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martedì 8 settembre 2009

In attesa d'un vero salto di qualità

Squadre speciali per le grandi pulizie.
Ma da noi non saranno inviate.

Rassegna stampa - Il Giorno di oggi, Tiziano Troianello.

Trenitalia tenta la riscossa. Ma nel Lodigiano ancora timidamente. Dopo anni di disagi e disservizi in cui i pendolari sono stati pesantemente bistrattati, ora le Ferrove dello Stato provano a riscattarsi e pensano un po' a loro. I vertici dell’azienda lo avevano annunciato: «Completata la linea ad Alta Velocità Milano-Napoli penseremo a riqualificare il traffico locale», avevano assicurato. Studenti e lavoratori di tutti i giorni non aspettano altro ed attendono le ferrovie alla prova. Il tentativo di inversione di tendenza, in Lombardia, pare essere scattato ieri. Grazie ad un piano messo a punto con la collaborazione della Regione sono state previste nuove corse, maggiore assistenza al cliente attraverso la presenza dei «berretti gialli», un programma di manutenzione straordinaria ed un adeguamento degli strumenti a disposizione del personale viaggiante. Assai timidi sono in verità i segnali che si registrano nel Lodigiano, terra comunque di «grandi pendolari». In base ai dati ufficiali di Trenitalia infatti sono circa 12 mila e 500 tutti coloro che ogni giorni utilizzano la stazione di Lodi, 6 mila e 500 coloro che accedono a quella di Codogno e 4 mila e 600 quelli che sfruttano lo scalo di Casalpusterlengo. Sulla linea Milano-Piacenza viaggiano 12 mila persone al giorno, sulla Milano-Mantova 11mila e sulla Codogno-Casale-Pavia 1.600. Ma torniamo alle novità. Nel Lodigiano, da ieri sono state inserite nove navette che effettuano il tragitto Codogno-Piacenza e Piacenza-Codogno. Questi treni, previsti dal lunedì al sabato, intendono rendere meno pesanti i disagi provocati dal crollo del ponte sul Po della via Emilia ed offrire un’opportunità in più per tutti coloro che ogni giorno fanno la spola tra basso lodigiano e piacentino.
Sono cinque le navette che vanno verso sud. Partono da Codogno alle 6,20, alle 7,17, alle 8,42, alle 13,10 e alle 19,07, fermano tutte a Santo Stefano Lodigiano ed arrivano a Piacenza mediamente quindici minuti dopo. Quattro sono invece quelle verso nord. Partono da Piacenza alle 6,52, alle 7,43, alle 12,42 ed alle 17,56. «Questo è sicuramente un segnale positivo — commenta qualche pendolare di San Rocco al Porto —. Peccato però non aver fatto uno sforzo in più e, data l’eccezionalità della situazione, non aver creato un punto di fermata straordinaria anche nel nostro paese, sprovvisto di stazione». Ieri, nella giornata d’esordio, sono stati qualche decina coloro che hanno beneficiato del servizio, ma è ipotizzabile che il numero possa crescere con la ripresa di scuole ed università e man mano che nuove persone ne verranno a conoscenza. Per quanto riguarda i berretti gialli invece (dipendenti delle ferrovie che hanno il compito di assistenti di linea per fornire informazioni ai viaggiatori), ne verrà inserito uno solo entro fine mese per le linee su Cremona. Trenitalia e Regione hanno anche predisposto ed attivato squadre per la manutenzione straordinaria preventiva dei convogli. Nessuna opererà nelle stazioni lodigiane. In generale i pendolari del Lodigiano non si lamentano tanto per il numero di treni a loro disposizione ritenuto tutto sommato soddisfacente (sono circa 90 i treni che si fermano ogni giorno a Lodi, 50 a Casale e 60 a Codogno diretti verso tutte le direttrici), quanto piuttosto per le condizioni di viaggio (pulizia, temperatura interna, posti a sedere e ritardi). È su questi terreni che da Trenitalia si aspettano nei prossimi mesi un grosso salto di qualità.
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Al bar del centro sportivo

Nelle pagine di "Lettere & Opinioni" Il Cittadino oggi pubblica una lettera di Patrizia Raise.
Brembio. Tutti da Piera a mangiare il gelato.
Rassegna stampa.

Buongiorno, ormai da qualche tempo a questa parte è diventata un’abitudine sentirmi dire «andiamo da Piera a mangiare il gelato?», bicicletta e via al campo da Piera e Pierino, si entra ci si siede al fresco, la barista ha pensato bene mettere sotto i tavolini delle lampade per le zanzare, cosi ci mordono poco. Si chiacchiera, i bambini possono giocare al parchetto adiacente, insomma si può passare una serata piacevole, e a volte possono uscire discorsi dei tempi andati e di vecchi e sani ricordi dialettali della nostra zona. Tutto questo per elogiare due persone che si sono buttate in questa avventura o «matada» come dice Pierino.
Avventura affrontata con tanta voglia di far funzionare una piccola realtà brembiese che ha sempre o quasi incontrato difficoltà e dissensi. A distanza di nemmeno un anno dall’inizio di quest’avventura, le cose sono migliorate non è stato facile entrare nella testa delle persone e far capire che le cose si possono cambiare, i nuovi gestori ci stanno riuscendo, in paese si sentono commenti positivi sul bar del campo. Per molti è diventato un modo di dire: «Vo da Riboldi a beu el bianc», «endem da Piera a mangia un gelato». I clienti hanno identificato il bar in Piera e Pierino, un po’ come ai vecchi tempi quando in piazza c’era la latteria e per tutti era Mistero e Teresa. Questo dimostra che basta aver voglia di fare con semplicità e le cose tornano a funzionare. Di problemi ce ne sono tanti e tanti sono stati superati e sicuramente se ne presenteranno di nuovo. L’impegno costante va oltre tutte le problematiche. L’augurio è di continuare con questa voglia di fare bene, con la consapevolezza di aver anche rinunciato ai propri hobby. Sarà il bar del centro sportivo, ma per molti di noi è diventato molto semplicemente senza alcuna pretesa il bar di «Piera e Pierino».
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Se il Comune non lo fa adottiamole noi

Una vecchia idea proposta all’amministrazione un po’ di tempo fa, caduta purtroppo nel nulla come tante altre.
Adottiamo una panchina e il paese sarà più bello.

Come a Parigi. Sui viali del parco, all’ombra dei platani centenari, gli operai sono al lavoro. Tra pochi giorni, i potenziali “compratori” potranno passeggiare per fare la loro scelta. Con una cifra modesta, gli amanti del bello, potranno regalare alla loro città una panchina. I benefattori avranno una targa col proprio nome che rimarrà per sempre legata al bene donato.
“Abbiamo bisogno di fondi per i lavori di ristrutturazione, per questo pensiamo di fare appello anche ai piccoli mecenati” racconta il responsabile della ricerca di sponsor al Jardin des Plantes, antico parco chiamato “Giardino del Re”, ha appena lanciato la campagna “Adotta una panchina” 255 banchi in legno o ferro battuto sono in cerca di madrina o padrino. Così dal 7 settembre sarà aperta l’asta delle nuove panchine, allineate in questi giorni sui viali principali. Anche in Italia ci sono già state iniziative di questo tipo. Da tempo, il FAI offre di patrocinare alberi e panchine in luoghi storici e artistici. Alcune città hanno organizzato programmi con i quali i cittadini possono finanziare direttamente la manutenzione di arredi urbani nei propri quartieri. Nel listino del comune di Firenze, per esempio, il restauro di una panchina valeva 500 euro, la potatura di una aiuola 1000 euro, la costruzione di un altalena 1500. (da Repubblica.it)
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Feltri ritorni nei ranghi

Qui è Feltri a uscire fuori dai ranghi.
Rassegna stampa - Il Secolo d'Italia di oggi, Flavia Perina.

Lo diciamo subito: abbiamo una certa difficoltà a rispondere all'articolo con cui Vittorio Feltri ieri ha "picconato" Gianfranco Fini. Non per le argomentazioni che presenta, ma per la frase conclusiva «consiglio non richiesto: rientri nei ranghi» che ci pare una gentile metafora dell'antico «tornate nelle fogne» e scuote persino il nostro rinomato aplomb. Ma la civiltà del confronto richiede dialogo comunque, e dialogo sul merito. Allora, ecco qui.
Feltri contesta a Fini di «fare retromarcia su immigrazione, biotestamento e persino sui gay». È la metafora del "compagno Fini" che - peraltro - è stata costruita proprio dal Giornale nel febbraio scorso, quando Stenio Solinas indicò il presidente della Camera come «leader ideale» del Pd riferendosi ai moniti sui diritti degli immigrati, sulla laicità dello Stato e contro il cesarismo.
Si era allora in tutt'altra fase politica, all'antivigilia del congresso di fondazione del Pdl. L'articolo su Fini «leader del Pd» fu derubricato a una provocazione-scherzo, anche perché aveva la leggerezza del corsivo ed era firmato da una persona che proviene dal nostro mondo e che almeno all'epoca della sua giovinezza sullo "sfondamento a sinistra" non avrebbe avuto nulla da obiettare.
Adesso, con la firma del direttore Vittorio Feltri e quel titolo a tutta pagina sbattuto nelle rassegne stampa («Dove vuole arrivare il compagno Fini»), la polemica assume un altro sapore.
Anche perchè chi segue Feltri sa bene che la libertà intellettuale del presidente della Camera è stata sempre apprezzata dal giornalista milanese, persino nelle incandescenti giornate del dicembre 2007, quando Feltri invitava Forza Italia ad ascoltare Fini perché - scriveva allora su Libero - «non ha tutti i torti» e inoltre «è considerato l`uomo politico più stimabile», non lo si può «scaricare con una scrollatina di spalle». Continuava Feltri, entrando nel merito di temi politici: «Anche io come Fini non sono mai stato fascista pur apprezzando le opere di Mussolini (quelle buone). Come lui sono laico e ai referendum di alcuni anni fa (fecondazione assistita) votai una sfilza di sì. Come lui penso che studiare il Corano non conduca all`islam e semmai allontani da esso. Come lui penso che la destra debba evolversi e abbandonare posizioni bigotte, antiquate». Non basta? Andiamo avanti. «La spiritualità, i valori della religione, Dio, la speranza di andare in paradiso e tutte quelle belle cose sono affari strettamente personali, non prerogative di un partito». E ancora: «Fini non è credente? Non lo sono neanche io. E allora? Ci condanni al rogo? Curioso. Non mi fido di chi impone la sua fede e i suoi pregiudizi per statuto. Preferisco la libertà e me la prendo». A corredo del pezzo, un titolo significativo: «Meglio Fini di chi vuole imporre tutto». Questa lunga citazione ci dice che il direttore del Giornale fino a poco tempo fa non solo si sentiva solidale con Fini, ma condivideva la sua visione di un centrodestra di tipo europeo, libero dal ringhio minoritario in materia di etica, immigrazione, diritti, e dove comunque ci fosse libertà di parola per tutti. Ma persino il "nuovo" Feltri, quello che ieri ha messo nero su bianco l`invito a rientrare nei ranghi, deve ammettere che sul tema più caldo del momento (il testamento biologico) «molti sono daccordo con Fini, perfino nel Pdl, me compreso».
E allora? Qual è il problema? Tecnicamente l'invettiva del Giornale è appesa al fatto che Fini a Genova avrebbe criticato il quotidiano per l'affaire Boffo, ma è un appiglio risibile: la frase testuale del presidente della Camera («Fermiamoci, fermatevi, perché se si continua con quello che si è visto negli ultimi due mesi, si imbocca una china pericolosa») non lasciava dubbi sull'intenzione di dare un segnale a tutto campo, certo non limitato alla vicenda di Avvenire. Insomma, ogni dettaglio fa pensare che l'attacco a freddo vada ancorato a un contesto più ampio, dove le ragioni "di merito" sono esili e contano di più altre suggestioni. E quindi che al di là delle risposte giornalistiche - quelle che abbiamo visto - la situazione richieda una risposta politica anche perché Gianfranco Fini non è solo il presidente della Camera, non è solo il cofondatore del Popolo della libertà, ma si è qualificato come punto di riferimento di un'idea di destra maggioritaria, che per la prima volta (come abbiamo cercato di spiegare nel nostro ultimo domenicale) trova una espressione politica forte e trasversalmente apprezzata.
È, come ha scritto Luciano Lanna, «una destra non ideologica, sobria e meritocratica, colta e risorgimentale, elegante e rigorosa, laica e non bacchettona, libertaria e attenta ai diritti e non retorica, diffidente della società di massa e dell'antipolitica». L'esatto contrario - e qui la citazione è di Alessandro Campi - della destra «populista, rabbiosa e urlante che si è praticata in questo Paese», della destra di stampo qualunquista o, peggio, "lepenista" in cui tanti hanno immaginato a lungo di sterilizzare tutto il nostro mondo per renderlo folkloristico e irrilevante, pago di vedersi elargire le briciole del potere gestito da altri.
Se davvero fosse questo il senso dello sgradevole invito di Feltri a «tornare nei ranghi», crediamo che ci sia un problema nel Popolo della libertà. Non lo abbiamo scelto per recitare un ruolo che avremmo tranquillamente potuto esercitare con i nostri simboli storici, chiudendoci nella enclave del dieci-dodici per cento e lucrandone i piccoli-grandi vantaggi personali tipici delle minoranze: seggi, poltrone, finanziamenti da gestire in proprio, padroni in casa nostra. Altre ambizioni avevamo e abbiamo. Le abbiamo dichiarate, arricchendo il dibattito congressuale e post-congressuale del Pdl. Su di esse abbiamo acquisito consensi non marginali, non ultime le aperture di importanti esponenti della ex-Forza Italia (pensiamo alla bella intervista di Franco Frattini al Corriere sul tema della laicità). Tutto ciò è un valore aggiunto per il Pdl, il polmone di un confronto non ideologico sulla realtà che rappresenta a nostro avviso - il vero nocciolo della rivoluzione berlusconiana, quella delle origini, a cui siamo senz'altro più fedeli noi che i teorici dell'ordalia quotidiana e del giochino "a chi è più di destra". Anche perché quel giochino sta quotidianamente snaturando il profilo del Popolo della libertà e tradendo la sua stessa denominazione con l'immagine di un partito becero, nevrastenico, con la bava alla bocca, che abbaia contro gli avversari e adesso anche contro gli alleati con un furore non giustificato dai fatti.
Non sappiamo se abbia ragione Campi, se la partita che così confusamente si è aperta sia davvero quella del dopo-Berlusconi. Ma sicuramente crediamo che, qualunque sia, non tocchi ai giornali e ai loro direttori gestirla a suon di invettive: c'è un partito, c'è un leader, ci sono coordinatori, organi politici, assemblee di dirigenti, comitati centrali. La politica, per come la vediamo noi, si fa in quelle sedi (che non sono "ranghi").
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Seppellire la mummia

L`editoriale.
Fini? Torni a dire qualcosa di destra
.
Rassegna stampa - Libero di oggi, Maurizio Belpietro.

Fini è oggi l'oggetto più misterioso della politica italiana. Di Berlusconi, Bossi, Casini, Di Pietro e perfino di Franceschini sappiamo praticamente tutto, conosciamo le idee, intuiamo le mosse future e anche le ambizioni farlocche. Nessuno di loro è dunque in grado di riservarci grandi sorprese per il futuro, al massimo di darci conferme. Del presidente della Camera invece si sa praticamente nulla. O meglio: è noto quel che pensa a proposito di testamento biologico, immigrati e inchieste giornalistiche varie, ma non si capisce dove voglia andare a parare e quale sia la sua strategia, ammesso che ne abbia una. In poche parole, non è chiaro cosa Fini intenda fare da grande e perché si discosti sempre più dalla sua storia. L'interpretazione di Vittorio Feltri, ieri su il Giornale, è che l'ex delfino di Almirante ambisca a salire in tutta fretta le scale del Quirinale e per questo abbia dismesso le sue idee di destra per indossare quelle più comode della sinistra, nella speranza di essere poi ricambiato con i voti che gli mancano per issarsi sul Colle più alto della politica. Non so se sia vero, ma è una tesi suggestiva, che potrebbe spiegare perché da un po' di tempo a questa parte l'ex capo di Alleanza nazionale fa discorsi che non dispiacciono agli iscritti del Pd, tanto che alla Festa dell'Unità questi si sono spellati le mani per applaudirlo. Ma così fosse, vorrebbe dire che Fini ha battuto la testa e delira. Pensare che basti corteggiare la sinistra per diventare capo dello stato è infatti una scemenza che si spiega solo con una brutta botta. Innanzi tutto perché degli ex comunisti non voteranno mai uno che considerano pur sempre un ex fascista, anche se convertito, e poi perché i voti di Pd e compagni non bastano, senza quelli di PdL e Lega, a fare il gran salto. Certo, so bene che la sinistra piuttosto di eleggere Berlusconi alla presidenza della Repubblica sarebbe pronta ad allearsi col diavolo, ma anche il Cavaliere piuttosto di vedere Fini sul Colle farebbe altrettanto.
E poi Silvio, non riuscisse a prendere il posto di Napolitano, ha sempre pronta una riserva, ossia il suo alter ego, Gianni Letta, che per abilità di mettere d'accordo tutti, sinistra compresa, batte Fini sei a zero. Dunque, se Gianfranco non è ammattito, cosa che personalmente escludo, perché si comporta in tal modo, a rischio di passare per voltagabbana e di beccarsi gli improperi degli ex camerati che lo vedono armeggiare col nemico? L'idea che mi sono fatto è che il presidente della Camera non lavori affatto per arrivare al Quirinale, non a breve quantomeno. In questo momento Fini ha più o meno le stesse probabilità di arrivarci che ho io, ovvero zero, e lo sa bene. No, secondo me l'ex capo di An guarda un po' più lontano, al giorno in cui il tempo o altro gli toglieranno di torno Berlusconi, un signore che poco cordialmente detesta, per altro assolutamente ricambiato. Del resto, due anni fa, quando ancora il Popolo della libertà era soltanto un discorso da predellino, Gianfranco si lasciò sfuggire una frase stizzita, ma rivelatrice, spiegando che i conti tra lui e Silvio alla fine li avrebbe regolati l'età. Il presidente della Camera punta tutte le sue carte sul pensionamento anticipato del Cavaliere e intanto si prepara, allena i muscoli per la futura leadership, sognando una destra che non sia più attaccata alle sottane dei vescovi, ma sia moderna come quella di Sarkozy o di Cameron.
Stretto tra le armate padane e quelle berluscomane, Fini tenta la sortita, immaginando un'altra destra, meno populista e più aperta alle novità, comprese quelle che arrivano da fuori. È convinto che ci sia uno spazio extra, di cui possano far parte una borghesia meno stantia, il ceto medio più giovane e pure gli extracomunitari, che una volta integrati ricuserebbero la sinistra per passare sull'altra sponda. In conclusione scommette sul disfacimento dell'attuale Popolo della Libertà, pensando di poterne rimettere insieme i cocci appena Berlusconi non ci sarà più, per creare la destra che non c'è.
Un progetto intrigante, ma ardito. Volete sapere secondo me quante probabilità ha di essere realizzato? Non faccio fatica a rispondere: le stesse di una prossima elezione di Gianfranco a capo dello stato.
Fini infatti non calcola che le posizioni che egli da tempo esprime gli stanno alienando le simpatie di gran parte dell'elettorato di centrodestra e anche se lui sopravviverà al Cavaliere, non è detto che sopravviveranno gli elettori disposti a votarlo. Se Fini davvero vuole candidarsi a guidare il PdL, o ciò che ne resterà una volta chiusa la stagione di Berlusconi, ha una sola possibilità: dire qualcosa di destra.
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La scelta della fogna

Scontro sul presidente della Camera.
Bossi: «Fini è matto».
E ora il dubbio viene anche a chi vota PdL.
Bordate dal Senatur al presidente di Montecitorio, che seconddo i sondaggisti perde consenso al Nord e tra i cattolici.
Rassegna stampa - Libero di oggi, Tommaso Montesano.

I leghisti. Gli elettori del Popolo della Libertà più vicini alle posizioni del Carroccio. L'ala cattolica del partito. C'è una fetta del centrodestra, e del PdL, a cui Gianfranco Fini non piace più. Che non si riconosce nelle nuove posizioni assunte dall'ex leader di Alleanza nazionale. Così non deve sorprendere se la popolarità di Silvio Berlusconi, dopo il calo dovuto al "caso Noemi-escort", sia tornata a crescere. «Il Cavaliere ha recuperato: ormai il suo indice di fiducia è sui livelli precedenti allo scandalo, ovvero intorno al 60%», rivela il sondaggista Luigi Crespi, secondo cui è ancora Berlusconi ad occupare la prima posizione nel cuore degli elettori del PdL: «In posizione prioritaria c'è sempre lui. È di nuovo davanti a Fini». E l'ex leader di An? «È tra le prime tre posizioni tra i politici che godono di maggior fiducia in Italia. La sua, però, è una fiducia trasversale». Il presidente della Camera, infatti, raccoglie sempre più consensi «dalla porzione più moderata del centrosinistra», mentre alcuni settori del centrodestra iniziano a non sopportarlo. «I leghisti, ma anche quella fascia di elettori del PdL, soprattutto al nord, favorevoli ad un rafforzamento dell'asse con il Carroccio e magari ad una successione a Berlusconi affidata a Giulio Tremonti».
Non sono giorni facili, per Fini. Anche tra gli alleati, nonostante il coro di solidarietà di queste ore (proveniente in grandissima parte dagli ex An), le ultime proposte del presidente della Camera, in primis la concessione agli immigrati del diritto di voto alle prossime Regionali, sono iniziate le prese di distanza.
«Chel lì l'è matt», quello è matto, attacca Umberto Bossi, leader della Lega. «Come già riferito a monsignor Bagnasco, anche noi vogliamo aiutarli, ma a casa loro», ribadisce il ministro delle Riforme a proposito degli immigrati. «Se questo il presidente Fini non lo capisce, è condannato a perdere altri voti».
La Lega è in prima fila contro il presidente della Camera. «L'attacco a Fini? Cosa buona e giusta. Decida una volta per tutte da che parte vuole stare», taglia corto il senatore Fabio Rizzi. Per l'europarlamentare Mario Borghezio «Fini è irriconoscibile, sembra un'altra persona».
Anche Berlusconi, sulla sortita del voto agli immigrati, seppur indirettamente frena il presidente della Camera. Concedere il voto agli stranieri, infatti, per il presidente del consiglio significa solo fare un favore alla sinistra, che attraverso questo «subdolo stratagemma» intende garantirsi «una futura preminenza elettorale». In serata, tuttavia, Berlusconi diffonde una nota in cui prende le difese di Fini, investito ieri dalle critiche del "Giornale": «Come si può ben immaginare non ero a conoscenza dell'articolo del dottor Feltri sul presidente Fini, cui confermo la mia stima e la mia vicinanza».
Fatto sta che le recenti iniziative del numero uno di Montecitorio stanno disorientando l'elettorato del centrodestra. «Fini ha scommesso sulla conclusione della lunga pagina di Berlusconi e per questo ha costruito, metodicamente, un suo percorso alternativo», osserva Maurizio Pessato, amministratore delegato di Swg. Una strategia, però, destinata a portarlo in rotta di collisione con ampi settori della maggioranza.
«Alla porzione di elettorato che fluttua tra PdL e Lega il presidente della Camera piace sempre meno. Lo stesso vale per la parte più tradizionale del mondo cattolico che si riconosce nel PdL». Alessandro Amadori, amministratore delegato di Coesis Research, conferma: «I temi sollevati da Fini sono eccentrici rispetto alla tradizione del centrodestra. Sui rapporti con la Chiesa, ad esempio, le sue posizioni non sono semplicemente laiche, ma addirittura radicali».
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Ma perché non ride nessuno?

Il Palazzo e il Paese.
«Libertà a rischio? Una barzelletta».
Berlusconi: contro di me una minoranza cattocomunista. I rapporti del mio governo con la Chiesa sono eccellenti.
Rassegna stampa - Avvenire di oggi, Roberto I. Zannini.

«Una barzelletta» messa in giro da «questa minoranza cattocomunista e dai suoi giornali», che ha avviato «una campagna eversiva che punta alle dimissioni del governo contro la volontà del popolo». Tenendosi accuratamente alla larga da ogni tipo di distinguo, Silvio Berlusconi ridicolizza le voci sull'assenza di libertà di stampa e insiste nel suo attacco a testa bassa, «perché il diritto alla riservatezza di ogni cittadino viene violato sistematicamente dalla stampa di sinistra. Si deve interrompere qualsiasi campagna che attacca chiunque su basi false e calunniose».
Con questo tipo di informazione, insiste, «povera Italia». Poi aggiunge: «Libertà di stampa non è libertà di mistificare, di insultare e di calunniare e per questo mi sono rivolto alla magistratura». Il riferimento è alle querele nei confronti della Repubblica e dell'Unità. Su Avvenire e, naturalmente, sul Giornale, preferisce passare lontano e ribadire che i rapporti del governo con la gerarchia ecclesiastica «sono eccellenti. Sono rapporti che consolideremo nei prossimi mesi su questioni importanti come il testamento biologico», argomento sul quale il governo lavora a un disegno di legge. Del resto, «dalla difesa della vita, alla famiglia le iniziative del governo sono state in sintonia con le aspettative della Chiesa». Insomma, stando a lui non c'è nemmeno bisogno di un colloquio chiarificatore col cardinale segretario di Stato Tarcisio Bertone: «Non è in agenda, non ne vedo la necessità» e comunque «non ho chiesto alcun incontro perché non c'era nulla da chiedere». In una lunga intervista condotta dal direttore di Libero Maurizio Belpietro su Canale5, il premier affronta a modo suo tutti gli argomenti caldi di questo avvio di stagione, indicando come primo fondamentale appuntamento il 15 settembre in Abruzzo, quando «consegnerò personalmente i primi appartamenti ai cittadini». Per il resto, stando a lui, non ci sono dubbi: «Il bilancio di questi primi quattordici mesi di governo lo hanno fatto gli elettori con i loro voti». Non solo: «Secondo i sondaggi veleggiamo verso il 70% dei consensi». Anche perché, afferma senza tentennamenti, «la maggior parte degli italiani vorrebbe essere come me, condivide i miei comportamenti. Sanno che Berlusconi non ruba e che li difendo da chi vorrebbe trasformare l'Italia in uno Stato di polizia tributaria. Non sono stupidi come pensa la sinistra e quindi privilegiano il mio governo». Governo che, fra l'altro, «è stato il primo ad affrontare la crisi e i risultati si sono visti... Ne stiamo uscendo e non lo dico io ma molti osservatori internazionali. Certo, c'è bisogno di fiducia e ottimismo, perché col pessimismo e il catastrofismo della sinistra la situazione peggiorerebbe». Fiducia da parte dei cittadini che Berlusconi ha inseguito fin dal primo momento, battendo su due fondamentali promesse elettorali: sicurezza e immigrazione. Argomenti che continua a ritenere cavalli di battaglia. «Aumenteremo la difesa dei cittadini contro la criminalità impiegando anche altri militari». Parla del rilancio del meridione e sottolinea che nel Piano per il Sud sono previste misure per la «sconfitta definitiva della criminalità organizzata», oltre alla previsione di «infrastrutture, fiscalità di vantaggio e misure per il turismo».
Berlusconi attacca la sinistra anche sulla questione del voto agli immigrati, ben sapendo che si tratta di un'idea propugnata a spada tratta dallo stesso Gianfranco Fini. Anzi, come fece già per gli articoli contro Boffo, il premier si dissocia dal durissimo attacco del solito Feltri contro il presidente della Camera. Ebbene, secondo Berlusconi «la sinistra vorrebbe una politica delle porte aperte verso gli immigrati clandestini per dare poi loro il diritto di voto al fine di avere un'eventuale futura vittoria elettorale. Questo noi non lo consentiremo».
Annuncia poi la riforma del processo penale, «di cui c'è grande bisogno». Ma anche iniziative per «garantire il rispetto della privacy di tutti». E non manca la domanda sulle ancora lontane regionali del 2010 e i rapporti con la Lega. «Stiamo cercando - risponde - i candidati migliori. Devo ancora fare una riunione con gli esponenti del Pdl». Poi sarà la volta di Bossi, «col quale sono in contatto quasi ogni giorno».
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Ipse dixit!

Querele. Non c'è libertà? Una barzelletta cattocomunista.
Berlusconi: «La sinistra controlla il 90% dei quotidiani. Se oggi in Italia c'è qualcosa in pericolo questo casomai è il diritto alla riservatezza di ogni cittadino».
In Vaticano. «I rapporti miei e del governo con chi guida la Chiesa cattolica sono eccellenti. Gianni Letta è quotidianamente in contatto con loro».

Pubblichiamo di seguito ampi stralci dell`intervista rilasciata dal premier Silvio Berlusconi al direttore di Libero Maurizio Belpietro nel corso della puntata di "Mattino 5" andata in onda ieri.
Rassegna stampa - Libero, martedì 8 settembre 2009.

Quattordici mesi di governo. Di cosa va orgoglioso?
«Abbiamo fatto così tante cose che vado orgoglioso di tutta l'attività di questi mesi di vita del governo, di cui tra l'altro è già stato dato un bilancio da parte di tutti gli italiani con i loro ultimi voti. [...] Ecco, questo è il giudizio degli italiani, che tra l'altro viene confermato dai sondaggi, dove io ho il 70% dei consensi, un primato ineguagliato in tutte le democrazie occidentali dopo un anno di governo. [...] Abbiamo rispettato tutti gli impegni. [...] Oltre a tutto questo abbiamo fatto fronte alla più grave crisi economica del dopoguerra evitando i rischi di crisi sociale [...]».
Davvero la crisi economica è alle spalle?
«Non lo dico soltanto io. [...] L'ha detto nei giorni scorsi il Fondo monetario internazionale, l'ha detto la Commissione europea [...]».
In Abruzzo quando saranno consegnate le prime case?
«Il 15 settembre comincerò personalmente a consegnare i primi appartamenti e termineremo, come annunciato, entro l'anno. Nessuno, soprattutto i nostri avversari, pensava che questo fosse possibile. Quello che abbiamo realizzato e stiamo realizzando è un miracolo assoluto».
Si è detto che le dimissioni del direttore di Avvenire avrebbero compromesso i rapporti tra Santa Sede e governo.
«Si è detto una bugia perché i rapporti del governo e miei personali con chi guida con prestigio, e direi con autorevolezza, la Chiesa cattolica sono eccellenti da sempre. Sono stati alimentati da un dialogo continuo e tali continueranno ad essere. [...] Un rapporto che consolideremo nei prossimi mesi anche su questioni molto importanti come il testamento biologico».
È vero che ci sarà presto un incontro tra lei e il cardinale Bertone?
«Non è in agenda, ma non ne vedo neanche la necessità. Tra l'altro si sono inventati tutti gli incontri che avrei chiesto al cardinale Bertone e al Sommo Pontefice. Non ho chiesto nulla perché non c'era nulla da chiedere [...] Gianni Letta quotidianamente è in rapporto con le alte gerarchie ecclesiastiche».
Ci sarà una mobilitazione nazionale per la libertà di stampa. Che risponde?
«Dico che è una barzelletta di questa minoranza e soprattutto della minoranza comunista e cattocomunista e dei suoi giornali, che sono purtroppo il 90% dei giornali italiani. Loro intendono la libertà di stampa come libertà di mistificazione, libertà di insulto, libertà di diffamazione, libertà di calunnia e quindi io sono stato costretto a rivolgermi alla magistratura per affermare un principio importante: che la libertà di stampa non è tutto questo e comunque se oggi in Italia c'è qualcosa in pericolo, questo casomai è íl diritto alla riservatezza di ogni cittadino. Riservatezza che viene violata sistematicamente dalla stampa di sinistra [...]».
Lei vuole che si interrompa questa stagione dei gossip attorno al governo?
«Credo che si deve interrompere qualunque campagna che attacca chiunque su basi false».
La stampa e non solo ha criticato i suoi rapporti con Gheddafi.
«Posso fare delle domande?».
Prego.
«C'è qualcuno che pensa ancora che le conquiste coloniali siano state una cosa giusta? C'è qualcuno che pensa che sia sbagliato investire sullo sviluppo dell'Africa? C'è qualcuno a cui fa dispiacere che le nostre imprese si aggiudichino importanti lavori per la costruzione delle infrastrutture nei Paesi della cosa mediterranea? C'è qualcuno a cui dispiace che ci arrivi il petrolio e il gas libico o dell'Algeria [...]? C'è qualcuno che ha una proposta credibile per coinvolgere la Libia nelle strategia di contrasto all`immigrazione clandestina? [...]».
Quali saranno le prossime decisioni del governo?
«Apriremo molti cantieri per le opere pubbliche sia al nord che al sud [...]; aumenteremo la difesa dei cittadini contro la criminalità singola e anche contro la criminalità organizzata impiegando anche altri militari. Stiamo mettendo a punto il piano per il Sud; [...] poi porteremo immediatamente in Parlamento la riforma del processo penale; ci occuperemo di garantire il rispetto della privacy di tutti [...]».
La sua popolarità non è stata scalfita nemmeno dalle recenti polemiche. Qual è la ragione?
«Penso che la maggior parte degli italiani nel loro intimo vorrebbero essere come me e si riconoscono in me e in come mi comporto. Poi perché sanno che Silvio Berlusconi non ruba e che non utilizza il potere a suo vantaggio personale come hanno fatto quasi tutti coloro che, soprattutto dall`altra parte politica, mi hanno preceduto in questa difficile responsabilità. Poi perché difendo gli italiani da coloro che vorrebbero trasformare l`Italia in uno Stato di polizia tributaria [...]».
Presidente abbiamo poco tempo.
«Noi abbiamo un programma serio, quindi se lei vuole avere delle risposte brevi si rivolga alla sinistra che non ha in programma altro che questo [...] Gli italiani hanno chiaro che Silvio Berlusconi difende la sicurezza di tutti evitando che i signori della sinistra aprano le frontiere a chiunque. Il risultato sarebbe un'Italia alle prese con un numero con un numero crescente di clandestini a cui nel giro di breve tempo la sinistra intenderebbe concedere la cittadinanza e quindi il diritto di voto. Con questo subdolo stratagemma i comunisti, i cattocomunisti, immaginano di potersi garantire una futura preminenza elettorale. Per finire, gli italiani non sono stupidi come pensa la sinistra e quindi privilegiano me, privilegiano il mio governo, perché sanno che questo che vuol fare la sinistra non lo consentiremo mai [...]».
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Lodigiano sempre più pattumiera di altri?

Cavenago. Ma i dati ufficiali confermano che da tempo il territorio importa scarti di ogni tipo di cui poi si perdono le tracce.
«La discarica si esaurirà solo nel 2011».
Quasi tutti i rifiuti lodigiani vengono però bruciati a Bergamo.

Rassegna stampa - Il Cittadino di oggi - Carlo Catena.

Cavenago «Ai ritmi attuali, la discarica Ecoadda di Cavenago potrà continuare a ricevere rifiuti fino al 2011»: l'assicurazione arriva da autorevoli fonti vicine alla Eal, l’azienda pubblica lodigiana che è socia di Waste Italia nell’impianto. Ecoadda è attualmente impegnata nella conferenza dei servizi per un ulteriore ampliamento da un milione di metri cubi, mentre è da circa 1,6 milioni di metri cubi, per una sessantina di “codici cer”, cioè di tipologie di scarti, il progetto per la nuova discarica di Senna Lodigiana, per il quale la conferenza dei servizi si era aperta negli ultimi mesi del mandato provinciale di Osvaldo Felissari ma subito la Provincia aveva sospeso la discussione rilevando la mancanza di elementi ritenuti fondamentali per valutare il progetto.
La preoccupazione, che nelle dichiarazioni è comune a centrosinistra e centrodestra, è quella che il Lodigiano diventi sempre più la pattumiera di altri. I numeri forniti da una cinquantina di aziende che lavorano con i rifiuti all’Osservatorio provinciale Eal (l'ultimo rapporto disponibile ha le cifre del 2007, si sta lavorando a quelle del 2008) parlano chiaro: si comincia dai rifiuti urbani non differenziati, che comprendono anche la “frazione secca”: il 33 per cento arriva da fuori provincia. Le oltre 55mila tonnellate annue complessive, per un incasso di oltre 6 milioni di euro (stima sul dato del 2007) che vanno all’impianto Bellisolina di Montanaso Lombardo vengono però a loro volta per metà “esportate”, a Bergamo, nel termovalorizzatore della Bas. Il 25 per cento è costituito da acqua, che viene fatta evaporare, il 5 per cento, costituito da metalli, viene recuperato, il 50 per cento si trasforma in biocubi, quelli che vengono appunto bruciati, e il 20 per cento va in discarica, a Cavenago: sono i “sovvalli”, quelli non recuperabili. «Può capitare che per qualche giorno di fermo impianto del termovalorizzatore i biocubi vadano in discarica - spiega ancora l’esperto -, ma il ciclo è perfezionato. E nei prossimi mesi la discarica di Cavenago comincerà, finalmente, anche a produrre energia elettrica da biogas: «Manca solo un’autorizzazione». Circa il 25 per cento di quanto arriva, mediamente ogni anno, a Cavenago, proviene però da fuori provincia. «Non si tratta in ogni caso né di rifiuti tali e quali né pericolosi». C’è poi la “frazione umida”: qui addirittura il 75 per cento dei rifiuti vengono importati da fuori provincia. Gli operatori, attraverso impianti di compostaggio, sono tanti, e tra i maggiori, con 26mila tonnellate annue, c’è la Eal Compost. L’impianto di Terranova, con un processo aperto per molestie olfattive, sarà modificato per eliminare alla radice il problema e, anche in questo caso, produrre energia elettrica. In presenza di molti operatori, però, diventa difficile capire se questo 75 per cento di umido importato, una volta inertizzato come compost, finisce nei campi lodigiani o se invece viene esportato altrove, come avviene per i biocubi. Ancora più inquietante lo scenario dei fanghi da depurazione: solamente alla Cre di Maccastorna ne arrivano 116mila tonnellate all’anno, per il 98 per cento da fuori provincia. Il 2 per cento lodigiano potrebbe essere eliminato: «Può essere essiccato e poi incenerito altrove - ricorda l'ex assessore provinciale all'ambiente Antonio Bagnaschi - la Regione Lombardia è pronta a finanziare il 30 per cento di questo progetto. Continuare a spargere questo materiale nei campi è problematico per molti aspetti». L’import di rifiuti riguarda anche gli oli minerali, al 99,9 per cento in arrivo da fuori provincia, ma in questo caso la Viscolube li rigenera e resta ben poco da smaltire. Anche le macerie da cantiere arrivano al 50 per cento da fuori provincia, ma, tolti gli scarti che vanno in discarica, vengono poi reimpiegate in edilizia al posto della ghiaia. Dire che nel Lodigiano si ricevono rifiuti prodotti altrove non equivale quindi a sostenere che il Lodigiano è una pattumiera. Anzi, gli scarti creano posti di lavoro. Ma resta da capire perché in Svizzera e in Olanda non finisce quasi nulla in discarica mentre in Italia impianti di questo tipo sono ancora oggi un business al punto che nel Lodigiano c’è chi vuole aprirne una nuova: a mandare più scarti di noi in discarica, in tutta Europa, c’è solamente la Grecia.
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Delatori? La paternità dell'idea è tutta della Lega

Codogno. Il partito di Bossi rivendica la paternità del provvedimento più controverso.
La Lega sul pacchetto sicurezza: «Noi manteniamo le promesse».
Rassegna stampa - Il Cittadino di oggi.

Puntualizza, innanzi tutto. E alza il tiro. Su sicurezza e immigrati la Lega nord torna a parlare chiaro a Codogno. E di fronte alle critiche che il centrosinistra, ma anche le forze “amiche” di Udc e Repubblicani, hanno rivolto all’iniziativa delle segnalazioni riservate dei cittadini al sindaco Emanuele Dossena, tuona: «Sbagliato attaccare il sindaco - dice il commissario cittadino del Carroccio, Andrea Negri -. La paternità di questa iniziativa è tutta della Lega. Siamo noi che l’abbiamo proposta al primo cittadino e alle forze alleate del Pdl, che a loro volta hanno avuto la sensibilità di farla propria. E dunque: se qualcuno ha qualcosa da dire, lo dica a noi, non a Dossena». Parole che suonano quasi come un monito. Anche per gli alleati. E del resto Negri definisce il tema della sicurezza «un argomento fondamentale» e «di principio». Ed è proprio per questo che, riguardo l’argomento, non ammette sconti. «Sulla sicurezza non arretriamo di un passo - conferma Negri -. Chi vuole venire con noi, bene. Chi invece non ci sta, può benissimo andare da un’altra parte». Tanta fermezza non deve stupire. In città la Lega vanta ampi consensi, quantificati in quel 21 per cento conquistato nelle consultazioni elettorali di inizio giugno. E in vista delle prossime elezioni amministrative (a Codogno si voterà per il rinnovo del comune nel 2011), non stupisce che il Carroccio inizi già fin d’ora a mostrare i muscoli. Strategie elettorali o meno, Negri non nasconde che da qui in avanti la Lega avvierà una politica sempre più incalzante sulle tematiche care al Carroccio. «Ce lo chiede la gente, ce lo chiedono tutti coloro che hanno votato Lega - spiega Negri -. Il Carroccio alla gente ha fatto delle promesse. E queste promesse le vuole mantenere. Qualsiasi sia la strada da percorrere». Nel frattempo, sempre sulla questione contestata delle segnalazioni, torna ad intervenire il sindaco. In una lettera inviata al nostro quotidiano, Dossena rimarca come «tra le prerogative di un sindaco vi sia anche quella di raccogliere le segnalazioni dei cittadini su situazioni a rischio di ordine pubblico o sospetta legalità, non solo relative a cittadini stranieri ma a tutti coloro che sono sul territorio della città. Pertanto - continua Dossena - riconfermo la mia volontà di perseguire la strada intrapresa, esercitando questa mia prerogativa nella legalità, senza essere messo sotto tutela da chicchessia». In un comunicato ufficiale, il segretario dell’Udc Angelo Coppini lancia segnali distensivi, prendendo atto della disponibilità manifestata da Severino Giovannini (coordinatore del Pdl di Codogno) a «ricucire» sul disagio manifestatosi nella maggioranza in tema di sicurezza. Anche dai centristi, però, arriva un monito agli alleati: «L’Udc - scrive Coppini - auspica che in futuro, su argomenti politicamente sensibili, sindaco e giunta coinvolgano attivamente i consiglieri comunali e le segreterie dei partiti di maggioranza, per pervenire a soluzioni il più possibile condivise».
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Libertà di stampa? No grazie anche alla Festa del Pd

Un viaggio tra i pericoli di intimidazione e i compromessi che vivono quotidianamente i giornalisti in questi anni difficili.
Libera informazione, dibattito per pochi.
Meno di venti gli spettatori intervenuti alla Festa democratica.

Rassegna stampa - Il Cittadino di oggi, Rossella Mungello.

Due cerchi concentrici che stritolano l’informazione: la notizia che va data in un certo modo o l’intimidazione indiretta, gettare fango su un professionista perché quello che dica non abbia credibilità alcuna. È un grido d’allarme quello che si alza dal Capanno, domenica sera alla Festa del Partito democratico per il dibattito conclusivo sulla libertà di stampa. Per il mondo politico, c’erano Alessandro Manfredi, responsabile organizzativo del Pd e Gianpaolo Colizzi, presidente del consiglio comunale di Lodi; in platea, meno di venti persone. E allora l’indignazione di Lirio Abbate, giornalista per l’agenzia giornalistica Ansa, «per un paese in cui la libertà d’informazione non esiste», si confronta obbligatoriamente anche a Lodi con una delle sue conclusioni e cioè che «ma noi, nel senso di italiani, la vogliamo davvero una libera informazione nel nostro paese» se a discutere di questi temi ci sono sempre e solo gli addetti ai lavori? Tantissimi i temi toccati, dagli editori impuri (che hanno interessi in più settori economici, tali da condizionare il flusso di informazioni), alle notizie volutamente ignorate («quanti sanno del rinvio a giudizio del sottosegretario alla presidenza del consiglio Gianni Letta per associazione a delinquere, truffa e turbativa d’asta? E quanti hanno avuto modo di leggere nel dettaglio degli affari dell’onorevole Schifani con noti mafiosi?» ha detto ancora Abbate), fino al recente attacco al Tg3, testimoniato da Francesco D’Ayala, «sì, quello che ha fatto scoppiare lo scandalo della piscina a forma di cozza dell’onorevole Mastella e che ne ha pagato le conseguenze». Il giornalista della testata Rai ha parlato di «un silenzio ininterrotto davanti a quell’attacco» e ha spiegato nel dettaglio cosa sta succedendo ai programmi di approfondimento giornalistico in Rai. «Una volta erano prodotti dalle testate, oggi vengono appaltati a singoli professionisti - ha argomentato D’Ayala -; è più facile isolarli, rescindere i contratti o anche non assumersi la responsabilità penale in caso di querela, come è stato deciso di fare con tutti i giornalisti di «Report» e con la stessa Gabanelli». Quasi trasformando un servizio pubblico, nell’opera di un singolo coraggioso che è in grado di sostenere anche economicamente il peso della verità, «perché se qualcuno dice che stiamo andando verso la dittatura, io toglierei il “verso”» . E proprio i legami economici tra testate e professionista sono spesso alla base dei ricatti e delle pressioni, come vissuto di recente dal «Corriere della Sera», di cui ha parlato Paola D’Amico, membro del comitato di redazione (Cdr), una sorta di sindacato interno alla testate. «Stiamo combattendo un battaglia storica, in cui ci sono interessi contrapposti, falchi e colombe - ha spiegato Paola D’Amico, da quattro anni al «Corriere» - la nostra missione ora è presidiare il giornale, preservare gli equilibri, controllare che non ci siano ingerenze in uno stato di crisi». E se l’Italia, per d’Ayala, non rischia l’occupazione militare di un regime è solo perché «gli italiani, forse, sono più interessati alle vicenda della signora Patrizia D’Addario».

Nell’area del Capanno ha esposto le sue perplessità: «I mandanti occulti sono ancora nell’ombra».
«Punti oscuri sull’omicidio di Paolo».
Un duro attacco sferrato dal fratello del giudice Borsellino.

Matteo Brunello.

«Su quanto è accaduto ci sono punti oscuri. Si conosce poco o nulla. E non si è ancora arrivati ad identificare i mandanti occulti». Sferra un attacco molto duro, Salvatore Borsellino, il fratello del magistrato ucciso dalla mafia 17 anni fa. Intervenuto alla Festa democratica, nella serata di venerdì, non esita a parlare di sospetti «depistaggi», presunto coinvolgimento dei servizi segreti e adombra l’ipotesi di una «strage di Stato», per spiegare quanto è successo in via D’Amelio. Moderato dall’assessore comunale, Andrea Ferrari e dal giornalista Peter Gomez, Borsellino parla delle indagini che sono state riavviate e della possibilità che si giunga ad una ricostruzione precisa dell’assassinio dei cinque agenti della scorta e del giudice antimafia. Nel suo racconto davanti a un folto pubblico, che ha riempito lo spazio dibattiti dell’area del Capanno, il fratello del magistrato ha toccato alcuni punti chiave di una vicenda che continua a presentare alcuni nodi irrisolti. In particolare il mistero di quell’agenda rossa, appartenuta a Borsellino, che sarebbe scomparsa e poi più ritrovata. Un brogliaccio dove, come riferisce Salvatore Borsellino, sarebbero stato annotati tutti i movimenti e gli incontri del magistrato. «Mio fratello aveva l’abitudine di segnare con puntualità alla sera cosa faceva durante la giornata e quali erano i suoi impegni. Come si può vedere da un’altra delle sue agende, i programmi erano tutti ben dettagliati», spiega. Quel documento in più avrebbe dunque aiutato a chiarire il quadro delle attività di cui si stava occupando Borsellino, prima di rimanere vittima di quel terribile attentato. Inoltre sono state avanzati sospetti sulla figura di Nicola Mancino, attuale vice presidente del Consiglio superiore della magistratura. Salvatore Borsellino ha parlato di un misterioso incontro tra Mancino (da lui smentito) e il giudice. Una ricostruzione dei fatti che prende spunto dall’interrogatorio di Gaspare Mutolo nell’aula del processo celebrato a Caltanissetta per la strage di via D’Amelio. Ma lo stesso Mancino ha sempre contestato tale versione, sostenendo che si tratta di un’interpretazione parziale e «monca». E poi il tema sollevato è quello della supposta trattativa tra mafia e Stato, che è emersa nel corso delle recenti indagini a Caltanissetta. Ne avevano anche parlato pentiti come Giovanni Brusca, l’assassino di Falcone, poi Massimo Ciancimino, il figlio di don Vito, e in più il capo dei capi Totò Riina. «Ho motivo di ritenere che a Paolo sia stata proposta proprio una trattativa con la mafia, da ambienti dello stato, e lui abbia rifiutato recisamente. E a partire da lì, si sia giunti alla decisione di eliminarlo. Una verità che va ancora chiarita», accusa Salvatore Borsellino. Alla serata ha portato il suo contributo anche di Stefano “Cisco” Bellotti, ex voce dei Modena City Ramblers.

Duecentomila gli euro entrati negli 11 giorni della kermesse.
Matteo Brunello.

«Obiettivo centrato»: così il tesoriere del Pd, Gianna Grossi commenta i dati su affluenza e incassi della Festa democratica. Terminata domenica sera nell’area del Capanno, per la tradizionale kermesse (da tutti ancora chiamata Festa dell’Unità) è già tempo di bilanci. E come è stato riferito nella giornata di ieri, il totale degli incassi, su 11 giorni di apertura di stand e spazi di ristoro, ha superato di poco la cifra di 200mila euro (precisamente 203.150 euro). Qualcosa meno rispetto al 2008, con un arretramento di circa 4mila euro, ma l’anno scorso la manifestazione durava un giorno in più. Al totale sono poi da aggiungere gli introiti per le concessioni di spazi degli stand e quelli per la pubblicità: per una somma complessiva (ancora da calcolare al centesimo) che si aggira tra i 10 e i 12mila euro. In più le affluenze, secondo gli organizzatori hanno superato «le 60mila persone». «Direi che è andata bene, il traguardo fissato è stato raggiunto. Bisogna anche tenere conto che rispetto all’anno scorso, avevano in programma un giorno in meno. E in più sono stati accorpati alcuni stand. Quindi per me si tratta di un bilancio ottimo», spiega Gianna Grossi. Tra l’altro, fitto è stato il programma degli appuntamenti anche per l’area dibattiti, con la presentazione delle tre mozione in lizza, in vista del prossimo congresso del Partito democratico. Al Capanno si sono alternati i vari responsabili delle varie opzioni ed esponenti di primo piano del centrosinistra: dal segretario nazionale Dario Franceschini, all’ex ministro Pierluigi Bersani e Giuseppe Civati (coordinatore nazionale della mozione Marino), oltre ai confronti sui temi della crisi e sull’argomento informazione. Ha esercitato una grande attrazione anche lo spazio concerti, con le performance musicali dei vari gruppi. «La valutazione sull’andamento della festa è molto positiva: grande è stata la partecipazione dei giovani e anche la presenza ai dibattiti, peraltro di alto livello, è stata elevata - osserva Alessandro Manfredi, responsabile organizzativo del Pd - e ritengo si tratti dunque di un segnale politico importante: denota che abbiamo superato lo shock post-elettorale, dopo la pesante sconfitta della provincia di Lodi. Ora l’obiettivo è quello di guardare avanti, per prepararci alle nuove sfide, che ci attendono per i prossimi mesi».
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Quando collaborazione rima con delazione

Emanuele Dossena, sindaco di Codogno, si spiega con una lettera su Il Cittadino di oggi.
La difesa dell’ordine pubblico è una delle mie prerogative.
Rassegna stampa.

Caro direttore, approfitto della cortesia del Cittadino per una breve replica a coloro che, all’interno della mia maggioranza hanno ritenuto di intervenire sulla mia presa di posizione relativa alla sicurezza. Mi fa un po’ sorridere il fatto di dover utilizzare gli organi di stampa per dialogare con l’amico Carlo Pizzamiglio, che occupa in Municipio l’ufficio accanto al mio; il mezzo di comunicazione (tramite stampa) non è stato certo da me individuato per avere visibilità, non ne ho bisogno, ma solo perché da altri scelto.
Non voglio rammentare tutta la vicenda e la mia posizione al riguardo, in quanto gli organi di informazione locale ne hanno dato un resoconto sintetico ma veritiero ed esauriente. La sicurezza, intesa nella sua accezione più generale, riguarda attività le più diverse: sicurezza nel lavoro e del lavoro, sicurezza nelle scuole, sicurezza nel sociale, ecc. In tutti questi settori l’Amministrazione Comunale è sempre stata attenta ed è sempre intervenuta con tempestività non lesinando impegno né risorse.
Per quanto riguarda l’ordine pubblico, rammento che nel programma della nostra maggioranza tutte le forze politiche hanno condiviso l’importanza del problema, ponendolo tra le priorità. In quest’ottica ci siamo sempre mossi. Fissato l’obiettivo, ognuno per la sua parte, ha provveduto ad agire. Ritengo che tra le prerogative di un Sindaco vi sia anche quella di raccogliere le segnalazioni dei cittadini su situazioni a rischio di ordine pubblico o sospetta legalità. Sarà poi compito del Sindaco trasmettere le informazioni agli organi preposti affinchè gli stessi provvedano agli interventi ritenuti necessari. La stima e la grande ammirazione che nutro nei confronti dell’Arma dei Carabinieri è fuori discussione e ne fanno fede i numerosi interventi pubblici nei quali ho sottolineato l’efficienza, la prontezza di intervento, la professionalità, l’abnegazione ed il sacrificio personale che l’Arma tutta dedica alla nostra tranquillità e sicurezza. Lo stesso discorso si può fare per la nostra Polizia Locale. Ritengo purtuttavia che la collaborazione dei cittadini faciliti l’operato di chi è preposto alla salvaguardia del nostro vivere civile. Collaborazione tramite segnalazioni che riguardano situazioni di illegalità non solo dovute a cittadini stranieri ma a tutti coloro che sono nel territorio della città.
Pertanto riconfermo la mia volontà di perseguire la strada intrapresa, ritenendo che sia una mia prerogativa quella relativa alla difesa dell’ordine pubblico, prerogativa che intendo esercitare nella legalità senza essere messo sotto tutela da chicchesia.
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Quale la vera destra

Le tre mosse di Fini per riconquistare An.
Così Gianfranco punta a tornare interlocutore cruciale del premier.

Rassegna stampa - La Stampa di ieri, 7 settembre 2009, Fabio Martini.

Da qualche tempo non si limitano più ad attaccarlo con epiteti taglienti, ora hanno iniziato a prenderlo in giro. Un intellettuale di destra come Marcello Veneziani è arrivato a definire il percorso di Gianfranco Fini «un lifting mentale», «il lungo viaggio da Almirante a Et». Sfottò che fanno male. Dopo averci rimuginato per qualche giorno, Fini ha deciso di reagire.
Con una linea ben compendiata dal titolo della prima pagina del Secolo d`Italia di ieri: «E se la vera destra fosse questa qui?». Si spiega nel sommario: «Chiamano Fini traditore, ma la sua politica guarda alla tradizione italiana ed europea».
A prima vista slogan da prima pagina, ma la sorpresa sta nello sfoglio del giornale: ben sette pagine sono dedicate al tentativo di dimostrare che la cultura di destra e i momenti migliori dell'Msi sono stati segnati dall'eresia, dall'anticonformismo, dalla lotta alle due chiese, Dc-Pci, e non certo dal tradizionalismo e dal clericalismo. Alla fine chiedendosi se «a tradire la destra non siano proprio quelli che chiamano Fini traditore». Con allusione neanche tanto velata ai Veneziani, ai Gasparri, ai tanti che si sono ribellati alla deriva «progressista» di Fini.
Per il momento si tratta di arginare la campagna sul «compagno Fini», facendo passare invece il contro-messaggio: Gianfranco è più di destra dei suoi detrattori. Non sarà facile, così come complicato è l`altro obiettivo che ha in mente Fini: riconquistare Alleanza nazionale.
Lui non lo ammetterà mai in pubblico, ma da quando An non c'è più e da quando i suoi ex colonnelli si sono presi la loro autonomia, il presidente della Camera fatica ad essere riconosciuto da Berlusconi come l'interlocutore che parla a nome di tutta l'area ex missina. Tanto è vero che Fini e Berlusconi hanno discusso anche di questo in un colloquio riservato che si è svolto poco prima delle vacanze estive.
Ma il presidente della Camera sa che non basta una chiacchierata con il premier per riconquistare il ruolo che aveva, quando trascorreva ore e ore - per tanti anni - nei vertici di Palazzo Grazioli assieme a Bossi, a Pierferdinando Casini e al Cavaliere. E proprio per questo, assieme alle continue esternazioni sui grandi temi politici, Fini ha messo in cantiere un'altra operazione: trasformare la Fondazione Alleanza nazionale nella «cassaforte» della sua galassia.
Nata inizialmente per gestire l'ingente patrimonio immobiliare di sedi ex missine (valore circa 350 milioni di euro), la Fondazione può continuare a contare sullo stesso ingente finanziamento (circa 12 milioni di euro l'anno) che spettava ad An come rimborso per le Politiche 2006 e per le Regionali 2005. Finanziamenti che alcuni ex colonnelli di Alleanza nazionale avrebbero volentieri fatto confluire nella cassa unica del Pdl, ma che grazie a un intervento personale di Fini alimentano la Fondazione An. Struttura molto florida (la presiede un finiano doc come Donato Lamorte), che può diventare una casa nella quale tornare in caso di crisi del Pdl e alla quale non a caso - possono iscriversi gli ex tesserati di An.
E che - guarda un po' - ha in cantiere per l'autunno un'operazione sul filo della nostalgia: istituire 1'« Archivio nazionale», una sorta di «Istituto Gramsci» della destra nel quale far confluire carte, documenti, giornali, manifesti dell'Msi e di An. E alla galassia-Fini appartiene anche Il Secolo d'Italia, diretto da Flavia Perina, che ieri ha pubblicato un numero speciale nel quale erano contenute tra l'altro un'intervista a un intellettuale di sinistra come Michele Serra («Ma quale compagno Fini! Lui è l`erede della destra repubblicana e unitaria») e a un giornalista di destra come Filippo Facci, secondo il quale «sbaglia la sinistra che strumentalmente applaude Fini: quello che lui dice fa parte del patrimonio della destra europea da un sacco di tempo».
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