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giovedì 11 febbraio 2010

La logica dell’emergenza

Ottima macchina ma non «bacchetta magica»
L’ultima a rivolgersi a lui per un aiuto, due giorni fa, è stata la presidente del XVII municipio di Roma, quartiere Prati. Per chiedergli che la Protezione civile realizzi un asilo nido provvisorio in legno. Quasi uno «stato d’emergenza prima infanzia». Sarebbe l’ennesimo per Guido "Pensaci tu" Bertolaso. L’uomo delle emergenze per eccellenza, quelle drammatiche, molto reali, dal terremoto del Molise a quello dell’Aquila, dalle alluvioni alle frane, dagli incendi estivi alle autostrade bloccate dalla neve.

Chiamato anche a risolvere quelle croniche come il quindicennale scandalo rifiuti in Campania o quelle nuove come gli sbarchi di immigrati sulle coste di Lampedusa. O anche quelle, un po’ meno reali, delle epidemie di Sars, aviaria e influenza suina. E poi ancora crolli, slavine, inquinamenti e quant’altro la natura o l’uomo possono scatenare. Con l’identica filosofia. Una scelta di vita. «Mi sono sempre definito un servitore dello Stato e, come sempre, rimango a disposizione del mio Paese», ha commentato ieri l’arrivo dell’avviso di garanzia dalla procura di Firenze per un’inchiesta che riguarderebbe gli appalti per il G8, i mondiali di nuoto e le manifestazioni per i 150 anni dell’unità d’Italia. Ma la definizione è riduttiva.

Bertolaso per tanti in Italia ha la bacchetta magica, "è" la bacchetta magica. Per risolvere un mucchio di problemi. Quelli grandi, per i quali nacque tanti anni fa la Protezione civile, battezzata da Giuseppe Zamberletti. Ma poi, via via, anche quelli più piccoli, quasi ordinari. «Guido pensaci tu». Quante volte se lo è sentito ripetere. Da sindaci, governatori e ministri di tutti i colori. Lo abbiamo così visto piangere sulle bare dei piccoli di San Giuliano o subire quasi un linciaggio nella piazza di Ariano Irpino sul fronte della "monnezza" campana. E doversi occupare dell’autodromo di Imola o dei mondiali di ciclismo di Varese.

A molti ha fatto veramente comodo, lo stato d’emergenza invece dell’ordinaria amministrazione. Lui, per la verità, non era troppo convinto. Ben cosciente che quella «bacchetta magica» cominciava a essere richiesta un po’ fuori luogo. «Ma se mi chiedono di intervenire come faccio a non farlo?», continua a ripetere. E così la «bacchetta magica» – in realtà solo un’ottima macchina – ha cominciato a essere strausata, sfruttata, anche a sproposito. Bertolaso è sempre stato orgoglioso, e non si è mai stancato di ripeterlo, del suo esercito multicolore, quello delle mille divise dei Vigili del Fuoco, delle Misericordie, della Croce Rossa, dei tanti gruppi di volontariato che rendono bella questa Italia. Quelli che si sporcano le mani tra fango e macerie. Aiuti rapidi ed efficienti ma anche prevenzione (come dimenticare il piano per mettere in sicurezza la scuole...). Una macchina apparentemente perfetta, fatta di cuore e organizzazione, invidiata all’estero, capace anche di dare il meglio di sé sul fronte dello tsunami d’Asia o per i bambini di Beslan.

Ma tutto questo cosa c’entra con gli appalti, con gli alberghi di lusso della Maddalena, con le piscine di Roma? E, probabilmente, cosa c’entra con la Spa in discussione, forse troppo in fretta, in questi giorni in Parlamento? Perché caricare di tutto ciò la Protezione civile e il suo capo? Lo chiedevano ieri due persone che lo conoscono bene, per averci collaborato a lungo, come Andrea Olivero, portavoce del Forum del Terzo Settore e Ermete Realacci, leader storico di Legambiente. Appalti e grandi eventi, rinfreschi e vip internazionali, sono inoltre una forte tentazione per chi «servitore dello Stato» non ci si sente e, magari, pensa ai propri affari. Più volte, come Bertolaso stesso ha denunciato, a tipi così la Protezione civile ha dovuto far argine. Forse stavolta non abbastanza. Vedremo.

Noi ovviamente speriamo che sia presto chiarito che la presunta «bacchetta magica» è pulita. Che la «macchina perfetta» non ha inglobato pezzi storti e cattivi (e che questi non ne hanno guastati di buoni). Noi al fango degli affaristi continuiamo a preferire quello combattuto e vinto dagli stivaloni dei volontari.
(Avvenire-Antonio Maria Mira)