ciò che la stampa internazionale ha detto su di lui.
Ieri, il direttore di La Repubblica ha pubblicato un articolo in cui sosteneva che Berlusconi ha risposto con i suoi atti a una domanda: se poteva garantire di non aver usato la polizia e i servizi segreti contro i giudici, testimoni e giornalisti che secondo lui sono parte di una cospirazione per prendere il potere. Questa risposta sarebbe una "nota informativa", non firmata, pubblicata da Il Giornale, quotidiano di sua proprietà, in cui si dice che la polizia sa che il direttore di un altro giornale, L'Avvenire, ha il "piccolo vizio" di essere omosessuale e che un tempo fu processato per aver molestato la moglie di un uomo con cui aveva una relazione. Una novità di questo attacco è che questa rivista è l'organo ufficiale della Conferenza Episcopale Italiana, che aveva ripreso le critiche di sacerdoti e di altri lettori riguardo la doppia morale del primo ministro.
Oltre a controllare i media pubblici, Berlusconi è il maggior imprenditore della comunicazione in Italia. Adesso vuole liquidare i mezzi di comunicazione, nazionali ed esteri, che resistono al suo dominio. Anche agli industriali ha chiesto di non pubblicizzare i propri prodotti in quei giornali che lo criticano. Questo l'uomo è, come ha detto la moglie, "ridicolo", ma è anche un pericolo pubblico.
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Il delitto perfetto


IL COMUNICATO DEI GIORNALISTI DI AVVENIRE
«Un'operazione di macelleria giornalistica»
Milano, 3 settembre 2009

Abbiamo assistito in questi giorni a un’aggressione mediatica senza precedenti con l’obiettivo di colpire una persona, Dino Boffo, e attraverso lui la voce autorevole e libera dei cattolici italiani e del loro quotidiano, minacciando la libertà di informazione.
Si è trattato di un’operazione di bassa macelleria giornalistica: il direttore de Il Giornale – e gli altri che via via si sono accodati - nascondendosi dietro al diritto di cronaca ha frantumato la deontologia del nostro mestiere, ha calpestato i sentimenti e l’onore di Boffo e della sua famiglia nonché degli altri protagonisti - loro malgrado - della vicenda, dimostrando un grande disprezzo per le notizie che contraddicevano le sue presunte verità.
Su questo invitiamo a meditare, in una giornata che dovrebbe essere triste per tutti.
Le dimissioni rassegnate oggi dal direttore, atto di stile e generosità, sono l’amaro e sconcertante esito di questo plateale e ripugnante attacco, a cui Boffo e l’intera redazione sono sottoposti da una settimana.
In questi 15 anni trascorsi sotto la direzione di Boffo, Avvenire ha consolidato la propria presenza nella stampa italiana, diventando una voce sempre più apprezzata e autorevole.
Oggi l’assemblea dei redattori, rifiutando questo squallido gioco al massacro che disonora chi l’ha compiuto, esprime vicinanza e amicizia al direttore Dino Boffo e ribadisce all’editore e ai lettori la ferma volontà di proseguire, senza lasciarsi intimidire, nel lavoro di informazione libera e puntuale al servizio di chi ci legge, della democrazia e della Chiesa.
Grazie direttore.


LE REDAZIONI
I comunicati dei cdr di Sat2000 e Radio inBlu

La redazione di Radio inBlu apprende con sconforto la notizia delle dimissioni del direttore Dino Boffo, dopo un attacco mediatico inqualificabile contro la sua persona. Un attacco che ha colpito, insieme a lui, i media sotto la sua guida: Avvenire, Tv2000 e Radio inBlu. La redazione di inBlu continua ad essere vicina a Dino Boffo, cercando di ritrasmettere la professionalità, l’impegno umano e la passione che il nostro direttore ci ha dimostrato in tutti questi anni.
La redazione di Radio inBlu

Il Comitato di redazione di Sat2000 ha appreso con dolore e amarezza delle dimissioni del direttore Dino Boffo, oggetto di un’aggressione mediatica personale, brutale e senza precedenti, che ha il sapore e la sostanza di un’intimidazione alla libera stampa ed ai mezzi d’informazione cattolici. Il Cdr rinnova a Dino Boffo tutta la solidarietà, umana e professionale, nonché la fiducia e la stima dell’intera redazione, ringraziandolo del lavoro svolto insieme e degli insegnamenti ricevuti in questi anni. E assicura il proprio impegno nel portare avanti il lavoro quotidiano di ricerca e diffusione delle notizie, sempre nel rispetto per la persona umana, che mai dovrebbe essere maltrattata, infangata, vilipesa dai mezzi di comunicazione, come invece è avvenuto in questi giorni.
Il Comitato di redazione della televisione Sat2000

Una «voce delle voci».
Anni di grande crescita con la direzione giusta.

Diciott’anni, si fa presto a dire diciott’anni. Prego, accomodatevi. Curiosate in qualche archivio, in una biblioteca ideologicamente libera, e guardate che cos’era Avvenire agli inizi del 1991. Guardate che cos’è adesso. Ecco, questi sono i diciott’anni di Dino Boffo. Una rivoluzione. Una crescita costante in qualità, autorevolezza, diffusione.
Ma quando in quel 1991 Boffo si affaccia in redazione, in via Mauro Macchi 61 a Milano, l’aria è gelidina, perché negarlo? Veniva a fare il vice del nuovo direttore, quel galantuomo di Lino Rizzi, maestro di giornalismo di fronte al quale in molti ci sentivamo alunni… Qualche commento non è benevolo. E chi sarà mai costui, sbucato da un settimanale cattolico di provincia? Quale esperienza potrà avere, e quale autorevolezza? Questa di essere ampiamente sottovalutato è stata – oggi possiamo dirlo – una fortuna per lui. È vero, era stato prima vice e poi direttore della "Voce del popolo" di Treviso. Settimanale diocesano. Però, tutt’altro che minuscolo.
La dimensione della motosilurante, che addenta senza tremori le corazzate della carta stampata, è sempre stata congeniale a Boffo. Per dire, era tra i pochissimi che osasse opporsi al grande satrapo del Veneto degli anni Ottanta, il doroteo Bernini… Ma chi se lo ricordava? E chi ricordava che a soli 25 anni Mario Agnes se l’era scelto come segretario generale nell’Azione cattolica? E che per lunghi anni aveva visitato più volte le diocesi italiane per incontrare, conoscere, parlare, soprattutto ascoltare? Pochi sapevano che già allora nessun fedele laico, in Italia, conosceva la Chiesa italiana come lui, e per averla sperimentata di persona tutta.
Sfortuna volle che Lino Rizzi fosse vittima di un grave incidente stradale. Boffo si ritrovò, da vicedirettore, a dover condurre di fatto il giornale. Sventura doppia, anzi quadrupla: in poco tempo tre caporedattori su quattro se ne vanno, scegliendo altre avventure professionali. Gli rimane, unico, il generosissimo Giuliano Ragno. Il giornale affonda? No, macché, anzi. Galleggia, e pian piano comincia a filare.
Il primo gennaio 1994 Dino Boffo è direttore. Comincia a correre e non si ferma più, costringendo gli altri a correre con lui. L’obiettivo è far diventare definitivamente Avvenire un giornale come gli altri, migliore degli altri. Che nessuno acquisti "per dovere", ma solo per convinzione. Boffo chiama a collaborare le firme più interessanti e originali del mondo cattolico, e molti laici privi di pregiudizi. Cresce l’informazione religiosa, presto nascerà la sezione cultura Agorà. Tutti sappiamo quante parole si spendono sui "diritti di bambini e ragazzi" tanto proclamati in convegni e seminari di studio e apposite "Carte". E il diritto a un’informazione, adeguata alla loro sensibilità e cultura? Nasce così Popotus, primo e ancor oggi unico giornale per bambini e ragazzi: non un "giornalino" ma un vero e proprio quotidiano, sia pure limitato al giovedì e al sabato.
Il giornale si arricchisce di supplementi: "Luoghi dell’infinito", "Noi genitori & figli"… Volendo non smarrire le migliori tradizioni culturali, anche e soprattutto di cultura popolare di qualità, raffinata, Avvenire arriva a riproporre in copia anastatica un’annata del "Vittorioso"… Ma sono anche e soprattutto gli anni del "Mattutino" di Gianfranco Ravasi, degli sforzi editoriali per seguire da vicino i grandi eventi ecclesiali, a partire dal Convegno ecclesiale di Palermo – con un inserto speciale e una vera task force di giornalisti –, fino alle Giornate mondiali della Gioventù e naturalmente alla testimonianza di Giovanni Paolo II. Sono gli anni del Progetto culturale, che in Avvenire trova eco e sempre nuovi spunti.
La direzione di Boffo ha un obiettivo chiaro: far partecipare i cattolici italiani al dibattito pubblico, accanto agli altri, alla pari degli altri; a volte alleati con molti altri, altre volte in sincera polemica, com’è normale in un libero dibattito che formi l’opinione pubblica. Lo sforzo è di riuscire a dare spazio a quante più voci possibili, nel mondo cattolico. Avvenire, con lui, sarà un giornale non per "tifosi". Nessun lettore sarà sempre accarezzato, né si sentirà dare sempre ragione. Per questo Avvenire crescerà a poco a poco, rifiutando sistematicamente il doping dei gadget che succhiano risorse finanziarie senza alcun miglioramento del giornale in sé. Per questo parteciperà a tutti i confronti culturali degli ultimi anni, con una imponente documentazione e appositi inserti ("èvita", "èfamiglia", "èlavoro"). Avvenire doveva diventare alla pari, anzi migliore degli altri giornali da ogni punto di vista; di qui la radicale riforma grafica del 2002.
Si è parlato in questi giorni di Dino Boffo per il suo ruolo ecclesiale, soprattutto. Ma la sua prima e decisiva eredità è di tipo professionale. Pochissimi direttori hanno saputo trasformare radicalmente e far crescere un quotidiano come lui. Questo è un dato innegabile. Da ieri Avvenire ha perso un grande professionista, un giornalista capace di governare con polso sicuro un quotidiano "difficile" come questo, e come pochi capace di fare squadra. "Ha perso"… Qualcuno gliel’ha sottratto. C’è chi sul web ha commentato: il delitto perfetto. E ha inserito il poster di un celebre film di Quentin Tarantino: "Le iene".
Umberto Folena
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Chi preferisce chiudere gli occhi è un complice

Rassegna stampa - Da Repubblica.it di oggi riprendiamo il commento di Giuseppe D'Avanzo sulla vicenda Feltri che ha portato alle dimissioni il direttore di Avvenire Dino Boffo.
Il delitto è compiuto.

Dino Boffo, direttore dell'Avvenire, si è dimesso e non tiene conto discutere del sicario. È stato pagato per fare il suo sporco lavoro, se l'è sbrigata in fretta. Ora se ne vanta e si stropiccia le mani, lo sciagurato. Appare oggi più rilevante ricordare come è stato compiuto il delitto; chi lo ha commissionato e perché; quali sono le conseguenze per noi tutti: per noi che viviamo in questa democrazia; per voi che leggete i giornali; per noi che li facciamo.
Dino Boffo è stato ucciso sulla pubblica piazza con una menzogna che non ha nulla a che fare - né di diritto né di rovescio - con il giornalismo, ma con una tecnica sovietica di disinformazione che altera il giornalismo in calunnia. Il mondo anglosassone ha un'espressione per definire quel che è accaduto al direttore dell'Avvenire, character assassination, assassinio mediatico. Il potere che ci governa ha messo in mano a chi dirige il Giornale del capo del governo - una sorta di autoalimentazione dell'alambicco venefico a uso politico - un foglio anonimo, redatto nel retrobottega di qualche burocrazia della sicurezza da un infedele servitore dello Stato. C'era scritto di Boffo come di "un noto omosessuale attenzionato dalla Polizia di Stato". L'assassino presenta quella diceria poliziesca come un fatto, addirittura come un documento giudiziario.
È un imbroglio, è un inganno. Non c'è alcuna "nota informativa". È soltanto una ciancia utile al rito di degradazione. L'assassino la usa come un bastone chiodato e, nel silenzio degli osservatori, spacca la testa all'errante. L'errore di Boffo? Ha criticato, con i toni prudentissimi che gli sono propri e propri della Chiesa, lo stile di vita di Silvio Berlusconi. Ha lasciato che comparissero sulle pagine del quotidiano della Conferenza episcopale l'amarezza delle parrocchie e dei parroci, il disagio dei credenti e del mondo cattolico più popolare dinanzi all'esempio di vita di Quello-Che-Comanda-Tutto.
Ora che c'è un morto, viene il freddo alle ossa pensare che anche una prudente critica, una sorvegliata disapprovazione può valere, nell'infelice Paese di Berlusconi, il prezzo più alto: la distruzione morale e professionale. Ma soltanto le prefiche e gli ipocriti se ne possono meravigliare. Da mesi, il presidente del Consiglio ha rinunciato ad affermare la legittimità del suo governo per mostrare, senza alcuna finzione ideologica, come la natura più nascosta del suo potere sia la violenza pura. Con l'assassinio di Dino Boffo, prima vittima della "campagna d'autunno" pianificata con lucidità da Berlusconi (ha lavorato a questo programma in agosto dimenticando la promessa di andare all'Aquila a controllare i cantieri della ricostruzione), questa tecnica di dominio politico si libera di ogni impaccio, di ogni decenza o scrupolo democratico.
Berlusconi decide di muovere contro i suoi avversari, autentici e presunti, tutte intere le articolazioni del multiforme potere che si è assicurato con un maestoso conflitto d'interesse. Stila una lista di nemici. Vuole demolirli. Licenzia quelli tra i suoi che gli appaiono pirla, fessi, cacaminuzzoli. Vuole sicari pronti a sporcarsi le mani. È il padrone di quell'industria di notizie di carta e di immagini. Muove come vuole. È anche il presidente del Consiglio e governa le burocrazie della sicurezza (già abbiamo visto in un'altra stagione i suoi servizi segreti pianificare la demolizione dei "nemici in toga").
Il potere che ci governa chiede e raccoglie nelle sue mani le informazioni - vere, false, mezze vere, mezze false, sudicie, fresche o ammuffite - che possano tornare utili per il programma di vendetta e punizione che ha preparato. Quelle informazioni, opportunamente manipolate, sono rilanciate dai giornali del premier nel silenzio dei telegiornali del servizio pubblico che controlla, nell'acquiescenza di gruppi editoriali docili o intimiditi. È questo il palcoscenico che ha visto il sacrificio di Dino Boffo ordinato da Quello-Che-Comanda-Tutto.
È la scena dove ora salmodiano il coro soi-disant neutrale, le anime fioche e prudenti in cerca di un alibi per la loro arrendevolezza, gli ipocriti in malafede che, riscoprendo fuori tempo e oltre ogni logica la teoria degli "opposti estremismi" mediatici, accomunano senza pudore le domande di Repubblica alle calunnie del Giornale; un'inchiesta giornalistica a un rito di degradazione sovietico; la vita privata di un libero cittadino alla vita di un capo di governo che liberamente ha deciso di rendere pubblica la sua; la ricerca della verità all'uso deliberato della menzogna.
È questa la scena che dentro le istituzioni e nel Paese dovrebbe preoccupare chiunque. Per punirlo delle sue opinioni, un uomo è stato disseccato, nella sua stessa identità, da una mano micidiale che ha raccolto contro di lui il potere della politica, dello Stato, dell'informazione, dei giornali di proprietà del premier usati come arma politica impropria. Nei cromosomi della democrazia c'è la libertà di stampa e, come si legge nell'articolo 21 della Costituzione, "il diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero". È questa libertà che è stata umiliata e schiacciata con l'assassinio di Dino Boffo. Lo si vede a occhio nudo, anche da lontano. "Un giornalista è l'ultima vittima di Berlusconi", scrive il New York Times. Chi, in Italia, non lo vuole vedere e preferisce chiudere gli occhi è un complice degli uccisori e di chi ha commissionato quel character assassination.
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Un successo inatteso

Trionfo di 'Videocracy' a Venezia.

Un'ovazione ha accolto ieri sera - ci dicono le agenzie - la proiezione al pubblico di "Videocracy", il docu-film del regista italo-svedese Erik Gandini. Un successo confermato dalle code lunghissime e dalla ressa per entrare, tanto che alla fine, per accontentare tutti, lo staff della Mostra del Cinema ha dovuto organizzare una visione fuori programma a tarda notte. Un successo inatteso, dunque, che ha stupito lo stesso Gandini. "Non me lo aspettavo - ha detto il regista - perché questo è un film che è partito come un progetto per la Svezia, realizzato per fare vedere ai miei amici alcune cose che mi preoccupano molto dell'Italia: il fatto che abbia ottenuto riscontro anche qui è proprio una sorpresa totale".
Il documentario di Gandini racconta tre decenni della tv commerciale e si focalizza sui nefasti effetti culturali prodotti nella societè italiana. Proiettato come evento congiunto della Settimana della Critica e delle Giornate degli Autori, "Videocracy" è stato dunque il film-evento della giornata al Lido, oscurando anche la passerella di Viggo Mortensen, applaudito inteprete ieri del film di John Hillcoat "The Road", dall'omonimo romanzo del premio Pulitzer Cormac McCarthy.
Il video sotto propone il trailer del film che la Rai e Mediaset si sono rifiutate di mandare in onda.



Come è scritto sul sito Fandango.it, in una videocrazia la chiave del potere è l'immagine. In Italia soltanto un uomo ha dominato le immagini per più di tre decenni. Prima magnate della TV, poi Presidente, Silvio Berlusconi ha creato un binomio perfetto caratterizzato da politica e intrattenimento televisivo, influenzando come nessun altro il contenuto della tv commerciale in Italia. I suoi canali televisivi, noti per l'eccessiva esposizione di ragazze seminude, sono considerati da molti uno specchio dei suoi gusti e della sua personalità.
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Povera Italia, poveri noi

Altro che i problemi del Paese, parola di Ghedini.

È andata già su tutti i telegiornali "a reti unificate" l'ultima berlusconata del premier.
"Povera Italia con un sistema informativo come questo", ha detto al termine della visita al comando operativo interforze all'aeroporto romano di Centocelle il presidente del Consiglio, Silvio Berlusconi, che ha risposto così ai giornalisti che lo hanno avvicinato interpellandolo sulle dimissioni del direttore dell'Avvenire Dino Boffo. "Credo che possiate leggere sui giornali di oggi tutto il contrario della realtà, abbeveratevi della disinformazione di cui siete protagonisti".
Intento abbiamo appreso che in un'intervista al Corriere della Sera Niccolò Ghedini, deputato del Pdl e avvocato del premier, racconta come Berlusconi "sia pronto ad andare in aula a spiegare che non solo non è un gran porco ma nemmeno impotente". "Un giornale vale a dire l'Unità non può scrivere che una persona è impotente, è un maiale senza aspettarsi che poi la persona accusata si dispiaccia e reagisca". Quanto alla querela spiega il parlamentare del Pdl, "non tutto è frutto di astuzia politica, ci sono anche mosse dettate dal puntiglio, dall'orgoglio. E perché mai Berlusconi non dovrebbe poter spiegare a venti milioni di italiani suoi affezionati elettori che è perfettamente funzionante?". Già domanda epocale.
Ma gli fa eco il vicepresidente del gruppo del Pd alla Camera, Marina Sereni: "Mentre i giornali di tutto il mondo si occupano del 'caso Italia' e guardando alle dimissioni di Boffo, alle querele e alle citazioni per danni verso 'La Repubblica' e 'l'Unità', spiegano che Berlusconi naviga in acque pericolose, che ha violato il diritto di libertà di stampa e si è messo contro anche la Chiesa, scopriamo dall'intervista del suo avvocato, Ghedini, che il premier è preoccupato di dimostrare a tutti gli italiani la propria funzionalità sessuale! È davvero sconcertante". E aggiunge: "Gli spot sul piano casa (dal marzo scorso sarà già la decima volta che i media asserviti rilanciano la notizia come nuova di zecca), la inutile corsa ai ripari sul dramma scuola/precari cercano di coprire una situazione pericolosa e imbarazzante. Il presidente del consiglio è isolato e sotto tutela e, non s'illuda, non basteranno a cambiare le cose i colloqui di queste ore tra la Chiesa e la Lega che è stata fortemente criticata dalle gerarchie ecclesiastiche per la sua politica dalla faccia cattiva verso i migranti".
Il presidente del gruppo dell'Italia dei Valori alla Camera, Massimo Donadi così commenta a caldo le parole di Berlusconi: "Fa bene a dire 'povera Italia' visto che in nessun altro Paese democratico il presidente del Consiglio controlla l'informazione come nel nostro", e aggiunge: "Il monopolio dei mezzi di comunicazione nelle mani di una sola persona impedisce all'Italia di essere una democrazia compiuta".
Anche oggi su alcuni quotidiani, oltre al nome, è apparsa la foto della donna ternana che denunciò di aver subito molestie telefoniche, nonostante il Gip di Terni avesse disposto 'omissis' sul nominativo contenuto negli atti, custoditi in cassaforte alla procura ternana. Intanto si è appreso che la ragazza al tempo dei fatti ventenne, si è consultata con un legale. L'ordine dei Giornalisti dell'Umbria presieduto da Dante Ciliani, è scritto in una nota, "allarmato dalla deriva in cui le ultime vicende di cronaca stanno portando la professione, ritiene gravissimo che si arrivi, come successo in questi giorni su diverse testate della carta stampata e radiotelevisive, a calpestare ogni regola deontologica relativa al rispetto della privacy e del diritto all'oblio di cittadini lambiti da vicende che, oltretutto, nulla hanno a che fare con la cronaca e con il diritto all'informazione. Scavare senza ritegno nella vita di privati cittadini, aggredirli mediaticamente, come è successo e sta succedendo in questi giorni per il caso 'Boffo-Giornale', significa soltanto calpestare ogni regola deontologica, creando una frattura irrimediabile tra i cittadini e la professione giornalistica. Richiamando tutti ad una maggiore sobrietà ed al rispetto delle regole della professione, l'Ordine dell'Umbria fa infine presente che all'ordine del giorno del prossimo consiglio si affronterà la questione e si valuterà l'eventualità di aprire procedimenti disciplinari nei confronti di iscritti che si siano resi responsabili di comportamenti non conformi alla deontologia professionale".
Comunque, tifosi milanisti, tranquilli, anche se Berlusconi rischia l'esonero, si legge in una nota che: "In relazione a nuove indiscrezioni di stampa la Fininvest ribadisce ancora una volta che non esiste alcuna ipotesi di cessione di quote della società A.C. Milan". Per il diavolo non c'è acquasanta che tenga.
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Niente sarà più come prima

Repubblica.it pubblica oggi un pezzo di Massimo Giannini sulla vicenda Feltri-Boffo, che è buona cosa riportare per una riflessione sull'evolversi degli avvenimenti di questi giorni che hanno portato, comunque la si pensi, la politica italiana ad un punto di svolta.
La solidarietà tardiva della segreteria di Stato al direttore dell'Avvenire Boffo e un progetto politico con Casini e Montezemolo.
Nella frattura fra Bertone e Bagnasco spunta il piano per il "Nuovo Centro".
Rassegna stampa.

"E adesso niente sarà più come prima...". Non è un anatema. Piuttosto è una presa d'atto, dura ma netta, quella che si raccoglie Oltre Tevere in queste ore difficili e amare. Se è vero che Dino Boffo è "l'ultima vittima di Berlusconi", come scrive persino il New York Times, è chiaro che questa vicenda apre una doppia, profonda ferita. Sul corpo della Chiesa, già attraversato da divisioni latenti. E nel rapporto tra Santa Sede e governo, già destabilizzato da incomprensioni crescenti.
Per la Chiesa, il doloroso sacrificio di Boffo nasconde la frattura che si è aperta tra Segreteria di Stato e Conferenza Episcopale. Per rendersene conto basta ricostruire le tappe che hanno portato alla drammatica uscita di scena del direttore di Avvenire. Venerdì scorso si consuma il primo atto, con l'operazione di killeraggio del Giornale e il conseguente annullamento della Cena della Perdonanza tra Bertone e Berlusconi. Un colpo a freddo, che nelle alte gerarchie nessuno si aspettava, ma che innesca reazioni differenti. Nel fine settimana Boffo comincia a meditare sull'ipotesi delle dimissioni. L'idea prende materialmente corpo lunedì mattina, quando sul Corriere della Sera esce un'intervista al direttore dell'Osservatore Romano. Una sortita altrettanto inaspettata, quella di Gian Maria Vian, che giudica "imprudente ed esagerato" un certo modo di fare giornalismo dell'Avvenire e conclude con un sibillino "noi non ci occupiamo di polemiche politiche contingenti".
Per l'intera mattinata Boffo aspetta una correzione di tiro della Segreteria di Stato. Ma non arriva nulla. Oltre Tevere si racconta di una telefonata di Bagnasco: "Scusate, ma quell'intervista è cosa vostra?", avrebbe chiesto a Bertone. "Non lo è - sarebbe stata la risposta - e ci siamo anche lamentati con Vian, che ha impropriamente parlato in prima persona plurale". Ma questo è tutto. Dalla Segreteria di Stato non esce nulla di pubblico. Così, lunedì pomeriggio Boffo va personalmente da Bagnasco, e gli consegna la sua lettera di dimissioni. Mentre il direttore parla con il cardinale, arriva la telefonata di Ratzinger, che chiede: "Il dottor Boffo come sta? Mi raccomando, deve andare avanti...". Il presidente della Cei riferisce a Boffo, che di fronte al Papa non può certo tirarsi indietro.
Martedì mattina lo scenario in parte cambia. Repubblica dà la notizia: solidarietà del Pontefice a Boffo. Solo a quel punto, molte ore dopo, il direttore della Sala Stampa Vaticana padre Lombardi annuncia che Bertone ha effettivamente telefonato al direttore di Avvenire, per offrirgli il suo sostegno. Ma sono passati ben cinque giorni dal siluro di Feltri, prima che la Segreteria di Stato muovesse un passo ufficiale. Intanto Boffo è rimasto sulla graticola. E nel frattempo persino monsignor Fisichella, nel silenzio della Curia, contesta apertamente il quotidiano per le critiche al governo sull'immigrazione.
Mercoledì Feltri torna all'attacco, e sostiene che la "nota informativa" che getta fango sulla vita privata di Boffo è una velina uscita dal Vaticano. Padre Lombardi smentisce. E aggiunge l'ultima novità: papa Ratzinger ha chiamato il cardinal Bagnasco, per avere notizie "sulla situazione in atto". Ma dalla Segreteria di Stato ancora silenzio. Così si arriva al colpo di scena di ieri: dopo una settimana di fuoco incrociato, il direttore di Avvenire getta la spugna e se ne va.
Ma perché all'offensiva volgare e violenta del Giornale la Santa Sede ha fatto scudo in modo così discontinuo e frammentato? "Qui - secondo la ricostruzione che si raccoglie negli ambienti della Cei - si apre la frattura con l'episcopato". Il cardinal Bertone, due anni fa, aveva lanciato la candidatura di Bagnasco alla Conferenza episcopale con una convinzione, che la realtà dei fatti ha presto svilito in pia illusione: trasformare la conferenza dei vescovi in una "cinghia di trasmissione" della Santa Sede, dopo la stagione troppo lunga dell'autoreferenzialità ruiniana. Il tentativo è fallito, ben prima che scoppiasse il caso Avvenire e che scattasse l'imboscata mediatica ordita dal Cavaliere e dai suoi giornali ai danni del direttore.
"Lo stesso Bertone lo ha riconosciuto - raccontano Oltre Tevere - quando qualche settimana fa si è lasciato scappare che la nomina di Bagnasco è stato il suo errore più grave. E certe cose, in questi palazzi, si vengono a sapere molto presto...". Secondo questa stessa ricostruzione, il caso Boffo precipita proprio in questa faglia, che divide Bertone da Bagnasco. E in questa faglia si inserisce anche l'ultima, clamorosa indiscrezione di queste ore: cioè quello che Oltre Tevere qualcuno definisce "il Piano Esterno". Contrariamente a quello che si pensa - raccontano - "il Segretario di Stato non vuole una Cei schierata con Berlusconi, che considera ormai già fuori dai giochi. Il vero progetto che sta a cuore alla Santa Sede riguarda la nuova aggregazione di centro, che ora avrebbe Pierferdinando Casini come perno politico, e che in futuro vedrebbe Luca di Montezemolo come punto di riferimento finale".
A questo "Piano Esterno" si starebbe lavorando da tempo, tra Segreteria di Stato e una piccola, ristretta cerchia di intellettuali esterni, laici e cattolici, che orbitano intorno al Vaticano e allo stesso direttore dell'Osservatore Vian. Vera o falsa che sia, questa ipotesi spiega molto di quello che è accaduto e può ancora accadere. Bertone - sostengono ambienti vicini alla Cei - potrebbe aver gestito il caso Boffo proprio in questa logica: usare l'aggressione al direttore di Avvenire prima per rimettere in riga l'episcopato, e poi per assestare il colpo finale contro il presidente del Consiglio, aprendo le porte del paradiso alla Cosa Bianca di Casini e Montezemolo. Di qui, fino a ieri, la difesa intermittente e quasi forzata a Boffo. Di qui, da domani in poi, la rottura definitiva e irrimediabile con Berlusconi. "Niente sarà più come prima", appunto. Vale per la Chiesa di Roma, ma vale anche per il Cavaliere di Arcore.
m.giannini@repubblica.it
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Il ciclone Benigni

«Feltri sulle punizioni non sbaglia».
VideoPost.

Nel video Roberto Benigni alla Festa democratica a Genova ieri, uno spezzone dello spettacolo dell'attore toscano alla kermesse dei democratici.



Così l'evento raccontato da Repubblica.it
Spettacolo dell'attore toscano alla kermesse dei democratici.
"Le veline di Feltri? E' un vizio di famiglia". In platea Bersani e Franceschini.
Benigni show alla festa del Pd "Silvio portami alle orge".


Genova - Escort, veline, virilità. Ciclone Benigni alla festa del Pd a Genova. Con l'attore toscano che non delude le 4mila persone arrivate per sentirlo. In prima fila anche Bersani e Franceschini. Si parte dall'attualità. Ovvero da Berlusconi. "Si è un po' incattivito, ha venduto Kakà e ha comprato Feltri. Costa di meno, ma sulle punizioni non sbaglia. Pubblica le veline? Beh, è un po' un vizio di famiglia...". E sulla querela a Repubblica aggiunge: "Ha detto che avrebbe risposto ad altre domande tipo: 'Come stai?' Ecco a quelle avrebbe risposto".
È scatenato Benigni. Che non molla la presa. Escort a palazzo Grazioli? Lui la vede così. "Silvio perchè non mi inviti alle orge, tutti ignudi, chi fa l'amore con le bambole gonfiabili, chi con le pecore. Silvio ci sono i disoccupati dagli qualche escort anche a loro". Benigni, infine, ironizza sulle capacità amatorie del presidente del Consiglio: "Non è Superman è Hulk... secondo me ce l'ha verde. Alla storia è passato Carlo Magno, Berlusconi vuole passare alla storia come Berlusconi il trombatore".
L'attore toscano scherza anche sulla libertà di stampa. "Non è vero che non c'è. Oggi Berlusconi ha dettato all'Ansa: 'In Italia c'è la libertà di stampa e ha obbligato tutti i giornali a pubblicarla domani".
In platea, seduti fianco a fianco ci sono anche Bersani e Franceschini. "Abbiamo fatto l'accordo unitario su Benigni. Noi ci ritiriamo e lui fa il segretario " dice l'attuale segretario. "E' come dire - ribatte Bersani - vai avanti te che a noi ci scappa da ridere'". Per loro arriva una battuta al vetriolo: "Diamoci un obiettivo chiaro, non andare sotto al due per cento". E la platea si spella le mani.
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Uno tsunami che travolgerà Palazzo Chigi

Another Berlusconi Day. Cominciamo la rassegna stampa nazionale con questo articolo di Enrico Franceschini e Anais Ginori per Repubblica.it.
L'Economist: "Il raffreddamento con la Santa Sede fu l'inizio della fine
del governo Prodi". Il Telegraph: "Superman sfida l'Europa"
"Boffo, l'ultima vittima del premier".
Il New York Times contro BerlusconiLa D'Addario alla Tv francese: "Il premier era molto affettuoso".
The Independent: "Vuole censurare Videocracy a Venezia".
Rassegna stampa.

"Una lotta feroce tra Stato e Chiesa": così il New York Times definisce gli ultimi sviluppi dello scontro tra Silvio Berlusconi e il mondo cattolico, culminato nelle dimissioni del direttore dell'Avvenire, Dino Boffo, "un giornalista italiano è l'ultima vittima" del presidente del Consiglio, scrive l'autorevole quotidiano newyorchese. Il New York Times afferma che il primo ministro italiano, secondo i suoi critici ma anche secondo i suoi alleati, "sta entrando in acque pericolose, creando una situazione in cui ogni dissenso viene visto come slealtà"; e il settimanale britannico Economist - che ieri ha fermato le macchine per aggiornare il pezzo su Boffo - nota che "un simile raffreddamento delle relazioni (tra Chiesa e premier) segnò l'inizio della fine per il precedente governo di centro-sinistra italiano", quello guidato da Romano Prodi. È presto per scommettere che Berlusconi, abbandonato dal Vaticano, farà la stessa fine, anche perché, come osserva l'Economist, il premier "ha ancora delle carte da giocare" nei suoi rapporti con la Santa Sede. Ma intanto una vicenda cominciata cinque mesi fa con la partecipazione di Berlusconi al compleanno di una aspirante modella 18enne, e con la conseguente decisione di sua moglie Veronica di chiedere il divorzio, appare sempre più ai media stranieri come una seria crisi politica.
Il settimanale fa questa analisi all'interno di un articolo intitolato: "Superman colpisce ancora", centrato sui crescenti problemi del premier italiano nei suoi rapporti con il mondo cattolico, l'Unione europea e i giornali di opposizione o stranieri.
"Berlusconi cerca di censurare un film sulla sua vita amorosa", titola invece il quotidiano britannico Independent, riferendo che tuttavia l'iniziativa del premier italiano sembra avere ottenuto un effetto contrario a quello sperato, perché "gli italiani corrono a vedere" il film che il Cavaliere voleva bloccare. In una corrispondenza da Venezia, il giornale londinese ricostruisce la storia di "Videocracy", il documentario di Erik Gandini che verrà proiettato stamani alla mostra internazionale del cinema, in cui si accusa Berlusconi di avere creato, attraverso il suo impero televisivo, una frivola cultura dei media con "donne mezze nude" e immagini sciovinistiche. L'Independent scrive che il divieto alla messa in onda di un breve spezzone del film sulle reti della Rai, che lo hanno giudicato "offensivo", e una decisione analoga presa dalle reti di Mediaset, ha causato un soprendente interesse nel documentario, non solo nell'ambito della mostra di Venezia: le richieste delle sale cinematografiche italiane per averne una copia e mostrarlo al pubblico sono raddoppiate, salendo in pochi giorni da 35 a 70, "con centinaia di proiezioni" in più di quelle originariamente previste.
"Il divieto indica il livello di tensione che c'è in Italia riguardo a quello che va in onda in tivù", dice il regista, intervistato dal quotidiano londinese. "Quello che non appare in tivù non esiste, e all'inizio ero spaventato dal divieto, ma il giorno seguente c'è stata una enorme esplosione di interesse su internet, le sale per la proiezione sono raddoppiate e la gente lo diffonde anche su Facebook". Negli ultimi trent'anni, continua Gandini, "l'Italia è stata inondata dalle tv di Berlusconi, che hanno un sacco di donne seminude e di trivialità. Queste cose vengono presentate come innocue ma è una cultura molto pericolosa. La tivà italiana è molto superficiale e sciovinistica. Nel film io sostengo la tesi che la personalità di Berlusconi viene riflessa dalle sue tivù. Non dico che egli sia il solo responsabile della cultura televisiva dell'Italia di oggi, ma quel che vediamo in tivù è molto vicino a ciò che lui è".
A un altro aspetto del caso è dedicato un articolo del Daily Telegraph, che titola su "Superman Berlusconi sfida la Ue", riportando le dichiarazioni dell'altro giorno in cui il premier ha negato di essere "malato", come aveva indicato per prima sua moglie Veronica annunciando la richieta di divorzio, dicendo: "Basta guardare a quel che ho fatto in 15 mesi di governo per capire che non sono in cattiva salute, sono Superman".
La frase su Berlusconi "Superman" campeggia sui titoli di vari altri giornali, perfino in Australia e in Asia. Osservando che fa parte di una offensiva che ha messo nel mirino i giornali critici, la Chiesa, l'Unione Europea, il Telegraph chiede il parere di James Wakston, docente di studi politici alla American University di Roma, il quale commenta: "Sono segnali che il premier si sente minacciato. Se uno ha un minimo di buon senso, non attacca la Chiesa in questo paese, perché è un'istituzione molto, molto potente, che esiste da ben più tempo dello stato italiano. Quel che Berlusconi sta facendo sembra il riflesso di una crescente intolleranza a ogni forma di dissenso. Le differenze di opinione fanno parte del processo democratico, ma lui è convinto che, poiché è stato eletto, può fare tutto quello che vuole".
In Spagna, El Pais titola sul proseguimento della "campagna d'autunno" di Berlusconi contro la stampa, con la citazione in giudizio contro l'Unità e la richiesta di 3 milioni di euro di risarcimento danni. Lo spagnolo Abc riporta il commento dell'Unità che paragona l'iniziativa "al tentativo di chiudere il nostro giornale durante il fascismo", mentre el Periodico dell'Extramadura titola sul "pragmatismo osceno" di coloro, come Berlusconi, che hanno fatto visita al colonnello Gheddafi nel quarantennale della sua ascesa al potere in Libia.
E dopo essere stata invitata per una serata in una discoteca parigina a fine luglio, Patrizia D'Addario torna in Francia per essere intervista dal programma "Accés Privé", presentato da Virginie Guilhaume. "L'escort girl de Berlusconi temoigne" è il titolo della lunga intervista che andrà in onda sabato pomeriggio sul canale privato M6. "Berlusconi era molto affettuoso, mi ha toccata davanti a tutte le ragazze" ricorda la D'Addario a proposito della sua prima serata a Palazzo Grazioli. Oggi la donna confessa all'intervistatrice di "avere paura" e di "sentirsi minacciata" in Italia.
I quotidiani francesi continuano a seguire con attenzione le vicende italiane anche oggi. Le Figaro pubblica un articolo sul tentativo di Berlusconi di "zittire" i portavoce della Ue. "Ancora una volta, Berlusconi si è innervosito" scrive il quotidiano conservatore che cita le contraddizioni sull'immigrazione del governo italiano. Anche Le Monde si occupa delle ultime dichiarazioni del premier sull'Ue, ricordando che "non è la prima volta che attacca Bruxelles". France Soir sostiene che nelle ultime ore gran parte del "capitale politico di Berlusconi è stato dilapidato" e che l'attacco a Dino Boffo ha provocato uno "tsunami" di reazioni. Il caso Italia finisce anche su molti settimanali. "Challenges" spiega che "la Chiesa ha deciso il divorzio da Silvio Berlusconi".
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La vergogna dell'istigazione alla delazione

Andrea Bagatta su Il Cittadino di oggi ci racconta che Medaglia, sindado di Somaglia, vuole evitare la polemica con il comune di Casale che ha smentito di aver effettuato un sopralluogo nel paese.
«A Somaglia non arriverà la moschea».
Il sindaco esclude la possibilità di ospitare gli islamici della Bassa.
Rassegna stampa.

Somaglia - Non ci sono le condizioni tecniche e normative perché i musulmani spostino la moschea da Casale a Somaglia.È questa la base dalla quale parte il ragionamento del sindaco di Somaglia Giuseppe Medaglia, che pur senza polemizzare, invita però «tutti i sindaci della Bassa a incontrarsi in modo da affrontare la questione in modo serio e coerente, e non in maniera schizofrenica, ciascuno guardando solo ai propri interessi locali». L’uscita del sindaco arriva all’indomani della visita da parte di alcuni musulmani non meglio qualificatisi ad alcuni capannoni della zona industriale di Somaglia, probabilmente con l’intento di trasferirvi la moschea di Casale. Per lo stabile che ospita la moschea in via Fugazza a Casale, l’amministrazione casalese di Flavio Parmesani ha emesso un’ordinanza di ripristino della vecchia destinazione d’uso, ovvero quella artigianale, di fatto imponendo la chiusura del centro islamico. Proprio per agevolare il percorso d’uscita dallo stabile di via Fugazza, l’amministrazione casalese ha cercato una soluzione temporanea in un’immobile comunale di via Adda, ma nel frattempo ha di fatto lasciato gli islamici nella stessa sede di prima, dichiarandosi disponibile ad aiutarli a trovare una soluzione fuori da Casale. E tutti gli indizi portano a Somaglia o a Codogno, nelle rispettive aree industriali. Ieri si era sparsa la voce di un sopralluogo a Somaglia da parte di alcuni islamici addirittura accompagnati da membri dell’amministrazione casalese, la quale però si è affrettata a smentire. Il sopralluogo ci sarebbe stato, ma sarebbe stato condotto solo da esponenti della comunità islamica. «Ma al comune non è arrivata alcuna richiesta, e il nostro Piano di governo del territorio non prevede nella zona industriale l’insediamento di un servizio come può essere quello di un centro islamico - afferma Medaglia -. Pertanto sono tranquillo nell’affermare che non è possibile l’insediamento di una moschea sul territorio di Somaglia». Rispetto alla voce dell’interessamento della stessa amministrazione casalese per trovare una sistemazione fuori dalla città, invece, Medaglia è chiaro: «Ho parlato con Parmesani e non mi risulta che l’amministrazione di Casale svolga sopralluoghi per conto dei musulmani - conclude Medaglia -. Con lui ho però rinnovato l’auspicio che una tale vicenda veda il coinvolgimento di tutti i comuni interessati, a partire da Casale e Codogno, ma anche Somaglia, Fombio, San Fiorano e altri. Bisogna dare una risposta di territorio alle richieste dei musulmani, senza che ciascuno pensi solo a difendere il proprio pezzetto, altrimenti è uno scaricabarile. Ci sono zone, come la Codognina, dove l’insediamento potrebbe avvenire con meno impatto: sediamoci attorno a un tavolo tutti insieme a ragionarci».

Esplode il “caso sicurezza”: è scontro Dossena-Pagani.
Il Cittadino di oggi, Luisa Luccini.

“Pacchetto sicurezza”: la polemica a Codogno si infiamma. Sotto accusa il provvedimento che assegna al sindaco Emanuele Dossena il ruolo di “ponte” tra cittadini e forze dell’ordine, con la raccolta da parte del primo cittadino di segnalazioni riservate dai residenti in tema di clandestini ed irregolari, di problematiche di ordine pubblico o disagio sociale. «La sinistra riesuma il Ventennio? Considerazioni stucchevoli e fuori da ogni tempo - replica proprio Dossena -. Altro che Ventennio: se questa è la minoranza con cui abbiamo a che fare, presto il centrodestra a Codogno festeggerà piuttosto il “ventennale”, quello della sua amministrazione in città». Dossena torna a ribadire quanto già detto ieri: «Dai cittadini riceverò segnalazioni, non denunce - rimarca -, cosa che peraltro già succede: proprio per il mio ruolo di sindaco, in questi anni sono già stato punto di raccolta delle segnalazioni dei cittadini». Il centrosinistra però alza il tiro. Personalità di spicco del Pd, già sindaco di Codogno, Gianni Pagani non esita a dichiararsi allibito. «Se questa amministrazione si è svenduta alla Lega che lo dica - sbotta Pagani -, dico di più: se Dossena si presta a questo gioco, io non lo riconoscerò più come sindaco, arriverò anche a chiederne le dimissioni». Pagani parla chiaro: «Un sindaco deve pensare ad amministrare, punto. A raccogliere denunce e segnalazioni ci pensano le forze dell’ordine. E chi ha una denuncia da fare, non va dal sindaco con la certezza che la sua identità resterà riservata. Va piuttosto da vigili e carabinieri e si assume la responsabilità della propria denuncia». Sotto accusa, per Pagani, c’è il rischio della discrezionalità che si lega al provvedimento. Ovvero: il dubbio che il sindaco possa fare da “filtro” e decidere quali segnalazioni portare all’attenzione delle forze dell’ordine. «Lo ripeto: resto senza parole di fronte ad una cosa simile - conclude Pagani -, lo dico non da politico ma da cittadino». Il centrodestra non sembra però intenzionato a fare passi indietro. «Come già ieri Riboldi, anche Pagani fa sfoggio d’arroganza - dice il sindaco -: nessuno ci dica cosa dobbiamo o non dobbiamo fare».
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«Basta con i candidati decisi nei sinedri»

Il Pd verso il congresso.
Speciale, [18].
«Serve più democrazia interna nei partiti».
Civati vuole che i politici parlino alla gente.

Rassegna stampa - Il Cittadino di oggi, Matteo Brunello.

«Ci vuole più democrazia interna nel partito. Basta con i candidati decisi nei sinedri. Altro che cabine di regia, serve una maggiore apertura e partecipazione alle scelte»: l’appello arriva dal consigliere regionale Pd e coordinatore nazionale della mozione Marino, Giuseppe Civati. Nel suo intervento alla festa dei Democratici di mercoledì sera, ha illustrato i punti chiave della sua proposta in vista del prossimo congresso. «Abbiamo un partito in cui si è litigato molto e discusso poco. Dobbiamo trovare un modo per favorire una maggiore partecipazione alle scelte e più collegialità - ha esordito -. Non è possibile che nelle ultime elezioni, per la selezione dei candidati, la base e gli iscritti non siano stati consultati. Per questo con il nostro documento proponiamo maggiore apertura all’interno del partito».Introdotto da uno dei sostenitori locali della mozione, Luca Forlani, Civati ha quindi parlato della necessità di ritrovare un contatto con la base, con le reali necessità dell’elettorato. «Vorrei un partito che sia in grado di rispondere ai problemi della gente, che sappia parlare il linguaggio anche degli aspetti di cui quotidianamente discutono le persone nei bar», ha detto. E poi l’obiettivo, che ha indicato per la dirigenza del partito, è che su tanti temi (dalle legalità a quelli più strettamente etici) si riesca a trovare una convergenza e una linea comune. «In questo la nostra mozione ha un ruolo importante, è utile per evitare che si arrivi ad un congresso troppo polarizzato e schiacciato su due unici punti di vista», ha continuato. Inoltre è stata presentata la candidatura di Vittorio Angiolini, come candidato alla segreteria regionale del Pd. «Vorrei dei circoli che tornino a discutere e fare politica - ha evidenziato Angiolini - dobbiamo uscire dalla logica di muoverci solo in vista delle campagne elettorali. E poi la nostra proposta deve essere un programma innovativo, diverso da quello degli altri». E sulle linee guida, ha sottolineato il discorso della laicità della politica, nel rispetto delle fedi e delle diverse confessioni religiose. Infine ha messo in primo piano, come elemento che deve essere messo al centro della discussione, la questione del lavoro e delle misure per favorire il reinserimento occupazionale. Infine diverse sono state le sollecitazioni e gli interventi dal pubblico, all’interno dello spazio dibattiti dell’area del Capanno, in un incontro che è stato impostato come un confronto aperto tra le differenti posizioni.
(18 - continua)
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Affermare il rispetto dei diritti umani

Il vescovo Merisi parla di Madre Teresa e fa appello al rispetto dei diritti umani.
Rassegna stampa - Il Cittadino di oggi.

«Di fronte all’immigrazione è necessario affermare il rispetto dei diritti umani, il principio dell’accoglienza, il rispetto della legge per la sicurezza, anche se sappiamo che non è facile tenere insieme tutti questi elementi». È quanto ha detto monsignor Giuseppe Merisi, presidente della Caritas italiana e vescovo di Lodi, ieri nell’ambito della presentazione dell’audiolibro dedicato a Madre Teresa “Una piccola matita” cui ha preso parte, fra gli altri, anche Folco Terzani. La presentazione è avvenuta nei locali della Radio Vaticana. Mersi ha fatto riferimento al contributo che la Chiesa può dare, attraverso la dottrina sociale, ai grandi problemi del nostro tempo. «Pensiamo alla globalizzazione -ha detto il vescovo - e al messaggio di globalizzare la solidarietà e quindi all’esigenza di uno sviluppo economico e alla sua sostenibilità sociale e ambientale». Ancora in riferimento ai temi bioetici, monsignor Merisi ha parlato del «del rispetto della dignità della persona» come di «un elemento costitutivo da tenere presente». «Accanto all’impegno di animazione e a quello culturale, è sotto gli occhi di tutti la diffusa opera di accoglienza, - ha spiegato ancora Merisi - tutela dei diritti e di integrazione che le Caritas presenti sul nostro territorio nazionale garantiscono da anni ai migranti, con particolare attenzione alle categorie più vulnerabili, quali i richiedenti asilo, i rifugiati, le vittime della tratta».
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Un'occasione per il sistema delle ciclabili

Le richieste vanno effettuate entro il 12 ottobre: «Opportunità da non perdere».
Bando regionale per le ciclabili: dal Pirellone un aiuto ai comuni.

Rassegna stampa - Il Cittadino di oggi, Andrea Bagatta.

Oltre cinque chilometri di pista ciclabile paralleli alla strada provinciale 123 che collegheranno Valera Fratta a Sant’Angelo, coinvolgendo per un minimo tratto il territorio di Villanterio e forse estendendosi con una propaggine verso Marudo. Poche centinaia di metri, un chilometro al massimo, tra via Mazzini, l’ingresso in paese provenendo da Lodi, e la piazza principale Dalla Chiesa, passando su via Lago e nel Parco della Pace a Borghetto Lodigiano. E ancora un collegamento ciclabile tra Santo Stefano Lodigiano e Guardamiglio, o San Rocco al Porto, altri attorno a Maleo, forse a Casale e poi più su, a nord di Lodi, nell’area dell’OltreAdda.
Sono i sogni, e in qualche caso già i progetti avviati, per esempio quello di Valera, da parte di alcuni comuni lodigiani per implementare la rete ciclabile della Provincia. Per farlo, ci sono a disposizione 4 milioni e mezzo stanziati dalla regione Lombardia con dei cofinanziamenti a fondo perduto fino al 50 per cento, il 70 per cento nel caso dei comuni al di sotto dei 2mila abitanti. Il bando scadrà il 12 ottobre prossimo ed è inserito nel Piano regionale della mobilità ciclistica: per tanti comuni, soprattutto i più piccoli, del nostro territorio, l’occasione è ghiotta. Il finanziamento copre progetti dai 50 ai 500mila euro.
«Per noi si tratta di un’occasione importante per andare a implementare il sistema ciclabile del Lodigiano - spiega l’assessore provinciale Nancy Capezzera -. Per questo invito tutti i comuni interessati a farsi avanti: la Provincia metterà a disposizione sicuramente tutte le proprie competenze tecniche e l’aiuto necessario». L’invito dell’assessore è teso a completare, o cercare di completare, un sistema ciclabile ancora frammentato. «In passato si è scelto di realizzare tanti piccoli segmenti, quando invece sarebbe stato più utile iniziare e completare un sottosistema - continua Nancy Capezzera -. L’impulso primario che voglio dare in questo mandato è quello di utilizzare le strade bianche, le strade d’argine e le sterrate di campagna come piste ciclabili, in modo di andare a valorizzare anche l’ambiente e il turismo sostenibile nel territorio. Alla fine, non a caso, queste sono le ciclabili più utilizzate dalla gente».
La rete ciclabile del Lodigiano comprende itinerari in sede propria e in sede promiscua, utilizzando strade secondarie, per circa 220-250 chilometri complessivi. Altri 130 chilometri circa ciclabili sono riferibili alle strade d’argine, per le quali però dovrebbero essere attivate apposite convenzioni, presenti finora in pochissimi casi. Dei sei sistemi individuati nella rete Lodigiana, quasi completi sono quello della dorsale dell’Adda, da Comazzo a Cavacurta, per 55 chilometri, e quello della Golena di Po, completamente realizzato tranne che per il tratto Casale-Codogno-Cavacurta già compreso nel progetto di riqualificazione dell’ex strada statale 234 Mantovana. Si sta ultimando il tratto tra Codogno e San Fiorano e sta per partire quello tra Senna e Somaglia. L’anello del Lambro parte da Mulazzano, scende verso Ospedaletto e poi Sant’Angelo e quindi Graffignana e Borghetto: circa 40 chilometri di cui sono già realizzati soltanto i tratti tra Mulazzano e Casalmaiocco, e poi tra Ospedaletto e Salerano. A breve partirà il tratto tra Graffignana e Borghetto. L’anello periurbano di Lodi comprende tutte le ciclabili che irradiano a raggiera dal capoluogo verso i centri limitrofi, con 20 chilometri complessivi di pista, quasi completamente realizzati. Il sistema del medio Lodigiano, che servirebbe a collegare il territorio tra Lambro e Adda, e tra questi e il Po, è stato sviluppato poco e a chiazze: dei 25 chilometri previsti mancano i collegamenti tra Bertonico e Turano e Secugnago-Brembio, fino a Livraga, con tutte le relative propaggini. Infine, gli itinerari OltreAdda previsti erano di circa 10 chilometri, con propaggini da fuori Lodi verso Crespiatica e verso Boffalora d’Adda, ma praticamente il sistema manca completamente salvo un piccolo tratto lungo l’ex strada statale 472.
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Stipendi da poveracci

Alberto Belloni su Il Cittadino di oggi ci dice che sollecitata dalle molteplici e provocatorie richieste dei cittadini la provincia divulga i guadagni degli amministratori.
La giunta mette in piazza i suoi stipendi.
Operazione trasparenza di Foroni: ecco la busta paga degli assessori.
Rassegna stampa.

Quanto guadagnano i nostri amministratori? Alla domanda, popolarissima, ha deciso di rispondere per conto suo la provincia di Lodi, sul cui sito Internet www.provincia.lodi.it è possibile leggere da stamane gli stipendi al netto del neo presidente Pietro Foroni e dei sei assessori che ne completano la giunta. Un’operazione “di trasparenza” che supera negli effetti anche i principi del decreto Brunetta, il ministro che ha disposto la pubblicazione degli emolumenti di tutti i dirigenti e i consulenti esterni in forza agli enti pubblici: e che Pietro Foroni ha fortemente voluto, al punto di sfiorare la violazione del diritto alla privacy della sua giunta, per rispondere alle molteplici e spesso “provocatorie” richieste inviate alla provincia dai cittadini lodigiani: «Succede che siano pervenute diverse email da parte di cittadini che chiedevano di conoscere gli stipendi degli assessori - conferma il presidente -. Alcune di queste citavano fantomatici obblighi di pubblicazione e lamentavano il fatto che non avessimo ancora provveduto. Chissà perché tali richieste non erano pervenute in passato… Contro le nuove amministrazioni leghiste si sta muovendo una sorta di movimento “Piove, governo ladro”: siamo qui da tre mesi e se cade una foglia da un albero e c’è chi si premura di affermare in toni dispregiativi che “quelli della Lega sono come tutti gli altri”. Ma a noi piace dare risposte concrete e la risposta eccola qui, con gli stipendi resi pubblici». Ottenute le firma degli assessori sulle indispensabili liberatorie, palazzo San Cristoforo mette così in piazza i suoi stipendi. Calcolata sullo scorso mese di agosto, la busta paga più pingue è ovviamente quella del presidente, sul cui conto sono stati versati poco meno di 3400 euro netti. Claudio Pedrazzini, vicepresidente con deleghe allo sviluppo economico, alle attività produttive e alla formazione ha guadagnato 2641 euro, sempre al netto, mentre per gli assessori Nancy Capezzera (urbanistica, viabilità e trasporti), Mariano Peviani (cultura, istruzione e sociale), Cristiano Devecchi (bilancio e personale) e Matteo Boneschi (agricoltura, sicurezza e protezione civile) hanno percepito quasi 2314 euro ciascuno; l’ultimo e più basso stipendio, infine, è quello di Elena Maiocchi, assessore all’ambiente e pari opportunità, che in quanto ancora insegnante ha incassato “solo” 1231 euro e rotti. Tanti, pochi? In attesa della “sentenza” della gente, Foroni non ha dubbi: «Credo che per tutti i membri di giunta l’aver scelto di partecipare a questa sfida amministrativa sia una retrocessione dal punto di vista economico - chiosa il presidente -. Se poi consideriamo le responsabilità, gli orari e le famiglie abbondantemente trascurate, il quadro è completo. A tutti gli effetti, siamo il “cda” di un’azienda di 260 dipendenti: i nostri compensi si commentano da soli».
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