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mercoledì 2 dicembre 2009

Riciclaggio: coinvolte a Bari le amiche di Silvio

Intestatarie di conti fittizi la Savino (indagata) e la Began.
Rassegna stampa - Il Fatto Quotidiano, Antonio Massari, 2 dicembre 2009.

Due donne molto vicine al premier Silvio Berlusconi avevano acceso dei conti correnti bancari fittizi: in realtà erano utilizzati da un esponente della mafia pugliese. Nelle 1600 pagine dell’ordinanza, firmata dal gip Giulia Romanazzi, che ieri ha portato all’arresto di 83 persone, la parlamentare Pdl Elvira Savino risulta indagata per aver agevolato il riciclaggio. Più defilata la posizione dell’attrice di Fiction Sabina Beganovic, che non risulta indagata, ma era intestataria, secondo l’accusa, di “uno dei sei conti correnti nella filiale di Bari-Palese della banca Antonveneta”. L’inchiesta dell’Antimafia ha rivelato un sistema di riciclaggio pari a 220 milioni di euro, risultato del traffico internazionale di droga e investito in 35 società sparse in tutta Italia e ben 680 conti correnti.
Due conti correnti fittizi, intestati alla Savino e alla Beganovic, erano utilizzati da Michele Labellarte, imprenditore da poco scomparso, ritenuto dalla pm Elisabetta Pugliese una sorta di cassiere di Savino Parisi, noto alle cronache giudiziarie come “Savinuccio”, boss dello storico clan mafioso Parisi. Secondo l'accusa, la Savino era conoscenza dei precedenti penali, per reati di bancarotta, di Labellarte: “Elvira Savino”, scrivono gli inquirenti, “nel momento in cui ha acconsentito all'intestazione fittizia del conto corrente 10024G della banca Antonveneta, di fatto nella disponibilità del Labellarte, ben conosceva i problemi giudiziari nei quali era stato coinvolto quest’ultimo ed era perfettamente consapevole, anche perchè ribaditoglielo dallo stesso interessato, che l'imprenditore non poteva esporsi direttamente nella conduzione degli affari”.
La parlamentare era quindi consapevole e riceveva un “corrispettivo”: “la concessione della carta di credito American Express collegata alla promozione Alitalia con addebito sul conto di Michele Labellarte”, per esempio, oppure “aiuti finanziari” per 3.500 euro, alcune “ricariche telefoniche” e persino il pagamento del biglietto aereo per il volo AirOne “Roma-Bari”. Intercettando Michele Labellarte ed Elvira Savino, gli inquirenti sentono parlare di una Sabina, quandoi due discutono della chiusura di un conto corrente: “Ma un'altra cosa, siccome io questa raccomandata ce l'ho qui per Sabina”, dice la Savino. “Tu l'hai presa per Sabina?”, chiede Labellarte. “No, perchè io ho solo la cartolina che serve a ritirare la raccomandata”, risponde la Savino.
Michele Labellarte non era un personaggio secondario della mala barese. Al contrario. Basti dare un'occhiata alle intercettazioni ambientali tra il boss Savino Parisi e ai capi di imputazione, nei quali si parla di “stabile inserimento nell'organigramma del soldalizio Parisi-Stramaglia”. Il ruolo di Labellarte è finanziario: "Nel corso della loro ancestrale e prestigiosa carriera criminale, Sa-vino Parisi e Angelo Stramaglia hanno accumulato un patrimonio discretamente cospicuo; in parte reinvestito in proprietà immobiliari; in parte costituito in denaro contante affidato a Michele Labellarte. Scelta determinata anche dal suo incisivo inserimento nel tessuto socio politico ed economico locale".
Inserimento che non riguarda soltanto la Savino, ma anche un ex esponente del Csm, noto avvocato vicino al centrosinistra, Gianni Di Cagno, indagato per impiego di denaro di provenienza illecita, per aver coperto, in qualità di legale di Labellarte, alcune sue operazioni. Esattamente come per l'avvocato Onofrio Sisto, ex vicepresidente della Provincia (Pd), fratello del parlamentare Pdl, nonché avvocato difensore del ministro Raffaele Fitto, Francesco Paolo Sisto. Labellarte stava puntando a un nuovo, lucroso affare, che mirava alla costruzione di un villaggio universitario per 3.500 studenti. Anche un imprenditore molto vicino a Massimo d'Alema, Enrico Intini (non indagato), aveva tentato di entrare in affari con Labellarte, con il quale "aveva condotto trattative personalmente".
Ma chi è davvero Labellarte? Gli indagati lo definiscono un "diavolo" e lo stesso Parisi sembra temere per il proprio patrimonio affidato all'ex imprenditore.
La guardia di Finanza intercetta una conversazione tra il boss e l'imprenditore: "Perchè tu forse non lo sai ma la vita tua è la vita nostra... noi non possiamo pensare un male per te... noi vogliamo la vita lunga", gli dice Parisi. Il motivo è semplice: "Labellarte", scrivono gli inquirenti, "rappresenta per il clan una figura di vitale importanza. (...) Stramaglia avrebbe consegnato a Labellarte circa sei miliardi di vecchie lire (...)". Ma non solo. Labellarte avrebbe dovuto "restituire ‘ripuliti’ tre milioni di euro a Parisi" e contava di farlo anche attraverso "l'affare della sua vita", ovvero "l'affare universitario". La sua posizione è talmente rilevante che un giorno, il boss Parisi, parlando con un "luogotenente", si chiede: "Ma se succede qualcosa a lui a chi ci dobbiamo rivolgere...". È a quest'uomo che la Savino e la Began concedevano l'apertura di conti correnti fittizi. Un uomo che aveva conoscenze ai vertici della mafia e della politica locale. E non disdegnava di frequentare l'enfant prodige delle scalate sociali in salsa pugliese: Gianpi Tarantini, amico della Savino, della Began, e dello stesso Berlusconi.

L’ultimo dittatore d’Europa

Chi è il piccolo Stalin di Minsk che incanta Silvio.
Il vetero-comunista nazionalista al potere in Bielorussia dal ’94.
Rassegna stampa - Europa, Matteo Tacconi, 2 dicembre 2009.

Ma chi è quest’Alexander Lukashenko? «L’ultimo dittatore d’Europa», come lo apostrofiamo noi, da ovest? Oppure il bats’ka, il “padre” dei bielorussi? In entrambe le definizioni ci sono degli eccessi più o meno marcati. È che se Lukashenko è dittatore perché impedisce all’opposizione di tenere manifestazioni, controlla platealmente la stampa e sbatte in cella politici ostili al governo e giornalisti scomodi, lo sarebbero anche Dmitry Medvedev e Vladimir Putin, i vicini di Lukashenko. Che fanno grosso modo le stesse cose. Però, a Putin e Medvedev, l’etichetta di dittatore addosso mica gliel’appiccicano, gli europei.
I loro idrocarburi – quelli di cui la “Russia Bianca” di Lukashenko è invece sprovvista – fanno gola e con le definizioni, quindi, meglio non esagerare.
Lukashenko non è neanche il bats’ka che i suoi cortigiani dipingono. I motivi sopra elencati sono sufficienti a smentire l’esaltazione del capo e chi fa notare che un po’ padre lo è e al suo popolo ci tiene, considerata l’assistenza dalla culla alla tomba che Minsk offre a tutti i suoi cittadini, si può obiettare che gli stati autoritari sono sempre stati anche un po’ sociali. Anche a chi, come Silvio Berlusconi, ricorda quanto Lukashenko sia amato e come il fiume di voti ottenuti alle legislative del 2008 lo certifichi (i suoi deputati hanno ottenuto 110 seggi sui 110 di cui il parlamento si compone), andrebbe inviata una copia del rapporto che l’Osce ha dedicato all’ultima tornata elettorale tenutasi in Bielorussia: falsificazioni, procedure violate, mancata trasparenza, clima di stretto controllo, assenza di dibattito.
Ma allora, chi diavolo è Alexander Gregorevich Lukashenko? Il presidente bielorusso, ex direttore di kolchoz (fattoria collettiva, ndr) abile a proiettarsi in politica al tempo del crollo dell’Urss, a insediarsi al vertice della commissione contro la corruzione e a vivere quell’incarico con piglio maccartista per farne il trampolino di lancio per la presidenza, conquistata nel ’94, non è facilmente inquadrabile. Ha un po’ del dittatore e un po’ del vetero-comunista, se è vero che nella bandiera nazionale brilla ancora la stella rossa e che l’80 per cento dell’economia è tutt’oggi nelle mani dello stato. Lukashenko, poi, condivide qualcosa anche con i capi di stato dei paesi dell’Asia centrale, avendo come loro modificato a propria immagine e somiglianza la costituzione (correva l’anno 2004) per eliminare ogni limite al mandato presidenziale e potersi ricandidare nel 2006, quando ha riconquistato la poltrona con un più che bulgaro 84 per cento.
Infine, Lukashenko è anche un politico patriottico- nazionalista. Negli anni ha emesso molti decreti finalizzati a rafforzare l’identità bielorussa, alcuni dei quali dal sapore grottesco. Da segnalare quello che impone alle radio di mandare in onda almeno tre canzoni bielorusse ogni quattro trasmesse e quello che fa divieto di spiattellare, nei cartelloni pubblicitari dedicati alla moda, le foto di modelle straniere, perché – così sostengono a Minsk – inducono le bellezze locali a emularle e a cercare fortuna all’estero.
Insomma, Lukashenko è di tutto e di più. Ma, soprattutto, è un politico spregiudicato che sa muoversi tra le linee, tra l’Europa e la Russia, lesto a sfruttare la situazione per portare acqua al proprio mulino. In questo ricorda il vecchio maresciallo Tito, che blandiva i sovietici e si faceva corteggiare dagli occidentali, così da farsi staccare gli assegni e dagli uni e dagli altri.
Finora Lukashenko è stato molto filorusso e molto antieuropeo. Ha, come i russi, cavalcato la tesi della cittadella assediata. Ha, ancora una volta come i russi, denunciato trame e complotti orditi all’estero nell’intento di rovesciare l’autorità costituita. Ha, ancora e sempre come i russi, invocato la sovranità della sua piccola patria davanti all’espansione della Nato e allacciato relazioni solidali con altri governanti minacciati: Mahmoud Ahmadinejad e Hugo Chávez. Mosca gli ha concesso soldi, sostegno politico e risorse energetiche a prezzi stracciati. Poi, quando è stata toccata duramente dalla crisi e ha chiuso i rubinetti, iniziando oltretutto a percepire Lukashenko come una zavorra e a diversificare le rotte del metano lanciando il progetto Nord Stream (altrimenti noto come “pipeline” del Baltico) anche per evitare di sganciare ai bielorussi i dazi per il transito dei gasdotti, bats’ka ha rivolto lo sguardo altrove.
A occidente. Inserendosi magistralmente nel confronto/ scontro tra Ue e Russia, ha volutamente raffreddato i rapporti con il Cremlino cercando di ripararsi anche sotto l’ombrello europeo. Gli è riuscito bene. Bruxelles, dopo quindici anni di embargo diplomatico nei suoi confronti, gli ha permesso di tornare a calcare il suolo comunitario e ha incluso per giunta Minsk nella Eastern Partnership, un’iniziativa pensata all’epoca del semestre ceco di presidenza e tesa a rafforzare la cooperazione economica e istituzionale con i paesi dell’area postsovietica.
Non solo. Recentemente il “comunista” Lukashenko ha negoziato con il Fondo monetario internazionale, finora tenutosi alla larga da Minsk a causa dell’incompatibilità tra la propria visione liberoscambista e il dirigismo centralizzato dei bielorussi, la concessione di un finanziamento da tre miliardi di dollari.
Quando gli è stato chiesto se per caso non stava diventando filo-occidentale, Lukashenko ha fornito la più candida delle risposte: «La Russia ci aveva promesso 500 milioni di dollari, ma non ha versato ancora nulla nelle nostre casse. Il Fondo monetario è arrivato e ci ha dato subito i soldi».
Come a dire: gli affari si fanno con chi gli affari li vuole fare, subito. Tipo Roma, che a Minsk ha portato a casa importanti accordi industriali.
Ma Lukashenko, siccome fesso non lo è, non ci pensa proprio a rompere con il Cremlino. Tant’è che proprio in questi giorni ha stipulato, insieme all’omologo russo Dmitry Medvedev e a quello kazako Nursultan Nezarbayev, un’intesa che prevede la creazione, a partire dal prossimo luglio, di un’unione doganale tra i tre paesi. Al momento della firma ha tuttavia precisato che gli interessi bielorussi non sono completamente soddisfatti, ma che in nome di quelli comuni s’è deciso di fare un sacrificio. In altre parole, Alexander Gregorevich ha già chiesto la ricompensa.

Dubbi sul polo logistico di Brembio-Secugnago

Arriva la logistica, ma la viabilità è la stessa di 20 anni fa.
Rassegna stampa - Il Cittadino, Lettere & Opinioni, 2 dicembre 2009.

Egregio direttore, evviva, finalmente anche Secugnago ha la sua logistica che si appresta a divenire capitale di un polo intermodale di Milano Sud che potrebbe in futuro, a magazzini pieni, diventare un bacino occupazionale per 200 lavoratori.
Posizione strategica, quella di Secugnago, distante pochi chilometri da Milano, vicina alla autostrade Milano-Genova e Piacenza-Torino, strada ferrata che si collegherà al corridoio 5 Lione Kiev.
Peccato che per adesso, sul nostro territorio abbiamo un nuovo capannone, un binario morto, e la stessa viabilità di 20 anni fa.
Forse è giunto il momento di pianificare per Secugnago una nuova tangenziale Ovest che colleghi lo svincolo nord sulla via Emilia con la provinciale per Brembio se vogliamo decogestionare la già congestionata viabilità esistente e non fermarci alla festa dell’albero.
Ultimo appunto: grande assente alla inaugurazione la Provincia di Lodi.
cordiali saluti
Angelo Rota - Secugnago

Aree dismesse e sviluppo del Lodigiano

Dall’ex Abb Adda alla Madital. Molte sono già nel mirino degli immobiliaristi: al loro posto in arrivo condomini e villette. Tutti i “flop” dell’industria lodigiana. Sono 21 le aree dismesse da recuperare per risollevare l’economia.
Rassegna stampa - Il Cittadino, Greta Boni, 2 dicembre 2009.

Prima di tutto bisogna pensare a come disegnare il Lodigiano del futuro. Poi, bisognerà procedere al recupero delle 21 aree dismesse, un tempo produttive e ora in parte abbandonate. L’elenco delle zone su cui investire per rilanciare l’economia del territorio è stato presentato nella sera di lunedì, in occasione della quinta edizione del premio “Bruno Lenta”, organizzata dalla Confartigianato per premiare le aziende che si sono distinte per impegno e fantasia. Proprio in quell’occasione è stato lanciato il dibattito sul tema “Aree dismesse e sviluppo del Lodigiano”, a cui hanno partecipato il presidente della Provincia di Lodi, Pietro Foroni, con il suo assessore all’urbanistica, Nancy Capezzera, l’onorevole Andrea Gibelli, presidente della commissione Attività produttive della Camera, il presidente della commissione ambiente a palazzo San Cristoforo, Alfredo Ferrari, il sindaco di Somaglia, Piergiuseppe Medaglia e il segretario provinciale della Cisl, Mario Uccellini. A moderare il dibattito ci ha pensato Francesco Cancellato, ricercatore del consorzio Aaster Milano.
Tutti puntano al rilancio del territorio, ma per molte delle aree citate il destino sembra già delineato: arriveranno altre case, a meno che non ci sia una marcia indietro. Inoltre, la riflessione sulle bonifiche da effettuare e sulle infrastrutture da realizzare non è affatto un aspetto secondario. Ecco l’elenco delle 21 aree dismesse: a Salerano sul Lambro si trova la Cascina Ghione, oggetto di un piano di recupero approvato quest’anno a seguito di un protocollo d’intesa provinciale. La destinazione originaria era agricola-zootecnica, la superficie fondiaria ammonta invece a 18.897 metri quadrati. La Cartiera di Castiraga Vidardo comprende un’area di 72.300 che tra il 2004 e il 2009 è stata coinvolta in un piano residenziale e in un piano di lottizzazione produttivo, finalizzato al riutilizzo della zona. A Massalengo il Piano di governo approvato nel 2008 prevede il recupero residenziale dell’area situata in via Briglia, un “quartiere” industriale da 41.500 metri quadrati (8.900 coperti) che è stato abbandonato nel 2006. In paese, inoltre, anche l’ex Madital cambierà “look”, recentemente si è conclusa l’asta con cui l’imprenditore Angelo Zambelli si è aggiudicato la storica fabbrica di mangimi affacciata sulla provinciale 23. Dopo il fallimento del 2003, infatti, si era aperta più volte la discussione sul recupero della superficie di circa 19mila metri quadrati, di cui 4 coperti.
Nel capoluogo, le tre aree dismesse segnalate nell’elenco hanno il futuro “segnato”. La prima riguarda il piano denominato “ex Marzagalli-Spina verde” e prevede, ai confini del Pratello, un super insediamento di 169 alloggi, per un totale di circa 424 abitanti. La seconda è la tanto discussa area ex Abb di viale Pavia, la società Nadir, proprietaria dell’area e controllata direttamente dalla Banca Popolare di Lodi, ha dato mandato all’architetto Stefano Boeri per progettare la rinascita delle ex Officine Adda. Secondo quanto divulgato, potrebbero sorgere abitazioni, un albergo di altissimo standard e spazi commerciali di vicinato (superficie non superiore a 150 metri quadrati) che si affacceranno sul lato della stazione ferroviaria, a cui si aggiungono eventuali spazi per il terziario, sempre che il comune ne faccia richiesta.
La terza zona, infine, è l’ex Cetem di viale Mazzini, destinata a passare da industriale a residenziale.A Borgo San Giovanni il comune ha approvato quest’anno un piano di recupero residenziale per la zona di via Lodivecchio, edificata nel 1955 e poi dismessa nel 1975, per un totale di 6.700 metri quadrati (2.650 occupati). Marudo ha già deciso che le due aree produttive di via Rubadello e via Vignazze, vedranno sorgere delle case, secondo quanto stabilito dal Piano di governo del territorio del 2007.
La Cascina Piantada di Fombio, con una superficie fondiaria pari a 13.200 metri quadrati, fa parte della lista delle zone da recuperare, così come la Cascina Corte Grande e la Cascina Fighetto di Corte Palasio, entrambe ricadono interamente all’interno del Parco Adda Sud. Sul territorio del paese, inoltre, sono situate la cascina di via Montale, che risiede parzialmente all’interno del Plis del Tormo, e la cascina di via Verdi in località Cadilana, una struttura che costituisce il nucleo di antica formazione di Cadilana ed è riconosciuta come bene architettonico. A Orio Litta è situata la Cascina Villa, in proposito non si hanno molte informazioni: la tabella stilata dalla Regione non segnala né l’anno di edificazione né quello di dismissione, la destinazione originaria è comunque agricola e zootecnica. Sempre a Orio Litta, inoltre, c’è la Cascina Nuova, che però è stata già recuperata attraverso la realizzazione di un maneggio. A Mulazzano l’ex Solmag, in via della Vittoria, manterrà una destinazione produttiva: il Piano di governo del territorio prevede un permesso di costruire convenzionato con procedura Aia. L’uso produttivo è confermato anche a a Crespiatica, in via delle Industrie, dove c’è a disposizione una superficie fondiaria di 38.100 metri quadrati, ma che avrà bisogno di una bonifica. All’ex Tilusa, in via San Rocco a Comazzo, è previsto un piano di recupero residenziale. Il progetto era stato presentato senza che fosse concesso il certificato di dismissione dei terreni agricoli da parte della provincia di Lodi; successivamente è stata presentata una nuova proposta, che prevede comunque la realizzazione di complessi abitativi.Il comune di Corno Giovine sta valutando l’ipotesi di procedere al recupero dell’azienda agricola di via Beltrami, un’area dismessa dal 1998 che occupa 6.700 metri quadrati. il progetto è subordinato alla presentazione di un piano di recupero, in variante al Piano regolatore vigente.

Le FS come il mago Casanova

Ma le proteste per i nuovi orari non si placano: «Situazione incredibile». Pendolari, torna come per magia il treno “scomparso” del mattino.
Rassegna stampa - Il Cittadino, Greta Boni, 2 dicembre 2009.

Il treno delle 8.01 che da Lodi porta a Milano è “magicamente” ricomparso nella bozza degli orari che in questi giorni sta circolando su internet. La cancellazione del convoglio dal tabellone aveva scatenato le proteste dei pendolari, più di duecento persone si recano ogni giorno in stazione per quell’ora. Nonostante la conquista, però, le lamentele non si sono affatto fermate: «È incredibile che a meno di due settimane dal “via” ancora non ci sia un orario definitivo e che non si riesca a sapere nulla di certo - dicono i viaggiatori, molti dei quali stanno pubblicando su blog e siti i loro commenti -. Tanto per dire, andando sul sito di Trenitalia e provando a cercare l’orario da Lodi a Milano per il 14 dicembre, esce un laconico “Nessuna soluzione trovata”, incredibile!».
La data fatidica è fissata per il 13 dicembre, quando partirà la linea suburbana S1, la Lodi-Saronno, che però sarà inaugurata al di fuori dell’orario di punta. Una notizia che ha scatenato una “bufera” di polemiche tra i passeggeri, convinti che la “rivoluzione” avrebbe garantito più treni e più comodità. Anche la bozza con i nuovi orari ha suscitato pesanti critiche, soprattutto nella Bassa, perché i pendolari si sono ritrovati con 11 convogli in meno a disposizione.
«Restano alcuni slittamenti di orario - aggiungono i viaggiatori della Milano-Piacenza -, i rallentamenti di alcuni treni che con il nuovo orario ci metteranno di più e la cancellazione del treno Milano-Livorno delle 17.05. Molti dei treni regionali che nel vecchio orario si fermavano a Parma, nel nuovo orario proseguiranno fino a Bologna: Lodi sarà così nuovamente collegata direttamente a Bologna, come era fino a pochi anni fa. È ovviamente confermato l’avvio della linea suburbana S1 Lodi-Saronno, anche se inizialmente solo dalle 9 alle 17».
Oggi i pendolari lodigiani incontreranno per la prima volta l’amministrazione provinciale, nella speranza di riuscire a “strappare” qualche treno in più per il futuro.

Rispettare il patto sul consumo del suolo

I posti di lavoro prima di tutto. Cisl: «Non sprechiamo i soldi».
Rassegna stampa - Il Cittadino, Greta Boni, 2 dicembre 2009.

In tempi di crisi, si deve fare di tutto per salvare i posti di lavoro. O per attirare nuove aziende capaci di offrire occupazione. È questa una delle osservazioni ricorrenti nel corso del dibattito organizzato dalla Confartigianato sulle aree dismesse del Lodigiano. «Serve un utilizzo serio e ponderato delle risorse - afferma Mario Uccellini, segretario provinciale della Cisl -, non credo che il recupero delle 21 zone debba avvenire per tutte allo stesso tempo, sarebbe più opportuno stilare una “classifica”, non dobbiamo buttare via i soldi».
Anche il presidente della Provincia di Lodi, Pietro Foroni, sostiene che l’amministrazione non ha alcuna intenzione di chiudere le porte in faccia a nessuno, ma il privato che bussa deve garantire posti di lavoro per potersi insediare, soprattutto quando si tratta di logistiche: «L’interesse privatistico non deve determinare le scelte sulla pianificazione». E a proposito di urbanistica, l’assessore alla partita, Nancy Capezzera, ha sottolineato la necessità di non compiere più gli errori del passato: «Il territorio non deve essere un insieme di tanti piccoli comuni dove ognuno pensa per sè, la Provincia, insieme agli altri soggetti, deve capire come utilizzare il suolo a disposizione e come recuperarlo». Un’osservazione condivisa da Alfredo Ferrari, presidente della commissione ambiente a palazzo San Cristoforo, il quale ha ribadito la necessità di rispettare il patto sul consumo del suolo, anche attraverso la riqualificazione delle aree “depresse”: un’opportunità per contrastare la crisi e rispettare l’ambiente. L’onorevole Andrea Gibelli, presidente della commissione Attività produttive alla Camera ritiene che si possano introdurre una serie di misure per favorire l’insediamento delle piccole e medie imprese, «che hanno tenuto in piedi la nostra economia». Una partita che Gibelli sta seguendo “da vicino” a Montecitorio: «Non c’è una ricetta precostituita - aggiunge il parlamentare -, per esempio ci deve essere la possibilità per chi investe in queste aree di accedere a fondi, oltre a una serie di vantaggi. Non dobbiamo dimenticare che il nostro territorio si trova sulle principali vie di comunicazione, una grande opportunità». Al dibattito hanno partecipato l’assessore all’ambiente del comune di Lodi, Simone Uggetti, il quale ha ricordato che spesso le amministrazioni devono fare i conti con le difficoltà economiche, e l’ex vicepresidente della Provincia, Fabrizio Santantonio, il quale ha ricordato la proposta promossa dalla precedente amministrazione: i comuni lodigiani hanno sottoscritto un patto per frenare la cementificazione del territorio e si sono impegnati a non occupare più dell’uno per cento della superficie nei prossimi cinque anni.

Poveri cristi

Codogno. Una battaglia sul crocifisso: il centrosinistra lascia l’aula.
Rassegna stampa - Il Cittadino, Lu. Lu., 2 dicembre 2009.

La “guerra dei crocifissi” non la vuole fare nessuno. Vero è che lunedì sera, se non una guerra, una feroce battaglia in consiglio comunale si è davvero scatenata. Con tanto di uscita finale dall’aula della minoranza di centrosinistra. La quale aveva chiesto il rinvio della mozione presentata dal centrodestra (firmata dal vicesindaco Carlo Pizzamiglio, dal consigliere della Lega Giampiero Campagnoli e da quelli Popolo della libertà Gianni Donati ed Andrea Alloni) e volta ad impegnare il “parlamentino” a fianco del governo contro la contestata sentenza della Corte europea di togliere il crocefisso dalle aule scolastiche. «Vediamo solo stasera questa mozione, non c’era tra gli argomenti presentati alla riunione dei capigruppo - ha sbottato il capogruppo di minoranza Francangelo Riboldi -. Mai nessuno ha fatto osservazioni sulla presenza in questa aula del crocifisso, presenza che non offende nessuno, veicolo di valori fondanti come pace, tolleranza, convivenza. Questa mozione apre riflessioni pregnanti: avremmo solo voluto avere la possibilità di un confronto a livello di gruppo consiliare». Sulla richiesta di rinvio il centrodestra ha fatto però muro. «Tutto il centrodestra ha condiviso questa mozione voluta dalla Lega - ha replicato l’assessore Rossana Vanelli -. Non è invece così per il vostro gruppo che, ad un’anima cattolica e moderata, ne affianca un’altra laica e radicale. Questa mozione non nega la libertà di culto, ribadisce piuttosto l’importanza di un simbolo che è base della nostra cultura. Su questo si chiede solo un voto». «Non accettiamo processi alle intenzioni da nessuno - ha però tuonato Riboldi -. Soprattutto non da voi, che votate assieme a chi esalta i matrimoni celtici e la fede nel dio Po». In consiglio, peraltro, le diverse sensibilità dei consiglieri sono emerse. «Che il crocifisso nelle aule di scuola ci sia o non ci sia al sottoscritto non importa - ha detto il consigliere di Rifondazione Mario Zafferri -. Non condivido i contenuti di questa mozione che ritengo ipocrita, soprattutto quando a sostenerla è una forza politica che nei fatti disattende proprio il valore dell’accoglienza». «Non sono cattolico ma mi batto per la libertà di religione per tutti - gli ha fatto eco il consigliere di Rifondazione Pierattilio Tronconi -. La questione del crocifisso è una questione seria, apre riflessioni sul concetto di cultura, di simbolo. Siamo pronti a confrontarci su questi temi ma con i dovuti spazi. Non certo affrontando una mozione che ha il solo intento, disastroso, di portare la Fede dentro la politica». Con poca astuzia politica, il centrosinistra non ha però pungolato sulla questione la maggioranza. Che lunedì ha sì votato unanime la mozione ma che nel 2003, sull’identico argomento, aveva invece registrato l’astensione dell’assessore Mario Grazioli. Stavolta Grazioli ha votato a favore. In silenzio, senza intervenire nel dibattito.