Il presidente di Caritas Italiana Merisi chiama in causa l’Europa «Fenomeno da affrontare in maniera condivisa e cooperativa».
Dopo la tragedia dei 73 migranti eritrei ed etiopi annegati nel Canale di Sicilia, si riaccende il dibattito sulla necessità di una politica europea condivisa per governare il complesso fenomeno dell’immigrazione. Una politica capace di superare i particolarismi nazionali che, invece, hanno ancora il sopravvento, soprattutto di fronte a dramma attuale.
Emergenza immigrazione.
Rassegna stampa - Avvenire, intervista di Paolo Ferrario.
Affrontare in maniera condivisa il fenomeno dell’immigrazione, per poterlo governare secondo i principi di solidarietà e di collaborazione tra i Paesi. Questo l’auspicio del vescovo di Lodi e presidente di Caritas Italiana, Giuseppe Merisi, di fronte alla nuova ondata di sbarchi di migranti sulle coste italiane, che, oltre al nostro governo, interpella direttamente anche le istituzioni dell’Unione Europea. Due i principi cardine messi a fuoco da Merisi, le « attenzioni prioritarie » che dovranno caratterizzare ogni politica in questo campo: il rispetto dei diritti umani «sempre e comunque», oltre a decise azioni nei confronti dei Paesi di origine degli immigrati «per affrontare il problema alle radici».
I fatti drammatici di questi giorni riportano d’attualità il ruolo della comunità internazionale e, in particolare dell’Unione Europea. Che atteggiamento dovrebbe avere per governare un fenomeno tanto complesso?
Conosciamo tutti le difficoltà dell’Unione Europea nell’affrontare in maniera condivisa il vasto tema dell’immigrazione, in quanto materia ancora fortemente caratterizzata da un approccio nazionale. Di fronte all’emergenza le difficoltà crescono ancor di più, sia per le differenti tipologie dei Paesi da cui provengono gli immigrati, sia per l’esigenza di mettere in rapporto corretto le legislazioni nazionali con quella comunitaria, peraltro in gran parte ancora da costruire. I temi in discussione riguardano, per ciò che concerne l’immigrazione da Sud, il monitoraggio, con i cosiddetti “respingimenti”, sia l’identificazione e il rapporto con il diritto d’asilo, sia la permanenza e la presa in carico delle presenze in rapporto con le disposizioni di ciascun Paese.
Con quali strumenti si possono affrontare tutte queste difficoltà?
Noi auspichiamo che questi problemi vengano affrontati e risolti con spirito di solidarietà e di collaborazione fra i diversi Paesi, con due attenzioni prioritarie: il rispetto dei diritti umani fondamentali, sempre e comunque, facendo chiarezza sulle responsabilità della tragedia dei giorni scorsi ( i 73 migranti eritrei ed etiopi annegati nel Canale di Sicilia mentre cercavano di raggiungere l’Italia ndr.); l’impegno ad agire sul Paese di origine per affrontare, se non immediatamente per risolvere, il problema alle radici. Su questo secondo aspetto non dimenticando l’indicazione dell’Onu per la lotta alla povertà, con il contributo generoso di tutti i Paesi sviluppati.
A questo riguardo, la cooperazione internazionale come potrebbe intervenire per prevenire il dramma dei viaggi della speranza?
Come dicevamo, si tratta di affrontare insieme, in particolare a livello di Unione Europea, problemi che chiedono la collaborazione di tutti con l’attenzione dovuta ai rifugiati e ai richiedenti asilo. Tenendo sempre presente che nel breve periodo questi drammi sono destinati a ripetersi, la cooperazione internazionale non deve limitarsi ad azioni disarticolate o di puro valore testimoniale, ma può risultare uno strumento efficace anche a livello preventivo, purché si inserisca dentro una chiara strategia dell’Unione in particolare nei confronti del continente africano.
In concreto, come si dovrebbero aiutare queste popolazioni?
Quando si parla di solidarietà e di sussidiarietà, ascoltando la lezione del Papa anche nell’ultima enciclica, occorre poi trarne conseguenze impegnative con la partecipazione di tutti. Per l’area mediterranea l’Unione Europea ha iniziato qualche nuova riflessione che speriamo possa consentire qualche più spedita decisione nella logica dei principi del Trattato di Lisbona.
La Caritas come sta intervenendo? Che tipo di strutture ha attivato?
Come si sa il compito della Caritas è di richiamo e di testimonianza dei principi del Vangelo che parlano di amore, di accoglienza e di solidarietà per la promozione del Bene comune. Il rapporto corretto fra accoglienza e legalità e il rispetto dei diritti fondamentali, nella responsabilità delle istituzioni pubbliche, non è sempre facile da determinare. Sarà meno difficile se anche per l’opera della Chiesa e della Caritas, le comunità saranno aiutate a sentire la responsabilità della solidarietà e dell’integrazione. Sul piano operativo Chiesa e Caritas sono sempre a disposizione per ogni collaborazione possibile, a partire da questi principi, nella distinzione dei ruoli e delle responsabilità.
Quali sono gli attuali fronti di impegno di Caritas Italiana, sul versante dell’immigrazione?
Accanto all’impegno di animazione e a quello culturale, è sotto gli occhi di tutti la diffusa opera di accoglienza, tutela dei diritti e di integrazione che le Caritas presenti sul nostro territorio nazionale garantiscono da anni ai migranti, con particolare attenzione alle categorie più vulnerabili, quali i richiedenti asilo, i rifugiati, le vittime della tratta.
Due le attenzioni prioritarie che ogni politica in questo campo dovrà tenere ben presenti: il rispetto dei diritti umani «sempre e comunque» e decise azioni verso i Paesi di origine dei migranti, per cercare di risolvere il problema alla radice.