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martedì 25 agosto 2009

Applicare le buone pratiche prima a casa propria

Riceviamo da Rosaria Russo, capogruppo consiliare di Rifondazione, questo commento - che volentieri pubblichiamo - alla lettera inviata al quotidiano Il Cittadino dal sindaco Giuseppe Sozzi e pubblicata nella edizione di ieri. Il testo del commento è stato inviato al quotidiano di Lodi in serata.
La coerenza non è più un concetto che appartiene alla politica.

Non c’è che dire viviamo in un momento di schizofrenia collettiva.
Una guerra può mai essere umanitaria?
Politiche disumane possono generare comportamenti sociali umani?
Questa cultura del disumano ha solo il colore del centro-destra? Purtroppo non è così.
Ce lo dice la strage di 108 profughi albanesi della Kater I Rades, provocata nel 1997 dalla pretesa di un governo di centrosinistra di bloccare manu militari l'esodo albanese.
Ce lo ricorda un'altra strage del proibizionismo, quella del 25 dicembre 1996, in cui annegarono 233 migranti a lungo ignorata dai media, e fu solo grazie all'ostinazione di qualche giornalista e di antirazzisti come Dino Frisullo che il silenzio fu spezzato.
Semi avvelenati che altri hanno provveduto a spargere hanno prodotto i frutti marci coltivati dal governo in carica.
La coerenza non è più un concetto che appartiene alla politica.
Si parla in un modo e si opera in un altro.
E siamo talmente assuefatti a tali costumi che abbiamo perso la capacità di indignarci.
Cosi capita di leggere sul Cittadino la lettera del mio Sindaco, Sozzi Giuseppe, che invita il neo Presidente della Provincia Foroni a pratiche di condivisione con i Sindaci del territorio in riferimento alle future politiche.
Senz’altro questa modalità di governo è da preferire e diamo il merito al Presidente Fellissari e alla sua Giunta di aver portato avanti con tenacia e determinazione questa modalità ma Sozzi nel governare la comunità Brembiese opera in tal modo?
Racconto la penultima.
Sono consigliera di minoranza a Brembio e nell’ultimo consiglio comunale al quale ho partecipato quel metodo, che lui denuncia come pericoloso, della decisione a maggioranza o del fai da te l’ha ampiamente testato.
La seduta del Consiglio Comunale portava all’odg la modifica del Regolamento del Nido Comunale. La modifica che proponeva la maggioranza consisteva nel ritenere valide le sedute della Commissione del nido anche solo con la presenza di due componenti.
Essendo il nido di Brembio in gestione associata, ad esso afferiscono altri 4 Comuni che hanno di diritto una presenza all’interno della Commissione oltre ad altre figure, alla minoranza sembrava una forzatura una tal modifica e anche un pochino anti-democratica.
Il paradosso è che oltre a non essere presente l’assessore competente (la giunta di Brembio ha tutti assessori esterni, sic!) che ha proposto tal irragionevole modifica in Consiglio era presente quella figura cosi ibrida del delegato dell’assessore il quale né ha presentato l’argomento né ha motivato la necessità di siffatta modifica.
Inutile il dibattito.
Il Sindaco risponde che la maggioranza è sua e quindi fa ciò che vuole.
La minoranza tutta resta basita, nonostante le proteste la maggioranza non ha avuto orecchie per ascoltare.
Allora Sig. Sindaco che ben vengano i consigli di buone pratiche ma non crede che sia il caso di praticarli in casa propria?
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Dove sono le donne del Pd?

Il Pd verso il congresso.
Speciale, [16].
Un articolo interessante è approdato ieri sulle pagine di l'Unità.it. Contiene una proposta al proprio partito, il Pd, firmata da Anne Maass, Chiara Volpato, Angelica Mucchi Faina e altri 49.
Proposta al Pd, donne e giovani in cima di lista.
Rassegna stampa.

Indovina dove sono... le donne del Pd? Sicuramente non nei bagni di palazzo Grazioli, ma non sono neanche dove dovrebbero: nei banchi del Parlamento Italiano (dove sono meno di un terzo dei parlamentari Pd) e in quelli del Parlamento Europeo (dove sono meno di un quarto). Come erano poco presenti nell’ultimo governo Prodi che aveva 6 ministre su 26, tutte, eccetto una, concentrate nei ministeri senza portafoglio. A differenza di quanto avviene ormai da anni in molti paesi europei e non, nessuna donna era presente nei ministeri di prima fascia (Esteri, Interno, Difesa, Tesoro).
Quali sono i motivi per questa eclatante assenza? Forse le donne sono meno capaci. Improbabile, visto che, mediamente, le donne italiane hanno superato i loro colleghi maschi nell’istruzione, nelle conoscenze delle lingue, nelle esperienze all’estero. Infatti, quando il partito ha pensato di candidare donne colte e capaci, queste hanno raccolto notevoli consensi, come illustra il caso di Lilli Gruber, prima assoluta degli eletti nelle Elezioni Europee del 2004, con più preferenze di Berlusconi.
Allora, se non sono meno capaci, forse le donne sono meno interessate ad impegnarsi in politica? Improbabile anche questo. Qualsiasi persona abbia mai frequentato uno dei tanti circoli del Pd sa che pullula di donne, spesso giovani, preparate, con una gran voglia di fare politica. Inoltre, le poche donne presenti sui banchi del parlamento hanno un indice di attività decisamente superiore a quello dei loro colleghi maschi (indice calcolato tenendo conto della presenza tra i firmatari di un atto, tra i relatori di progetti di legge, e dal numero di interventi nel dibattito).
Allora come si spiega l’assenza di donne nella gerarchia del Pd? La spiegazione più probabile è che siano assenti all’interno del Pd – come nel resto del paese – (a) un vero criterio di merito e (b) una regola contro la concentrazione del potere politico e decisionale in mano ad un unico gruppo sociale. Diversamente da molti altri paesi (incluso l’Afganistan!) in Italia non è mai stata fissata una percentuale massima di rappresentanza politica, né a livello nazionale, né all’interno del Pd. Solo così si spiega come mai i maschi ultra-cinquantenni rappresentino il 55% dei parlamentari, pur essendo decisamente una minoranza, il 17%, nella popolazione italiana.
La nostra proposta: per riequilibrare la rappresentatività dei diversi gruppi, in particolare di donne e giovani, all’interno del PD proponiamo di sfruttare la legge elettorale “porcellum”, che pur essendo discutibile sotto tutti gli altri punti di vista, è uno strumento potente per contrastare la concentrazione del potere nelle mani di un unico gruppo (i maschi ultra cinquantenni). Proponiamo una regola semplice e concreta che si può applicare ad ogni elezione nazionale, locale ed europea: il 2+3. Ogni lista elettorale del PD dovrà avere una donna ogni secondo posto e un giovane (inteso come under 40) ogni terzo. Per evitare che donne e giovani finiscano, com’è tipico, in fondo alle liste, uomini e donne si dovranno alternare e ogni terzo posto dovrà essere occupato da un/a candidato/a under 40. Fa eccezione il Senato dove, purtroppo, i giovani sono esclusi per legge e il limite di età per essere considerati “giovani” potrebbe essere posto a 45 anni.
Ovviamente, per un eventuale Governo dovrà valere una regola analoga (con 50% dei ministeri, pesati con un loro coefficiente di importanza, alle donne e il 33% ai giovani). Il 2+3 costituisce un modello semplice, immediatamente implementabile, ed efficace per dare una possente spinta al rinnovamento del PD, per promuovere la partecipazione e per far rinascere l’entusiasmo di fare politica in gruppi finora artificialmente esclusi. Come sostenitrici/tori di questo partito e suoi, potenziali, elettrici/elettori ci rivolgiamo ai tre candidati: chiediamo di impegnarsi ad applicare in futuro, in modo rigoroso il principio 2+3.
(16 - continua)
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L'Europa e i rifugiati

Asilo, l’Italia agli ultimi posti in Europa.
Rassegna stampa - Avvenire di oggi, Ilaria Sesana.

Hai una casa e magari un buon lavoro. Ep­pure devi scappare perché militi in un partito di opposizione. Oppure perché professi una fede diversa da quella della maggio­ranza. O perché la tua etnìa è il bersaglio di una crudele guerra civile. Partono dall’Afghanistan e dall’Iraq, dal Sudan e dal Corno d’Africa con un so­lo obiettivo: arrivare in Europa e chiedere prote­zione. La maggior parte di loro però si ferma prima: l’80% dei 42 milioni di rifugiati politici censi­ti dall’Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati si trova infatti nei Paesi in via di svilup­po, come il Pakistan che accoglie 1,8 milioni di persone.
Nei loro piani le mete privilegiate sono i Paesi del Nord Europa e il Regno Unito. Sarà il passaparo­la, sarà la presenza di una rete di connazionali, molti già sanno che il diritto d’asilo non è uguale in tutta Europa. Nei Paesi Bassi e in Francia, ad e­sempio, chi ottiene lo status di rifugiato ha diritto all’abitazione. Lo stato svedese offre alloggi, un sussidio di disoccupazione e assistenza sanitaria. In Inghilterra invece la prassi consolidata è quel­la di fornire un sussidio settimanale per avviarsi lungo un percorso di autonomia. Per tutti, all’ar­rivo, corsi di lingua e un sostegno all’integrazio­ne.
I numeri confermano la bontà di queste politiche. In Germania i rifugiati sono 580mila, in Gran Bre­tagna 290mila, in Francia 160mila e nei Paesi Bas­si 80mila, ben più delle 47mila persone accolte og­gi in Italia. Il trend nel nostro Paese è comunque in crescita: si è passati infatti dalle 11mila domande presen­tate nel 1998 alle 30mila dello scorso anno. Ma l’I­talia è l’unico Paese europeo a non avere ancora una legge organica sull’asilo: i diritti e doveri di chi cerca protezione vanno estrapolati dalle diverse leggi che, dalla Martelli alla Bossi-Fini, hanno regolato l’immigrazione.
Lacune di carattere legi­slativo e un sistema di accoglienza non all’al­tezza di alcuni casi eu­ropei: difficile che si va­da oltre all’offerta di dor­mitori (soprattutto nelle grandi città) per un pe­riodo limitato, mentre non esistono sussidi. Senza casa e senza lavo­ro, gruppi di rifugiati con tutti i documenti in re­gola finiscono spesso con l’occupare residence ab­bandonati (in 300, lo scorso aprile in provincia di Milano) o interi stabili (il caso dell’ex ospedale psi­chiatrico di Torino). Comprensibile che molti tentino di andare all’e­stero. Ma, al primo controllo di polizia in cui ven­gono rilevate le impronte digitali, sono rimanda­ti in Italia. È l’effetto di una normativa europea (il Regolamento Dublino II) che prevede per il ri­chiedente asilo la possibilità di presentare do­manda di protezione solo nel primo Paese euro­peo in cui mette piede. E per chi viene dall’Africa o fugge dai taleban, il primo punto d’approdo so­no i Paesi della sponda sud del Mediterraneo. Non possono andare avanti, né tornare indietro.
Il caso della Grecia, in questo senso, è tragicamente emblematico: solo il 2% di chi presenta domanda di protezione ottiene il riconoscimento dello sta­tus di rifugiato e chi ha avuto risposta negativa non può presentare domanda in un altro Paese. Migliaia di persone vivono così, tra baracche e campi profughi, nella speranza di arrivare clan­destinamente nel nostro Paese. Che però, sulla base di quelle stesse norme europee, non può che rimandarli indietro, dall’inferno da cui so­no fuggiti.
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La Corte europea sentenzia sul G8

G8, la Corte Europea sul caso Giuliani: «Il carabiniere agì per legittima difesa».
Rassegna stampa - Avvenire online.

Il carabiniere che nel luglio del 2001 uccise Carlo Giuliani durante il G8 di Genova ha agito per legittima difesa. Questo è quanto ha stabilito la Corte europea dei diritti dell'uomo in una sentenza resa pubblica oggi. I giudici di Strasburgo hanno quindi accettato la versione delle autorità italiane su come si sono svolti i fatti inerenti la morte del giovane. Secondo la sentenza, infatti, il militare che sparò a Giuliani non è ricorso a un uso eccessivo della forza, ma ha risposto a quello che ha percepito come un reale e imminente pericolo per la sua vita e quella dei suoi colleghi.
La Corte ha dato invece ragione ai familiari di Carlo Giuliani riconoscendo come l'Italia avrebbe dovuto svolgere un'inchiesta per stabilire se il fatto potesse essere ascrivibile a una cattiva pianificazione e gestione delle operazioni di ordine pubblico. Per questo i giudici hanno stabilito che lo Stato dovrà risarcire 40.000 euro ai genitori di Carlo Giuliani.
Infine i giudici di Strasburgo hanno ritenuto che, a differenza di quanto sostenuto dalla famiglia Giuliani, il governo italiano abbia cooperato sufficientemente con la Corte, consentendo di condurre un appropriato esame del caso. Nessuna violazione, dunque, dell'articolo 38 della convenzione che impone agli Stati contraenti di fornire tutte le informazioni richieste dai giudici di Strasburgo.
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Malta gioca a scarica barile

Come già abbiamo riportato, un altro episodio di soccorso a migranti oggi a Lampedusa. L'articolo che riportiamo è di Giorgio D'Aquino da Avvenire online.
Un altro barcone soccorso a Lampedusa.
Rassegna stampa.

Un gommone con una cinquantina di migranti a bordo è stato soccorso da motovedette della Guardia costiera e della Guardia finanza a 30 miglia a Sud-Est di Lampedusa, in acque di competenza maltese. Il natante era scortato da un'unità militare di Malta, che si è allontanata dopo l'intervento italiano. La prima a giungere sul posto è stata la motovedetta della Guardia di Finanza, poi raggiunta da quella della Guardia costiera che prima di salpare aveva imbarcato anche un medico per prestare subito assistenza agli immigrati. Gli extracomunitari sono stati poi presi a bordo dalle due unità, che si sono dirette a Porto Empedocle (Agrigento).
Sul gommone con 57 migranti, in gran parte eritrei, soccorso questa mattina da un pattugliatore della Guardia di Finanza gli investigatori hanno trovato alcuni giubbotti di salvataggio in uso alla Marina Militare maltese. Il portavoce delle Forze Armate dell'isola Stato, Ivan Consiglio, non ha voluto rilasciare fino ad ora alcuna dichiarazione circa il ruolo dei maltesi nell'operazione. Anche in occasione dell'intervento di giovedì scorso le Fiamme Gialle avevano trovato sul gommone dei cinque eritrei tratti in salvo alcuni salvagente consegnati ai naufraghi da una motovedetta maltese, che li aveva pure riforniti di carburante. Lo ha accertato la Procura di Agrigento che sta indagando sull'ultima tragedia dell'immigrazione avvenuta nel Mediterraneo.
Le indagini sulla tregedia degli eritrei. Favoreggiamento dell’immigra­zione clandestina e omicidio colposo plurimo: si chiude con queste ipotesi di rea­to il rapporto stilato dalla Guardia di fi­nanza e dalla Polizia – consegnato ieri mat­tina alla Procura di A­grigento – sulla trage­dia raccontata dai cinque eritrei soccor­si giovedì scorso a Lampedusa, che han­no raccontato la mor­te in mare di settanta­tré loro compagni nel Canale di Sicilia. Gli inquirenti stanno anche valutan­do la condotta della Forze armate mal­tesi che – sempre stando al racconto dei superstiti – avrebbero incrociato il gommone e dato agli eritrei il carbu­rante per proseguire la traversata.
A carico delle autorità de La Valletta, te­nute (secondo quanto prevede il Co­dice internazionale della navigazione, a prestare soccorso a chi si trova in dif­ficoltà in mare), potrebbe ipotizzarsi il reato di omissione di soccorso. Tuttavia il nodo centrale della vicen­da ruota tutto attorno alla competen­za territoriale sull’indagine. Fermo re­stando l’obbligo del soccorso, la Pro­cura sta cercando di capire in quale punto la motovedetta maltese abbia incrociato gli eritrei: se, cioè, in acque maltesi, e in questo caso sulla vicen­da dovrebbe indagare la magistratura de La Valletta, o se in acque interna­zionali.
«Allora – ha spiegato il Procu­ratore di Agrigento, Renato Di Natale – sarebbe ancora più complesso sta­bilire l’autorità giudiziaria titolare del­l’indagine ». A sua volta, le autorità di Malta, secondo le quali gli eritrei al momento dell’incontro con la moto­vedetta erano in buone condizioni di salute, hanno fatto sapere che il gom­mone sarebbe stato intercettato in ac­que libiche. «Ciò – commenta Di Na­tale – non significa comunque che, se i superstiti erano in difficoltà e stava­no male, i maltesi non dovessero pre­stare soccorso». I soccorsi a uno dei cinque eritrei giunti giovedì scorso a Lampedusa (Ansa) Il fascicolo aperto negli uffici giudi­ziari agrigentini, che ipotizza appun­to il favoreggiamento dell’immigra­zione clandestina e l’omicidio colpo­so plurimo, è stato affidato al sostitu­to Procuratore Santo Fornasier: ades­so – come ha spiegato il capo della Pro­cura – cominceranno gli accertamen­ti sul racconto degli eritrei, che hanno confermato quanto già dichiarato ai rappresentanti delle organizzazioni u­manitarie presenti a Lampedusa. I cinque immigrati ieri hanno intanto lasciato l’isola siciliana.
Due di loro, l’unica donne e un uomo, sono stati ri­coverati nell’ospedale 'Vincenzo Cer­vello' di Palermo, mentre il terzo a­dulto è stato condotto in un centro di accoglienza, i due minorenni (en­trambi diciassettenni) in una comu­nità protetta. E nel centro di acco­glienza i primi tre sono stati già ascol­tati, nel pomeriggio, dal sostituto e dal Procuratore di Agrigento. Anche perché i cinque saranno pre­sto iscritti nel registro degli indagati, sebbene lo stesso Procuratore Di Na­tale parli di «un atto dovuto» (in base alla normativa recentemente intro­dotta dal governo), in attesa di verifi­care se i cinque eritrei abbiano il diritto allo status di rifugiato politico. Fra l’al­tro – ha aggiunto il capo degli uffici giudiziari – «quella dei respingimenti è una questione tutta politica», a pro­posito dell’apertura di un’inchiesta sui cosiddetti respingimenti sommari, ef­fettuati, cioè, senza accertare la na­zionalità dei migranti e quindi senza valutare il diritto a chiedere asilo po­litico. Così – ha concluso Di Natale – «potremmo valutare se ci siano spazi per ritenere che siano stati commes­si reati, ma al momento non c’è nulla verso un’ipotesi simile».
Un’ulteriore precisazione sulla posi­zione dei cinque eritrei arriva dal Pre­fetto Mario Morcone, capo del Dipar­timento per l’immigrazione al Vimi­nale: «Non rischiano nulla se presen­tano la richiesta di asilo che, general­mente, per i Paesi in particolari situa­zioni di disagio viene accolta», ha fat­to sapere. «Il provvedimento avviato – ha spiegato – è sospeso fino alla defi­nizione della domanda d’asilo. L’Italia ha aderito ad una direttiva Ue che pre­vede l’asilo politico non solo per le per­sone perseguitate politicamente, ma anche per chi proviene da zone di guerra. Gli eritrei godono di questo ti­po di protezione ma devono fare do­manda d’asilo».
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La polemica di Calderoli con la Chiesa

Monsignor Vegliò a Calderoli: «Parlo a nome del Vaticano».

"È inaccettabile e offensivo, quasi che io sia responsabile della morte di tanti poveri esseri umani, inghiottiti dalle acque del Mediterraneo". Lo afferma in una nota mons. Antonio Maria Vegliò, Presidente del Pontificio Consiglio della Pastorale per i Migranti e gli Itineranti, rispondendo ad alcune dichiarazioni rilasciate giorni fa dal ministro per la Semplificazione Normativa Roberto Calderoli.
A Calderoli, che aveva detto che "le parole sugli immigrati pronunciate da monsignor Vegliò non sono quelle del Vaticano o della Cei da cui, anzi, spesso, lo stesso Vegliò è stato poi contraddetto", il presidente del Pontificio Consiglio della Pastorale per i Migranti e gli Itineranti risponde: "Al riguardo, con tutto il rispetto possibile e per amore di verità, vorrei asserire che: come Capo Dicastero ho il grande onore di fare dichiarazioni a nome della Santa Sede; mai sono stato contraddetto dalla Santa Sede; mai sono stato contraddetto dalla Conferenza Episcopale Italiana, forse il signor ministro aveva in mente altre situazioni o si riferiva a qualcun altro". "La mia dichiarazione partiva solo da un fatto concreto, tragico: la morte di tante persone, senza accuse, ma chiamando tutti alla propria responsabilità", conclude monsignor Vegliò.
Per ricordare i fatti: in un'intervista alla Radio Vaticana del 22 agosto, ripresa poi dall'Osservatore Romano del giorno successivo, mons. Vegliò aveva fatto sentire la sua voce sulla tragedia del Canale di Sicilia in cui sarebbero morti 73 eritrei, ribadendo il diritto all'accoglienza e al soccorso per i migranti irregolari che cercano di raggiungere le nostre coste. In quell'occasione Calderoli aveva fatto la dichiarazione sopra riportata.
Da parte sua, il ministro della Difesa, Ignazio La Russa commenta così le polemiche sorte a seguito della tragedia in mare dei migranti eritrei: "Ho grande rispetto per la Chiesa. Capisco la missione della Chiesa, che è quella della carità alla quale mi inchino, che deve essere esercitata nei confronti di tutti. Ma poi c'è una missione diversa che è di chi ha il dovere, prima che il diritto, di far rispettare la legge e appartiene alla politica e alle istituzioni. Fare rispettare la legge è sempre giusto", prosegue il ministro che osserva anche come "la polemica di Franceschini è fuori luogo, perché quel decreto sta dando grandi frutti. Basti pensare al numero di immigrati che sono sbarcati quest'anno: poche decine rispetto ai tanti degli scorsi anni che andavano anche a costituire un problema di ordine pubblico".
Sulla polemica è intervenuto più tardi anche il ministro degli Esteri Frattini, secondo cui "il diritto alla vita di ogni essere umano non è in discussione per nessuno, né per il ministro Calderoli, né per me, né ovviamente per la Chiesa. Altra cosa è applicare le regole europee, che esistono, sul respingimento di coloro che entrano non rispettando la legge in Italia o in qualsiasi altro paese d'Europa". Frattini, ai microfoni di Sky Tg24, ha quindi aggiunto: "Il problema è semplicemente fare una distinzione chiarissima: salvare la vita di chiunque sia in pericolo, cosa che abbiamo sempre fatto e sempre faremo, ed applicare le regole europee, che distinguono tra immigrati che rispettano la legge e immigrati che non rispettano la legge. Ed infine rifugiati, che sono un'altra categoria del tutto diversa".
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La tv dei portaborse

Rai: Di Pietro, È una costola di Mediaset governata da portaborse.
Dalle agenzie, Asca.

"La Rai cambi nome perché non è più una televisione di Stato ma una costola di Mediaset governata da portaborse alla corte dei partiti". Lo scrive il leader di Italia dei Valori, Antonio di Pietro sul suo blog.
"Dopo le nomine dei controllori della commissione di Vigilanza, dopo la spartizione del cda, dopo l'occupazione delle dirigenze, rinnovate a prescindere dalla meritocrazia e dall'operato degli uscenti, stiamo assistendo - dice Di Pietro - all'ultimo scandaloso show sul ritardo nelle nomine di tg3 e Raitre. Il temporeggiamento è dovuto all'attesa del congresso del Pd perché, se vincesse uno piuttosto che l'altro, la scelta dei portaborse per ricoprire le due poltrone vacanti sarebbe differente. Il Pdl, che si indigna per questo contrattempo, ha piazzato già da tempo i propri chihuahua praticamente in tutte le altre posizioni".
"Ma - prosegue il leader Idv - non è solo questa indecente occupazione della politica che ha trasformato la Rai da un servizio di pubblica utilità a cavia per privati interessi, quanto l'ingerenza Mediaset nella governance e negli economics delle televisioni di Stato. In 19 giorni d'agosto sono stati criptati 168 eventi della tivù pubblica su Sky, il che ha determinato, come prevedibile, importanti crolli di audience e dunque di appetibilità in termini di pubblicità delle reti di Stato. Il ruolo di una televisione di Stato è informare, educare e divertire i suoi cittadini e non scendere in guerra, nel ruolo di kamikaze, contro la concorrenza all'impero del presidente del Consiglio. Dopo aver dirottato la pubblicità di aziende statali o parastatali su Mediaset, il presidente del Consiglio, per mano di Mauro Masi, sta accingendosi a ridurre la Rai in pezzi facendogli perdere oltre a milioni di euro di Sky, ossigeno vitale per i conti economici dell'azienda, spettatori e pubblicità. E a fronte di cosa? Della bufala TivuSat: una scommessa alle spalle dei cittadini e dei dipendenti di Viale Mazzini persa in partenza e dalla quale si avvantaggeranno solo le aziende di famiglia Berlusconi".
"Italia dei Valori - conclude Di Pietro - nel suo programma di governo prevede l'estromissione della politica dalle nomine pubbliche a tutti i livelli, anche quelle Rai, la revisione del prezzo delle concessioni delle frequenze radiotelevisive a Mediaset (ora ad uno scandaloso 1% del fatturato), e una legge, mai voluta da destra e sinistra, sul conflitto di interessi che metta nell'impossibilità di vedere la figura di un ricco monopolista alla guida dell'Italia, così come accade nei Paesi sviluppati".
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Salvati altri 50 migranti

«Sta funzionando molto bene»
Frattini e la Libia. Solo parole.

Dalle agenzie - Asca, red.

Il ministro degli Esteri Franco Frattini nel corso della trasmissione Radio Anch'io, su Rai Radio Uno ha detto che l'accordo con la Libia per la prevenzione degli sbarchi di clandestini sulle coste italiane “sta funzionando molto bene”. Le motovedette fornite dall'Italia a Tripoli, ha proseguito il ministro, “sono lì a pattugliare quel tratto di mare”; i libici “le usano, le hanno usate, tant'è che in tre mesi” sono sbarcate “poche decine, pochissime centinaia di persone contro le 10/12mila dello scorso anno”.
Marina Sereni, vicepresidente dei deputati del Partito democratico, sottolinea per contro che “Il ministro Frattini sostiene che l'accordo con la Libia per la prevenzione dello sbarco dei clandestini sulle coste italiane sta 'funzionando molto bene'. Io non so se questo è vero, ma i dati del Viminale e le denunce dell'Alto commissariato delle Nazioni unite per i rifugiati, dicono che dal maggio scorso sono stati respinti centinaia di immigrati che secondo le convenzioni internazionali sottoscritte dall'Italia, avevano diritto di asilo”. “E a dimostrarlo – continua la Sereni - sta il fatto che i cinque eritrei sopravvissuti alla probabile strage in mare dei giorni scorsi saranno indagati per 'immigrazione clandestina', secondo la nostra nuova, inutile legge ma, come sostengono gli inquirenti, per loro non ci saranno conseguenze, se faranno richiesta di asilo. Soltanto una piccola parte di immigrati arriva via mare, la maggioranza varca le frontiere a piedi, in treno, in macchina. Ma di questo non si parla perché all'esecutivo Berlusconi interessano gli annunci, gli spot e le esibizioni come il prossimo volo sui cieli di Tripoli delle nostre Frecce Tricolori”.
Intanto circa cinquanta clandestini su un gommone sono stati salvati all'alba di questa mattina da una motovedetta della Guardia di Finanza Italiana al largo dell'isola di Lampedusa, come ha reso noto la Guardia Costiera di Roma.
Ribatte a Frattini anche il presidente dei senatori dell'Italia dei Valori Felice Belisario: “L'accordo con la Libia funziona? Certo, ma solo per Tripoli. Dalla Libia continuano ad arrivare gommoni e barconi carichi di disperati. Segno che i patti non vengono affatto rispettati da Gheddafi, che, oramai è chiaro: si è preso i soldi e non ha alcuna intenzione di soccorrere chi scappa da guerre e fame per cercare un futuro migliore”. “Frattini si rifiuta di vedere l'evidenza - continua Belisario - Gheddafi non è un partner affidabile e non ha alcuna intenzione di rispettare le intese con l'Italia. Per contro, il 30 Berlusconi andrà a Tripoli per rendere omaggio al rais, dimostrando un appiattimento senza precedenti”.
Anche il segretario del Prc-Se, Paolo Ferrero, in una nota rileva: “L'accordo con la Libia in materia di migranti viola palesemente il rispetto dei principi umanitari degli accordi di Ginevra. Si è prodotta una situazione per cui è l'Italia che adotta al ribasso gli standard libici e non viceversa, in modo cioè da elevare il trattamento di queste persone”.
Il Sinodo delle chiese valdesi e metodiste, riunito a Torre Pellice, ha condannato ieri le politiche del governo in tema di immigrazione. I circa 180 deputati che compongono il massimo organo decisionale della Chiesa valdese, metà pastori e metà laici eletti dalle comunità locali, hanno affrontato il tema nel loro primo giorno dei lavori. “La preoccupazione è fortissima ed è su diversi piani”, ha detto il pastore metodista Giovanna Vernarecci, che svolge anche la professione di avvocato a Genova, durante una conferenza stampa. “L'aspetto pericoloso di questa normativa - ha spiegato - non riguarda solo quegli aspetti che di fatto peggiorano la vita degli immigrati, come l'allungamento dei tempi per ottenere la cittadinanza, o le difficoltà per i ricongiungimenti”. A destare la preoccupazione delle Chiese evangeliche sono soprattutto le “due novità” introdotte dalla nuova legge e cioè l'introduzione del reato di clandestinità e la nuova disciplina per il rilascio o il rinnovo del permesso di soggiorno. “Il reato di clandestinità - spiega - va a colpire non una condotta ma ciò che una persona è”. La disciplina invece riguardo il permesso di soggiorno è “contro l'articolo 27 della nostra Costituzione secondo il quale nessuno può essere considerato colpevole sino alla condanna definitiva”. E aggiunge: “Come credenti ci troviamo di fronte alla necessità di affermare quanto questa normativa sia poco congruente con il messaggio evangelico”. La mattinata è stata aperta dalla relazione della Commissione d'esame che istruisce il dibattito sinodale, dedicata proprio al “pacchetto sicurezza”, una norma che finisce per moltiplicare “le occasioni in cui lo straniero potrà diventare clandestino” e quindi perdere “tutte le fondamentali tutele”. La Commissione, richiamando i fondamenti teologi dell'accoglienza allo straniero, ha quindi orientato il Sinodo ad esprimere un giudizio molto critico nei confronti dell'intera politica migratoria promossa dal Governo.
Una messa per ricordare tutti coloro hanno perso la vita nei viaggi della speranza, immigrati vittime di naufragi e di stenti in cerca della salvezza lontano da casa. Sarà il vescovo di Prato mons. Gastone Simoni a presiedere la celebrazione, dedicata in particolare ai 73 eritrei che la scorsa settimana sono morti nel tentativo di raggiungere le coste italiane, in programma sabato 29 agosto alle 18 nella cattedrale di Santo Stefano e teletrasmessa da Tv Prato. Quest'ultima “tragedia del mare” ha molto colpito la diocesi pratese che da anni intrattiene con la Chiesa eritrea forti legami, in particolare con l'eparchia di Keren, una delle tre diocesi del paese africano. “Vogliamo pregare per chi mette a repentaglio la propria vita e muore a causa di questi barbari trasbordi - spiega mons. Santino Brunetti vicario episcopale per gli immigrati della diocesi di Prato-, è una questione di giustizia internazionale e un dovere cristiano aiutare coloro che scappano con la morte negli occhi dai Paesi d'origine”. Alla messa sarà presente la comunità cattolica eritrea di Prato che al termine della celebrazione si ritroverà nei locali del duomo per un momento conviviale e di ritrovo, così come prevedono le loro usanze in caso di riti in suffragio di defunti.
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In gioco la civiltà della gente lodigiana

I leghisti nostrani stanno mettendo in forse una delle principali caratteristiche dei lodigiani: la civiltà. La parte democratica del centrodestra deve isolare l'intolleranza leghista che si sta sempre più connotando nel segno del razzismo. Per questo vanno denunciati gli atti irresponsabili della Lega che vanno nel segno di creare conflitti e tensioni là dove non ci sono.
Lodi. Gli islamici: a settembre posto per 30 fedeli.
Sorpresa in via Po: «La moschea riapre».
Rassegna stampa - Il Giorno di oggi.

«Alla fine di settembre apriremo un nuovo centro islamico a Lodi». Lo annuncia Shakshouk Sabri, responsabile della Moschea di via Lodivecchio. «Il centro, che sorgerà in via Po, sarà adibito anche a luogo di culto, e potrà accogliere dai 20 ai 30 fedeli». Ma quello di via Po non è un locale a caso. Già in precedenza l’ex negozio di abbigliamento, aveva ospitato al suo interno una piccola Moschea, ma venne fatta chiudere per due motivi: il mancato rispetto delle regole edilizie, dal momento che il progetto di ristrutturazione non era stato completamente rispettato e l’impossibilità, secondo la legge regionale 12 sull’urbanistica, che in quel luogo potesse sorgere un centro di culto. Una questione legata alla destinazione d’uso.
Oggi però, stando a quanto dice il responsabile della Moschea, «i lavori di regolarizzazione del locale sono stati effettuati e il locale preso in affitto vedrà sorgere al suo interno la seconda piccola Moschea di Lodi». Non tutti nella zona però vedono di buon occhio la cosa, come spiega un residente. «Non ho nulla contro gli islamici, però non credo che all’interno di un condominio sia il caso di farci una Moschea. La cosa potrebbe creare molti disagi, sia ai fedeli che ai residenti. Sono d’accordo col fatto che sia loro diritto avere un luogo di culto, e nello stesso modo credo nell’integrazione e nella convivenza, però questa mi pare piuttosto invadente come cosa e mi domando se non c’era un posto più consono». Ma la questione della nascita di un nuovo centro islamico in via Po non è detto affatto vada come previsto dalla comuunità islamica. La legge regionale, infatti, esclude che in zona possa essere aperto un luogo di culto, come fanno sapere da Palazzo Broletto. Al massimo, un centro culturale. Intanto oggi il sindaco Lorenzo Guerini incontrerà la comunità islamica, dopo le dichiarazioni del sindaco di Casalpusterlengo, per ribadire che a Lodi nelle attuali sedi della comunità, c’è possibilità di accogliere solo i fedeli di Lodi.

Casale, la replica del sindaco.
«Pregare in piazza? Gesto intollerabile».

Mario Borra.

«Moderi i toni e non faccia provocazioni. Eventuali iniziative come per esempio la preghiera in piazza per protesta, non saranno tollerate». Il sindaco Flavio Parmesani risponde a distanza al responsabile della moschea di Lodi che sabato aveva invitato i fedeli islamici ad andare in piazza del Popolo a pregare qualora non si trovasse una soluzione alla chiusura del luogo di culto casalese previsto per domani. Il primo cittadino, dunque, ribadisce che non vi saranno passi indietro circa la decisione di chiudere la moschea di Casale e che il Comune cercherà nel limite del possibile «di dare una mano per trovare una soluzione, ma senza regalare nulla a nessuno». Parmesani sottolinea che l’amministrazione non può «fare più di tanto» per risolvere il problema della possibile mancanza di spazi di preghiera soprattutto nel periodo del Ramadan che terminerà il prossimo 21 settembre. Poi ribadisce che non vi è nessun tipo di decisione ideologica.
«È un provvedimento tecnico, non politico, tenuto conto che la chiusura sarà firmata dal funzionario». Comunque Parmesani lascia intendere che «tutto quello che è fuori dalla normativa non sarà tollerato», facendo riferimento alla possibile protesta in piazza. Infine, il primo cittadino ha ricordato che anche il capannone dei Lavoratori Credenti a Zorlesco verrà chiuso perché non è a norma. «La decisione sarà presa a dicembre». Durissimo il commento di Leopoldo Cattaneo del Partito comunista dei Lavoratori. Sono solo scuse per promuovere politiche contro gli immigrati. Anche quella dei Lavoratori Credenti è funzionale solo a colpire i cittadini extracomunitari che si rivolgevano alla struttura».
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L'intolleranza della Casale leghista fa scuola

Questione moschea e Ramadan, tre articoli oggi su Il Cittadino, rispettivamente di Andrea Bagatta, Sara Gamberini e Greta Boni.
Il comune si impegna a trovare una sede alternativa per far chiudere il Ramadan, poi forse il trasferimento fuori città.
Domani chiude la moschea di Casale.
Ieri l’annuncio del sindaco all’imam: «Firmerò l’ordinanza».

Rassegna stampa.

Chiude domani la moschea di Casale, ma l’amministrazione si impegna a trovare subito un luogo di culto alternativo e temporaneo fino alla fine del Ramadan.
Il sindaco Flavio Parmesani ha comunicato ieri sera ai responsabili islamici della struttura che domani firmerà l’ordinanza, immediatamente esecutiva, con cui impone l’allontanamento della comunità musulmana dalla sede di via Fugazza.
In seguito al sopralluogo dello scorso luglio, l’amministrazione ha evidenziato diversi rilievi tecnici sia al proprietario dello stabile, l’italiano casalino D.V., sia agli affittuari islamici. Diversi i problemi riscontrati, tutti di carattere edilizio: irregolarità nel posizionamento dei condizionatori a parete, un abuso riguardante un’opera in cartongesso non denunciata, e soprattutto una mancata variazione di destinazione d’uso dello stabile, un illecito che ha rilevanza penale sia per il proprietario italiano sia per gli affittuari stranieri. Infatti, sebbene fosse utilizzato da anni come sede dell’associazione islamica, l’immobile ha ancora una destinazione d’uso di tipo artigianale. Domani scadranno i termini per la presentazione di eventuali osservazioni da parte del proprietario o da parte degli affittuari, ma anche ne dovessero pervenire non si modificherebbe l’esito del procedimento: appena passati i termini, il sindaco firmerà un’ordinanza, immediatamente esecutiva, per il ripristino della destinazione d’uso originaria. A quel punto, l’addio da parte della comunità islamica diventerà automatico, a meno che i musulmani non vogliano occupare abusivamente lo stabile. Tecnicamente, il proprietario italiano potrebbe chiedere una variazione alla destinazione d’uso in sanatoria, e in tal modo bloccare ogni provvedimento, ma non pare che il casalino sia orientato a tale soluzione.
Il braccio di ferro sarà evitato anche perché, nel frattempo, l’amministrazione lavora anche per una soluzione concordata, e per trovare una sede temporanea, in regola con permessi e destinazioni d’uso, almeno fino alla fine del Ramadan, prevista per il 19 settembre. Già questa mattina i responsabili della comunità islamica effettueranno due sopralluoghi insieme all’assessore Luca Peviani per valutare condizioni d’uso e sistemazioni alternative. La più probabile prevede l’utilizzo della tensostruttura fissa all’interno del centro sportivo della Ducatona, ma si stanno valutando anche altre soluzioni. «Abbiamo lavorato perché si risolvesse con buon senso la vicenda - dice il sindaco Flavio Parmesani -. Nella sede di via Fugazza non era possibile mantenere l’associazione, ma ci impegniamo a trovare una soluzione pubblica, alternativa e temporanea, fino al 22 o 23 settembre, dopo la fine del Ramadan. In seguito, la comunità ci ha già comunicato l’intenzione di voler acquistare un luogo idoneo nella Bassa, non necessariamente a Casale».

Il leghista Negri sulle mosse di Casale.
No all’ipotesi moschea: «Anche Codogno fermi l’ondata degli stranieri».

Da Casale spira una nuova aria, ma Codogno non ha intenzione di lasciarsi travolgere. La Lega Nord brucia tutti sul tempo e per voce del segretario Andrea Negri invoca pugno duro: «La nostra città è sempre stata abbastanza tranquilla - dichiara Negri - ma dopo gli ultimi provvedimenti della neo giunta Parmesani quel che temo è che possano arrivare a Codogno conseguenze non indifferenti». Effetti di cui il leader del Carroccio parla chiaramente, prendendo quindi posizione rispetto all’ipotesi emersa recentemente relativa all’insediamento di un nuovo centro culturale islamico in zona Mirandolina, sostitutivo di quello di via Fugazza a Casale.
«Il fatto che a Casale il centro islamico sia in chiusura, non vuol dire che debba essere Codogno ad assorbirne l’utenza - precisa Negri - soprattutto perché l’area della Mirandolina non è adatta a questo tipo di struttura; pertanto - aggiunge l’esponente leghista - il nostro gruppo prenderà una posizione netta rispetto a qualsiasi discussione futura che sia legata a questa ipotesi». Dichiarazioni, quelle di Negri, che giungono esclusivamente dal partito di Umberto Bossi e dunque lontane da qualsiasi discussione consiliare ferma per il momento alle ferie estive. «Ad ogni modo, credo che la nostra sia una posizione condivisibile dall’intera maggioranza» dice ancora Negri. Per il leader del Carroccio però i problemi non sono soltanto quelli della moschea e del Ramadam. «Col giro di vite dalla neo giunta Parmesani e con l’avvento di provvedimenti e restrizioni, il rischio è che gli stranieri non vedano più in Casale il limbo di sempre e comincino a spostarsi nei comuni limitrofi, per esempio a Codogno» prospetta Negri. Una realtà da non sottovalutare per l’esponente leghista che, in via preventiva ha già pensato di proporre alla maggioranza alcuni possibili rimedi. «Uno dei provvedimenti da considerare è senz’altro quello di inserire come criterio per l’accesso ai contributi comunali la residenza a Codogno da 5 anni in su» anticipa Negri, che non esita però a sottolineare l’efficacia e l’efficienza con cui l’amministrazione Dossena ha affrontato il fenomeno immigrazione, ricordando tuttavia nella contingenza la necessità di riunirsi a settembre per studiare ulteriori misure di controllo, affinché Codogno non giunga impreparata all’arrivo di nuovi abitanti stranieri.

A Castiraga gli islamici non si vedono, ma Il Pellicano non smonta la moschea.

Castiraga - I musulmani non si sono recati a Castiraga Vidardo per pregare in occasione del Ramadan. L’amministrazione comunale ha controllato durante tutto il week end gli spostamenti attorno al tendone messo a disposizione per gli islamici dalla comunità Il Pellicano. Nonostante la giunta guidata da Oscar Fondi abbia chiesto all’associazione di rimuovere la struttura entro tre giorni, fino a questo momento la “moschea” si trova ancora allo stesso posto. «La comunità ha inviato una serie di controdeduzioni - afferma il sindaco -, spiegando che si tratta solo di un tendone e non di un’opera in costruzione, per questo non è stato avvisato nessuno. Inoltre, Il Pellicano sostiene che non vi sia alcun problema di viabilità, un’osservazione rispetto alla quale non siamo per niente d’accordo». La scorsa settimana il primo cittadino di Sant’Angelo, Domenico Crespi, aveva sottolineato che non esistevano aree cittadine da mettere a disposizione degli islamici. Proprio per questo motivo, i musulmani avevano deciso di spostarsi proprio a Vidardo, dove la comunità Il Pellicano, guidata da Peppo Castelvecchio, aveva allestito uno spazio per la preghiera. Il comune di Castiraga, però, ha appreso la notizia soltanto dai giornali. Così, dopo aver riunito urgentemente la giunta, ha deciso di prendere carta e penna e scrivere all’associazione di rimuovere entro tre giorni il tendone. L’amministrazione ritiene che Il Pellicano avrebbe dovuto interpellare il sindaco prima di mettersi all’opera, in modo da trovare una soluzione condivisa. Inoltre, la giunta ritiene che la presenza di centinaia di fedeli potrebbe causare seri problemi alla viabilità del paese. «Teniamo monitorata la situazione - aggiunge Fondi -, anche nei prossimi giorni, in ogni caso non abbiamo riscontrato strani spostamenti». Anche l’assessore alla sicurezza, Giacomo Fauser, nel corso del week end ha effettuato una serie di sopralluoghi, insieme alla polizia locale. Nel corso della settimana l’amministrazione comunale cercherà di contattare direttamente il responsabile della comunità, in modo da risolvere la questione.
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Autunno caldo per molte famiglie

Lever di Casale: in 64 escono dall’industria dei detersivi.
Rassegna stampa - Il Cittadino di oggi, Lorenzo Rinaldi.

Casale - Dopo i recenti tagli che hanno accompagnato la più pesante riorganizzazione aziendale del Lodigiano, si torna a produrre a pieno regime alla Unilever di Casale. La conferma arriva dai sindacati di categoria, che indicano come la multinazionale nella Bassa si sia concentrata sulla produzione di detersivi liquidi, oggi graditi dal mercato. Dati significativi arrivano anche dal consueto rapporto stilato dai sindacati su quanti lavoratori in esubero hanno trovato nuova occupazione. La cassa integrazione straordinaria alla Unilever era partita per un totale di circa 160 lavoratori: ad oggi le uscite volontarie, dietro pagamento di un incentivo economico da parte della ditta, sono state 64. Una buona parte dei lavoratori passati dalla cassa straordinaria alla mobilità sono stati poi assunti dalla Arvedi di Cremona, una ditta specializzata nella lavorazione dei metalli. «I lavoratori che sono passati alla Arvedi sono una trentina - spiega Francesco Cisarri, segretario provinciale della Felcams Cgil -, a settembre dovrebbe inoltre esserci una nuova “ondata” di assunzioni: ci risulta che alcuni colloqui siano già stati fatti. Infine qualcosa potrebbe arrivare anche a novembre e sempre in questo caso sarebbe la Arvedi ad avere intenzione di assumere nuovo personale». Attualmente, secondo la Cgil lodigiana, tra i lavoratori ritenuti in esubero dalla Unilever, quelli che restano in cassa integrazione straordinaria sono 85. Un numero ancora molto elevato e che peraltro potrà essere soltanto “limato” dalle nuove assunzioni previste dall’espansione della Arvedi di Cremona. Per molte famiglie, dunque, l’autunno si presenta caldo.
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Sospensione "feriale" per il reato di clandestinità

Non è stata ancora fissata alcuna udienza per il “reato di clandestinità” anche se i termini scadrebbero oggi.
Il “pacchetto sicurezza” va in vacanza.

Rassegna stampa - Il Cittadino di oggi, Carlo Catena.

Era lunedì 10 agosto quando la tenenza di Casalpusterlengo della guardia di finanza e i carabinieri della compagnia di Codogno si contendevano la prima denuncia per il “reato di clandestinità” introdotto dal “pacchetto sicurezza”, legge 94 del 2009. Secondo l’articolo 20 bis della norma (che va a integrare la Turco - Napolitano così come aveva già fatto a suo tempo la Bossi - Fini) l’indagato deve comparire “nei 15 giorni successivi“ per il giudizio immediato innanzi al giudice di pace, almeno che il pubblico ministero non decida di archiviare il caso, cosa che non risulta sia avvenuta per la quindicina di clandestini finora denunciati nel Lodigiano.
Ma nessuno degli “addetti ai lavori”, a tutto ieri, aveva ricevuto notifiche o convocazioni né per oggi né tantomeno per domani per udienze che, per competenza, dovrebbero tenersi presso il giudice di pace di Codogno. Gli atti erano stati trasmessi dagli organi di polizia giudiziaria alla procura della Repubblica di Lodi, e dovrebbero essere già stati informati anche gli avvocati, quasi tutti d'ufficio, degli stranieri.
Ma gli uffici del giudice di pace non hanno udienze in calendario fino al 15 settembre, termine della canonica “sospensione feriale” che scatta dall’ultima settimana di luglio, e fino alla scorsa settimana chi si occupa del coordinamento dei giudici di pace non aveva ancora avuto indicazioni sulla necessità di fissare udienze straordinarie per questo nuovo reato. Più di un avvocato, leggendo la norma, si aspettava invece che ciò accadesse. Come avviene, ad esempio, nei processi per “direttissima”, gli unici che si celebrano nel periodo estivo nei tribunali penali. Sembra invece che presso altri tribunali d’Italia sia già stata adottata con chiarezza la linea di rinviare a settembre i processi per clandestinità, almeno per questa prima estate di efficacia della legge operativa dall'8 agosto.
I clandestini denunciati sono rimasti quindi tutti a piede libero, mentre anche gli avvocati non nascondono una certa curiosità. Il giudice di pace potrebbe comminare un’ammenda da 5 a 10mila euro oppure prima ancora delle udienze il questore, che già per tutti ha formalizzato l'ordine di espulsione, potrebbe eseguire l’accompagnamento coatto alla frontiera. Ma c’è anche la possibilità che il giudice applichi, invece dell'ammenda, l’espulsione come sanzione sostitutiva.
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Acli, la nuova sede alla Casa della Gioventù di Lodi

Tra servizi del Caf e del patronato una decina di impiegati e alcuni volontari si occupano di migliaia di pratiche ogni anno.
Apre i battenti la nuova sede delle Acli.
Da ieri uffici e ambulatori si trovano alla Casa della Gioventù.

Rassegna stampa - Matteo Brunello, Il Cittadino di oggi.

Rinasce un pezzo della “storica” Casa della Gioventù di Lodi. Nel complesso di viale delle Rimembranze, al civico 12/B, ha aperto infatti i battenti la nuova sede delle Acli. Uno spazio interamente ristrutturato, che ospita i vari servizi offerti delle Associazioni cristiane lavoratori italiani: dal patronato con le attività di orientamento per pratiche pensionistiche e previdenziali, al Caf che consente il disbrigo delle pratiche fiscali, fino alle varie iniziative del movimento associativo. Il trasferimento ufficiale è avvenuto ieri, con gli uffici che hanno cominciato a riempirsi di utenti già dalla mattina (prima gli operatori Acli si trovavano in viale Trento Trieste). Mentre l’inaugurazione è in programma per il primo ottobre, con la presenza annunciata di diverse autorità del territorio. Il nuovo quartier generale non è lontano dal centro storico cittadino e sorge in un edificio di alcuni piani, dove in quello rialzato sono state collocate le varie attività del patronato, con la messa a disposizione di postazioni per ricevere il pubblico, poi una sala che verrà anche adibita a studio per le visite mediche, oltre agli uffici. Inoltre al primo piano, si sono già insediati gli impiegati del Centro assistenza fiscale, in più in un ampio salone ci sono anche gli uffici della presidenza, delle varie segreterie e delle associazioni del sistema Acli. «Sono spazi più consoni alle nostre esigenze, per disposizione dei locali e organizzazione - ha spiegato il presidente provinciale Acli, Angelo Peviani (a fianco al vice presidente vicario, Franco Uggeri e al segretario organizzativo, Anteo Calcamucchio) - in termini di ampiezza non cambia molto rispetto a viale Trento Trieste, anche qui sono circa 200 metri quadrati in tutto, ma così esiste una maggiore distinzione tra le varie attività che svolge l’Acli, come Caf e patronato. Abbiamo poi ottenuto questi locali in comodato d’uso dalla diocesi e ci siamo impegnati a sistemarli. Una ristrutturazione che è partita a fine gennaio 2009 e ora è pressoché giunta al termine». Ancora ieri erano in corso alcune rifiniture esterne, mentre sono anche previste delle sistemazioni di uno spazio di cortile. La porzione di palazzina, nell’ambito del complesso della Casa della Gioventù, è stata dotata anche di un ascensore esterno, per facilitare l’ingresso dei diversamente abili, oltre che per agevolare l’accesso dei molti utenti che tutto l’anno si rivolgono alla associazione cristiana. Una media, che secondo i responsabili Acli lodigiani, raggiunge anche diverse migliaia di pratiche annue, tra Caf e patronato. Il servizio è gestito per Lodi da una decina di dipendenti e alcuni volontari. Gli orari d’ufficio, per adesso sono dal lunedì al venerdì, dalle ore 9 alle 13, e dalle 15 alle 19.
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