FATTI E PAROLE

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giovedì 28 gennaio 2010

I canti della merla lungo l’Adda
Fedeli alla tradizione ritornano nella Bassa sulle sponde dell’Adda, a Crotta d’Adda (Cr), Maccastorna (Lo) e Meleti i «canti della merla» che nella cultura contadina padana servivano a salvaguardare dal gelo gli ultimi giorni di gennaio, propiziando fertilità alla terra e salute alle famiglie. In queste sere, al chiarore dei falò, si alternano i cori da una riva all’altra del fiume con canti e balli con assaggio di leccornie e sventolio di colombe bianche di cartapesta, a ricordo della leggenda di una merla bianca infreddolita ricoveratasi con i piccoli nel camino di un cascinale e uscita nera per la fuliggine.
SEQUESTRI DI BENI E SUPERFATTURATO DEI CLAN
L’intelligenza «civile» contro quella mafiosa
È davvero uno "strano" Paese quello in cui, nello stesso giorno, si scopre che la "mafia spa" è la prima azienda italiana con i suoi 135 miliardi di euro di fatturato e contemporaneamente vengono sequestrati beni per 550 milioni di euro al "cassiere" del boss siciliano Matteo Messina Denaro. Sì, uno "strano" Paese, colmo di contraddizioni e di sorprese, sempre difficile da catalogare, ma che non merita di essere definito "mafioso".

Le due notizie, entrambe importantissime, ci restituiscono la consapevolezza di un Paese vivo che conosce i suoi mali e forse ha trovato la strada giusta per guarirli, senza mai perdere di vista la complessità dell’impresa. Proviamo a leggere i fatti. Innanzitutto la rinnovata capacità di decifrare il fenomeno mafioso e di metterlo a nudo.

Lo sforzo messo in campo dalla Confesercenti con il rapporto Sos Impresa dal titolo "Le mani della criminalità sulle imprese" è la testimonianza tangibile che le intelligenze positive sono all’opera e che la mafia non può pensare di operare nell’ombra. Quando agli inizi degli anni Novanta, Mario Centorrino, Enzo Fantò e altri intellettuali meridionali posero il problema della cosiddetta "mafia imprenditrice", molti analisti furono colti di sorpresa. Poi l’evidenza dei fatti, la manifesta capacità mafiosa di allocare le "sue" risorse, il costante lambire e corteggiare il mondo della finanza, la crescita esponenziale delle inchieste di mafia in tutti i territori (compresi quelli non "canonicamente" sotto ricatto) hanno offerto elementi di certezza.

Ora, l’intelligenza mafiosa, che è sempre bene non associare semplicisticamente al volto e alle dita nodose del vecchio capomafia, sa di dover fare i conti con un’altra intelligenza. Quella "civile" di chi sa fare i conti in tasca alla criminalità, sino al punto di valutare l’utile della "mafia spa" attorno ai 70 miliardi di euro, al netto di investimenti e accantonamenti. Una cifra sconvolgente: non c’è alcuna attività legale e pulita che possa garantire un margine di quelle dimensioni, pari cioè al 50% del fatturato. Un dato davvero allarmante che testimonia l’efficacia del sistema economico mafioso, nel quale la prima voce è costituita ovviamente dalle droghe, con 60 miliardi di fatturato.

Ma poi ci sono la filiera agroalimentare, gli appalti pubblici, i settori immobiliare e finanziario, con un posto di rilievo per il "pizzo" e l’usura. Questa straordinaria capacità di analisi e di descrizione rafforza il secondo polo del nostro ragionamento: non bisogna fare neanche un mezzo passo indietro nella scelta di colpire i capitali mafiosi. Il colpaccio portato a segno in Sicilia e che ha oggettivamente indebolito il superboss latitante Matteo Messina Denaro è solo l’ultimo dei maxisequestri. La strada è giusta, anche se bisogna essere ben consapevoli che la reazione mafiosa non tarderà e che dunque lo Stato non può permettersi di abbassare la guardia.

Non sappiamo quale sarà la goccia che farà traboccare il vaso per i capimafia, ma questo è il momento di far capire che si è aperta una stagione nuova. E che lo Stato vuole giocarsi la partita senza paura e sino in fondo. Del resto, basta considerare come la mafia stia risalendo inesorabilmente lo Stivale per capire che non le si può cedere il passo. I sequestri di beni mafiosi sono concentrati al 90 per cento al Centro-Sud, ma la Borsa è a Milano. Italia avvisata, mezza salvata.
(Avvenire -Domenico Delle Foglie)
Bettino, Nichi, Emma e un illogico legame
Coalizioni e legittimità democratica
C’ è qualcosa in comune fra Bettino Craxi, Nichi Vendola ed Emma Bonino, a parte l’appartenenza al genere umano e lo svolgimento per professione dell’attività politica? La domanda può apparire paradossale, incrociando l’attualità delle faide interne al centrosinistra con un noto personaggio del recente passato italiano, oggi in via di dibattuta riabilitazione. Ma a essa vi è una risposta positiva che sottolinea una anomalia italiana che ha le sue radici negli anni Ottanta e che si è sorprendentemente trasmessa alla cosiddetta Seconda Repubblica.
Contrariamente a quanto molti credono, il bipartitismo non è la regola dei sistemi politici contemporanei. Esso è, anzi, in crisi proprio in quei
sistemi Westminster
(Gran Bretagna, Canada, Australia, Nuova Zelanda) di cui è stato un tratto caratterizzante per buona parte del Novecento. È invece un dato comune la formazione di coalizioni fra partiti che aspirano a governare assieme, sia che tali coalizioni si formino prima sia che nascano dopo le elezioni. E in una coalizione, si pone, fra gli altri, il problema di individuare chi dovrà guidarla. Al riguardo vi è una regola che trova applicazione quasi universale: quella secondo cui il leader della coalizione di governo è espresso dal partito principale di essa. Cosí, in Germania, Angela Merkel guida una coalizione con i liberali perché il suo partito ha ottenuto il 33% contro il 15 della Fdp, così come guidava la precedente 'Grande coalizione' perché nel 2005 i due partiti democristiani avevano preceduto di mezzo punto la Spd di Schröder.
Esempi simili si possono trovare nei Paesi scandinavi, in Ungheria, in Scozia e in Catalogna, per citare esempi tanto di Stati sovrani che di enti simili alle nostre Regioni.
A lungo questa è stata la regola anche in Italia: dal 1945 al 1981 i presidenti del Consiglio furono democristiani nonostante che la Dc non avesse (salvo che nella I legislatura) i numeri per governare da sola. Ma era il 'partito di maggioranza relativa' e gli alleati – che pure utilizzavano il potere di veto su questo o quel leader democristiano – non contestavano che la presidenza andasse alla Dc. La regola saltò negli anni Ottanta, dapprima con Spadolini (1981-82), poi con Craxi (1983-87) e con Giuliano Amato (1992-93). Fu il leader socialista a teorizzare l’«alternanza» alla guida del governo fra dc e socialisti, in base all’idea che essa avrebbe dovuto surrogare l’alternativa fra moderati e sinistre, ritenuta impraticabile per il ruolo del Pci.
Ma con l’alternanza craxiana si incrinava il nesso fra consenso, potere e responsabilità che caratterizza le democrazie rappresentative: i socialisti acquisivano un potere politico sproporzionato al consenso e forse sta qui una delle ragioni dell’impopolaritá che li travolse all’inizio dello scorso decennio. Il loro potere non era percepito come democraticamente fondato e quindi come revocabile in forme democratiche.
Dalla Prima Repubblica il costume di attribuire la guida del governo a un esponente di un partito minore si è trasferito alla seconda. Il caso di Romano Prodi, leader vittorioso nel 1996 e nel 2006, nonostante non fosse espressione del principale partito della coalizione (Pds poi Ds), può in fondo essere inquadrato in questa logica, così come le ragioni di questo fenomeno vanno individuate nei residui problemi di legittimazione del partito erede della tradizione comunista. Al tempo stesso, però, vi era una differenza con gli anni Ottanta: la coalizione da mero «accordo» era divenuta un «soggetto», con un proprio leader e un programma, distinto dai partiti, anche se debole.
Oggi Bonino e Vendola impongono – in modi diversi – dall’esterno al Pd le loro ambizioni di leadership in due grandi regioni italiane, in una fase in cui non esistono piú le coalizioni-soggetto degli anni 1994¬2008. La legittimità democratica – e la plausibilità logica – di questo tipo di operazioni si prestano a forti dubbi. Al tempo stesso tutto ciò è la punta dell’iceberg di una crisi. Quella del Pd, che appare ormai un personaggio in cerca d’autore.
(Avvenire - Marco Olivetti)
Consiglio regionale
Problema dislessia, arriva norma ad hoc
Dislessia, nuova ricetta dal Consiglio regionale, che ieri ha votato un provvedimento che con¬tiene disposizioni in favore dei soggetti affetti da disturbi di apprendimento. Il testo, sintesi di tre di¬stinte proposte formulate sia da maggioranza sia dal¬l’opposizione, è stato approvato all’unanimità. Obietti¬vo del provvedimento è garantire la presenza di sogget¬ti affetti da dislessia, disortografia e discalculia nella scuola, nel lavoro, nella forma¬zione professionale «e in ogni altro contesto nel quale si svi¬luppi e si realizzi la persona». Insomma l’idea è di dare un’oc¬casione in più. Il testo prevede infatti che per i soggetti affetti da disturbi specifici di appren¬dimento la Regione garantisca pari opportunità sia nei bandi di concorso che durante le pro¬ve, anche attraverso appositi strumenti tecnologici. «Nelle classi elementari – ha sottoli¬neato il consigliere del Pd, Francesco Prina, tra i pro-motori dell’iniziativa – si registrano almeno un caso o due ogni anno di soggetti affetti da dislessia. È quindi importante diagnosticare in modo precoce e tempesti¬vo questa patologia, permettendo a chi ne è affetto di fare passi avanti verso il miglioramento o la guarigione totale». Soddisfatti anche il presidente della commis¬sione Sanità Pietro Macconi (Pdl) e Maria Grazia Fabri¬zio (Centro-sinistra per la Lombardia). «Con questa leg¬ge – ha detto Fabrizio –, da una parte, non si derubrica la dislessia come handicap e dall’altra si persegue la stra¬da delle pari opportunità permettendo ai bambini e ra¬gazzi che ne sono affetti di avere le stesse possibilità di tutti gli altri». Anche il consigliere Alessandro Cè (Cri¬stiani e Federalisti), ex assessore leghista alla Sanità, ha giudicato «positiva» la legge, anche se ha considerato troppo scarse le risorse contenute nella norma finan¬ziaria del provvedimento.
Interventi per l’inserimento Voto bipartisan dell’Aula, ma l’ex assessore alla Sanità Cè avvisa: Poche le risorse»
(Avvenire- Davide Re)
Cani pericolosi, ora ci vuole il patentino

A spasso con il proprio cane con patentino contro le aggressioni e le morsicature, a volte leta¬li. È infatti entrato in vigore, con la pubblicazione in Gaz¬zetta Ufficiale, il decreto che istituisce i corsi di formazio¬ne obbligatori per chi possie¬de un cane “problematico” o a “rischio elevato”, e facolta¬tivi, ma consigliati, per tutti gli altri proprietari. « Una straordinaria occasione - ha detto il sottosegretario alla Sa¬lute, Francesca Martini, arte¬fice del provvedimento - di acquisire informazioni sul proprio animale e giungere ad un effettivo possesso respon¬sabile » . Il decreto sul patentino per i possessori di cani, stabilisce in particolare i criteri e le linee guida per la programmazione dei percorsi formativi volti a fornire nozioni sulla normati¬va vigente e sulle caratteristiche fi¬siologiche ed eto¬logiche del cane in modo da indi¬rizzare il proprie¬tario verso il pos¬sesso responsabi-le. I corsi saranno organizzati dai comuni a li¬vello locale. Il provvedimento dispone che i Comuni, con¬giuntamente con le aziende sanitarie locali, per l’organiz¬zazione di questi corsi possa¬no avvalersi, oltre che della collaborazione degli ordini professionali dei medici vete¬rinari, delle facoltà di medici¬na veterinaria, delle associa¬zioni veterinarie e di prote¬zione degli animali, anche della collabora¬zione di educato¬ri cinofili di com¬provata espe¬rienza.
«Considero fon¬damentale il fat¬to che finalmente i percorsi forma¬tivi per i proprietari di cani ¬ha sottolineato ancora Marti¬ni - possano entrare a regime. Costituiscono una straordi¬naria occasione per acquisire informazioni sul proprio ani¬male e giungere ad un pos¬sesso cosciente. La cono¬scenza delle leggi in vigore e il principio della responsabi¬lità rappresentano un pilastro fondamentale per migliorare la civile convivenza nel nostro Paese » .
Per la presidente dell’Ente na¬zionale protezione animali ( Enpa), Carla Rocchi, « i pro-prietari di cani avranno un aiuto fondamentale per im¬postare nel migliore dei modi il rapporto con i loro animali evitando allo stesso modo la demonizzazione di alcune razze » .
Negativo il giudizio del Coda¬cons: « Patentino obbligatorio solo dopo che il cane ha già sbranato » .
Per i padroni di alcune razze, resi obbligatori percorsi formativi
«Sei stato candidato» Racconti e consigli per chi cerca lavoro
InfoJobs.it, società di recruitment online , lancia una nuova iniziativa tramite il sito Sei Stato Candidato, un progetto rivolto agli utenti che hanno sostenuto un colloquio di lavoro. All’indirizzo www.seistatocandidato.it si potranno descrivere le proprie esperienze vissute durante la ricerca di un lavoro, raccontando le domande più strane o le situazioni più insolite affrontate durante il colloquio di selezione. Obiettivo del progetto lanciato da InfoJobs.it è quello di aprire un dialogo con i candidati. Sul sito gli utenti potranno pubblicare anche le 'domande più strane' a cui hanno dovuto rispondere e consigli utili basati sulla propria esperienza personale. I contenuti migliori verranno selezionati e pubblicati in un libro-guida, che sarà poi disponibile gratuitamente sul sito.
Milano si ferma causa smog.
Formigoni: “Non siamo baluba”
Domenica prossima circolano solo auto a impatto zero (gpl, metano elettriche)
Milano “ferma” causa inquinamento. Dalle 10.00 alle 18.00 di domenica prossima sarà vietata infatti la circolazione delle auto private, salvo quelle a impatto zero (gpl, metano, elettriche). Questa la decisione emersa dal vertice contro l'emergenza inquinamento a cui hanno partecipato il presidente di Regione Lombardia, Roberto Formigoni, il sindaco Letizia Moratti e l'assessore provinciale ai Trasporti, Giovanni De Nicola.

Ci si augura che l’iniziativa sia sufficiente. Se però l'emergenza smog dovesse continuare, il piano messo a punto da Regione, Provincia e Comune, prevede altre iniziative tra le quali un ampliamento dell'Ecopass nel centro cittadino per i veicoli diesel Euro 4 senza filtro antiparticolato (oggi esentati dal pagamento). Il provvedimento scatterà nel caso in cui i limiti di Pm10 dovessero essere sforati per 20 giorni consecutivi e verrà ritirato dopo tre giorni di rientro dei valori inquinanti.

“Milano e la Lombardia non sono la maglia nera dell'inquinamento, né in Italia né in Europa", ha commentato il governatore Roberto Formigoni, il quale ha voluto ricordare le "azioni strutturali" adottate in questi anni, che hanno favorito il miglioramento della qualità dell'aria e il ricambio del parco auto. "Non siamo i baluba (cioè sprovveduti) - ha detto con una espressione molto colorita - che non hanno incentivato il cambio delle auto". E al riguardo ha ricordato i 104 milioni di euro stanziati per la sostituzione delle auto private, a cui si aggiungono i 30 per il rinnovo delle caldaie.
(QE)

sabato 23 gennaio 2010

Inconveniente sul link diretto

Oggi abbiamo riscontrato degli inconvenienti a raggiungere il foglio Fatti e Parole attraverso il link diretto www.fattieparole.co.cc
Se il problema persisterà provvederemo a sostituirlo con altro dominio.
L'ultimo numero di Fatti e Parole è comunque sempre raggiungibile con questo link:
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venerdì 15 gennaio 2010

Migliorata la homepage - archivio di Fatti e Parole

Da oggi è possibile accedere in maniera più semplice a tutti i numeri di Fatti e Parole finora pubblicati. Inoltre dai prossimi giorni la homepage sarà arricchita con apposite finestre che evidenziano gli argomenti più importanti trattati nel foglio e gli argomenti riguardanti Brembio. Inoltre vi sarà uno spazio che raccoglierà i commenti sugli articoli pubblicati o segnalazioni, osservazioni o quant'altro riguardanti il nostro paese.

giovedì 14 gennaio 2010

INFORMAZIONE ALTERNATIVA E OPPOSIZIONE SUL WEB

L’ultimatum di Google a Pechino dà ossigeno ai cyber-dissidenti
(Avvenire - Gerolamo Fazzini)
Che in Cina Internet sia sottoposto a un ferreo controllo non è una novità. Il punto è che, sino a ieri, i provider internazionali si erano arresi, in nome del business e del ' così fan tutti', al diktat del governo cinese che impone filtri sofisticatissimi per monitorare ( e nel caso, togliere di mezzo) i contenuti ritenuti inopportuni che viaggiano in Rete.
Ora la musica potrebbe cambiare.
Dopo aver denunciato attacchi di pirati informatici alle caselle e- mail di attivisti e dissidenti cinesi, Google infatti ha dichiarato che potrebbe chiudere il proprio sito in cinese e lasciare il Paese. L’annuncio segna un punto di svolta. Sempre che, ovviamente, alle parole seguano i fatti. Sarebbe la prima volta che una società straniera si oppone in modo così coraggioso alle autorità cinesi, che non tollerano intrusioni quando c’è di mezzo la ' sicurezza nazionale'.
I primi ad augurarselo sono gli attivisti per i diritti umani e i dissidenti cinesi e, insieme con loro, la parte più consapevole dell’opinione pubblica cinese. La Cina è oggi il Paese con il più alto numero di utenti di Internet; sempre di più il web viene usato come veicolo di ' informazione alternativa', se non di aperta opposizione. Ma tutto ciò non piace affatto ai mandarini di Pechino, spaventati dalla prospettiva di un flusso ingovernabile di e- mail, testi, immagini e filmati. Specie quando ci sono di mezzo argomenti tabù come Tienanmen, democrazia, libertà e via dicendo.
Ma proprio sul fronte del web si gioca la nuova battaglia per il cambiamento. È grazie a Internet che i 303 firmatari iniziali del manifesto del dissenso cinese, ' Carta 08', sono diventati quasi 10mila in poco tempo. È grazie al web che dal Tibet e dallo Xinjiang sono arrivate in Occidente informazioni e immagini, poco gradite al regime, delle proteste e delle repressioni dei mesi scorsi.
Presidiare uno spazio di libertà su Internet è, dunque, cruciale: il duro giro di vite imposto nei mesi precedenti e durante i Giochi olimpici lo ha confermato una volta di più. Questo spiega come mai lo scorso luglio un migliaio di persone si siano radunate a Pechino, per un’innovativa forma di protesta, promossa dall’artista ' controcorrente' Ai Weiwei. Noto per aver progettato il Nido d’uccello, lo stadio delle Olimpiadi di Pechino, Ai Weiwei è uno dei più attivi nella battaglia per la verità sul crollo delle scuole nel terremoto del Sichuan.
Ebbene, in risposta all’intento del governo cinese di installare su ogni computer un nuovo filtro di controllo, ha lanciato un boicottaggio simbolico di Internet.
Non è l’unico caso del genere. Nel 2007 fece rumore la decisione di una donna, Yu Ling, di denunciare Yahoo davanti a un tribunale americano, chiedendo i danni per la detenzione del marito, Wang Xiaoning, noto dissidente, arrestato grazie proprio alla collaborazione fra la multinazionale statunitense e il formidabile apparato della censura cinese.
È un fatto che il popolo dei cyber¬dissidenti cresce a vista d’occhio, pur pagando un prezzo alto per la sua voglia di libertà: Amnesty calcola che siano una sessantina i prigionieri di questa categoria ( più dei ' giornalisti scomodi' della carta stampata).
Qualche nome? Li Zhi, condannato a 8 anni di reclusione per aver criticato la corruzione di funzionari locali in gruppi di discussione su Internet; Xie Wanjun, che aveva tentato di fondare in Cina il partito democratico ( decisivo anche in questo caso il contributo di Yahoo). Il volto più noto è quello di Shi Tao, che sta scontando una condanna a ben 10 anni di carcere inflittagli nel 2005.
Amnesty lo ha adottato come ' prigioniero di coscienza'.
Se la scelta di Google farà scuola, il sacrificio di tutti costoro non sarà stato vano. E il popolo cinese potrà sperare in qualche spiraglio di libertà maggiore.

mercoledì 13 gennaio 2010

Eluana: per il gip di Udine è morta «improvvisamente»

(da Avvenire)
Archiviata l'indagine di omicidio volontario su Beppino Englaro e l'équipe sanitaria guidata da De Monte. Secondo il giudice il decesso di Eluana sarebbe seguito a pratiche «prudenti, scrupolose e trasparenti» e comunque sarebbe stato «improvvisa», e non legato alla sospensione di idratazione e nutrizione.
SECONDO NOI
Ma era vita. E «legittima»
Lo chiama «trattamento», il gip, ma si riferisce al cibo e all’acqua che Eluana riceveva ogni giorno per vivere. E sostiene che proseguire a darglielo – questo «sostegno vitale» – «non era legittimo». Perché? «Contrastava con la volontà espressa dai legali rappresentanti della paziente». Eluana non era una malata terminale, era una disabile, grave, gravissima, come migliaia e migliaia d’altri. Nati così o così diventati. Basterà la volontà di un «legale» rappresentante per deciderne la sorte come se la loro vita fosse una cosa o una casa? Nessuna legge lo afferma. Ma tutto è avvenuto «regolarmente», dice un altro giudice, impugnando un protocollo. E questo dovrebbe bastare. Eppure no, non basta: Eluana era vita, non attaccata a macchine né a farmaci. Spenta in quanto imperfetta.

DOPO L'INTERVENTO DI AUGIAS IL GIORNO DOPO SU RAI3 AVVENIRE SCRIVE


Augias chieda scusa
«Sarò molto brutale», ha scandito Corrado Augias durante la trasmissione che conduce all’ora di pranzo su Rai3 e che, ieri, aveva l’ambizione di spiegare «che cos’è la legge». E subito dopo s’è lanciato in questa tirata: «Un medico mi ha detto che se il signor Englaro invece di fare tutto questo putiferio, avesse mollato 100 euro alla monaca, la cosa si risolveva in pochi minuti...». La «cosa» è la vita di Eluana Englaro. I «100 euro» il prezzo della morte procurata della giovane donna.

La «monaca» una delle religiose Misericordine che – come madri e sorelle – hanno accudito la giovane disabile negli anni del suo stato vegetativo. Non è solo stato «molto brutale», Augias. È stato sprezzante e volgare. E per amor di polemica ha osato insultare – dalla tv di Stato – la dedizione delle suore di Lecco e di qualunque altra religiosa che si china sugli ammalati negli ospedali del nostro Paese. È intollerabile. Se non era questa la sua intenzione, lo dica chiaro. E, comunque, a ogni «monaca» chieda scusa.
(mt)

LA CANDIDATURA DI EMMA BONINO

Guelfi e ghibellini? No, questione di valori
(Avvenire - FRANCESCO D’AGOSTINO)
Secondo l’opinione di Franco Marini polemizzare con l’ormai lanciata candidatura di Emma Bonino nelle elezioni regionali del Lazio alla testa della coalizione di centrosinistra ci farebbe tornare indietro alla «lotta tra guelfi e ghibellini», con la conseguente perdita della lezione di laicità che ci ha lasciato don Sturzo. Sembra infatti di capire che, secondo Marini, radicali e cattolici conducano battaglie non dissimili: i radicali si battono per i diritti civili e questo è un tema che non va considerato prerogativa della sinistra. «Fa parte del retroterra dello stesso mondo cattolico accettare la centralità della persona». Non si potrebbe dir meglio: il tema della centralità della persona, in tutte le sue possibili dimensioni, è infatti e chiaramente il baricentro dell’ impegno politico dei cristiani. E allora come si spiegano le tante e tante polemiche che hanno visto contrapposti i radicali e i cattolici? Un colossale equivoco? Ovviamente no.
I diritti civili per i quali si battono, e da sempre, i radicali non sono i diritti della persona, ma i diritti dell’individuo. La differenza tra queste due categorie è molto netta. Parlare di persona significa parlare di relazionalità, solidarietà, dignità, ricerca di un bene comune ed oggettivo, consapevolezza di una comune appartenenza alla famiglia umana. L’orizzonte in cui ci si colloca quando si parla di individuo è invece ben diverso: è l’orizzonte del primato della soggettività, che relativizza l’oggettività del bene e assolutizza come insindacabili le preferenze dei singoli. Sono sovrapponibili la categoria 'persona' e la categoria 'individuo'? In parte sì, ma solo in parte: sono sovrapponibili (e peraltro non sempre) solo quando entrano in gioco legittimi interessi economici, di cui è ragionevole rivendicare una piena tutela politica e sociale. Quando però entrano in gioco valori che vanno al di là dell’orizzonte dell’economia (intesa in senso stretto) sovrapporre le due categorie è impossibile: l’individualismo attiva dinamiche libertarie, il personalismo dinamiche relazionali. Per l’individualismo l’«io» è la realtà primigenia; il «noi» non è altro se non la somma di tutti gli «io» e l’io ha quindi un primato sul «noi». Per il personalismo, invece, non c’è un «io» che non venga prodotto da un «noi» e questo spiega sia il rispetto che al «noi» è dovuto dall’«io», sia il fatto che questo rispetto non toglie assolutamente nulla alla dignità di ogni singolo «io», ma l’orienta verso un bene che quando è autentico è bene di tutti e mai soltanto del singolo.
Ecco perché tra individualismo e personalismo possono anche esserci convergenze significative, ma non sul piano dei valori «non negoziabili», perché su questo piano la differenza è netta. Questioni come la legalizzazione degli stupefacenti, la difesa del matrimonio e della famiglia, la tutela della vita (della vita prenatale, della vita in provetta, della vita dei malati) marcano l’ inconciliabilità tra il modo radicale e il modo personalistico di pensare i diritti civili. Chi insiste su questo punto non commette alcun delitto di lesa laicità, perché qui non si tratta di schierarsi dalla parte dello Stato o dalla parte del Papa: l’inconciliabilità tra individualismo e personalismo non ha carattere confessionale, ma si radica in una diversa (e parimenti laica!) visione antropologica del bene umano. I poteri dei presidenti delle Regioni sono significativi, sia in tema di famiglia che soprattutto in tema di sanità e di bioetica (lo si è visto pochi mesi fa, in occasione della tristissima vicenda di Eluana Englaro): sono temi già incandescenti e sempre più destinati a diventarlo nei prossimi mesi. Emma Bonino, con la schiettezza che le è propria, non nasconde che su queste tematiche essa continua a condividere le posizioni individualistiche tipiche dell’ideologia radicale (del resto solo un ingenuo potrebbe pensare al contrario) e non cessa, secondo un vecchio vizio dei radicali, di accusare di integralismo i cattolici che non condividono la sua candidatura. È davvero arrivato il momento di smetterla di usare parole ad effetto (come appunto guelfi/ghibellini, laicità, integralismo) e di ricordarci che il rispetto, che non deve mai mancare per le persone, non sempre va esteso alla loro ideologia.

martedì 12 gennaio 2010

E' morta la donna che scoprì i diari di Anna Frank.

Miep Gies aveva 100 anni ed era l'ultima superstite del gruppo che cerco' di nascondere - invano - la famiglia Frank dalla persecuzione nazista.
Era nota in tutto il mondo come la donna che aveva salvato i diari di Anna Frank dopo la deportazione della ragazzina ebrea in un campo di sterminio nazista. E’ diventata uno dei simboli della shoah. Miep Gies è morta in Olanda in una casa di riposo all’età di 100 anni a seguito di una caduta accidentale nel periodo natalizio. La sua vita è trascorsa tra ricordi, incontri, migliaia di lettere che riceveva da ogni parte del mondo. Era l’ultima superstite del gruppo di persone che tra il luglio del 1942 e l’agosto del 1944 aiutò a nascondere Anna Frank, i genitori, la sorella e altre quattro persone nella famosa casa di Amsterdam, poi diventata museo. Nel 1922 incontrò Otto Frank, il padre di Anna che l’assunse nella sua azienda. Dopo l’invasione nazista in Olanda, aiutò a nascondere la famiglia Frank e altri ebrei che temevano di essere deportati. Il nascondiglio venne scoperto la mattina del 4 agosto 1944 in seguito alla soffiata di un anonimo informatore della Gestapo. Furono tutti arrestati. Anna morì nel campo di sterminio all’età di 15 anni. Era il marzo del 1945. Nell’appartamento rimasto vuoto Miep trovò il diario di Anna e diventò l’ambasciatrice della memoria della giovane e del suo diario”il diario di Anna Frank”: una delle testimonianze più toccanti dell’olocausto. Sarà difficile dimenticare Miep Gies. Il suo nome è scritto nel “Viale dei giusti” a Gerusalemme fra coloro, non ebrei, che non voltarono lo sguardo dall’altra parte.

Il rendimento dei Bot è di nuovo "sottozero"

Tornano nuovamente "sottozero" i rendimenti netti dei Bot trimestrali che all'asta di oggi (12 gennaio 2010- ndr) toccano il minimo storico. I titoli trimestrali hanno toccato un rendimento lordo dello 0,386%, superando il precedente record negativo che lo aveva visto attestarsi allo 0,37% lo scorso 10 settembre. I rendimenti netti - calcola l'Assiom - sono così scesi sotto lo zero, esattamente allo 0,08%. In base a una recente normativa in caso di "rendimento negativo" si riduce la commissione delle banche.
La richiesta per i trimestrali è stata di 9,1 miliardi di euro, quasi tre volte superiore all'offerta di 3,5 miliardi. Per quanto riguarda i titoli annuali da 7,5 miliardi offerti in asta oggi (con richieste per 12,06 miliardi) hanno visto un rendimento lordo dello 0,795% (-0,221) che, in caso di applicazione di commissioni massime, scende a 0,397% secondo i calcoli Assiom.

I rendimenti dei Bot trimestrali erano già finiti sotto lo zero lo scorso settembre. Anche in quell'occasione il rendimento netto, in caso di applicazione di commissioni massime, era risultato pari a -0,08%. In base alla normativa emessa dal Tesoro nell'ottobre scorso comunque si è stabilito un tetto alle commissioni applicate alla clientela. Nel decreto si ricorda come il fine è quello "di tutelare i risparmiatori nell' attuale contesto di mercato, caratterizzato da tassi di interesse particolarmente contenuti soprattutto per i titoli a
breve scadenza". Modificando così la normativa del 2004 si stabilisce che "nel caso in cui il prezzo totale di vendita, comprensivo dell'importo della ritenuta fiscale (pari al 12,5% ndr) e della commissione, risulti superiore a 100, l'importo massimo di tale commissione è ridotto in modo da garantire alla clientela un onere comunque non superiore a 100 euro, per ogni 100 euro di capitale sottoscritto".

LA « CONFESSIONE » DI UNA GIOVANE MALATA DI AIDS

Quando uno sguardo sincero rivela mali nascosti e diffusi
Ha 21 anni, studia alla Bocconi, vive a Milano e appare a tutti una 'ragazza solare, normale'. Invece no: pochi mesi dopo aver compiuto diciott’anni ha scoperto che il suo ragazzo le aveva trasmesso il virus dell’Aids. Da tre anni la sua vita è cambiata dalle fondamenta: è sola, la ragazza della Bocconi, nemmeno i suoi genitori conoscono la sua situazione.
All’ospedale Sacco, dove è seguita con ogni attenzione, umana e professionale, lei (e tutti quelli come lei: due nuovi casi al giorno solo a Milano, spesso padri di famiglia totalmente irresponsabili) 'costa' millecinquecento euro al mese al servizio pubblico sanitario solo per le medicine senza contare le visite mensili e i vari controlli. E il peso insopportabile di vivere come deve vivere ora: con l’angustia di una malattia così pesante, col peso di un segreto come questo che è impossibile da dire perfino ai genitori, e che è molto difficile esprimere anche ai coetanei, con la paura che subito ti emarginino...
«Io non sono una drogata, una dai facili costumi – continua la ragazza della Bocconi –, io sono una ragazza normale che è stata per quattro anni con lo stesso ragazzo, che non lo ha mai tradito», ricevendone, in cambio, questa specie di inferno in cui l’ha precipitata. Auspica, la studentessa, una maggiore informazione su questo stato di cose (e come darle torto?), una maggiore 'educazione' che lei chiama 'sessuale'in un primo tempo, andando però subito dopo al vero 'cuore' del problema, parlando cioè di educazione all’amore o almeno alla responsabilità: «Se gli uomini smettessero di tradire le loro mogli e fidanzate, io ora non sarei malata di Hiv e non sarebbe per me così difficile trovare una ragione di vita».
Fin qui la lettera che la protagonista di questa storia ha scritto sul più diffuso quotidiano italiano. Ed è davvero difficile aggiungere qualcosa a questo quadro, così palpitante di dolore e disperazione, così drammaticamente 'convincente'. A un lettore distratto, il doloroso grido finale della ragazza della Bocconi potrebbe sembrare il testo di una 'predica' di qualche confessore vecchia maniera, di quelli insomma 'non in linea con i tempi'. Invece è questa la verità che nasce dall’impatto con la realtà dell’esistenza: il 'peccato', anche se è quello contro l’onesto uso del sesso, è sempre peccato. Significa cioè inganno, oggi come all’inizio della storia, nel giardino dell’Eden, (e doppio inganno: da parte di chi ha tradito un amore fedele e da parte di chi ha fatto credere che certe abitudini, ormai considerate 'normali', siano senza conseguenze). Significa sempre qualcosa di contrario all’amore: sofferenza, perdita di fiducia e di speranza, dolore, dolore immenso come quello che ha colpito questa ragazza che ha avuto troppa fiducia in chi non la meritava. E significa ingiustizia, non solo individuale ma anche sociale: la studentessa della Bocconi lo percepisce ancora una volta con ammirevole sincerità. Quando fa i conti di quanto grande sia la pubblica spesa per le cure ai malati come lei, per i quali la malattia era facilmente evitabile, nota: «Non mi piace l’idea di pesare sugli altri».
Ed è anche questa la spia di una coscienza retta, responsabile, attenta al bene comune, non solo al proprio.
Avessero un decimo di questa sensibilità tanti pubblici amministratori che continuano a rendersi famosi per le 'voragini' finanziarie sanitarie in cui precipitano le regioni che 'governano' (?) a causa di incompetenza, inefficienza, disonestà, devozione allo spreco, moltiplicando la spesa e minimizzando i servizi al bene primario che è la salute dei cittadini! Anche questo è peccato, e peccato sociale dei peggiori. Stavolta, è stata una 'peccatrice' come la sfortunata ragazza della Bocconi a ricordarcelo. Anche di questo le siamo grati. E anche per questo siamo umanamente e cristianamente vicini a lei e ai suoi compagni di sventura.
(Avvenire- Gabriella Sartori)

venerdì 8 gennaio 2010

Il Pd alla fine decide di non decidere

(Avvenire - Roberta D’Angelo)
Prende tempo, anche se ormai è agli sgoccioli, Pierluigi Bersani. La decisione di sostenere Emma Bonino come candidata governatore del Lazio è foriera di tanti guai, e ancora ieri sono stati molti a dimostrarglielo. Ex popolari e teodem hanno chiesto al segre-tario del Pd di ripensarci, ma la soluzione radicale – non cercata dal piddì – alla fine avrebbe tolto le castagne dal fuoco al vertice del Nazareno, a corto di nomi da spendere per la difficile partita, resa ancora più dura dalla scelta di Casini di sostenere Polverini. Bersani, però, non a¬veva fatto i conti con i malumori interni. E alla fine la partita potrebbe risolversi con le primarie, a cui parteciperebbe la stessa Bonino, sebbene per Paola Binetti con poche chance di spuntarla.
Ed è per questo che la deputata teodem preferisce attendere, prima di traslocare dal Nazareno. «No, prima di tutto vedremo se Emma Bonino vincerà. Io sono convinta che non sarà così», dice, confermando di non votare per l’esponente radicale. «Gli elettori premieranno le mie posizioni e non quelle di chi ha fatto campagna spinta per l’aborto, il divorzio, la legge 40 e la Rsu486».
E a darle ragione, pure dal versante opposto, è la collega di partito Ileana Argentin (vicina a Ignazio Marino), pronta a sostenere Bonino per gli stessi motivi per cui l’area cattolica è pronta a bocciarla: «La Bonino può anche rappresentare l’anticristo per questo partito: sparge fumo e pillole abortive in un Pd che per metà sostiene il contrario di quello che la Bonino afferma».
Un’ulteriore conferma arriva dalle preoccupazioni dell’ex ds Livia Turco, che teme una sfida tra candidati portata sui temi etici, come «l’utilizzo della pillola abortiva: se sarà davvero così, è la conferma che la destra ha priorità ideologiche e di 'bottega'».
Per la teodem Emanuela Baio Dossi non si tratta certo di problemi di poco conto: «Soprattutto a Roma, sede di San Pietro, l’ipotesi di candidatura della Bonino non fa ben sperare». E, si dice certa, «il mondo cattolico rappresenta ancora buona parte del nostro elettorato», con cui «mantenere aperto il dialogo è di fondamentale importanza».
Anche gli ex popolari condividono. «Il sostegno alla candidatura Bonino non è una scelta solo locale, per il rilievo nazionale deve essere discussa nella direzione nazionale», insiste Pierluigi Castagnetti. «Se ciò non avvenisse, sarebbe un cla¬moroso errore, configurerebbe un divorzio definitivo con l’elettorato cattolico» e dunque «il costo elettorale sarebbe altissimo anche nelle altre regioni. Dopo l’errore dell’intesa elettorale con i Radicali del 2008, questo sarebbe ancora maggiore ». Volente o nolente, insomma, Bersani continua ad avere in mano la patata bollente, non potendo delegare del tutto la scelta ai rappresentanti locali, come ha fatto per la Puglia, dove Boccia continua nel tentativo di convincere l’Udc a sostenerlo malgrado le resistenze di Vendola e lo stesso Vendola a fare un passo indietro. Il temporeggiare di Bersani è stato fortemente stigmatizzato da Di Pietro, che gli ha lanciato un ultimatum, minacciando di correre da solo. Ma il leader pd avvisa i suoi: «Se facciamo da soli o abbiamo un solo interlocutore, prendiamo solo tre regioni».
Bersani temporeggia sull’ipotesi Bonino Binetti: mai con chi fece le campagne per l’aborto Castagnetti: non si divorzi dall’elettorato cattolico

giovedì 7 gennaio 2010

LOTTA ALLA PEDOFILIA

DON DI NOTO (METER), “PRESE IN GIRO” LE POLEMICHE SUI “BODY SCANNER”
(Ag. SIR)“In Inghilterra hanno polemizzato contro l’introduzione del body scanner negli aeroporti sostenendo che favorirebbero la pedopornografia. Balle. Un conto è la sicurezza quando si viaggia, un altro la difesa dei bambini”. Don Fortunato Di Noto, il sacerdote fondatore dell’associazione Meter (www.associazionemeter.org), interviene sulla privacy che il body scanner, il nuovo apparecchio per i controlli pre imbarco, non riuscirebbe a garantire negli aeroporti. “Semmai – dice il sacerdote - la preoccupazione potrebbe essere se i fotogrammi (memorizzati) vanno a finire nei circuiti online. Ma questo deve essere una preoccupazione della sicurezza”, aggiunge Don Fortunato, che ricorda: “La lotta alla pedofilia non c’entra con la tutela della privacy. Sono altre le emergenze e le richieste che dobbiamo affrontare”, conclude, ricordando che “tra pochi giorni diffonderemo il rapporto 2009 Meter, con tutti i tragici risultati dell’anno appena concluso”.

I consueti bersagli «cattolici» dell’ormai solita Corte

DOPO L’ITALIA ( E IL CROCIFISSO) NEL MIRINO L’IRLANDA ( E LA LEGGE ANTIABORTO)
Dopo i crocifissi in Italia, tocca alla legge antiabortista irlandese. Nei giorni scorsi si è svolta infatti a Strasburgo, davanti ai 17 giudici della Grande Camera della Corte europea dei Diritti dell’uomo, l’udienza sul ricorso promosso contro l’Irlanda a causa della sua legislazione contraria all’aborto. Il caso è giunto avanti alla Corte a seguito della richiesta avanzata da tre donne di veder riconoscere il 'diritto' di abortire anche nell’isola, anziché dover cercare – come loro hanno fatto – una soluzione in Inghilterra.
L’interruzione volontaria della gravidanza è illegale in Irlanda – a meno che la vita della donna non sia in grave pericolo – tanto che persino la Costituzione è stata modificata nel 1983 per includere un emendamento pro¬life: «Lo Stato – si legge nella Carta – afferma il diritto alla vita del nascituro e, tenuto conto dell’eguale diritto alla vita della madre, garantisce nella propria legislazione il riconoscimento e, per quanto possibile, l’esercizio effettivo e la tutela di tale diritto, attraverso idonee disposizioni normative».
Davanti ai giudici di Strasburgo, che si pronunceranno nei prossimi mesi, il governo irlandese non ha esitato a difendere a spada tratta la propria Costituzione e le norme che ne derivano in tema di aborto, argomentando che «il diritto alla vita del nascituro è basato su fondamentali valori morali profondamente radicati nel tessuto sociale irlandese». A prescindere dal merito dei singoli casi pendenti avanti la Corte (prima il crocifisso, ora l’aborto), la questione più generale che si pone è di capire se sia ammissibile che la cultura, la tradizione, i valori e persino le norme approvate in Parlamento attraverso un processo democratico possano essere messe in discussione da un organismo internazionale artificialmente creato e del tutto avulso dal contesto che è chiamato a giudicare. Il paradosso si ingigantisce se si considera che quella cultura, quelle tradizioni, quei valori e quelle leggi appartengono a uno Stato membro dell’Unione Europea e possono essere smantellate da un organismo che con l’Unione non ha nulla a che vedere. Sì, perché la 'Corte europea dei diritti dell’uomo', non è un’istituzione della Ue e non va confusa, come spesso accade, con la Corte di giustizia europea, che invece è, a tutti gli effetti, un’importante componente dell’architettura istituzionale comunitaria.
Gli strenui difensori dei princìpi liberali e democratici si dovrebbero porre il problema se sia giusto consegnare la sovranità popolare di un Paese membro della Ue nelle mani di 17 uomini delle più disparate estrazioni, visto che fanno attualmente parte della Corte anche giudici provenienti da Turchia, Macedonia, Albania, Montenegro, Moldavia, Georgia e persino dall’Azerbaigian. Sono costoro che hanno la facoltà di giudicare cultura, tradizioni, valori e leggi di Paesi civili e democratici del Vecchio Continente come l’Irlanda e l’Italia, accomunati – guarda caso – dal 'difetto' di essere entrambi di tradizione cattolica. Quando scoppiò il caso dei crocifissi, scoprimmo che il giudice della Corte europea dei diritti dell’uomo in rappresentanza dell’Italia è Vladimiro Zagrebelsky, talmente imparziale da aver meritato il premio di 'Laico dell’anno 2008' conferitogli dalla Consulta torinese per la laicità delle istituzioni, aderente alla Ehf-Fhe, la Federazione umanista europea. E purtroppo abbiamo potuto già verificare che 'laicità' in questo caso non fa rima con 'terzietà' e neanche con 'serenità' (di giudizio).
(AVVENIRE - GIANFRANCO AMATO)

martedì 5 gennaio 2010

QUELL'UOMO "SOLO AL COMANDO"

FAUSTO COPPI 50 ANNI DOPO: METAFORA DI UN SECOLO A DUE VOLTI E CONTRADDITTORIO CAMPIONISSIMO.
Il 2 gennaio 1960 moriva di malaria Fausto Coppi. Anche noi lo vogliamo ricordare con un articolo di Pio Cerocchi tratto dal quotidiano Avvenire.
Cinquanta anni sono passati, tanti, mezzo secolo, un’altra epoca storica: eppure quella morte all’aurora del due gennaio 1960, non si riesce a dimenticarla. Essa appartiene alla memoria nazionale, perché il ricordo di Fausto Coppi va oltre il pur straordinario mondo dello sport e ¬assumendone tutta la carica simbolica ¬si trasforma in metafora di un tempo ben più lungo del breve arco della vita del Campionissimo. Metafora del Novecento. Di un secolo refrattario a una classificazione condivisa, tant’è che le definizioni di 'secolo breve' e di 'secolo lungo' finiscono per essere entrambe pertinenti. Comunque un secolo denso di enormi sofferenze, di delitti e di stragi, ma anche un secolo attraversato da correnti di solidarietà umana e d’amore.
Ed è così che tra le icone del Novecento c’è anche quella di Fausto Coppi. E la sua non è l’icona della vittoria, del grido del più forte che irrompe sul traguardo umiliando gli avversari. Non c’è nella sua figura, tantissime volte immortalata sui media, il piglio arrogante del vincitore; pure sui traguardi raggiunti al termine di grandissime prove sportive, Coppi conteneva la sua gioia in modesto sorriso. Quasi che la corsa appena finita non fosse stata altro che un brano di un lungo discorso interiore. E così questo evidente contrasto tra il valore delle sue imprese agonistiche e il tono dimesso con il quale egli le rappresentava, ha finito per disegnare i contorni di un’immagine luminosa ma fragile. La sua lunga carriera sportiva che si è snodata dal 1938 sino al dicembre del 1959, infatti, ha conosciuto la gloria e la delusione; la gioia e il dolore. E scorrendo le mille storie che su di lui sono state scritte, si ha l’impressione che i suoi successi avessero a che fare più con il destino che non con lo sport al quale esse, invece, appartenevano. Ed è in questa consapevolezza tragica che la sua figura simboleggia un secolo sperimentato dal male.
E segni dolorosi furono la morte in corsa del fratello Serse nel 1951 e la sua stessa fine, quasi presagita dopo il safari e le ultime due corse nell’Alto Volta (oggi Burkina Faso). Sembrava sempre che sul volto di Coppi passassero insieme la consapevolezza della gioia per la gloria sportiva e l’ombra dei pericoli che l’hanno costantemente accompagnata.
Nel fisico (subì gravissimi incidenti), ma anche nell’animo soprattutto quando la storia difficile della sua vita sentimentale divenne di pubblico dominio, motivo di scandalo e di pietà.
E fu allora che avversari, amici e gregari per inconfessata gratitudine del rispetto che egli, in corsa e nelle vita, ebbe sempre per loro, lo protessero nelle sue ultime sfortunate stagioni agonistiche, custodendone, poi, una intatta ed eroica memoria.
Fausto Coppi sia nei giorni dei trionfi, sia in quelli delle cadute, non fu mai banale. Nulla fu scontato nei suoi comportamenti di ciclista, e anche per questo egli riuscì a imprimere a uno sport di fatica, l’idea che c’era pure dell’altro nel correre sulle strade e sulle piste del mondo. La fatica, insomma, non risolveva l’interezza di quest’uomo che non si potrebbe spiegare, senza considerare la sua voglia di solitudine, la sua capacità di stare con se stesso (quel correre davanti, appunto, per essere solo). E nel secolo delle folle oceaniche unite nel grido, nella paura e nell’odio, l’immagine dell’uomo solo in testa alla corsa sembra segnare un valore che rende attuale il ricordo, che ciascuno può leggere a modo proprio: sia come vincitore, sia come sconfitto.
Contraddittorio come il tempo che gli toccò di vivere. Come il 'suo' Novecento.

NUCLEARE E URNE

Il quadro regione per regione
(Da QE – Quotidiano Energia)
Non c’è sondaggio che tenga: il nucleare fa sempre paura. Da tempo si susseguono indagini che evidenzierebbero un atteggiamento sempre più favorevole degli italiani all’atomo (l’ultima è quella commissionata all’Ispo dall’Ain). Ma quando si arriva al momento cruciale, ossia alla scelta del sito per le future centrali, nulla sembra cambiato: tutti si tirano indietro.
La tendenza è riemersa in modo evidente all’approssimarsi delle elezioni amministrative che a marzo interesseranno 13 Regioni, 11 amministrate del centrosinistra e 2 dal centrodestra. La campagna elettorale non è ancora formalmente iniziata ma il leitmotiv già si intuisce: gli elettori possono stare tranquilli, il nucleare in quella specifica regione non si farà, e se si farà sarà solo con il pieno consenso dei cittadini.
La tendenza è politicamente trasversale, anche se ovviamente più “sentita” nel centrosinistra. Tanto che due Regioni amministrate dal PD (entrambe alle urne in Primavera) hanno già formalmente varato due atti normativi per “blindare” il ritorno al nucleare.
Ha iniziato a fine novembre la Puglia, e il 31 dicembre è stata la volta della Campania, con un articolo inserito nella manovra finanziaria di fine anno. Pressoché identico il contenuto dei provvedimenti: in assenza di precisi accordi con lo Stato sulla localizzazione, il terreno regionale è “precluso” alla realizzazione di centrali o anche di depositi per le scorie. Una mossa che si affianca al ricorso alla Consulta presentato dalle due Regioni e da altre 11 amministrate dal centrosinistra contro il potere sostituivo dello Stato previsto dalla Legge Manovra, confermato anche dalla schema di D.Lgs licenziato dal Cdm il 22 dicembre e in via di trasmissione al Parlamento. Non si può quindi escludere che altri provvedimenti simili vengano varati dalle amministrazioni di centrosinistra, in particolare quelle interessate dalla tornata lettorale: oltre a Puglia e Campania, ci sono Lazio, Piemonte, Emilia Romagna, Liguria, Toscana, Calabria, Marche, Umbria e Basilicata. Alcune di esse, peraltro, sono state direttamente coinvolte nel toto-siti degli ultimi mesi. In primis il Lazio, con due possibili località: Borgo Sabotino (Latina) e Montalto di Castro. Quest’ultima, peraltro, appare in assoluto la soluzione favorita dall’Enel. A quanto risulta a QE, in Regione ci sarebbe la volontà politica per un provvedimento normativo simile a quello di Puglia e Campania, ma le dimissioni dell'ex governatore Marrazzo costringono l'esecutivo locale alla sola ordinaria amministrazione.
Gli altri nomi circolati sono quelli di Trino Vercellese (Piemonte), Caorso (Emilia Romagna), Garigliano (Campania), Palma (Sicilia), Oristano (Sardegna), Monfalcone (Fvg) Rovigo (Veneto) e Termoli (Molise).
Il fatto che siano tutti assolutamente ufficiosi e non confermati non ha impedito il diffondersi della psicosi. E così anche chi all’inizio si era dichiarato favorevole ad ospitare l’atomo ha dovuto fare marcia indietro.
E’ il caso del governatore veneto Galan (Pdl), che ha di recente parlato dell’impossibilità tecnica di realizzare una centrale nelle sue coste, a causa del fenomeno della subsidenza. Il neo candidato alla sua successione,
l’attuale ministro dell’Agricoltura Luca Zaia (Lega), ha rincarato la dose: “Il Veneto è troppo antropizzato e non è adatto ad ospitare una centrale nucleare, meglio puntare sulle rinnovabili” ha detto pochi giorni fa.
Così, l’unico apertamente favorevole rimane il governatore siciliano Raffaele Lombardo. Che però ha di recente condizionato il sì a un referendum popolare. Evidentemente la paura di perdere consenso si fa sentire anche senza bisogno di elezioni imminenti.

venerdì 1 gennaio 2010

LA “GRANDE CRISI” HA TOCCATO IL FONDO. PRONTI A RIPARTIRE?

“Capita una volta in un secolo” , ha dichiarato a un certo punto e a denti stretti, quasi scusandosi per non aver previsto il tracollo globale, l’ex governatore della Federal Reserve, Alan Greenspan. E non c’è dubbio che il 2009 sarà ricordato come l’anno della più grave recessione planetaria dal secondo dopoguerra. Se nel 2008 era stata infatti la grande finanza "di carta" a fare crac – con la bancarotta di Lheman Brothers e la carneficina dei mutui subprime – nei dodici mesi che abbiamo appena salutato a pagare il conto più salato è stata invece la cosiddetta "economia reale": le imprese, i lavoratori, le famiglie. Il Pil si è contratto ovunque, i consumi si sono atrofizzati e la disoccupazione è cresciuta in molti Paesi a due cifre. Ci vorrà tempo per recuperare. L’Italia tutto sommato – in parte grazie alla solidità del sistema bancario, in parte al suo sistema di tutele – ha retto meglio di altre grandi economie. Gli Stati hanno dovuto in ogni caso intervenire pesantemente, insieme alle Banche centrali, per sostenere l’economia. Il rientro dai deficit eccessivi e dai debiti pubblici abnormi sarà pertanto, insieme al lavoro, il tema economico del 2010, già ribattezzato ' exit strategy', strategia di uscita. Si spera, naturalmente, anche dalla crisi, considerate le prime schiarite intraviste a fine anno.

NOI, I CUSTODI DEL CREATO

Nel messaggio per la Giornata mondiale della pace Benedetto XVI ricorda che la natura ci è stata donata E salvaguardarla è fondamentale per la civile convivenza tra i popoli.
Quella che si celebra oggi è la 43ª Giornata mondiale della pace. Ci piace ricordarla attraverso un articolo riportato nell’inserto “Popotus” , il giornale che “Avvenire” dedica ai bambini, ma che a nostro avviso torna utile anche per noi adulti.
Ecco cosa ci insegna.
Lo sappiamo tutti: la terra è la nostra casa comune. È lei a fornirci il cibo, l’acqua, l’aria da respirare. Distruggerla significa condannarci alla morte. Eppure tante volte ce ne dimentichiamo. Le conseguenze sono fiumi e mari inquinati, l’aumento di fenomeni estremi come le alluvioni, l’egoistico uso da parte di pochi dei beni naturali che sono di tutti. Nel suo messaggio per la Giornata mondiale della pace che si celebra domani, il Papa ci ricorda proprio questo, che l’uomo non è il padrone della natura, o meglio della creazione dono di Dio, ma il custode. Il suo compito è difenderla per darla in eredità a figli e nipoti, a loro volta chiamati a fare altrettanto. «Se vuoi coltivare la pace, custodisci il creato», il titolo della riflessione in cui Benedetto XVI sottolinea che la salvaguardia della natura è decisiva per la pacifica convivenza dell’umanità.
Insieme alla crudeltà umana e alla voglia di potere, infatti, molti conflitti dipendono dalla mancata possibilità di accedere alle risorse naturali, l’acqua soprattutto. E allo stesso tempo cresce il fenomeno dei profughi ambientali, persone che a causa del degradamento dei luoghi in cui vivono sono costrette a lasciarli, per affrontare i pericoli e i rischi del trasferimento in una terra straniera. A pagare le conseguenze di un cattivo uso delle risorse naturali (pensiamo a quanta acqua sprechiamo!), sono come sempre i poveri e i più deboli.
Di qui l’invito del Papa a una revisione profonda e lungimirante, cioè che guarda avanti, del modello di sviluppo, che significa usare i beni naturali per promuovere l’uomo. In altre parole, vanno bene la ricerca scientifica e l’uso delle nuove tecnologie purché vengano messe a disposizione dell’intera umanità e non servano ad allargare le distanze tra ricchi e poveri, tra Nord e Sud del mondo.