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lunedì 7 settembre 2009

Dopo Boffo Fini

Caso Boffo e tutto il resto.
Dove vuole arrivare il «compagno» Fini.
Il presidente della Carriera rinnega il passato e fa retromarcia su quasi ogni cosa: immigrazione, biotestamento e persino sui gay.
Il suo obbiettivo: correre per la presidenza della Repubblica. Ma in realtà rischia di essere solo un taxi utile all'opposizione.

Rassegna stampa - Il Giornale di oggi, Vittorio Feltri.

Caro presidente Fini, sono abituato agli attacchi personali di giornalisti e politici e non mi sono offeso dei tuoi nella circostanza dell'affaire Boffo. Hai definito i nostri servizi in proposito esercizi di killeraggio, qualcosa di vergognoso, un esempio di giornalismo da bandire; le stesse accuse rivolteci dalle voci e dalle penne di sinistra non più intinte nell'inchiostro rosso, bensì nell'acqua santa; voci e penne che fino ad alcuni mesi orsono erano impegnate a criticare la Chiesa, il Papa, i vescovi, i parroci e anche i sacristi colpevoli di ingerire negli affari interni dello Stato italiano.
Poiché anche tu, come me, sei avvezzo agli attacchi (per lustri ti hanno dato del fascista, a te e perfino a Tatarella, giudicato indegno di sedere al governo perché missino), accetterai quanto sto per dirti con spirito sportivo. Specialmente adesso, che sei amato più dall'opposizione che dalla maggioranza, reputerai civile un dibattito alla luce del sole, addirittura pubblico e con i crismi della democraticità.
Sulla vicenda Boffo ti sei comportato, tu, e non il Giornale, in modo vergognoso. Hai espresso un'opinione dura verso di me senza conoscere, nella migliore delle ipotesi, i fatti. Se li avessi conosciuti saresti stato prudente. Invece hai sparato per il piacere di sparare o per convenienza, che è anche peggio. Ti sei accodato agli intelligentoni del Pd e ai cronisti mondani di la Repubblica nella speranza di fornire un'altra prova che hai le carte in regola per entrare nel club dei progressisti.
Non c'è altra spiegazione logica al tuo atteggiamento ostile verso un quotidiano che non ha ficcato il naso sotto le lenzuola ma nelle carte del Tribunale, divulgando un decreto di condanna e non le confessioni di una puttana come ha fatto la Repubblica con il tuo tacito consenso, visto che non risulta tu l'abbia biasimata per la campagna trimestrale, contro il leader del tuo partito, condotta esclusivamente sulla scorta di chiacchiere da postribolo.
Prima di unirti al coro invocante la mia crocefissione in piazza, dato che non sei ancora il segretario del Pd, bensì il presidente della Camera, avresti dovuto informarti. Bastava una telefonata a me, e non sarebbe stata la prima; se non altro, ascoltando l'altra campana, ti saresti chiarito le idee e le tue dichiarazioni sarebbero state più caute. Non ti è neanche passato per la mente che un conto sono i pettegolezzi e un altro i reati.
Obietterai. Ma tu hai dato dell'omosessuale al direttore dell'Avvenire. Ti rispondo, caro Fini: l'omosessualità non è un reato; e neppure un peccato, per me non cattolico.
Piuttosto tu, amico mio, un paio di anni orsono ti lasciasti sfuggire una frase infelice e memorabile: «Un maestro elementare non può essere gay». Con ciò dando per assodato che un gay sia anche pedofilo. Converrai, di questo dovresti vergognarti.
Poiché l'omosessualità non è in contrasto con la legge, non mi sarei mai sognato di rimproverarla a Boffo. E in effetti gli ho solo «ricordato» le molestie a sfondo sessuale a causa delle quali è stato condannato dalla giustizia ordinaria, e non da me. Il Giornale si è limitato a riferire un episodio, ciò rientra nel diritto di cronaca (ho scritto cronaca, non gossip).
Prendo atto che in un biennio hai cambiato posizione sui gay e non li consideri più era ora immeritevoli di stare in cattedra. Però un'altra volta avvisaci prima delle tue virate, altrimenti ci cogli impreparati.
A proposito di virate. Sei ancora di destra o da quella parte ti sei fatto superare da Berlusconi? Non è una domanda provocatoria. Nasce piuttosto da una costatazione. Sulla questione degli immigrati, parli come un vescovo. Sul testamento biologico parli invece come Marino, quello della cresta sulle note spese dell'Università da cui è stato licenziato.
Intendiamoci, su questo secondo punto, molti sono d'accordo con te perfino nel Pdl, me compreso. Ma sul primo, scusa, è difficile seguirti. Tempo fa con Bossi firmasti una legge, che porta i vostri nomi, per regolamentare gli ingressi degli extracomunitari. La quale legge, nella pratica, si è rivelata insufficiente per una serie di lacune organizzative e burocratiche su cui sorvolo per brevità.
Era ovvio che il governo di centrodestra, non appena insediato, correggesse e integrasse quelle norme introducendo il reato di clandestinità e, grazie alla collaborazione della vituperata Libia, i respingimenti, che non riguardano gli aventi diritto all'asilo politico, ma chi viene qui convinto che l'Italia sia un gruviera in cui ogni topo, delinquenti inclusi, ottiene ospitalità e impunità.
A te la nuova disciplina, benché indispensabile, non va a genio. E vai in giro a dire che è una schifezza, e immagino, tu punti a farla cancellare. Affermi che occorre essere più umani.
Edificante. Ma come si fa? Ci teniamo tutti gli immigrati incentivando altri arrivi in massa? E dove li mettiamo? Case, ospedali, scuole, servizi e posti di lavoro: provvedi tu a crearli? Con quali soldi? Buono chiunque a essere umano scaricando sulla collettività in bolletta ogni onere. Perché viceversa non ti dai da fare per persuadere l'Europa, che ci fa le pulci, a condividere con noi il problema e a pagare le spese della soluzione? Per esempio con la spartizione, fra i vari Paesi membri della Ue, degli immigrati che approdano alle nostre coste? A te non premono soluzioni alternative, sennò faresti proposte anziché lanciare critiche alla tua stessa maggioranza.
Ti sta a cuore la simpatia della sinistra, che non sai più come garantirti. Il motivo si può intuire; se sbaglio correggimi. Miri al Quirinale perché hai verificato che la successione a Berlusconi avverrà con una gara cui è iscritta una folla.
Fare il ministro non ti va; hai già dato. Fare l'uomo di partito, figurarsi; anche qui hai già dato. Continuare ad occupare la presidenza della Camera? Che barba. E allora rimane il Colle, lì a due passi da Montecitorio. Per arrivarci servono molti voti, ma non ne hai abbastanza nel Pdl. È necessario raccattarne a sinistra, alla quale, dunque, fai l'occhiolino nell'illusione di sedurla. Oddio. L'hai sì conquistata; lo si è potuto vedere alla Festa dell'ex Unità dove sei stato salutato quale novello Berlinguer. Ma la sinistra ti usa perché le fai comodo; sei il suo tassì. Al momento di eleggere il presidente della Repubblica (la prossima legislatura) ai progressisti sarà passata la cotta. E da loro non beccherai un voto.
Consiglio non richiesto: rientra nei ranghi. Torna a destra per recitare una parte in cui sei più credibile; non rischierai più di essere ridicolo come lo sei stato spesso negli ultimi tempi.
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C'è chi suggerisce di tornare a votare

Berlusconi oltre i veleni.
Domani batte De Gasperi.
Sua la premiership più lunga della storia d'Italia.

Rassegna stampa - Quotidiano nazionale, Franco Cangini.

Passò quel tempo che in Italia «i governi cambiavano come il gusto del mese nelle gelaterie». Gustosa metafora usata da Clinton, presidente degli Stati Uniti, per rappresentare a un vertice della Nato il salto di qualità introdotto nella politica italiana dall'avvento di D'Alema alla presidenza del Consiglio. Voleva essere un augurio di lunga durata per il premier ex comunista, che portava in dono la partecipazione italiana ai bombardamenti sulla Serbia, ma non portò fortuna. Questione di poco tempo e la rivincita elettorale di Berlusconi avrebbe ricondotto la politica italiana al ciclo di stabilità che si credeva estinto con l'età dell`oro della Repubblica: quando De Gasperi prese il timone e lo tenne durante sette governi di formula centrista. In tutto, sette anni e nove mesi che portarono l'Italia dalla monarchia alla repubblica, dalle devastazioni belliche alla vigilia del miracolo economico, da un destino incerto al radicamento tra le liberaldemocrazie.
Quel record di durata, fin qui ineguagliato, passa ai governi Berlusconi di centrodestra. Negli incontri internazionali il decano è un premier italiano, e un intero ciclo storico del Paese reca il segno della sua personalità. La stabilità non è un valore assoluto, anche se rappresenta un grosso cambiamento per un sistema politico che durante oltre mezzo secolo ha partorito, in media, un governo ogni nove mesi. Non sempre la stabilità produce grandi risultati, come nell'età di De Gasperi, ma almeno li rende possibili con l'aiuto delle circostanze storiche. Oggi molto diverse da quelle di allora. Né gl'italiani di oggi sono come quelli di allora, usciti dalla disfatta con una gran voglia di rimboccarsi le maniche, né lo sono la forza del potere pubblico e l'interesse dell'Occidente per il successo del trapianto di democrazia nell'avamposto del mondo libero in faccia all'Oriente rosso. Ciò che hanno in comune, le diverse generazioni di italiani, è l'allergia maggioritaria verso il governo della sinistra. Ha detto bene Umberto Eco: «L'Italia è un paese a larga maggioranza di destra, dove per circostanze eccezionali ha governato una coalizione di sinistra». E soprattutto all'allergia dell'Italia profonda verso la sinistra in plancia comando che Berlusconi, come De Gasperi e la Dc prima di lui, deve l'onda del consenso che lo ha portato in alto. La repulsione per l'alternativa ha deciso il risultato.
La qualità della proposta programmatica ha avuto un'importanza secondaria. Come di De Gasperi si poteva esser certi (se non altro per la fama dei suoi sponsor: l'America, la Chiesa di papa Pacelli, quel che restava della vecchia classe dirigente liberale) che la causa della libertà avrebbe avuto in lui il suo campione, così la reputazione di Berlusconi come imprenditore di successo garantiva che avrebbe fatto il possibile per alleggerire l'iniziativa individuale dal peso tributario di uno statalismo spendaccione e inefficiente.
Che poi le buone intenzioni producano tutti i buoni risultati che ci si attendono, dipende da variabili fuori controllo. L'esperienza traumatica delle variabili che condizionano l'agire politico, è stata fatta da Berlusconi già all'indomani della sua discesa in campo, nel marzo 1994. Vittoriosa contro tutte le previsioni, comprese le sue, a giudicare dagli sforzi fatti per convincere la Dc di Martinazzoli a rialzare la diga nei confronti del Pci. Inutilmente, perché l`operazione Mani pulite aveva aperto la via al Pci tra le macerie del sistema di potere democristiano.
La decisione di improvvisarsi leader politico, presa da Berlusconi nello stupore generale, aveva ispirato la vena sarcastica di D'Alema, che pregustava il piacere di vedere il padrone di Mediaset ridotto all`elemosina e peggio. Sottovalutava la presa dell'appello di Berlusconi, spinto dalla forza della disperazione unita a una illimitata fiducia in se stesso, su una maggioranza sociale tutt'altro che rassegnata alla stranezza dell'avvento al governo dell'ex Pci nel crollo del comunismo mondiale. A sua volta, Berlusconi sottovalutava, da novizio della politica, la reazione di rigetto del Palazzo nei confronti dell'intruso armato solo del mandato popolare. Dopo sette mesi, l'illusione che la stanza dei bottoni di Palazzo Chigi fosse ancora capace di far presa sulla realtà, come al tempo di De Gasperi, era svanita. Per Berlusconi, ricacciato all`opposizione, cominciava l'apprendistato politico.
Ancora una volta, nessuno si aspettava che avrebbe superato la traversata del deserto per avere la sua rivincita. Probabilmente non ci sarebbe riuscito senza l'involontario aiuto di una sinistra rissosa e inconcludente che, alla prova del governo, ha confermato le peggiori previsioni. Da allora, Berlusconi ha potuto contare sulla maggioranza elettorale, anche se non sempre convertita in maggioranza parlamentare. Come quella, eccezionalmente larga, che sostiene il suo quarto governo di coalizione (Partito della libertà e Lega Nord). Nonostante i contraccolpi della crisi economica globale sulla dissestata finanza pubblica e su un sistema produttivo in affanno, il premier Berlusconi è ancora forte del consenso della maggioranza sociale e dello sbandamento dell`opposizione. Ma la incessante e virulenta campagna di delegittimazione condotta contro di lui ha prodotto guasti evidenti, soprattutto all'estero.
L'uomo ha la tempra del combattente, non è tipo da capitolare al linciaggio morale usato come arma impropria per compensare l'handicap democratico che rende questa sinistra soccombente nella prova delle urne. Naturale aspettarsi dal protagonista, ormai di lungo corso, della scena politica che reagisca al tentativo di bollirlo nel fango perché arrivi stremato alle elezioni regionali di primavera. La via regia di uscita da questa sorta di colpo di stato permanente è l'appello al popolo. Il ricorso alla sovranità popolare, attraverso elezioni anticipate, per farla finita con un indecente gioco di massacro. Com'è nell'interesse del Paese, nonché in quello di una straordinaria avventura umana e politica meritevole di essere avviata a una degna conclusione.
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Le barzellette del presidente

Il presidente del Consiglio a Canale 5: "Con la Chiesa ottimi rapporti".
"C'è una campagna eversiva, ma il popolo è dalla mia parte.
"Berlusconi: "Stampa in pericolo?. Barzelletta dei cattocomunisti".
"La maggioranza degli italiani vorrebbe essere come me".
Rassegna stampa - Repubblica.it oggi.

Roma - "Che sia in pericolo la libertà di stampa è una barzelletta raccontata dalla minoranza comunista e cattocomunista e dai suoi giornali, che sono il 90% della stampa". Silvio Berlusconi, dai microfoni de "La Telefonata", trasmissione di Canale 5 condotta da Maurizio Belpietro, commenta così le azioni legali intentate contro Repubblica e L'Unità. Nessun pentimento, nessuna marcia indietro. "Per loro la libertà di stampa è libertà di insulto, mistificazione, diffamazione - aggiunge il Cavaliere - Sono stato costretto a rivolgermi alla magistratura per stabilire un principio importante, che la libertà di stampa non è libertà di insulto". È un fiume in piena il premier, che torna a parlare di attacchi nei confronti del governo e di "una campagna eversiva" che punta alle dimissioni dell'esecutivo "contro la volontà del popolo". Per poi ripetere le parole pronunciate nei confronti della stampa la settimana scorsa: "Con questa informazione povera Italia". Un Paese che rischia, per mano di "comunisti e di cattocomunisti", di diventare "una tirannia che opprime i cittadini".
Le relazioni con il Vaticano. Berlusconi definisce "eccellenti" i rapporti con la Chiesa. Per poi smentire che sia in agenda un incontro con il segretario di Stato vaticano, Tarcisio Bertone: "Non è in agenda, non ne vedo la necessità". Per il premier gli scontri con la Santa Sede che hanno riempito le pagine dei giornali, l'attacco del Giornale all'ormai ex direttore dell'Avvenire Dino Boffo, non sono mai esistiti. "Si sono inventati tutto - continua Berlusconi - come si sono inventati che io avrei chiesto degli incontri: non ho chiesto nulla perché non c'è nulla da chiedere". E se problemi ci sono stati, il Cavaliere è pronto a generose concessioni verso la Santa Sede: "La difesa di valori fondamentali, come la vita umana, la famiglia sono lì a testimoniare l'eccellenza di rapporti. Eccellenza che testeremo su temi importanti come il testamento biologico".
L'azione di governo. ''Un bilancio dell'attività di governo dopo 14 mesi? Lo hanno fatto gli italiani con i loro ripetuti voti a nostro favore''. Il presidente del Consiglio ostenta il consueto sondaggio: "Il mio gradimento veleggia verso il 70%, un record ineguagliato in tutte le democrazie occidentali dopo un anno di governo''. Perché di una cosa Berlusconi è sicuro: "La maggioranza degli italiani vorrebbe essere come me, si riconosce in me e condivide i miei comportamenti". Il motivo? "Perché sanno che Berlusconi non ruba e che non utilizza i poteri a suo vantaggio personale, come hanno fatto quasi tutti coloro che, soprattutto dall'altra parte politica, mi hanno preceduto in questa difficile responsabilità".
Regionali e candidature. "Devo ancora fare una riunione con gli esponenti del Pdl per mettere a posto la strategia". Berlusconi glissa così sulle scelta delle candidature in vista delle Regionali del 2010. Questione spinosa visto le pressanti richieste della Lega. "È prematuro parlarne, almeno prima della fine di settembre, perché il Popolo della libertà deve ancora definire una strategia e decidere i nomi".
Immigrazione e processo penale. "La sinistra vorrebbe una politica delle porte aperte verso gli immigrati clandestini per dare poi loro il diritto di voto al fine di avere un'eventuale futura vittoria elettorale. Questo noi non lo consentiremo'' dice Berlusconi che promette il ricorso a un numero maggiore di militari per "la sicurezza dei cittadini". Poi l'annuncio: "Porteremo in Parlamento la riforma del processo penale, di cui c'è grande bisogno, e ci occuperemo di garantire il rispetto della privacy di tutti''.
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Un cattivo uso strategico della politica

Boffo. Se il killer è un amico.
Rassegna stampa - La Stampa di oggi, Gian Enrico Rusconi.

È superficiale leggere lo sconcerto dei vertici della Chiesa italiana in chiave di regolamento di conti tra cardinali. Non c'è dubbio che assistiamo a una collisione tra strutture di governo ecclesiastico. Ma il contrasto nel giudizio su quanto è «accaduto davvero» nella vicenda Boffo, e le differenze nella diagnosi e nella strategia per uscirne, vengono dal profondo di una Chiesa in cui da troppo tempo le voci dissonanti sono mortificate. Voci spesso denunciate come conniventi con il nemico laicista.
Non è un caso che le contraddizioni siano esplose proprio al vertice dell'organo ufficiale della Chiesa italiana, quando sembrava che esprimesse giudizi articolati, differenziati, controversi, ma presenti nella Chiesa. Ma il killer, che lo ha colpito al cuore, veniva dal campo politico amico.
Il risultato è stato un danno d'immagine, che soltanto un paio di settimane fa sarebbe stato inconcepibile. Tuttavia, dietro al problema d'immagine, è venuto alla luce qualcosa di più essenziale. Si è improvvisamente constatato che gli organi della Chiesa non sono in grado di controllare quella sfera pubblica e mediatica nella quale ritenevano di potersi muovere con sovrana sicurezza. È un colpo al mito della Chiesa come l'istituzione più abile nel gestire la propria comunicazione pubblica. Per il momento non le resta che sfruttare a fondo l'immagine di «vittima» di un sistema mediatico imbarbarito. Questo accade proprio nel momento in cui autorevoli commentatori insistono nel dire che la vera discriminante della nuova laicità è l'apertura incondizionata della sfera pubblica al discorso religioso. Ma se c'è qualcosa di nuovo nella traumatica vicenda Boffo, è l'assoluta assenza del tema religioso o laico.
Nelle prossime ore ci sarà certamente la corsa da parte delle istituzioni ecclesiali e governative a sdrammatizzare la situazione. È chiaro che la Chiesa italiana non rinuncerà masochisticamente alle generose offerte che le farà il governo (il quale, nelle parole testuali del presidente del Consiglio, pronunciate tempo fa, si è dichiarato «compiacente verso la Chiesa»). Ma è altrettanto evidente che si è rotto irreversibilmente il vecchio equilibrio che consentiva di mettere sullo stesso piano i nemici politici dell'attuale maggioranza e i nemici della Chiesa. I tempi per creare un nuovo equilibrio non saranno più lunghi dell'attuale legislatura. Il ciclo elettorale diventerà una variabile del comportamento della Chiesa in Italia. Quello che ci si aspetta anche da parte laica - dopo l'amara lezione di questi giorni, è un atteggiamento meno strumentale nei confronti della politica «compiacente», per coerenza con il suo quadro di valori.
Di fronte a questa problematica non esaltante ma realistica, non mi è chiara la tesi che Vittorio Messori ha espresso sul Corriere della Sera. Nella tensione di questi giorni nella Chiesa vede il segno di «una strategia di lungo respiro del Papa per contrastare un inaccettabile "federalismo clericale"». Messori è uomo addentro alle cose della Chiesa. Avrà quindi i suoi motivi per sostenere questa tesi o magari soltanto per esprimere un suo augurio.
Ma non vorrei che si confondessero piani diversi. Per la Chiesa cattolica come tale mi sembra un dato positivo e acquisito che l'unicità dei principi del Credo trovi una pluralità di espressioni politico-istituzionali nelle diverse Chiese nazionali o addirittura continentali. Può darsi in Italia il pericolo di un «federalismo clericale» sia più accentuato che altrove. Ma non credo che possa essere corretto con il richiamo ai grandi fondamenti unitari di fede, quando è in gioco la politica. Alla politica del resto si rivolge direttamente lo stesso Pontefice quando le raccomanda di seguire le indicazioni morali della Chiesa. L'incidente Boffo non ha nulla a che vedere con la fede, ma con un cattivo uso strategico della politica.
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L'incapacità politica del premier

Dopo gli attacchi all'informazione due o tre cose su premier e stampa.
Rassegna stampa - Corriere della Sera di oggi, Ernesto Galli Della Loggia.

Se c'era bisogno di una prova dell'incapacità del presidente del Consiglio di gestire i conflitti, anche di natura personale, in cui si trova coinvolto egli l'ha data con la querela ai giornali nei giorni scorsi. Gestire i conflitti, intendo, nell'unico modo in cui un uomo politico può e deve farlo: vale a dire politicamente.
L'espressione «gestire politicamente» può significare tante cose: dal cercare di venire in qualche modo a patti con l'avversario, al pagare il prezzo che c'è da pagare, al rilanciare su altri piani con una forte iniziativa che imponga all'agenda politica di girare decisamente pagina, fino al fare finta di nulla. E invece, di fronte agli attacchi personali che gli stanno piovendo addosso da mesi, Berlusconi non ha fatto niente di tutto ciò. Anzi, con la querela alla Repubblica e all'Unità ha aggiunto benzina al fuoco della polemica. Perché? Perché egli non capisce l'importanza della suddetta gestione politica e/o,non sa metterla in opera, si può rispondere.
Ma forse c'è una ragione più semplice (e in certo senso più sostanziale): perché non è nel suo carattere, e Berlusconi sa bene che è proprio nel suo carattere, nel suo spontaneo modo di muoversi, di parlare, di reagire, che sta la ragione principale del suo successo come politico outsider. Un temperamento leggero e insieme pugnacissimo; e poi ottimista, sicuro e innamorato di sé come pochi e naturalmente disposto all'improntitudine guascona, all'iniziativa audace e fuori del consueto: questo è l'uomo Berlusconi, e questa ne è l'immagine che ha conquistato lo straordinario consenso elettorale che sappiamo.
Perché mai un uomo cosi dovrebbe preoccuparsi di trovare una soluzione politica ai conflitti che riguardano la sua persona? Che poi della sua aggressiva indifferenza possano scapitarci le istituzioni non è cosa che possa fargli cambiare idea. Se una cosa è certa, infatti, è che il presidente del Consiglio non è quello che si dice «un uomo delle istituzioni».
È l'opposto, semmai: un uomo pubblico a suo modo «totus politicus», l'uomo della politica democratica ridotta al suo dato più elementare, quello del risultato delle urne.
Ma c`è un altro aspetto della questione da considerare. Ed è che per gestire, e possibilmente chiudere, politicamente i conflitti è essenziale una condizione: bisogna che il conflitto possa concludersi alla fine con un compromesso.
Non pare proprio però che sia tale, che sia un conflitto «compromissibile», quello in cui è coinvolto da settimane Silvio Berlusconi. Un conflitto che è partito dall'accertamento di alcuni aspetti indubbiamente libertini della sua vita privata - a proposito dei quali vogliamo ricordare che il Corriere è stato il primo a dare notizia dell'inchiesta di Bari nonché delle gesta dell'ormai purtroppo famosa Patrizia D'Addario - ma che tuttavia è subito diventato motivo per decretare l'incompatibilità dello stesso Berlusconi rispetto al suo ruolo di presidente del Consiglio. Chi dubiti che di questo si tratti, ricordi come suonano testualmente alcune delle famose domande che hanno condotto alla querela contro il giornale che le ha pubblicate: «Lei ritiene di poter adempiere alle funzioni di presidente del Consiglio?», e ancora: «Quali sono le sue condizioni di salute?». Mi chiedo quale risposta sensata, anche volendo, si possa dare a domande del genere, le quali, come ognuno capisce, già in sé contengono l'unica possibile da parte dell'interessato («lo ritengo eccome», «sono sano come un pesce»). E le quali domande, dunque, non hanno valore se non come puro strumento retorico: per affermare in modo indiretto, ma precisissimo, che Berlusconi, a motivo del suo stile di vita, non sarebbe adatto a fare il capo del governo. Il che ci porta al punto più delicato: il rapporto tra la stampa e il potere, sul quale a proposito del caso Avvenire hanno già scritto ottimamente su queste colonne sia Massimo Franco che Sergio Romano.
Personalmente sono convinto che la legge debba essere di manica larghissima nel consentire alla stampa un'amplissima libertà di critica nei confronti degli uomini politici, anche ai limiti della calunnia, come accade per esempio negli Stati Uniti dove, per non incorrere nei rigori della legge, basta che anche chi scrive il falso non ne sia però espressamente consapevole.
Da questo punto di vista, dunque, l'iniziativa del presidente del Consiglio, accompagnata per giunta dalla richiesta di un risarcimento astronomico, è sbagliata e riprovevole: essa ha di fatto un innegabile contenuto di intimidazione censoria verso i giornali presi di mira.
Con la stessa sicurezza, però, si può dubitare fortemente che rientri tra i compiti della libera stampa l'organizzazione di interminabili, feroci campagne giornalistiche, non già per invocare - come sarebbe sacrosanto - che i reati eventualmente commessi dal presidente del Consiglio siano perseguiti (dal momento che nel suo libertinismo di reati non sembra esservi almeno finora traccia), ma per chiedere di fatto le sue dimissioni, adducendo che egli sarebbe comunque, per il suo stile di vita, «inadatto» a ricoprire la carica che ricopre. In una democrazia, fino a prova contraria, decidere se qualunque persona è adatta o inadatta a guidare il governo, non è compito dei giornali: è compito degli elettori e soltanto degli elettori. Anche se la loro decisione può non piacere.
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Puntini sulle i

Dopo Casalpusterlengo, anche Codogno è nell'occhio del ciclone per decisioni prese dalle giunte di centrodestra. Ne sono testimonianza della discussione in atto oggi su Il Cittadino due lettere, la prima del vicesindaco di Codogno Carlo Pizzamiglio, la seconda di Andrea Ferrari di Casalpusterlengo.
Rassegna stampa.
La sicurezza è già egregiamente garantita dai carabinieri.

Caro direttore, apprendo dall’edizione de «il Cittadino» di giovedì 3 settembre u.s. della decisione del Sindaco, rag. Emanuele Dossena, di volersi «far da ponte» fra i cittadini ed i carabinieri per segnalazioni di situazioni di ordine pubblico e sospetta legalità riguardanti il territorio di Codogno.
Nel merito desidero precisare che tale decisione del Sindaco non è stata mai partecipata né allo scrivente, né al partito dell’UDC al quale appartengo, nonostante la mia presenza in Codogno per tutto il periodo estivo.
L’UDC e lo scrivente ritengono, in proposito, che la sicurezza dei cittadini venga già egregiamente garantita dalle Forze dell’Ordine ed in particolare dalla Compagnia dei Carabinieri di Codogno, cui danno ampia fiducia, perchè ha sempre dimostrato, anche senza intermediari, di presidiare al meglio il territorio.
Carlo Pizzamiglio
Vicesindaco di Codogno


Applichi la misura anche ai residenti.

L’amministrazione comunale di Codogno nel tentativo di inseguire e superare quella di Casalpusterlengo nel rendere la vita difficile agli immigrati, darà la residenza solo agli stranieri che dimostreranno di avere un reddito annuo minimo di 5 mila euro o di 15 mila nel caso in cui lo straniero tenga famiglia. Una misura di buonsenso: un reddito è necessario per vivere e rappresenta di fatto una garanzia che la persona lavora e dunque è, bene o male, integrata nel tessuto sociale.
Provocatoriamente vorrei suggerire al sindaco di Codogno (persona perbene e di cui ho grande stima) di applicare la stessa misura ai già residenti. Propongo che i cittadini (esclusi i minorenni) che hanno presentato dichiarazioni dei redditi inferiori ai 5 mila euro o 15mila euro con un familiare a carico, vengano privati della residenza o in qualche modo sanzionati. Scorrendo le dichiarazioni dei redditi del 2005 (che erano disponibili a suo tempo sul sito del Ministero delle Finanze) si scopre che sarebbero numerosi i codognesi “doc”a dover essere espulsi simbolicamente dalla loro città perché fuori dai parametri. Una schiera di pensionati, come ci si aspetterebbe, ma anche noti architetti, commercianti, artigiani, titolari di imprese edili e ristoratori sarebbero costretti a far fagotto. Tutta povera gente, stando alle miserevoli dichiarazioni dei redditi di 4 anni fa…
Applicare questa misura potrebbe sanare il sospetto malevolo che le istituzioni di questi tempi sono forti coi deboli e debolissime con i forti e sarebbe un piccolo contributo per scalfire quel muro di ipocrisia creato da chi invoca a gran voce le regole per gli altri mentre lui è il primo a non rispettarle.
Cordialità.
Andrea Ferrari
Casalpusterlengo
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Il diritto allo studio è uguale per tutti

Il Cittadino di oggi pubblica anche una lettera di Ester Concordati di Secugnago, che ci racconta di una decisione discriminatoria della nuova giunta locale.
Secugnago. Sarebbe questa la scuola dell’obbligo?

Carissimo direttore, martedì 4 agosto ha avuto luogo nei locali del Municipio del paese in cui abito il Consiglio Comunale. Fra i tanti punti trattati mi permetto di esprimere una mia perplessità su un particolare del Piano di Diritto allo Studio. Mi riferisco al capoverso “rinnovato” relativo il trasporto degli alunni della Scuola Secondaria: “…non è previsto il rimborso del servizio di trasporto degli studenti frequentanti altri plessi scolastici oltre quello della Scuola Primaria di Secugnago e Secondaria di Brembio”.
In poche parole, per far capire a chi legge di cosa si tratta, nel nostro paese non esiste una scuola Secondaria, per cui parte degli utenti utilizza la Scuola Secondaria di Brembio. Dico una parte, perché su 43 ben 21 ragazzi si orientano verso altre scuole di Lodi; scelta più che lecita dal momento che comunque i ragazzi, in entrambi i casi, si devono spostare con un pullman di linea e comunque sempre nel rispetto della scelta di un genitore che può avere mille e più motivi per scegliere un’altra scuola che magari propone un’offerta formativa più consona alle esigenze della propria famiglia.
Faccio questa osservazione perché le precedenti Amministrazioni avevano comunque tenuto conto dei pari diritti dei ragazzi, indipendentemente dalla scuola frequentata e, di conseguenza, avevano previsto un rimborso mensile per tutti, pari alla tratta SecugnagoBrembio, mentre gli attuali Amministratori hanno ben pensato di non dare più alcun contributo ai ragazzi che non frequentano la Scuola di Brembio. La motivazione?.. Evitare la dispersione scolastica! Mah, sarà una decisione
suggerita? Un po’ poco coerente questa scelta se si pensa che come introduzione al Piano di Diritto allo Studio presentato si parla di… nessuna discriminazione, alleanza fra istituzioni locali e famiglia che devono cooperare, dialogare e bla bla... Belle parole e sacrosante, solo che però andrebbero lette con la dovuta attenzione da parte di tutti e messe in atto!
Anche la Scuola Secondaria è soprattutto Scuola dell’obbligo, quindi tutti gli utenti dovrebbero godere dei pari diritti e quindi anche della gratuità del trasporto. Personalmente mi rincresco di questa scelta, perché oltre al fatto di essere direttamente interessata, ritengo questa decisione discriminatoria nei confronti dei 21 ragazzi e delle loro famiglie. E pensare che nei mesi scorsi molti si lamentavano dei ritardi nell’erogazione del contributo; ora non avremo neppure di che lamentarci, perché non lo daranno più!
Comunque, tutte queste sono solo mie osservazioni,opinabili sicuramente, nulla di più, ma volte a far riflettere obiettivamente che le critiche sono più che lecite ma solo se costruttive nell’interesse e nel rispetto di tutti. Cordialmente saluto.
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Resistere resistere resistere

Il Cittadino di oggi pubblica nelle pagine di "Lettere & Opinioni" l'intervento del presidente dell'Anpi lodigiana Alboni che è stato oggetto di contestazione da parte degli ex-post-fascisti provinciali.
Sono presenti in doppiopetto in Parlamento.
Rassegna stampa.

Egregio direttore, a nome del direttivo provinciale dell’Anpi, le chiedo cortesemente di pubblicare l’intero testo dell’intervento del presidente Alboni, tenuto il 22 agosto scorso alla commemorazione dei Martiri del Poligono.
Isabella Ottobelli

Cari compagni, cari amici! Ho voluto essere qui con voi, ancora una volta, per rivivere un emozionante, drammatico appuntamento della memoria, divenuto ormai parte gloriosa della storia della nostra terra. La memoria del feroce assassinio di Garati, Guarnieri, Maddè, Moretti, Sabbioni, partigiani combattenti della 174ª Brigata Garibaldi, della quale fui costruttore e fortunato comandante.
Con la stessa impotente disperazione di 65 anni fa, ritorno con il ricordo alle tragiche fasi di un martirio che ha elevato a Eroi della Patria cinque giovani vite, cadute sotto il piombo fascista per restituire all’Italia libertà e dignità di Nazione e la fede nella giustizia. Credo di non correre il pericolo della retorica celebrativa se ripasso con sentimento di dolore e insieme di orgoglio patriottico una delle pagine più esaltanti della storia lodigiana di resistenza antifascista che, con quelle scritte dal sacrificio di Zaninelli, Frigoli, Biancardi, Sigi, De Avocatis, Rosolino Ferrari, dei Caduti di Villa Pompeiana, della Cagnola, di Caselle Landi e di tante altre località del lodigiano costituisce la mappa di un patrimonio popolare di sacrifici e di sangue che certamente meritava e merita un più qualificato riconoscimento istituzionale.
La polvere del tempo che ci distanzia dalla feroce violenza liberticida del 22 Agosto 1944, ha ricoperto tante vicende della nostra vita comunitaria, ha oscurato larga parte della nostra storia recente, quella delle grandi lotte per il riscatto economico e sociale delle masse lavoratrici per il progresso nella giustizia, per la difesa della democrazia e della pace. Quella polvere denuncia la cattiva coscienza di chi si é assunto la responsabilità della collusione politica con i rigurgiti fascisti e con le nostalgie del ventennio liberticida, della pianificazione di una campagna di diffamazione della Resistenza e di svuotamento dei suoi valori e della sua storia.
E tuttavia coloro che ieri si identificavano apertamente con l’ideologia fascista e ne assumevano i simboli e che oggi, sdoganati dalla peggiore politica di potere, si presentano in doppio petto nel Parlamento della Repubblica per dettare al Paese lezioni di libertà e di democrazia, non sono ancora riusciti a debellare la memoria di un popolo alla macchia per salvare la Nazione dall’annientamento nazista e preparare la rivincita della Repubblica e della Costituzione.
Su questo binomio Resistenza Costituzione si giocano oggi le sorti dell’Italia nei suoi valori di unità nazionale, nelle sue stesse conquiste civili e democratiche. Lo sanno gli uomini, le donne, i giovani che difendono con le unghie e con i denti il loro diritto al lavoro; lo sanno i ragazzi e le loro famiglie che si battono per una Scuola moderna ed efficiente, capace di aprire a tutti le porte di un destino meno difficile; lo sanno i cittadini che chiedono una sicurezza reale e non solo a parole; lo sanno gli anziani che hanno bisogno di una assistenza sanitaria meno burocratica e più tempestiva; lo sa l’intera comunità nazionale, angosciata dall’immoralità del potere, dalla corruzione della politica, dal progressivo svuotamento delle prerogative del Parlamento, dagli attacchi sempre più forsennati alle regole e ai valori della Costituzione. Lo sanno tutti coloro uomini donne giovani, che affluiscono sempre più numerosi nella nostra Associazione, l’Anpi, per convalidare con il pensiero e l’azione la sua eredità resistenziale e farne partecipe le nuove generazioni.
Sono queste le ragioni che ci legano al passato, che ci hanno unito e ancora ci uniscono nella memoria di chi è caduto per la libertà e nell’impegno per sconfiggere il disegno politicamente delittuoso di violare la Costituzione per piegarla a un disegno neoautoritario in nome di interessi che nulla hanno da spartire con la volontà della Nazione.
Cari compagni, cari amici! Contro il tentativo praticato per spianare la strada ad una politica di divisione, di discriminazione e ingiustizia sociale, di confusione istituzionale e di disfacimento economico e sociale, noi siamo ancora qui più numerosi e convinti, con tutte le forze democratiche e istituzionali che ispirano i loro atti ai valori e agli insegnamenti della Resistenza, la difendere l’unità della Nazione, la sua lingua, il tricolore della sua bandiera, i valori di libertà, di democrazia, di solidarietà e di pace scritti nella Costituzione con il sangue della Resistenza antifascista e antinazista.
Non passeranno i nuovi lanzichenecchi al potere. Non passeranno. L’Italia migliore non permetterà che rozzi cultori di una assurda politica di discriminazione razziale, del peggiore localismo culturale e istituzionale, fonte di egoismi economici e di drammatiche rotture antirisorgimentali, abbiano partita vinta nel ricacciare all’indietro l’orologio della storia. Non passeranno costoro e i loro alleati al potere, ricattatori e ricattati insieme, all’insegna di un opportunismo e di una arroganza di cui l’intero Paese sta scontando le nefaste conseguenze.
Nel nome della Resistenza antifascista, delle migliaia dei suoi Caduti, partigiani, soldati, prigionieri politici e di guerra, civili, ebrei e di altra appartenenza razziale, tutti insieme continueremo a onorare il loro sacrificio e a coltivarne la memoria. Per l’unico scopo possibile: resistere oggi all’ondata del pericoloso autoritarismo conservatore e ricostruire per il domani una Nazione unita, non solo geograficamente, nello sforzo di fare dei valori e dei principi della Costituzione repubblicana il nostro pane quotidiano.
W i Martiri del Poligono, W tutti i Caduti per la Libertà!
Edgardo Alboni
presidente provinciale Anpi del Lodigiano
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Far finta di non essere dei padri Zappata

Torna utile "pescare" ancora nell'archivio di Ragionpolitica.it, il giornale online fondato da Gianni Baget Bozzo, think tank di Forza Italia prima e dei forzisti nel Pdl oggi.
Lo stato dei rapporti governo-Chiesa.
Rassegna stampa - Gianteo Bordero, venerdì 28 agosto 2009.

Con una nota diffusa venerdì da Palazzo Chigi, il presidente del Consiglio ha stigmatizzato la scelta de Il Giornale di sbattere in prima pagina, con titolo di apertura e relativo editoriale di Vittorio Feltri, una vicenda riguardante la vita privata del direttore del quotidiano della CEI Avvenire, Dino Boffo. Nel comunicato stampa, il premier ha sottolineato che «il principio del rispetto della vita privata è sacro e deve valere sempre e comunque per tutti». E ha aggiunto: «Ho reagito con determinazione a quello che in questi mesi è stato fatto contro di me usando fantasiosi gossip che riguardavano la mia vita privata presentata in modo artefatto e non veritiero. Per le stesse ragioni di principio non posso assolutamente condividere ciò che pubblica oggi Il Giornale nei confronti del direttore di Avvenire e me ne dissocio».
Pensiamo che alla base della nota del presidente del Consiglio vi sia anche la volontà di mantenere i buoni rapporti esistenti con i vertici ecclesiali. Non c'è infatti mai stato, nella storia dell'Italia repubblicana, un governo così amico della Chiesa come l'attuale, che ha fatto della difesa e della promozione delle radici cristiane del paese uno dei fiori all'occhiello della sua azione. La maggioranza berlusconiana, dal 2001, ha prodotto diverse leggi in sintonia con l'insegnamento della Chiesa nelle materie della vita e della famiglia. Ha contribuito a far naufragare il referendum del 2005 sulla procreazione assistita. Più di recente, si è prodigata fino all'ultimo, nei modi che tutti conoscono, per riuscire a salvare la vita di Eluana Englaro, condannata a morte da una sentenza della magistratura che ha dichiarato legittima la sospensione della nutrizione e dell'idratazione. Insomma, sull'impegno del governo Berlusconi nelle materie che toccano da vicino il magistero papale e sullo stato dei rapporti tra il presidente del Consiglio e le più alte gerarchie vaticane non si possono nutrire dubbi (per averne conferma basta leggere alcuni passaggi dell'intervista rilasciata il 28 agosto dal segretario di Stato di Benedetto XVI, cardinal Tarcisio Bertone, all'Osservatore Romano).
Non è difficile comprendere quanto sia importante mantenere questi buoni rapporti: nella nostra storia repubblicana non ha mai rappresentato un punto di forza, per una maggioranza parlamentare o per un governo, dare l'impressione di una contrapposizione con la Chiesa italiana, sia nei suoi vertici che nella sua «base». E non soltanto per motivi elettorali e di consenso, ma anche e soprattutto perché ciò che la Chiesa rappresenta viene percepito ancora oggi, da un'ampia maggioranza di cittadini, come parte non secondaria dell'identità nazionale. E anche molti tra coloro che non si professano credenti ritengono che la storia e la dottrina cristiane siano un punto di riferimento imprescindibile per pensarsi parte del popolo italiano.
Non c'è bisogno di andare troppo indietro nel tempo per avere contezza delle conseguenze politicamente esiziali che discendono da un atteggiamento anche solo in apparenza ostile alla Chiesa: basti pensare all'esecutivo di Romano Prodi e ai frutti prodotti dalle quotidiane dichiarazioni anti-cattoliche di suoi esponenti di spicco, dai tentativi di varare leggi in palese contrasto con la cultura cristiana che ha permeato il popolo italiano, dalle reiterate minacce dei Radicali di una nuova breccia di Porta Pia attraverso l'abolizione del Concordato, dalle professioni di «cattolicesimo adulto» dell'allora presidente del Consiglio e della sua ministra Rosy Bindi, dall'incapacità di garantire al Papa di parlare in una università italiana... I risultati di tale politica non furono certo memorabili.
Perciò è importante che tutti i rappresentanti del centrodestra ed anche i cosiddetti «giornali d'area» non forniscano all'opinione pubblica e ai media politicamente e culturalmente avversi, con dichiarazioni ad effetto o con aggressive campagne di stampa, l'alibi per descrivere una battaglia in corso tra la maggioranza e i vertici ecclesiali. Occorre semmai raddoppiare gli sforzi per mostrare come l'attuale esecutivo, a differenza di quello che l'ha preceduto, si stia impegnando concretamente sui temi della vita, della famiglia, dell'economia sociale di mercato, il tutto secondo il motto «la persona prima di tutto», che riassume in poche parole il senso e il messaggio della dottrina sociale della Chiesa. In questa direzione vanno sia gli apprezzati interventi dei ministri Maurizio Sacconi prima e Giulio Tremonti poi al Meeting di Rimini, sia la nota che Maurizio Gasparri e Gaetano Quagliariello, rispettivamente presidente e vice-presidente del gruppo del Pdl al Senato, hanno scritto in risposta alle dichiarazioni del presidente della Camera, Gianfranco Fini, in merito alla legge sul testamento biologico.

Aggiungiamo un articolo un po' più vecchio, relativo ad un'intervista che avevamo ripreso e pubblicato anche in questo blog.
I «cattolici adulti», maestri di moralismo.
Raffaele Iannuzzi.

Andrea Olivero, presidente delle Acli e portavoce unico del Forum del Terzo Settore, intervistato da L'Unità (13 luglio), afferma con uno zelo degno di miglior causa che non esiste e non esisterà mai un'operazione da parte del centrodestra per riacquistare il favore - a suo dire perso inesorabilmente - delle gerarchie ecclesiastiche. I cattolici, che evidentemente Olivero sente di poter rappresentare nel suo complesso - incluso lo scrivente che non vota per chi ha votato il presidente delle Acli -, non si faranno comprare con un piatto di lenticchie. Un conto è battersi per i temi eticamente sensibili, un altro è svendere l'etica propriamente detta al miglior offerente politico. Berlusconi è il diavolo di turno, la sua dubbia moralità, nella ricostruzione di Olivero, ha fatto perdere al suo governo la cittadella cattolica. Il testo sull'immigrazione, infine, darebbe il colpo di grazia al feeling tra Chiesa e centrodestra, anche in questo caso una volta per tutte. Amen.
Un cattolico che non si può definire «integralista», non soltanto per non fare torto a coloro che così sono stati apostrofati (fra i quali includiamo gente di livello assoluto come don Giussani e il filosofo Augusto Del Noce, per fare due nomi che sopraggiungono alla nostra memoria - ma gli «integralisti» sono legione e sono i migliori del mondo cattolico, tanto per esser chiari nel giudizio) ma anche, e forse soprattutto, per la sua fragilità culturale, che sorprende, visto il ruolo che ricopre, potrebbe essere aiutato nella valutazione della realtà da alcuni dati.
Primo: nel cattolicesimo non esiste il giudizio moralistico che precede il giudizio sulla realtà. Lo dimostra il più umile e geniale dei cattolici, Papa Benedetto XVI, che, appena giunto nella sede delle sue vacanze, ha detto: questo G8 è andato molto bene. Come dire: il governo ha lavorato bene, Berlusconi va giudicato, come sostiene da sempre la tradizione cattolica, secondo un metro laico e politico, e non assumendo il parametro moralistico dei dossettiani cattolici «adulti».
Secondo: Olivero dovrebbe essere al corrente della diatriba sui temi eticamente sensibili in senso al Pd, la nascita dei teodem e tutto il resto. Dunque, non esistono partiti «puri» e partiti «impuri», esiste solo la realtà e la risposta più adeguata ai criteri della fede ed alla rappresentanza degli interessi dei cattolici come persone e come cittadini.
Terzo: un rappresentante del Terzo Settore non può trascurare l'intervista del ministro del Welfare Sacconi al Riformista (domenica 12 luglio), in cui la laicità politica si allea oggettivamente con la dottrina della Chiesa, nella sua declinazione pratica, e con il magistero. Il tema immigrazione è al centro di quest'intervista. Dunque: di che stiamo parlando?
Certo è che il cattolicesimo «adulto», da momento politico-governativo progressista, sta diventando sempre più etico e moralistico. Dunque, pura propaganda. Un brutto viatico per la Nazione e la Chiesa.
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Far tacere i cattolici

Come l'intellighenzia già forzista rappresenta il caso Feltri (come è giusto, pane al pane, denominare la vicenda Boffo).
Caso Boffo e dintorni. Ecco qual è la vera posta in gioco.
Rassegna stampa - Ragionpolitica.it, Gianteo Bordero, sabato 05 settembre 2009.

Molti commentatori hanno scritto in questi giorni che «il caso Boffo ha riportato al centro dell'attenzione il tema dei rapporti tra Stato italiano e Chiesa cattolica». Vero. Ed è ancor più vero se si inverte l'ordine dei due soggetti chiamati in causa. Per cui la frase andrebbe riformulata in tal modo: «Il caso Boffo ha riportato al centro dell'attenzione il tema dei rapporti tra Chiesa cattolica e Stato italiano». Ossia: il punto nevralgico della questione non è solo quello della qualità delle relazioni tra Repubblica italiana e Santa Sede, ma anche e soprattutto quello della posizione con cui la Chiesa si pone di fronte alla realtà politica del nostro paese e si rapporta con l'attuale maggioranza e l'attuale governo.
È su questo punto che occorre focalizzare l'attenzione. Partendo da un'autorevole presa di posizione come quella del direttore dell'Osservatore Romano, Giovanni Maria Vian, il quale, intervistato il 31 agosto da Aldo Cazzullo del Corriere della Sera, ha criticato l'Avvenire per essersi troppo esposto, nelle ultime settimane, nella battaglia politica italiana, e per aver assunto posizioni che hanno creato un certo imbarazzo Oltretevere. Non si è trattato soltanto dei giudizi espressi sulle vicende riguardanti la vita privata del presidente del Consiglio (Vian ha rivendicato con orgoglio la bontà della scelta dell'Osservatore, che, al contrario del quotidiano della CEI, non ha scritto «nemmeno una riga» in merito a tali vicende), ma anche di prese di posizione come quelle sull'immigrazione, culminate con l'editoriale del 21 agosto di Marina Corradi sulla tragedia degli eritrei morti in mare. Si è chiesto Vian: «Non si è forse rivelato imprudente ed esagerato paragonare il naufragio degli eritrei alla Shoah, come ha suggerito una editorialista del quotidiano cattolico? Anche nel mondo ebraico, ferma restando la doverosa solidarietà di fronte a questa tragedia, sono state sollevate riserve su questa utilizzazione di fatto irrispettosa della Shoah. E come dare torto al ministro degli Esteri italiano quando ricorda che il suo governo è quello che ha soccorso più immigrati, mentre altri - penso per esempio a quello spagnolo - proprio sugli immigrati usano di norma una mano molto più dura?». Insomma, l'errore di Avvenire è stato quello di abbandonare una linea di prudenza ed equilibrio in materie che invece l'avrebbero richiesta, e di dare l'impressione di aver sposato la crociata di alcuni giornali italiani contro il premier e il governo. Mentre la verità - ha spiegato ancora Vian - è che «i rapporti tra le due sponde del Tevere sono eccellenti».
E che rimangano tali è interesse non soltanto del governo italiano, ma anche della stessa Chiesa cattolica, come ha ben spiegato con il suo solito stile pungente, sempre sul Corriere della Sera, il presidente emerito della Repubblica Francesco Cossiga. Alla domanda di Cazzullo sui rapporti tra Stato e Chiesa, il Picconatore ha risposto affermando che «l'Italia è uno Stato concordatario. E non c'è nessun motivo di bisticciare con uno Stato concordatario. Il Vaticano - ha proseguito - si occupa del mondo, e fronteggia una situazione drammatica. Benedetto XVI e Bertone si occupano di Obama, che nonostante le promesse si circonda di cattolici pro choice, cioè abortisti. Dell'America Latina, su cui si allunga l'ombra rossa di Chavez. Dell'Europa, dove persino i cattolici belgi si ribellano al Papa sul "no" ai preservativi. Del Ppe, che è in mano alla Merkel, protestante che si è sposata solo per obbedire a Kohl, ai popolari spagnoli, che introdussero i diritti per le coppie di fatto prima ancora dei socialisti, e a Sarkozy e Carla Bruni...». Conclusione: «L'unico che non dà problemi al Vaticano, anzi lo asseconda, è Berlusconi».
Per questo non è piaciuta Oltretevere la linea editoriale che in questi ultimi mesi è stata fatta propria dall'Avvenire, una linea che è apparsa appiattita sulla campagna anti-governativa proprio nel momento in cui sono in gioco alcuni importanti dossier che stanno particolarmente a cuore ai vertici ecclesiali: la legge sul fine vita, le agevolazioni per le famiglie, i finanziamenti alle scuole cattoliche, per non parlare della questione RU486 e di quella dello status degli insegnanti di religione dopo la recente sentenza del TAR del Lazio. Il quotidiano della CEI ha quindi scelto il momento meno opportuno per prendere posizioni così nette contro un governo che il Vaticano reputa «amico» e con il quale ha un rapporto di leale collaborazione e confronto.
Del resto, non è una novità il fatto che destino più di una preoccupazione, nel Palazzo Apostolico, le continue esternazioni anti-esecutivo da parte di singoli rappresentanti dell'episcopato italiano, che finiscono per essere presentate come la posizione ufficiale della Chiesa sulle materie che di volta in volta investono il dibattito pubblico. Il problema è che attualmente manca, all'interno della Conferenza Episcopale, un indirizzo unitario, e le parole pronunciate in modo ragionato ed autorevole dal cardinale Bagnasco in occasione delle Assemblee ufficiali della CEI, che dovrebbero essere fatte proprie, come punto di sintesi, da tutti i vescovi, finiscono purtroppo, non di rado, per essere sovrastate, dal punto di vista mediatico, dalle dichiarazioni ad effetto di questo o quel presule. Finita la lunga presidenza del cardinal Camillo Ruini, che con la sua abilità politica e il suo carisma era riuscito a comporre e superare le divisioni presenti nell'episcopato, facendo della CEI un soggetto attivo politicamente sui temi cari alla Chiesa ma mai schierato in modo dogmatico con un partito o con l'altro, oggi la situazione appare più magmatica e difficile da gestire. E non è un caso se, sin dal giorno dell'insediamento del cardinal Bagnasco alla presidenza della Conferenza Episcopale, il segretario di Stato di Benedetto XVI, cardinal Tarcisio Bertone, abbia manifestato al successore di Ruini l'intenzione della Santa Sede di voler assumere su di sé la guida dei rapporti con lo Stato italiano: «Per quanto concerne i rapporti con le istituzioni politiche - scriveva il 25 marzo 2007 Bertone nella lettera di saluto al nuovo presidente della CEI - assicuro fin d'ora a Vostra Eccellenza la cordiale collaborazione e la rispettosa guida della Santa Sede, nonché mia personale».
Alla luce degli avvenimenti degli ultimi giorni e delle dimissioni di Dino Boffo, è probabile che la Segreteria di Stato scelga di entrare in maniera decisa nella partita della nomina del nuovo direttore di Avvenire, per sistemare un altro tassello della strategia delineata dalle parole di Bertone a Bagnasco, secondo la quale i rapporti con lo Stato italiano devono essere gestiti in primis dalla Santa Sede e la CEI è tenuta almeno a non fare il controcanto alla linea vaticana. La critica all'eccessivo peso e potere dato alle Conferenze Episcopali nel post-Concilio, del resto, è da tempo uno dei «cavalli di battaglia» dell'attuale pontefice: ancora cardinale, Ratzinger ha più volte parlato in modo chiaro della necessità di ridimensionare tali organismi, che rischiano di appesantire burocraticamente la vita ecclesiale e di lasciar passare l'idea che le Conferenze abbiano in ogni singola nazione un'autorità dottrinale e canonica che spetta invece solo al Papa. Nessuno stupore, dunque, se nel futuro prossimo assisteremo a decisioni e provvedimenti che vanno in questa direzione.
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Come ti giustifico la paranoia

Realtà e rappresentazione.
Rassegna stampa - Ragionpolitica.it, Gabriele Cazzulini, sabato 05 settembre 2009.

C'è un filo comune che attraversa le diverse campagne di diffamazione contro il premier per unirle alle vecchie logiche di potere della prima Repubblica. Può sembrare un collegamento troppo stirato, se gli occhi restano fissi sulla cronaca del giorno per giorno. Ma da una grande prospettiva acquista un significato completamente nuovo, insieme ad una nuova spiegazione.
C'era una volta la prima Repubblica. Quante volte si è ripetuto che essa era la patria delle ideologie... Da questo teorema si tragga ora la debita conclusione: quelle ideologie erano la negazione della realtà. La prima Repubblica, pur con differenti sfumature nell'arco della sua vita, si basava su una scissione tra realtà e rappresentazione. Da una parte la realtà del potere, custodito nel palazzo; dall'altra parte la rappresentazione, l'immagine, di una realtà che non esisteva ma che veniva non di meno propagandata nelle piazze: il progresso, l'antifascismo, la democrazia, il voto, il parlamento. Retoriche di una politica che esisteva soltanto nei discorsi. Quindi il potere era l'opposto della sua immagine, perché l'immagine, cioè l'ideologia, doveva servire a nascondere e perpetuare un potere scisso dal popolo. Il finale è noto: la disaffezione degli elettori e la degenerazione delle oligarchie di partito hanno segnato la fine della prima Repubblica italiana. È la mistificazione, l'alterazione, la distruzione della realtà per sostituirla con una realtà immaginata. Le parole non sono casuali. Una realtà immaginata vuol dire una realtà costruita con quelli che all'epoca erano i principali mezzi di comunicazione: giornali e televisione. Guarda caso lo sono ancora oggi, internet a parte. Ma sono cambiati due elementi fondamentali.
Il primo è proprio la comunicazione. Carta e video devono convivere con il web e un pubblico di lettori profondamente cambiato. Il bipolarismo produce notevoli effetti sull'informazione, creando fratture ma anche semplificando i termini di una questione. Quindi è più difficile costruire e gestire complesse ideologie, come invece succedeva una volta. Oggi sono caduti i grandi riferimenti culturali della politica - non ci sono più grandi maestri del pensiero che interpretano un'epoca intera. Le scuole e le accademie politiche non sono più integrate nei meccanismi dei partiti. I media soffrono gravi problemi di bilancio.
Il secondo fattore di mutamento strutturale sono i partiti. Quelli vecchi, ormai estinti, erano centri di gravità politica, economica, culturale, sociale. Decurtati in numero, ma moltiplicati nel loro peso istituzionale, oggi i partiti diventano forze di governo oppure sono emarginati all'opposizione. Le scelte sono due: riprendere il contatto con la realtà oppure continuare ad ignorarlo. Ma nel secondo caso non è più possibile, come una volta, ricorrere alle mistificazioni dell'ideologia nell'attesa di ritornare al potere - l'unica ed ultima risorsa è rimasta l'antiberlusconismo: minuscoli frammenti di una post-ideologia contra personam. Senza idee, progetti, valori. Allora ecco le campagne diffamatorie a mezzo stampa, anch'esse l'estrema risorsa per propagare questi brandelli di post-ideologia. Niente intellettuali, niente mobilitazioni di piazza, niente forze sociali: solo pettegolezzo in prima pagina. È chiaro che la verità dei fatti finisce nuovamente scissa dalla loro rappresentazione mediatica.
Ecco il punto: la destra ha vinto perché ha ripreso il collegamento tra la realtà e la sua rappresentazione. La destra non è solo ideologia e non è solo materialismo. È un pragmatismo che vuole unire i fini ideali con i mezzi concreti. La sinistra, erede sopravvissuta della prima Repubblica, non si è ancora emancipata pienamente dalla scissione tra realtà e rappresentazione. Continua testardamente a battere sulla rappresentazione mediatica di una realtà che non c'è - ecco gli attacchi dei giornali di sinistra al premier. Non possono ribattere sulla realtà, perché la sinistra non è a contatto della realtà. Rispondono con la post-ideologia dell'anti-berlusconismo. Ma l'eliminazione politica di Berlusconi non porta a nessun progetto politico alternativo. È soltanto un istinto demolitore per ritornare al potere e ricominciare a costruire una realtà fittizia. Potere da una parte, popolo dall'altra. Ma la storia non fa retromarcia.
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Un partito di sinistra

Il Pd verso il congresso.
Speciale, [20].
L’ex ministro sabato a Lodi per sostenere la sua mozione al congresso del Pd ma i seguaci di Franceschini mugugnano.
Bersani invoca un “ritorno a sinistra”.
«Sogno un partito popolare e vicino ai problemi della gente».
Rassegna stampa - Il Cittadino di oggi, Matteo Brunello.


Parla di un partito che ha bisogno di ritrovare la sua carta d’identità, di riprendersi le sue radici. Un soggetto che sia in grado di lanciare messaggi nuovi, elaborare un “pensiero autonomo”. E che sia di natura “popolare”, ovvero vicino ai problemi della gente, e al contempo orgoglioso di essere anche di sinistra. «Non potrei fare il segretario se mi fosse impedito di pronunciare la parola sinistra - dice Bersani -. Un concetto inteso come promozione di uguale dignità di uomini e donne del mondo». Inoltre una formazione di impronta «liberale», capace cioè, nella sua interpretazione, di dare maggiori regole al mercato.Ecco il partito democratico che sta progettando Pier Luigi Bersani, che nel pomeriggio di sabato ha illustrato a Lodi i punti chiave della sua mozione. Di fronte ad un folto pubblico, ha esordito spiegando i motivi della sua candidatura a segretario nazionale: «Ho deciso di farlo quando c’era ancora Veltroni, nel momento in cui ho capito che un pezzo del nostro mondo non si trovava più. Non capiva dove stavamo andando». E poi ha cercato di delineare le ragioni di questo apparente smarrimento della base: «In questi anni siamo stati poco sicuri di noi stessi - afferma - abbiamo concesso troppo all’eclettismo, ovvero ci siamo un po’ annacquati, perdendo un po’ di qua e di là». Per questo ha invocato la necessità di provare realizzare un «prodotto nuovo», capace di affondare le radici le passato e, da qui, guardare oltre. «Con questo non voglio essere considerato un passatista, non è mia intenzione ricreare né la Dc né il Pci. Semmai, con una battuta, direi che voglio contribuire a realizzare l’Avis, un’associazione dove ognuno contribuisce insieme per realizzare un fine». Tema chiave poi quello delle alleanze, con l’annunciata apertura ad altre forze d’opposizione. «Vocazione maggioritaria non vuole dire chiusura in sé stessi - osserva - ma la storia insegna che se vuoi essere un grande partito devi essere generoso con gli alleati». E qui l’ex ministro ha citato il modello dell’alleanza allargata nel centro sinistra, senza proporre di tornare proprio a quella formula. «L’Ulivo è stato un grande movimento civico di riscossa». Inoltre nel corso del suo intervento ha toccato il delicato nodo del rapporto con le questioni etiche. E qui è stato abbastanza netto: «Volere un partito laico non significa annacquare le convinzioni etiche e religiose, ma rivendicare un’autonoma responsabilità della politica. Quindi se fai il parlamentare, non puoi pensare di ragionare solo per la tua coscienza, anche perché non te l’ha ordinato il medico di fare il parlamentare». E, tra i molti argomenti sviscerati (tra cui il ruolo dell’opposizione al governo Berlusconi), ha messo al centro il problema dell’organizzazione del partito, per cui ha suggerito di superare la divisione tra «elettori e iscritti». Infine, tra i molti big della politica locale e lombarda (tra gli altri anche Filippo Penati), hanno preso la parola anche l’ex sindaco di Lodi, Aurelio Ferrari, la giovane Laura Tagliaferri e il coordinatore locale della mozione Bersani, l’assessore comunale Simone Uggetti. Poi il segretario regionale, Maurizio Martina, che ha anche invitato tutti i sostenitori e iscritti Pd a cominciare a darsi da fare per i prossimi appuntamenti elettorali, tra cui le comunali di Lodi.
A margine, anche un commento critico da parte del consigliere provinciale Pd, Fabrizio Santantonio, sostenitore della mozione Franceschini: «Con queste tesi si torna indietro, è un’involuzione rispetto alla genesi del Pd. In questo modo Bersani si dimostra un passatista».


Il discorso del candidato alla segreteria.
Bersani: noi siamo un partito di sinistra.

Il Giorno di ieri, Guido Bandera.

«L’ho detto e lo ripeto, non posso fare il segretario di un partito senza poterlo definire di sinistra». Con questo biglietto da visita Pierluigi Bersani, dopo la visita di Dario Franceschini altrettanto applaudita, si è presentato ieri alle 17 alla festa del Pd al Capanno, nello stand del «tombolone» davanti a una folla che l’area dibattiti non poteva contenere. Con lui, Filippo Penati, il segretario regionale Maurizio Martina, Simone Uggetti e Gianfranco Concordati. Presente, ma defilato, anche Giuseppe Russo, segretario provinciale. Si è visto anche per qualche istante il sindaco Lorenzo Guerini. Giusto in tempo per incassare da Martina l’«in bocca al lupo» per le prossime elezioni, «sfida importante anche per la Lombardia». Bersani, intanto, è partito sui temi economici: «Non servono maghi che profetizzano la ripresa. La situazione sta in dati semplici: chiudiamo l’anno con un Pil più basso del 5 per cento. E il Governo non ha fatto nulla, se non spostare soldi come i carri armati di Mussolini: sempre gli stessi». Punto nodale del discorso, però, l’organizzazione del partito e il suo modello. «Il nostro è un dibattito alla luce del sole, tutti i partiti fanno congressi, tranne quelli con un padrone».
Quello che Bersani propone è «un partito di sinistra, popolare e liberale e laico». Bacchettata inevitabile ai cattolici, «quando uno diventa parlamentare non decide sulla sola base della sua coscienza, ma su quella di tutto il Paese». Bersani parla anche di «dare un’identità certa. Qualcuno — dice — mi accusa di volere rifare il Pci o la Dc: io voglio fare l’Avis. Gente pronta ad accettare disciplina a muoversi sempre per un’idea, con le orecchie a terra, per sentire i bisogni della gente. Un partito che è capace di andare a Ballarò, ma non sa mettere un volantino in una fabbrica è inutile. Bisogna recuperare lo spirito civico di coinvolgimento che apparteneva al primo Ulivo». Da ripensare — secondo Bersani — il meccanismo delle primarie: «Bisogna ripartire col tesseramento. Sembra quasi che dopo le primarie a quei quattro milioni di persone che sono venute a votare noi abbiamo detto arrivederci e grazie. Invece dobbiamo superare l’idea che elettori e tesserati siano cose distinte».
(20 - continua)
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Delenda Carthago

L'arroganza contro cui forse è il momento di cominciare a lottare.

"Spero che questo atto contribuisca a svelinire un clima che da tre mesi ha tolto alla politica la sua nobiltà". Con queste parole il vice presidente dei senatori del Pdl Gaetano Quagliariello, aveva commentato la notizia delle dimissioni del direttore di 'Avvenire' Dino Boffo. "Spero che contribuisca a fare tornare ad essere il confronto tra le idee e le proposte diverse il sale della politica e dell’informazione. Ho sempre ritenuto che la lotta politica debba evitare di entrare nella vita privata, per quanto un uomo pubblico non possa avere la stessa privacy di un comune cittadino ci sono ambiti che non si devono usare per la lotta politica. Sono sempre stato contro una politica fatta dal buco della serratura sia quando ha colpito politici amici che avversari". Se leggete attentamente, l'impressione è che l'agnello sacrificale, cioè Boffo, sia non solo il carnefice ma anche una sorta di grande vecchio che ha ordito il complotto contro la politica italiana mettendo allo scoperto "le tette e i culi" (ma non è stato lui) che straboccano dalla vita pubblica del leader del predellino. Dispiace molto che almeno il buon senso non suggerisca il silenzio.
Ieri infatti a ribadire i concetti è stato Denis Verdini. "Penso che con le dimissioni del direttore di Avvenire Dino Boffo si possa chiudere questa situazione e ricominciare a parlare di politica". Già, così ha affermato il coordinatore nazionale del Pdl Denis Verdini convinto anche che questa vicenda "non sia rilevante ai fini della possibile alleanza con l’Udc". Alleanze che "riguardano l’amministrazione di regioni importantissime e la soluzione di un problema molto grave che attanaglia il Paese da 8 anni cioè la sciagurata modifica del Titolo V della Costituzione che ha creato leggi concorrenti impedendo, a chiunque governi, di fare politiche serie sull’energia, sulle infrastrutture, sull’ambiente". Parlando a margine della prima riunione del coordinamento regionale del Pdl toscano, riunitosi a Viareggio, Verdini a proposito delle polemiche sulla libertà di informazione ha poi sottolineato come alla tv non vi siano "trasmissioni di approfondimento politico che non affondino contro il presidente del Consiglio e il Pdl in generale".
Per il coordinatore nazionale del Pdl è quindi sbagliato dire "che non c’è libertà di informazione e sentirlo mi irrita". Per non parlare della carta stampata: "difficile trovare quotidiani che non abbiamo una libertà di interpretazione, anzi talvolta anche di ricostruzione fantastica delle cose, fatti salvi Libero, il Giornale e il Tempo. Gli altri non li trovo, per così dire, ’costretti’. C’è di tutto e di più". Quanto è successo in questi mesi con Berlusconi, per Verdini "ha innescato un processo a catena, non dico giusto o sbagliato. Per me le cose private dovrebbero restare tali. Mi auguro quindi che quella sofferenza - ha concluso riferendosi a Boffo - ponga fine a questa situazione".
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