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martedì 1 settembre 2009

Paranoia senza limiti

Dopo i media e i giornalisti scomodi, è la volta dei commissari e portavoce della Ue.
Il premier: «Stop ai portavoce o bloccheremo i lavori Ue».
Rassegna stampa - Avvenire.it

"Non è vero" che la Ue abbia richiamato l'Italia sul tema dell'immigrazione: "Si strumentalizzano espressioni di portavoce". Lo dice il presidente del Consiglio, Silvio Berlusconi, che ha minacciato di bloccare il funzionamento del Consiglio Europeo se non si deciderà di far tacere portavoce e commissari facendo parlare solo il presidente della Commissione.
"È un problema - dice il premier - che porterò sul tavolo del prossimi consiglio dei Capi di Stato e di Governo e la mia posizione sarà decisa e precisa: non daremo più il nostro voto, bloccando di fatto il funzionamento del Consiglio, ove non si determini che nessun commissario e nessun portavoce di commissario possa intervenire più pubblicamente su alcun tema".
"Deve spettare solo al presidente della Commissione e al suo portavoce - continua Berlusconi - di intervenire: chiederò che i commissari e i portavoce di commissari che continuano nell'andazzo di tutti questi anni, vengano dimissionati in maniera definitiva. Questa è una cosa che non si può più accettare - conclude - perchè si danno alle opposizioni di ogni Paese delle armi che invece non esistono".
«Sorpreso» il portavoce di Barroso: "Sono sorpreso, davvero sorpreso, perché sono giorni che stiamo dicendo la Commissione non sta criticando nessuno Stato Ue" sulla gestione dell'immigrazione. Così Dennis Abbott, uno dei portavoce della Commissione Ue, ha risposto a chi gli ha riferito della presa di posizione di Berlusconi contro i portavoce della Commissione Ue.
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Emergency in lutto

Milano, è morta Teresa Sarti Strada fondatrice e presidente di Emergency.

Il sito Internet di Emergency comunica la scomparsa della moglie di Gino Strada, Teresa Sarti.

Questo il comunicato.
Dopo avere insieme condiviso per quindici anni il tempo dell'amicizia, del rispetto per la vita e per la sofferenza di tutti, dopo il lungo tempo di affetto, di speranze di timore per la sua sorte personale, Emergency annuncia la morte della sua presidente Teresa Sarti Strada.
Con la stessa apertura e con la stessa semplicità che aveva voluto per la vita di Emergency, Teresa ha accettato anche in questi suoi ultimi giorni la vicinanza di tutti coloro che hanno voluto esserle accanto. La serenità consapevole con la quale è andata incontro alla conclusione del suo tempo ha espresso il coraggio e la determinazione che rappresentano la verità della nostra azione in un'attività che ha dato senso alla sua e alla nostra esistenza. La dolcezza del ricordo coincide per noi con il rinnovo dello nostro impegno per la pace e per la solidarietà.

EMERGENCY

Teresa Sarti Strada, presidente di Emergency, malata da due anni, aveva 63 anni e insieme con il marito, Gino, aveva fondato 15 anni fa l'organizzazione che nel mondo si occupa delle vittime di guerra.

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Scattata questa mattina l'ora X

Il giorno di colf e badanti.
Rassegna stampa - Il Giorno di oggi, Liliana Marchesi.

È scattata stamattina “l’ora x” per migliaia di colf e badanti in attesa di regolarizzare la loro posizione lavorativa. Cinquecento euro di contributi, qualche formalità da sbrigare e poi si può sperare di ottenere l’agognato permesso di soggiorno. Saranno più di 2000 nel solo lodigiano gli stranieri (la maggior parte donne) che compileranno la richiesta per la cosiddetta «Dichiarazione di emersione contributiva». I testi ufficiali non parlano di “sanatoria”, ma è il termine usato anche dagli “addetti ai lavori” per definire questo processo. Tutti coloro che vorranno regolarizzare la posizione lavorativa della propria colf o badante dovranno farne richiesta tramite gli uffici specializzati (Cisl o Acli) o attraverso il sito del ministero dell’Interno (www.nullaostalavorointerno.it). Pochi i requisiti richiesti al datore di lavoro: se italiano, per l’assunzione di una colf, dovrà dimostrare un reddito superiore ai 20mila euro annui mentre per l’assunzione di una badante sarà necessaria la sola presentazione del certificato medico di invalidità dell’assistito.
Il datore di lavoro straniero dovrà presentare anche il permesso CE di lunga durata (la ex carta di soggiorno). I datori di lavoro dovranno inoltre pagare 500 euro di quota forfettaria come contributi del trimestre aprile-giugno 2009. «Tutto ha inizio — spiega Silvia Fusari, operatrice tecnica dell’INAS, patronato CISL — con l’entrata in vigore del decreto legislativo in materia di clandestinità, il cosiddetto “pacchetto sicurezza”. Le famiglie in cui lavorano colf e badanti non regolari possono essere incriminate per favoreggiamento della clandestinità, ecco perché un mese dopo viene varata questa “sanatoria”». «È una mossa socialmente incomprensibile — continua Silvia Fusari —. Molti altri lavoratori extracomunitari non potranno usufruire di questa possibilità». Ma non ci sono solo italiani interessati a questa svolta burocratica: molti stranieri useranno questo escamotage per assumere parenti e amici.
Sarà possibile inoltrare le richiesta da oggi fino al 30 settembre, ma non si formerà alcuna graduatoria. Tutte le domande passeranno alla Prefettura che, dopo il parere favorevole della Questura, convocherà il richiedente per il nullaosta definitivo. Se la domanda verrà rifiutata, il datore di lavoro dovrà però accollarsi anche le spese per il rimpatrio del clandestino.

«Il tam-tam tra extracomunitari è il mezzo d’informazione più valido e veloce che si conosca». Esordisce con queste parole Paolo Zanoni, responsabile del patronato Acli. In pochi giorni la sede di viale delle Rimembranze è stata “invasa” da extracomunitari in cerca di informazioni e di aiuto per la compilazione delle domande per la regolarizzazione. «Ne hanno parlato parecchio anche i giornale e le televisioni, ma un conto è il “sentito dire”, un altro è confrontarsi con le difficoltà della burocrazia — continua Zanoni — facciamo il possibile per aiutare gli extracomunitari ad ottenere il nullaosta. Ci vorrà circa un anno per la risposta definitiva, ma in questo periodo chi ha fatto richiesta godrà di uno status particolare, “l’attesa di regolarizzazione” con cui potrà continuare a lavorare senza la preoccupazione di fogli di via o rimpatri. In caso di esito positivo, inoltre verranno “cancellati” anche quei reati legati a irregolarità di permessi di soggiorno e fogli di via. Un’opportunità da cogliere al volo».

Il consigliere Ornella Veglio: necessaria la formazione.

Sono almeno 2500 le badanti e colf presenti sul territorio lodigiano, ma è una stima approssimativa che non tiene conto dei lavoratori “in nero”. Non sono ancora state istitutite, infatti, banche dati che rilevano la presenza dei collaboratori domestici. Ulteriore dimostrazione di quanto la realtà corra più velocemente delle istituzioni . «È una situazione allarmante — denuncia Ornella Vaglio, consigliere di Parità della Provincia di Lodi — che dovrebbe essere rivista “in toto”.
Ormai non possiamo più fare a meno di queste figure professionali che assistono parenti anziani, ma bisogna considerare che queste persone non sono preparate». La maggior parte di extracomunitarie che raggiungono l’Italia prestano servizio o come collaboratrici domestiche o badanti a persone anziane, ma senza seguire alcun corso di formazione mettendo a repentaglio non solo la salute dell’assistito, ma anche la propria: «Sono rimasta impressionata — racconta Ornella Vaglio — dalle storie di alcune colf che venivano malmenate dai loro anziani datori di lavoro, magari “incattiviti” da qualche patologia degenerativa».
Ma anche chi opta per soluzioni alternative, come case di cure o centri di assistenza, non ha grandi spazi di manovra. «Anche le strutture più nuove non sono pensate a dimensione di anziani. — conclude la Veglio —. Nel Lodigiano, e parlo per esperienza diretta, non ci sono ricoveri per anziani con stanze singole. Sembra una sciocchezza, ma pensate ad una persona cara che è obbligata a condividere la propria vita con un malato di Alzheimer o di qualche altra patologia degenerativa. Sarebbe come firmare una sentenza di morte».
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Volevano mostrarsi da subito capaci di qualcosa

Ritorniamo sulla questione della moschea a Casale con un articolo di Mario Borra su Il Giorno di oggi, che ci dice che il Comune starebbe però cercando un altro centro di preghiera.
Petizione contro la moschea in via Adda.
Rassegna stampa.

Firme contro la moschea di via Adda, ma è probabile che i fedeli islamici in quel posto non vadano mai. I residenti delle palazzine nei pressi delle quali dovrebbe essere trasferito, fino al 21 settembre prossimo, il centro di preghiera islamico stanno firmando una sottoscrizione da presentare nei prossimi giorni sul tavolo del sindaco Flavio Parmesani per ribadire con forza il loro «no» alla decisione dell’amministrazione municipale di centrodestra di prevedere, nel piccolo magazzino «incastrato» tra le case, il centro di preghiera almeno fino al termine del mese sacro del Ramadan.
I sottoscrittori sono almeno una ventina e ribadiscono che quel luogo non è adatto per ospitare un centro di culto, essendo privo di allacciamenti per l’acqua, servizi igienici, luce. Inoltre, essendo una struttura annessa alle abitazioni, l’eventuale arrivo della moschea dovrebbe essere sottoposta ai regolamenti condominiali. Infine, si legge nella nota sotto la quale vengono raccolte le firme, che non si esclude nemmeno la possibilità di una protesta pubblica in piazza. Intanto, ieri nessun operaio era ancora arrivato per sgomberare il deposito e la circostanza suona strana. Infatti, secondo una fonte, il Comune starebbe stringendo i tempi per una soluzione definitiva che faccia tramontare l’ipotesi provvisoria di via Adda, già fortemente contestata. «Una proposta definitiva che salvi capra e cavoli. Ma se non si trovasse in tempi stretti, fino alla fine del Ramadan, i fedeli andranno in via Adda«, ribadisce la fonte. I musulmani casalesi si starebbero orientando su due ipotesi, avendo a disposizione una discreta somma da investire: secondo indiscrezioni, l’attenzione si starebbe rivolgendo verso un capannone presso il polo produttivo Mirandolina a Codogno o a Somaglia. Ieri l’assessore ai lavori pubblici Luca Peviani ha ribadito che «si sta lavorando per una soluzione positiva per tutti», confermando la linea del silenzio fino al termine della vicenda.
Ferdinando Fanchiotti (Pd) ha invece rilanciato un’altra dichiarazione provocazione. «Mi chiedo se anche gli spazi della Chiesa Evangelica di viale Cappuccini sono a norma rispetto alla legge del 2005 o se, anche in quel caso, la destinazione d’uso non è ancora stata cambiata». Molto critico il consigliere di opposizione Leopoldo Cattaneo del Partito comunista dei lavoratori. «È stata una decisione maldestra, fatta male oltre che di stampo razzista - spiega Cattaneo - hanno dovuto far vedere che facevano qualcosa, nascondendo quello di importante c’è da affrontare. L’occupazione, la gestione del teatro, gli insediamenti produttivi, le buche sulle strade, il bilancio? Dicano cosa vogliano fare su queste tematiche».
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Olio di ricino mediatico

L'officina dei veleni.
Rassegna stampa - Repubblica.it di oggi, Giuseppe D'Avanzo.

Dunque la "nota informativa", pubblicata dal Brighella che dirige il Giornale del capo del governo, non è né una "nota" né un'"informativa" né tanto meno un atto giudiziario. È una "velina". Ora è ufficiale: nel fascicolo del Tribunale di Terni non c'è alcun riferimento a Dino Boffo, direttore dell'Avvenire, come a "un noto omosessuale". Lo dice il giudice di Terni: negli atti "non c'è assolutamente nessuna nota che riguardi le inclinazioni sessuali".
Da qui - dalla menzogna del Giornale di Berlusconi - bisogna ripartire per comprendere il metodo e le minacce di un dispositivo politico che troverà - per ordine del potere che ci governa - nuovi bersagli contro cui esercitarsi, altri indiscutibili falsi da agitare per punire gli avversari politici o chi dissente. La storia è nota. Boffo osa criticare, con molta prudenza, lo stile di vita di Berlusconi e si ritrova nella lista dei cattivi. Dirige un giornale cattolico e non può permettersi di censurare l'Egoarca. Deve avere una lezione. Non c'è bisogno di olio di ricino, genere merceologico antiquato. Una bastonatura mediatica è ben più funesta di un lassativo. Può essere definitiva come un colpo di pistola. È quel che tocca al direttore dell'Avvenire: un colpo di pistola che lo tramortisce. Finisce in prima pagina del Giornale di Berlusconi descritto così: "Dino Boffo, alla guida del giornale dei vescovi e impegnato nell'accesa campagna di stampa contro i peccati del premier, intimidiva la moglie dell'uomo con il quale aveva una relazione".
C'è stata finora una regola accettata e condivisa nel pur rissoso giornalismo del nostro Paese diviso: spara duro, se vuoi, ma è legittimo farlo soltanto con notizie attendibili e fondate, confermate da testimonianze o documenti che reggano una verifica, pena il discredito pubblico, la squalifica di ogni reputazione professionale. Il collasso di questa regola di decenza può inaugurare una stagione critica. Per descriverla torna utile Brighella, antica maschera della commedia dell'arte che nasce nella Bergamo alta. Attaccabrighe, briccone, bugiardo, Brighella viene da briga, intrigo: "se il padrone promette di ricompensarlo bene, dirige gli imbrogli compiuti in scena". Il potere che ci governa immagina che i giornalisti debbano trasformarsi tutti in Brighella. Un Brighella in giro già c'è. Dirige il Giornale di Berlusconi. Si mette al lavoro e cucina l'aggressione punitiva per il dissidente. Gli hanno messo in mano un pezzo di carta anonimo, redatto nel gergo degli spioni e delle polizie. Chi glielo ha dato? Dov'è l'officina dei miasmi, dei falsi, dei dossier melmosi che il potere che ci governa promette di usare contro i non-conformi alla sua narrazione del Paese? Il foglietto che Brighella si ritrova sullo scrittoio è di quei frutti avvelenati. Non vale niente. È una diceria poliziesca. Il direttore del Giornale di Berlusconi la presenta ai lettori come una "nota informativa che accompagna e spiega il rinvio a giudizio del grande moralizzatore, alias il direttore dell'Avvenire, disposto dal gip del Tribunale di Terni".
Quella "velina" diventa, nell'imbroglio di Brighella, un documento che gli consente di scrivere, lasciando credere al lettore di star leggendo un atto giudiziario: "Il Boffo è stato a suo tempo querelato da una signora di Terni destinataria di telefonate sconcie e offensive e di pedinamenti volti ad intimidirla, onde lasciasse libero il marito con il quale il Boffo, noto omosessuale attenzionato dalla Polizia di Stato per questo genere di frequentazioni, aveva una relazione".
Disinformazione e "falso indiscutibile", in questa manovra, fanno un matrimonio d'amore. Il documento è un falso indiscutibile. È utile però a un lavoro di disinformazione. La disinformazione, metodo maestro della Russia sovietica, contrariamente alla menzogna, contiene una parte di verità (anche in questo caso: Boffo ha accettato una condanna per molestie), ma questa viene deliberatamente manipolata con abilità. A Brighella non importa nulla delle molestie. Vuole gridare al mondo: il direttore del giornale della Conferenza episcopale è un frocio! Chi ha sensibilità per i diritti civili, i movimenti gay afflitti dall'Italia omofoba di oggi discuteranno dell'uso dell'omosessualità come colpa, difetto, vergogna, addirittura come reato. Qui interessa l'uso del falso nel dispositivo politico che minaccia. Colto con le mani nel sacco dei rifiuti, quando diventa evidente che quella "nota informativa" è soltanto una "velina" di spione diventata lettera anonima ai vescovi e riesumata per la bastonatura, Brighella dice: "Non ho mai parlato di informative giudiziarie. Abbiamo un documento (ma è la sentenza di condanna per molestie). Il resto non conta. Non conta da chi l'abbiamo avuto, non conta se ci sono degli errori". Sincer come l'acqua dei fasoi dicono a Bergamo per dire falso, bugiardo. È quella schifezza presentata come "nota informativa"? Come documento? Addirittura come atto giudiziario? Non ne parliamo più? Non è accaduto nulla? È stupefacente che la menzogna di Brighella venga presa sul serio proprio da quell'autorevole giornalismo italiano che finora ha accettato e condiviso la regola che sia legittima anche la durezza, pure la brutalità se in presenza di fatti, notizie, documenti, testimonianze affidabili. È sorprendente che si legga sul Corriere della sera di Ferruccio de Bortoli: "(Il direttore del Giornale) non retrocede di un passo" e su la Stampa di Mario Calabresi: "Nessuna retromarcia (del direttore del Giornale) sulla vicenda, dunque". Nessuna retromarcia?
Fingere di non capire, non valutare con severa attenzione quanto è accaduto oggi a Dino Boffo (domani a chi?), accettare di chiudere gli occhi dinanzi al metodo sovietico inaugurato dal potere che ci governa, con il lavoro di Brighella, ci rende tutti corresponsabili perché se chi diffonde una disinformazione è colpevole e chi le crede è uno sciocco, chi la tollera è un complice. Quella lucida aggressione, che trasforma il giornalismo in una pratica calunniosa senza regole, non può essere accettata con un'alzata di spalle né dall'informazione ancora indipendente né dalle istituzioni di controllo come il Comitato parlamentare per la sicurezza della Repubblica (Copasir). Perché due cose ormai sono chiare in un affare che sempre più assume i contorni di una questione di libertà. Berlusconi pretende che l'industria delle notizie si trasformi o in organizzazione del silenzio (a questo pensa il Tg1 di Augusto Minzolini) o in macchina della calunnia (è il caso di Brighella). La macchina della calunnia si sta alimentando, in queste ore, con "veline" e dossier che servitori infedeli delle burocrazie della sicurezza le offrono. Per sollecitazione del potere o per desiderio di servire un padrone, non importa. È rilevante il loro uso politico. A questo proposito, dice Francesco Rutelli, presidente del Copasir: "Non ho ricevuto finora nessuna segnalazione su coinvolgimenti diretti o indiretti di persone legate ai servizi di informazione". Ieri Rutelli ha incontrato Gianni De Gennaro, direttore del Dipartimento per l'informazione e la sicurezza (Dis). Chi sa se ha avuto qualche "segnalazione". Comunque, pare opportuno concludere con un messaggio agli spioni al lavoro nella bottega dei miasmi: per favore, dopo aver cucinato le vostre schifezze, mandate un sms a Francesco Rutelli. Grazie.
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La vergognosa operazione

Feltri spieghi perché dal suo Giornale è sparito il foglio B.
Rassegna stampa - Avvenire di oggi.

Scrive il direttore: Mai avrei creduto che sarebbe venuto il giorno in cui su queste colonne, che riserviamo al dialogo schietto e trasparente con i lettori, avrei pubblicato una lettera anonima.
Ma è diventato inevitabile. E la pubblico così come è arrivata (anche solo l’idea di trascriverla a me e ai mei colleghi fa ribrezzo). Bisogna che i lettori di Avvenire sappiano che cosa è in realtà la «sentenza giudiziaria» maneggiata come un manganello da Vittorio Feltri, direttore del Giornale e dal suo giornalista Gabriele Villa. La presunta «sentenza» è uno sconclusionato e sgrammaticato distillato di falsità e di puro veleno costruito a tavolino per diffamare. Feltri e i suoi – prontamente affiancati dal manipolo di coloro che su altre pagine di giornale hanno preso per oro colato la loro «rivelazione» – l’hanno fatto. Hanno diffamato. Hanno deciso – loro, sì, sentenziato – che il direttore di Avvenire era un «omosessuale», un «molestatore», uno «sfasciafamiglie». Un sepolcro imbiancato da picconare in pubblico. Hanno preso – come l’anonimo (per ora) diffamatore – una copertina e ci hanno appiccicato ciò che faceva loro comodo. E da ieri hanno già cominciato a dissimulare la loro vergognosa operazione. Non più mescolando le carte, ma cercando di far sparire quella che dimostra quanto sporco sia il gioco che stanno conducendo. Ma i fatti già parlano: ieri un gip ha fatto chiarezza, confermando ufficialmente che non c’è alcun riferimento a «inclinazioni sessuali» tra gli atti giudiziari di Terni. Ma chi diffama si cura delle smentite?

Qui sotto la pagina di Avvenire che mostra il "gioco" di Feltri. Cliccando sull'immagine si scarica il pdf della pagina.
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Dilettantismo giornalistico

Il caso.
L’«informativa»: paccottiglia venduta per sentenza.

Rassegna stampa - Avvenire.it, Nello Scavo.

Il collettore di paccottiglia non è poi così bene informato. A cominciare dagli incarichi di Dino Boffo. Con vocabolario tutt’altro che poliziesco, prima ricorda «la preposizione al giornale dei vescovi italiani (Avvenire)» e poi segnala il medesimo incarico «alla televisione – riportiamo testualmente – della S. Sede (Sat 2000)». Già questo avrebbe dovuto insospettire chi poi si è dilettato nel copia-incolla degno del miglior automa. Sat 2000 non è infatti la televisione della Santa Sede, che semmai possiede il Centro Televisivo Vaticano. Inoltre l’estensore della «nota informativa» dimentica di aggiungere che il direttore di Avvenire dirige anche InBlu, l’emittente radiofonica che trasmette via satellite e in modulazione di frequenza attraverso 200 radio locali. Ma quella, essendo meno visibile, non è tirata in campo.
È solo lo strafalcione minore. La «nota informativa» non ha intestazione, né provenienza, né riferimenti a uffici giudiziari o di polizia. Le date del procedimento per il reato di molestie (telefoniche) non sono riportate. Non solo. Il Giornale ha fatto entrare nella sentenza motivazioni legate alla sfera sessuale. Ora, anche il meno scafato dei cronisti giudiziari sa che il reato contestato non ha attinenza con questi dati (che si tratti di eterosessuali, omosessuali, bisessuali non importa), informazioni sensibili che non entreranno mai a far parte di un dispositivo giudiziario, dato che (escluso per esempio il caso dei pedofili e dei violentatori) la vita affettiva non può essere un’aggravante o un’attenuante.
Non a caso ieri a metà giornata l’agenzia Ansa informava che «nel fascicolo riguardante il procedimento per molestie a carico di Dino Boffo "non c’è assolutamente alcuna nota che riguardi le sue inclinazioni sessuali": a confermarlo ai giornalisti è stato oggi (ieri, ndr) il gip di Terni Pierluigi Panariello».
Per la verità i fatti raccontati dal giornale milanese contengono altri svarioni riguardanti la procedura penale. I giornalisti, si sa, non sono docenti di diritto. Questo però non li esime dall’uso di un minimo di senso critico, specie quando le “notizie” arrivano da fonti che a tutti i costi vogliono restare anonime.
Ancora ieri sul sito del quotidiano che fu di Montanelli si apriva una finestra che aveva un titolo promettente: «Ecco la sentenza».
Ma poi cliccando sul riquadro si scopriva che quel documento era solo una copia del casellario giudiziario. E questo è un giallo nel giallo. Perché trattandosi di una pena assai lieve non avrebbe dovuto essere menzionata nel casellario pubblico, che dunque sarebbe dovuto risultare “pulito”. L’accesso all’archivio completo è invece consentito solo a figure istituzionali: polizia giudiziaria, magistratura, servizi segreti. Chiunque vi accede deve usare una password e lasciare traccia del proprio passaggio nell’archivio, dati su cui ora si sta guardando con attenzione.
La tecnica dunque è semplice. Elevare il vaneggiamento al rango di «informativa di polizia» e metterci accanto un documento ufficiale arrivato da mani abili e niente affatto disinteressate. E il gioco è fatto. L’articolo del Giornale che accusava il direttore di Avvenire cominciava con un virgolettato. Esattamente così: «Articolo 660 del Codice penale, molestia alle persone. Condanna originata da più comportamenti posti in essere dal dottor Dino Boffo dall’ottobre del 2001 al gennaio 2002, mese quest’ultimo nel quale, a seguito di intercettazioni telefoniche disposte dall’autorità giudiziaria, si è constatato il reato». Questa frase – peraltro mal riportata – esiste solo nella fantomatica «nota informativa» ma non in quella che viene erroneamente diffusa come copia di una sentenza. Ma se anche quelle righe fossero state presenti in atti ufficiali, avrebbero dovuto indurre ancor più in sospetto. Perché nessun tribunale riporterebbe solo a metà un articolo del Codice penale. Il 660 vale la pena rileggerlo da cima a fondo. Siamo nel «Libro Terzo. Delle contravvenzioni in particolare. Titolo I – Delle contravvenzioni di polizia». Eccolo: «Art.660 Molestia o disturbo alle persone». Testo: «Chiunque, in un luogo pubblico o aperto al pubblico, ovvero col mezzo del telefono, per petulanza o per altro biasimevole motivo, reca a taluno molestia o disturbo è punito con l’arresto fino a sei mesi o con l’ammenda fino a euro 516».
Quale sia il tenore medio delle condanne in base all’articolo 660 lo spiega una recente sentenza della Corte di Cassazione. È la numero 19206. Sentite a che proposito: «Le emissioni di gas, vapori o fumo idonei a imbrattare o cagionare molestie alle persone non sono solo quelli provenienti da attività produttive nei casi non consentiti dalla legge, ma anche tutte quelle esalazioni maleodoranti comunque imputabili all’attività umana», e via dicendo. Niente a che vedere con il rilievo di quanto riportato dal Giornale.
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Bastava una telefonata per evitare la figura bestiale

Il giornalista dell’«Espresso».
Nicotri: nel 2006 chiamai Boffo e lui chiarì.

Riportiamo qui di seguito parte di un testo pubblicato ieri dall’ex giornalista de L’Espresso Pino Nicotri nel sito www.giornalettismo.com. Un documento interessante al fine di una ricostruzione della verità dei fatti.
Rassegna stampa - Avvenire.it di oggi, Pino Nicotri.

Dino Boffo, direttore responsabile del giornale dei vescovi italiani L’Avvenire d’Italia: «Sì, è vero, ho transato una condanna in un processo nato per molestie a base di telefonate che partivano dal telefono del mio ufficio di Roma, ma della cosa s’è occupato il legale del giornale, non un mio legale privato. Qualcuno infatti ha usato il mio telefono, approfittando delle mie assenze. Quando ho saputo della cosa mi sono fatto più furbo e ho imparato a chiudere a chiave la stanza e a evitare che vi si potesse telefonare senza controlli». Era l’estate del 2006, e mi erano arrivate alcune voci e segnalazioni su asserite vicende a sfondo sessuale del direttore de L’Avvenire.
Ho sempre ritenuto professionalmente doveroso, prima di sferrare una eventuale bastonata sulla testa di qualcuno, verificare le notizie con il diretto interessato, cioè con il destinatario della possibile bastonata. Così feci con Boffo. Che, raggiunto al telefono e sentito di cosa volessi parlare con lui, mi disse che era occupato e che mi avrebbe richiamato. Ovviamente pensai che si trattasse di una scusa e che non mi avrebbe richiamato, anche perché gli avevo specificato che le voci parlavano di una sua condanna, al tribunale di Terni, a sfondo pedofilo. Invece, con mia sorpresa, dopo una ventina di minuti Boffo mi richiamò come promesso.
E mi spiegò tutto per filo e per segno, rispondendo anche a domande imbarazzanti che gli ponevo non senza anche un mio imbarazzo. C’erano anche altre voci, da quelle su sberle sferrategli sul sagrato di una chiesa da una madre infuriata fino a quelle sull’impossibilità di consultare la sentenza pur essendo questa un atto pubblico. Però il nome della signora delle asserite sberle nessuno fu in grado di farmelo. E se un documento giudiziario non si riesce a leggerlo non si può certo scriverne. Ovviamente avrei apprezzato da parte di Boffo e del legale che lo difese l’invio di copia della sentenza, ma il diritto alla privacy esiste e non è un optional. Certo, la spiegazione fornitami può apparire un po’ strana, ma se l’editore - vale a dire la Conferenza episcopale italiana (Cei) - si è preso la briga di difendere Boffo, e oggi lo difende di nuovo, ancora e a spada tratta, non potevo certo essere io a saltare a conclusioni non dimostrabili. A me infatti era successo anche di peggio.
Nel ’79 sono stato arrestato con accuse pazzesche, dal sequestro e uccisione dell’onorevole Aldo Moro fino alla direzione strategica delle Brigate Rosse, Prima Linea e Autonomia, insomma l’intero terrorismo italiano come fosse uno e trino e io, ad appena 36 anni, il Grande Vecchio. Nonostante le accuse mega galattiche e manicomiali l’editore de L’Espresso, cioè all’epoca Carlo Caracciolo, mi assegnò il migliore avvocato penalista d’Italia, il compianto e inarrivabile Adolfo Gatti, e non mi depennò neppure dal tamburino della gerenza, vale a dire dalla pagina che allinea tutti i nomi dei giornalisti che lavorano in redazione o collaborano dall’esterno a un giornale. Venne fuori rapidamente che non c’entravo un fico secco con nulla di nulla e ripresi la mia vita di sempre. Perché la stessa cosa non può essere successa a Boffo, visto che anche lui - a quanto mi disse - era stato difeso dal suo editore?
Da dove viene la «velina», nel senso di imbeccata e non di Velina con chiappe al vento, a Feltri? Repubblica dice la sua, con D’Avanzo. Non farò mai il nome di chi mi passò quella «notizia», ma qualche giretto su Internet basta e avanza per capire che non è affatto necessario che la soffiata arrivi dal tribunale di Terni. Se Vittorio Feltri, il neo ri-direttore de Il Giornale, avesse verificato con il diretto interessato come ho fatto io nel 2006 avrebbe evitato la figura bestiale che ha fatto. Non sarebbe scivolato sulla buccia di banana che legittima eventuali «leggere impressioni» che lui sia davvero un amante del killeraggio giornalistico pro domo padronale, in questo caso berlusconiana...
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Tutti contro Feltri il maligno

Il cardinale Dziwisz: preoccupante decadimento morale.
Tettamanzi: "Confermo stima e gratitudine per il giornalista".
A Boffo la solidarietà del Papa.
I vescovi: avvertimento mafioso.

Rassegna stampa - Repubblica.it, Orazio La Rocca.

Città del Vaticano - Tra i tanti messaggi di stima ricevuti in questi giorni da Dino Boffo per gli attacchi de Il Giornale, ce n'è uno che il direttore di Avvenire ha accolto con particolare emozione: la solidarietà di Benedetto XVI. Boffo - secondo una agenzia di stampa e fonti riservate vaticane - ha ricevuto la solidarietà del Papa dal cardinale segretario di Stato Tarcisio Bertone, il quale domenica scorsa al telefono gli avrebbe detto che Ratzinger è stato subito informato del suo caso fin dal primo momento e che gli sta molto vicino.
Solidarietà, dunque, non "casuale" per Boffo, il quale oggi su Avvenire tornerà a rispondere a Vittorio Feltri con un secondo ampio articolo dopo l'editoriale, accompagnato da altre lettere di solidarietà giunte in redazione. Il giornale cattolico dedicherà 3 pagine all'autodifesa del direttore che dovrebbe, tra l'altro, parlare sia delle lettere anonime di cui è stato vittima in passato, che della vicenda del 2001 dalla quale sarebbe poi scaturita la decisione di arrivare al patteggiamento al Tribunale di Terni. Il caso Boffo-Feltri, comunque, continua a tenere sempre alta l'attenzione di vescovi e cardinali. Anche dall'estero. Più precisamente, dalla Polonia, da dove guarda con molta "apprensione" al nostro paese il successore di Giovanni Paolo II alla diocesi di Cracovia, il cardinale Stanislao Dziwisz, che di Wojtyla è stato segretario per 40 anni. "È veramente preoccupante - confida Dziwisz - il decadimento morale a cui sta precipitando l'Italia per il comportamento di alcuni importanti leader politici". Il cardinale, che nega di aver ricevuto in passato dossier anonimi su laici o ecclesiastici, non nasconde la "meraviglia" per come Feltri sta trattando il collega Boffo: "È la prima volta che un giornale cattolico viene attaccato con tanta violenza. Eppure - puntualizza lo storico segretario di Wojtyla - una volta, ai tempi di Indro Montanelli, Il Giornale era un quotidiano molto serio". Anche il cardinale Dionigi Tettamanzi, arcivescovo di Milano, si mostra "mortificato" per quanto sta accadendo al direttore di Avvenire. Nell'esprimergli "stima e umana gratitudine", Tettamanzi conferma - come già fatto dall'arcivescovo di Firenze ed ex segretario generale Cei Giuseppe Betori - di aver "ricevuto e cestinato subito nei mesi scorsi lettere anonime e diffamatorie contro Boffo arrivate nella curia milanese". La stessa cosa ha fatto il vescovo di Macerata Claudio Giuliodori, presidente della Commissione cultura e comunicazioni sociali della Cei ed ex portavoce del cardinale Camillo Ruini. "Esprimo tanta solidarietà, stima e gratitudine a Boffo e, quanto alle lettere anonime - specifica Giuliodori - mi unisco a quel che ha già detto da monsignor Betori che si tratta di spazzatura che merita di essere buttata solo nella spazzatura".
Ma tra i vescovi ieri c'è stato anche chi ha rasentato l'ombra delle dimissioni per Boffo. Almeno è stato così interpretato un intervento di monsignor Domenico Mogavero, vescovo di Mazara del Vallo, che però ha subito rettificato spiegando di "non averlo mai chiesto" e che avrebbe "solo detto che le decisioni sul futuro della direzione di Avvenire spettano in coscienza solo a Boffo, che stimo e apprezzo, e a chi lo ha nominato". Per il resto, "gli attacchi di Feltri - accusa Mogavero - vanno definiti solo per quello che sono: avvertimenti mafiosi". Feltri, infine, su eventuali cambiamenti di direzione ad Avvenire dice che "sono decisioni che spettano solo alla Chiesa".
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Un lucido disegno di golpe mediatico

Ancora da Liberazione di domenica questa intervista a Giuseppe Giulietti portavoce di Articolo 21, raccolta da Sandro Podda.
«Siamo all'attacco finale: sostituire l'informazione con la propaganda».
Rassegna stampa.

«Se non ora, quando?». È tempo di scendere in piazza con un blocco sociale il più ampio possibile per Giuseppe Giulietti portavoce di Articolo 21 che in questi giorni ha lanciato il suo appello per la libertà di stampa, dopo l'affondo del premier a La Repubblica. Per Giulietti non si tratta di semplice nervosismo e di reazione scomposta di un Berlusconi in difficoltà, ma l'attacco finale con cui il premier vuole chiudere tutti gli spazi di dissenso e sostituire integralmente l'informazione con la propaganda. Un attacco che riguarda milioni di italiani e che chiede una risposta di massa.
L'attacco a La Repubblica, ma anche a Famiglia Cristiana o ancora più spregiudicato all'Avvenire. Come giudica gli avvenimenti di questi giorni?
Bisogna sfrondare questa vicenda dai tanti dettagli di cui si compone. Sembra che Berlusconi all'improvviso abbia perso le staffe, che abbia avuto quasi uno scatto di semplice ira nei confronti della stampa. A mio giudizio non è così. È un disegno lucido, che Berlusconi covava da tempo e che al di là delle forme in cui si è manifestato adesso corrisponde al progetto finale di costruzione a tappe forzate di una repubblica presidenziale a "reti semiunificate" e forse tra breve anche a "reti unificate".
Berlusconi è un leader arrivato probabilmente al termine della sua parabola, che non riuscendo più a dare risposte di governo al suo blocco sociale, tenta un'operazione piuttosto torbida e inedita in Europa occidentale: sostituire completamente la politica con la propaganda attraverso le armi a sua disposizione, come il controllo delle piazze mediatiche, in particolare le televisioni.
Un fatto non del tutto inedito.
C'è però un'accelerazione in questo senso che non dovrebbe essere sottovalutata. In passato lo schema con cui Berlusconi delegittimava chiunque lo criticasse era: i miei nemici sono tutti rossi e comunisti, io guido l'assalto contro i comunisti ed espello giornalisti, scrittori autori "rossi" che mi infastidiscono. La novità è che ora inserisce nell'elenco dei nemici, di quelli che chiama i "deviati" e i "devianti", ancora prima che i direttori dei giornali, sono finiti alcuni temi sociali, i soggetti sociali che li rappresentano e i giornali che in modo diverso e spesso tenue, affrontano questi temi. Un esempio: è chiaro che Berlusconi consideri nemica Rai3 e il Tg3. Ma dove è scattata la rabbia livida e l'attacco? Una volta che, forse del tutto casualmente, il Tg3 ha deciso di aprire con gli operai della Inse e con i dati dell'Istat. Il giorno dopo Berlusconi è furioso e dichiara che ora di farla finita e che non se ne può più. Il Tg3 diventa il nemico che rappresenta la crisi, anzi che tenta di aggravarla. L' Avvenire non è certo un giornale contrario al premier, anzi ha appoggiato la sua vittoria elettorale. Come mai diventa un nemico? Non per i riferimenti alla vita privata di Berlusconi, ma per la vicenda del reato di clandestinità. Nel momento in cui Avvenire scrive che il peccato originale è il reato di clandestinità, tocca uno di quei temi che cementa l'alleanza di Berlusconi e la Lega e diventa un avversario. Così Famiglia Cristiana se affronta il tema delle mense dei poveri. A mio avviso Berlusconi sta preparando questa "campagna d'autunno" per mettere sotto silenzio Rai3, trovando magari anche due del centrosinistra da inserire che gli vadano bene dicendo "o accettate chi dico io o le nomine le faccio a maggioranza anche per Rai3". Il tentativo è quello di eliminare quegli spazi anche residuali di dissenso. Un assalto che riguarda i temi che non vuole più veder rappresentati. Lo ha detto esplicitamente mesi fa, non vuole più vedere in televisione notizie che riguardino la povertà o la crisi economica e sociale e tutto quello che può determinare «ansia». La propaganda deve invadere tutti gli spazi di informazione.
Non corre però su questioni come i migranti il pericolo di scontrarsi con quel blocco sociale dei cattolici di base, del volontariato cattolico?
Il limite di questa sua azione è proprio qui. Da una parte tenta una dimostrazione di forza estrema. Dall'altra c'è la questione con cui Berlusconi non riesce a fare i conti e con cui rischia la rottura. Dal suo punto di vista vorrebbe oscurare tutto quello che non gli piace. Ma, proprio perchè c'è una crisi economica e sociale in essere, quello che non gli piace non riguarda solo quelli che lui chiama i "rossi", ma riguarda milioni di italiani, compresi quelli che si percepiscono moderati o addirittura molte delle persone che hanno votato per lui. Questo è il grande limite della carta estrema che sta giocando.
Potrebbe uscire indebolito da questo braccio di ferro o addirittura sconfitto?
Non sottovaluterei la sua capacità di muoversi fuori dalle regole e la situazione in cui ci troviamo abbastanza "torbida", come i grandi esponenti del movimento operaio definivano in passato quei passaggi sociali poco chiari, aperti ad ogni sbocco. Sia positivo che paradossalmente peggiorativo. Non va sottovalutato Berlusconi, perché è un uomo e un politico irrituale, al di fuori degli schemi e deciso a giocare tutte le carte compresa la rottura costituzionale. Bisogna tenere conto che il Parlamento è in sostanza già chiuso, le decisioni le prende lui a colpi di maggioranza.
Ma il peccato originale di questa situazione non è in fondo il non aver mai varato una legge sul conflitto di interesse e lasciare che in Italia si generasse una situazione piuttosto unica nelle democarazie occidentali?
Sta venendo fuori il grave errore di valutazione del conflitto di interessi. Non si trattava di un dato sovrastrutturale, un epifenomeno. Attraverso di esso Berlusconi ha pompato veleno nelle arterie della comunità, alterando la percezione della società. Solo in Italia ho potuto leggere articoli o addirittura libri che sostenessero che le televisioni non influenzano i voti. Una corte di opinionisti o intellettuali che hanno scritto saggi che fanno ridere. Questo è ciò che non è stato colto, scambiato per una questione degli addetti ai lavori o una rivendicazione dei fissati con la Costituzione.
Sulla Rete però l'informazione sembra ancora poter diffondersi più liberamente. Non sarà anche questo il motivo degli attacchi previsti per bloggers e internauti in generale?
Il problema dell'indignazione che si solleva su Internet è la sua traduzione poi in fatti concreti. Un tempo, quando c'erano le grandi organizzazioni politiche e operaie in Italia, quando avveniva un attacco alla democrazia, o c'era il rischio di una rottura costituzionale, di uno stravolgimento dell'articolo 21 della Costituzione, ferme restando tutte le differenze tra le forze politiche e sociali, c'era uno scatto di tutti. E ci potrebbe essere ancora. In Francia si direbbe "Se non ora, quando". C'è bisogno di una grande manifestazione nazionale che parta dalla stampa, dalla cultura e lo spettacolo pesantamente attaccati con il taglio del Fus, dalle organizzazioni sindacali. Serve una grande manifestazione nazionale. Il titolo potrebbe essere "Sbavagliamoci", sulla difesa dell'art.21. A sfilare devono essere non solo i giornalisti, ma tutti i soggetti che rischiano di essere oscurati: il cinema, lo spettacolo, gli operai della Inse, di Bagnoli, chi si occupa di immigrazione, gli operatori della Caritas... Tutti, anche i moderati, perché quando si tratta di un valore così alto come quello della Costituzione e della democrazia vanno chiamati a raccolta non soltanto i "fedelissimi", ma tutti i soggetti espropriati da un diritto.
Il deterioramento della società è comunque palpabile. È possibile veramente tornare uniti in un piazza?
C'è un intorpidimento, quasi il senso dell'inutilità. Ma le condizioni sociali ci sono. Sarebbe meglio che non partisse da un partito, a sinistra c'è una grossa litigiosità, l'iniziativa di una componente sarebbe boicottata dall'altra. La cosa migliore sarebbe che l'iniziativa fosse promossa dalla stessa Fnsi, da economisti, dalle Arci, dalle Acli, coinvolgendo anche cinema, spettacolo e cultura. Riuscire cioè a riunire una rete associativa amplia, coinvolgendo anche le realtà del precariato culturale. Berlusconi ha esplicitato il suo piano e fatto capire che lo porterà avanti in maniera anche più canagliesca. Non serve solo indignarsi, ma bisogna organizzare una risposta di piazza magari nel giorno in cui tenteranno di approvare la legge bavaglio sulle intercettazioni.
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L'ansia di un uomo sempre più isolato e in declino

Di ieri invece è questa intervista del corrispondente di Repubblica, Enrico Franceschini.
Parla Geoff Andrews, storico e fondatore del sito Open democracy.
"Dal premier italiano un comportamento assai insolito, perlomeno in una democrazia".

Le denunce di Berlusconi? "Reazioni di un leader in difficoltà".
Rassegna stampa.

Londra - "Sono le reazioni di un leader in ansia, che si sente sempre più isolato e in difficoltà". Geoff Andrews, docente di storia italiana, autore di un libro sul nostro paese e commentatore del sito Open Democracy, commenta così la decisione di Silvio Berlusconi di denunciare "Repubblica" e altri giornali per diffamazione.
Una parte della denuncia definisce diffamatorie le dieci domande presentate mesi fa dal nostro giornale al primo ministro: può una domanda essere considerata diffamante?
"È certamente assai insolito, perlomeno in una democrazia. Tanto più che quelle domanda sono state pubblicate per la prima volta all'inizio dell'estate e il premier italiano ha risposto con un lungo silenzio, ovvero ha scelto di non rispondere. Fare causa contro le domande sembra un tentativo di intimidire non solo "Repubblica" ma qualunque giornale dal porgli domande scomode, che è poi il compito della stampa in un paese democratico".
L'altro aspetto della denuncia riguarda commenti e argomentazioni fatti da un giornale francese, citati in un articolo di "Repubblica". Come interpreta questo?
"Si vede chiaramente il contrasto tra l'informazione in Italia, su cui Berlusconi esercita un vasto e quasi assoluto controllo, e quella all'estero, su cui ovviamente non può porre divieti o restrizioni. Ed ecco allora il ricorso alla giustizia per impedire che i giornali stranieri possano essere citati in Italia. È un fatto grave, ma è anche la prova che Berlusconi si rende conto della pericolosità, per lui, della stampa e dell'opinione pubblica internazionale. Incredibile. Con poche eccezioni, non se ne parla o se ne parla per minimizzare e difendere il premier. Sarebbe come se la Bbc e le tivù private britanniche non avessero raccontato lo scandalo dei rimborsi spese dei deputati che ha fatto tremare nei mesi scorsi il parlamento di Westminster. Cosa che non dovrebbe accadere in una democrazia".
Ma se accade, come sta accadendo in Italia, che conseguenze potrebbero esserci?
"Io credo che presto o tardi gli alleati di Berlusconi, o almeno alcuni di essi all'interno della coalizione di centro-destra, cominceranno a chiedersi se è legittimo e augurabile per il paese che sia consentita una situazione del genere. E prima o poi potrebbero esserci reazioni anche da parte degli alleati dell'Italia, dei suoi partner nell'Unione Europea, nella Nato, nel G8. Quando una democrazia zoppica, rallenta e preoccupa tutto l'impianto a cui è collegata, come del resto vari leader stranieri e perfino la Chiesa cattolica iniziano cautamente a segnalare".
Allora Berlusconi potrebbe subire dei contraccolpi con questa azione legale?
"Io penso che si tratti di una mossa politica, un colpo di coda che lascia trapelare segnali di crescente ansietà nel premier, sempre più toccato dalle critiche internazionali e con una sensazione di crescente isolamento anche in Italia, dove appare a molti dei suoi stessi alleati come una figura problematica".
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L'armageddon mediatico raccontato da sinistra

Sul caso Feltri (riteniamo più corretto definirlo così) riprendiamo dal quotidiano Liberazione di domenica un articolo di Virginia Lori.
Il caso Boffo e la querela di Berlusconi a Repubblica: i giornalisti chiedono una manifestazione a difesa della libertà di stampa.
Bagnasco si schiera: «Disgustoso l'attacco di Feltri a l'Avvenire».

Rassegna stampa.

Erano sorti mille interrogativi sul perché il presidente della Cei, Bagnasco l'altro giorno non avesse preso posizione nel duro scontro che ha contrapposto il quotidiano di Berlusconi al direttore di "Avvenire". Un silenzio che aveva alimentato mille "voci" sul possibile isolamento di Boffo anche dentro le gerarchie ecclesiastiche. Ieri però l'arcivescovo di Genova, appunto il cardinale Bagnasco ha rotto quel silenzio. Usando parole inusuali, molto dure, e in un modo inusuale. Non durante la messa - ieri si celebrava la festa del santuario della Madonna della Guardia - ma rispondendo a braccio ad una domanda di un cronista. E a chi gli aveva chiedeva cosa ne pensasse della vicenda, Bagnasco ha risposto secco: «L'attacco fatto al dottor Boffo è disgustoso e molto grave».
Detto questo è entrato in Chiesa. Lì, dall'altare del Santuario ha poi svolto una lunga omelia, dove non è più tornato sull'argomento. In qualche modo però è tornato a parlare delle vicende politiche che hanno segnato quest'estate. Perché Bagnasco s'è soffermato a lungo sul dramma dei migranti. Spiegando che quello della solidarietà verso chi fugge da povertà, guerra e fame è «un obbligo morale». Il tutto, però, in qualche modo temperato da frasi del tipo: «Occorre saper coniugare la solidarietà col vincolo della sicurezza». Frase che agli osservatori è suonata come un piccolo passo indietro rispetto alle coraggiose denunce della Cei sui rischi connessi alla politica leghista anti-migranti.
Cosa significhi la scelta di Bagnasco di mitigare le denunce contro il governo lo si vedrà comunque nei prossimi giorni. Oggi, sul tappeto, resta la durissima - e ripetiamo: inusuale nella scelta delle parole - condanna nei confronti del giornale di Berlusconi. Parole riportate pari pari anche sull'Osservatore Romano di stamattina che sull'intera vicenda pubblica solo il commento di Bagnasco. Senza neanche una riga in più.
E Feltri? Il direttore de «il Giornale» dal canto suo non sembra intenzionato a fare retromarcia. Ieri mattina, il direttore di fiducia del premier, che ha dato il via all'aggressione contro l'"Avvenire" - colpevole di essersi unito al coro dei cattolici sdegnati per i comportamenti privati di Berlusconi - in un brevissimo editoriale ha spiegato di essere soddisfatto del risultato raggiunto. «Bisogna smascherare questi falsi moralisti», ha scritto. Mettendo nero su bianco che sarebbe disposto «a rifarlo». Sarebbe disposto, insomma, a continuare a pubblicare notizie sulle scelte sessuali di Boffo - accusato di aver molestato una donna, la moglie di un uomo col quale aveva una relazione -, se non finirà il «gossip» anti-premier.
Frasi e toni che a molti hanno fatto parlare di veri e propri ricatti. Contro una testata, contro una linea editoriale. E così, lo scontro fra Chiesa e il Presidente del Consiglio ha ceduto il passo ad un altro argomento. Ad un altro tema: l'attacco alla libertà di stampa. Perché c'è il caso dell'"Avvenire", ma, in contemporanea, c'è anche il caso di "Repubblica". Querelata dal premier (caso unico in tutto il mondo occidentale).
Sono in molti, insomma, a lanciare l'allarme per un attacco al diritto d'informazione. E anche se con molto ritardo cominciano ad organizzarsi le prime risposte.
Protagonisti, almeno in un primo momento, i giornalisti. Ieri, per dirne una, sono arrivate le durissime parole dell'associazione della Stampa romana, che ha parlato attraverso il suo segretario Butturini. «Esprimo solidarietà alla redazione a La Repubblica, sotto attacco da parte di chi, come il presidente del Consiglio, non si attiene alle più elementari norme di una democrazia liberale». E, ancora: «Così come non posso esprimere che dolorosa preoccupazione per l'imbarbarimento della scena mediatica, di cui si è reso protagonista anche Il Giornale riesumando una vicenda ormai passata in giudicato (dov'è quindi la notizia?) e utilizzandola per colpire un supposto avversario politico». Il tutto fa dire a Butturini che forse le denunce non bastano più: «Credo che sia necessario organizzare al più presto una manifestazione pubblica a difesa della libertà di informazione».
È stato a questo punto, quasi sollecitata, che l'opposizione parlamentare ha cercato di uscire dal suo torpore. Lo ha fatto con le dichiarazioni un po' generiche di Franceschini («Penso che sia arrivato il momento in cui la società civile, le organizzazioni e le associazioni, e non soltanto le opposizioni, si mobilitino nel mese di settembre per una campagna a difesa della libertà di stampa») e quelle un po' più esplicite di Bersani. Che chiama in causa anche l'opinione pubblica, forse troppo silente. «È in gioco un pezzo della qualità della nostra democrazia. Ci vuole una riscossa degli operatori di questo settore, sostenuti dall'opinione pubblica, che cominci a muoversi e mobilitarsi sul serio».
Detto di Di Pietro (che fa battute sul premier, «resterà col cerino in mano» ma non si impegna sulla manifestazione chiesta dai giornalisti), non resta da parlare che della maggioranza. Dove a parte i soliti Gasparri e Cicchitto - magari ieri un po' più volgari del solito ma nulla che meriti una citazione - va segnalato l'ex Udc, ex ultrà degli ambienti conservatori cattolici, Giovanardi, passato armi e bagagli al partito del premier. Anche lui interviene sull'aggressione di Feltri a Boffo. Ma solo per dire queste esatte parole: «Chi è senza peccato scagli la prima pietra e chi di spada ferisce, di spada perisce». Lui sta col premier, la Chiesa è già dimenticata.
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Cronache dell'armageddon mediatico

Il caso Feltri.
Dal Gip di Terni smentita al «Giornale».
Nel fascicolo conservato al Tribunale di Terni «non c’è assolutamente alcuna nota che riguardi le inclinazioni sessuali» del direttore di Avvenire. La netta smentita a quanto sostenuto dal quotidiano di Feltri è arrivata ieri dal giudice per le indagini preliminari della città umbra Pierluigi Panariello. Già nei giorni scorsi il ministro dell’Interno Roberto Maroni aveva escluso l’esistenza della presunta "informativa", che infatti non è altro che una velina anonima spacciata per atto ufficiale. Intanto il Comitato per la Sicurezza della Repubblica assicura con il presidente Rutelli «la massima attenzione» all’eventualità, per ora esclusa, di un coinvolgimento diretto o indiretto «di persone legate ai servizi d’informazione». Lo stesso Rutelli ha incontrato ieri Gianni De Gennaro, direttore del Dis, l’organismo di coordinamento dei servizi segreti. Continua, intanto, la pioggia di messaggi di solidarietà a Dino Boffo. Ieri lo ha pubblicamente inviato anche il cardinale arcivescovo di Milano Dionigi Tettamanzi.
Rassegna stampa - Avvenire, Danilo Paolini inviato a Terni.

Nessuna informativa, nemmeno un appunto. Niente di niente. Dopo il ministro dell’Interno Roberto Maroni e il capo della Polizia Antonio Manganelli, anche il giudice per le indagini preliminari di Terni Pierluigi Panariello conferma che «non c’è assolutamente alcuna nota che riguardi le inclinazioni sessuali» del direttore di Avvenire Dino Boffo all’interno di un fascicolo del locale tribunale.
Per la terza volta in pochi giorni risulta evidente che ciò che è stato spacciato (e pubblicato) come un documento ufficiale non è mai stato neanche un pezzo di carta ufficioso, bensì soltanto un foglio anonimo: non ne sanno niente, infatti, né il Viminale, né i vertici delle forze dell’ordine, né la magistratura ternana. Insomma, malgrado qualche apparenza, non viviamo in uno Stato di polizia che scheda i propri cittadini per le loro presunte «frequentazioni».
A Terni, per la verità, i magistrati hanno altro da fare. Tra l’altro, nessuno di quelli che si occuparono a suo tempo della vicenda è più in servizio nel palazzo di giustizia della città umbra. L’attenzione mediatica sollevata intorno alla vicenda, però, sta costringendo gli attuali vertici a occuparsene, soltanto perché diverse testate giornalistiche hanno presentato richiesta di accesso agli atti.
Il procuratore capo Fausto Cardella, che non ha voluto rilasciare alcuna dichiarazione in merito ed è stato impegnato per l’intera giornata in attività istruttorie correnti, ha fatto prelevare il fascicolo dall’archivio e lo ha da ieri mattina sulla sua scrivania: entro oggi esprimerà il suo parere (favorevole o contrario) sulle richieste in questione e lo trasmetterà poi al gip Panariello, incaricato di prendere la decisione.
Già nel recente passato, almeno una volta, erano state presentate istanze analoghe presso gli uffici giudiziari di Terni. Ed erano state respinte. «Certo non si tratta di un precedente vincolante per la decisione da prendere – chiariscono fonti giudiziarie – ma è sicuramente rilevante».
Tra l’altro, trattandosi di un decreto penale (cioè di un provvedimento giurisdizionale emesso senza contraddittorio, previsto dal legislatore proprio per alleggerire l’amministrazione della giustizia in presenza di fattispecie di lieve entità) e non di una sentenza, non si conoscono neanche le motivazioni alla base di quella vicenda né di quale genere fossero le asserite «molestie». Infatti, non si è mai celebrato alcun processo. Nel fascicolo, è stato precisato, non figurano intercettazioni telefoniche. Tutto il resto di ciò che è stato pubblicato da Il Giornale, cioè quasi tutto, non sta dunque in quel fascicolo giudiziario, bensì nella famosa "informativa", ovvero nella già troppo citata velina anonima. Lo aveva ben spiegato, del resto, il ministro dell’Interno Maroni: roba del genere non esiste negli archivi centrali del Viminale né in quelli periferici dell’apparato di pubblica sicurezza, questure e commissariati. E il prefetto Manganelli, citato da la Repubblica, aveva specificato che il lavoro della Polizia non è quello di schedare i liberi cittadini.
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Retromarcia

Andrea Bagatta riguardo alla moschea di Casale ci informa oggi su Il Cittadino che intanto il comune annuncia che la soluzione prospettata è solo un’ipotesi, comunque temporanea.
Raccolta di firme contro la moschea.
Scendono in campo i residenti di tre palazzine in via Adda.

Rassegna stampa.

Firme contro il trasferimento del centro islamico da via Fugazza a via Adda, e l’amministrazione comunale pensa forse a un passo indietro. Nonostante il comune preveda uno spostamento breve e temporaneo della moschea, solo fino al 21 settembre, in via Adda, i residenti hanno fatto partire una raccolta firme tra gli abitanti dei civici 5, 7 e 11, le palazzine direttamente confinanti con il magazzino individuato come sede. A ieri erano state raccolte 21 firme, «anche perché molta gente lavora di giorno e alcuni sono ancora in ferie», ma l’obiettivo è quello di fare l’en plein tra gli abitanti dei tre numeri civici.
Nella petizione, si dichiara il proprio dissenso alla trasformazione da deposito a centro culturale in quanto non sarebbero rispettati «i nostri diritti e le norme igienico sanitarie», come scrivono i richiedenti. In particolare, «il locale non è dotato di acqua potabile, servizi igienici e di tutte quelle norme tecnico-urbanistiche» indispensabili ad accogliere gruppi di persone in manifestazione. Alcuni abitanti, poi, si spingono a ricordare che il magazzino è parte integrante del condominio, e un uso diverso da quello fatto finora dovrebbe avere il via libera dei residenti, magari proprio tramite una riunione di condominio. Nella petizione, poi, si mette nero su bianco il timore che un po’ tutti manifestano più o meno apertamente: «Naturalmente riteniamo che non abbiate l’intenzione di adibirlo temporaneamente a Centro culturale islamico - scrivono rivolti agli amministratori -, altrimenti a rigor di logica potreste lasciarli in via Fugazza, dove nessuno si è mai lamentato e dove non c’è un contesto condominiale. Se necessario ci troverete pronti a manifestare il nostro dissenso in piazza».
Intanto, all’interno del magazzino comunale è ancora accatastato tutto il materiale del comune proprio come una settimana fa, e non si è visto nessuno né per le pulizie né per sopralluoghi tecnici. Così in molti cominciano a credere che l’amministrazione tornerà sui suoi passi e lascerà i musulmani in via Fugazza fino alla fine del Ramadan. E l’ipotesi è resa ancora più plausibile dalla nota diffusa ieri sera dal comune. «L’amministrazione si è solo impegnata con la comunità islamica a non lasciarla senza luogo di ritrovo durante il periodo di preghiera del Ramadan. Quella di via Adda è una delle ipotesi sul tavolo, solo qualora si verifichi una necessità improrogabile. In ogni caso sarebbe utilizzata solo fino al 21 settembre 2009, senza alcuna ipotesi di proroga». Da nuova sede a ipotesi: se non è un passo indietro, poco ci manca.

Capaci di tanto marasma gestionale l'amministrazione leghista di Casale vola, come ci dice sempre Andrea Bagatta su Il Cittadino di oggi.
Parla il sindaco: «Attraverso interventi coordinati tra loro intendiamo sviluppare l’immagine della nostra città».
«Casale diventerà capitale della Bassa».
Il progetto sarà curato da un manager di marketing territoriale.

Un piano coordinato per rivitalizzare la città e renderla più bella e gradevole esteticamente, più funzionale e più sicura. Parte a settembre il progetto per “Casale capitale della Bassa”. A occuparsene sarà una commissione apposita, in attesa di conferire l’incarico a un professionista esterno, un manager di marketing territoriale chiamato a completare l’opera dei progettisti del nuovo piano di governo del territorio, il cui iter partirà tra poche settimane, e il nuovo piano urbano del traffico. «Casale soffre di un’immagine che all’esterno risulta un po’ deteriorata, e su questo vogliamo lavorare per produrre un cambiamento radicale - spiega il progetto il primo cittadino Flavio Parmesani -. Tuttavia, non vogliamo vendere fumo, ma produrre un cambiamento reale nel tessuto sociale e urbanistico della città attraverso tanti piccoli interventi che devono essere tutti coordinati tra di loro».
Proprio per avere una visione complessiva e unica della città e della direzione da dare agli interventi pubblici, sarà una commissione ad hoc a occuparsi della valorizzazione e della promozione di Casale, in attesa di poter conferire l’incarico a un esperto. «Se ci saranno le risorse assegneremo il compito di valorizzare la città a un manager esterno che avrà compiti di coordinamento su tutti gli interventi cittadini, compiti di comunicazione istituzionale e di promozione territoriale anche a fiere e incontri a livello nazionale e internazionale se possibile - continua il sindaco -. Lo scopo è quello di arrivare a essere la prima città della Bassa, di avere capacità attrattiva sia in termini turistici, magari entrando in circuiti di visite territoriali, sia in termini di insediamenti, residenziali e imprenditoriali».
Dagli sponsor per il verde pubblico alle attività co-partecipate del teatro, dalla scelta di arredi urbani alla creazione di eventi, alla valorizzazione dei prodotti di Casale: la promozione del territorio dovrà essere condotta a 360 gradi, e si dovrà rapportare in modo virtuoso al nuovo piano di governo del territorio, in avvio entro il prossimo mese, al nuovo piano del traffico urbano che vi sarà collegato, al piano integrato per la sicurezza che è già partito.
«Tutta la progettualità futura della città dovrà essere coordinata e puntare a rendere Casale capitale della Bassa - afferma il sindaco Parmesani -. Piazza della Repubblica sarà interamente rifatta e sarà la più bella piazza della Bassa, le ordinanze sulla sicurezza e i controlli per il rispetto delle regole stanno dando i primi frutti, sistemeremo la viabilità spostando i flussi del traffico verso il centro, e non verso fuori. Vogliamo migliorare la vita dei casalini in tutti i suoi aspetti: queste sono le linee guida che a partire da settembre cercheremo di applicare in ogni scelta amministrativa».
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Il sorriso dei bimbi di Cernobyl

Si rinsalda il legame tra Lodi e Bielorussia: i bambini di Cernobyl sono arrivati in città.
Rassegna stampa - Il Cittadino di oggi.

Il sorriso dei bimbi di Cernobyl arriva fino a Lodi. Ieri mattina i piccoli della Bielorussia sono stati portati in città, per il consueto periodo di permanenza. Venticinque persone che verranno ospitate dalle famiglie del territorio, tra il capoluogo e comuni limitrofi (San Martino, Brembio, Cornegliano Laudense). L’iniziativa è ormai giunta alla sua 15esima edizione ed è promossa dagli Amici di Serena. «Un periodo che serve ai bambini, provenienti dalle zone che sono state contaminate, di trascorrere momenti lontani da quelle realtà e così poter anche mangiare cibi il più possibile sani. Nello specifico si tratta di piccoli che hanno dagli 8 ai 10 anni e arrivano dalla provincia di Dobrusch», spiega la presidente del gruppo Amici di Serena, Maristella Abbà.
Il programma delle attività, che è stato preparato per l’occasione, è molto intenso. La comitiva è «sbarcata» a Lodi nella prima mattinata di ieri, con il ritrovo presso il parcheggio D’Azeglio, nelle vicinanze dell’isola Carolina. Poi sono stati indirizzati alle singole famiglie ed è stato organizzato un momento di festa e accoglienza al centro L’ortica. Nei prossimi giorni andranno inoltre alla sede fluviale della Canottieri Adda, dove è previsto anche un pranzo. Per una breve cerimonia di saluto e benvenuto saranno anche accolti da uno dei coordinatori della società dell’Oltreadda, Marco Maspero. Tra le altre attività che sono state già predisposte dai promotori, ci sarà il tradizionale viaggio a Pinarella di Cervia per un soggiorno al mare, che durerà circa una settimana, dove vicino alle accompagnatrici della Bielorussia e animatori, i bambini potranno trascorrere un periodo di tranquillità sull’Adriatico. Infine sono previste gite e altre iniziative, per poi far tornare gli ospiti alle famiglie del territorio che hanno scelto di aprire le porte di casa a questi ragazzi. «Da segnalare che non sono sempre gli stessi i nuclei che danno la propria disponibilità, ogni anno ci sono dei cambiamenti e si aggiungono altre famiglie, così come i piccoli che arrivano in Italia sono persone che non si sono mai mosse dal loro Paese di origine - spiega Maristella Abbà - e ogni volta si tratta di gruppi diversi, che hanno così l’occasione di vedere il nostro Paese e fare un viaggio lontano dalla zone contaminate».
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Riparte l'attività del Centro Donna di Lodi

Riceviamo da Rosaria Russo e volentieri pubblichiamo.
Il Calendario delle attività del Centro Donna.

Con settembre ripartono le attività del Centro Donna di via Orfane, 12 a Lodi. Questo il calendario dei prossimi appuntamenti e iniziative.
Corso di Formazione “Tagesmutter” - Mamma di giorno, incontro informativo, 2 settembre.
È previsto per settembre l’avvio a Lodi di un CORSO FORMATIVO GRATUITO PER “TAGESMUTTER” o “MAMMA DI GIORNO” rivolto a donne che intendano creare un’attività imprenditoriale di nido famiglia nella loro abitazione. Il percorso è promosso dalla Coop. Sociale Altana di Cremona. Le iscrizioni sono ancora aperte. Per chi fosse interessata mercoledì 2 settembre – ore 21 – presso il Teatrino - Via Gorini, 19 – si terrà la presentazione del corso.
Per ulteriori informazioni è possibile contattare la referente del progetto: Loretta cell. 348/8603211

Corso di Fotografia Digitale - settembre/ottobre.
Parte il 16 settembre - ore 21 – un CORSO GRATUITO DI FOTOGRAFIA DIGITALE per acquisire confidenza con gli automatismi, flash automatico e messa a fuoco. Il corso, a cura di Gabriella Grazzani, si svolgerà presso il Teatrino - Via Paolo Gorini, 19 - Lodi con uscite esterne. Gli altri incontri si terranno sabato 19/09 ore 15 – sabato 3 e 10/10 ore 15 – mercoledì 21/10 ore 21. Per partecipare al corso è necessaria una macchina fotografica digitale con memoria da 150 MB.
Per informazioni e iscrizioni contattare il Centro Donna tel. 0371 424183

Corso di Yoga - 7 ottobre.
A cura del Maestro Vito Accettura specializzato in Hatha Yoga Yoga inizierà mercoledì 7 ottobre - ore 9,30/10,45 - un corso a cadenza settimanale di INTRODUZIONE ALLA PRATICA DELLO YOGA. Il corso si svolgerà presso il Centro Donna - ingresso in Via Orfane, 12 - Lodi. Quota d’ iscrizione € 13,00 comprensiva di assicurazione, quota mensile € 20,00.
Per informazioni e iscrizioni contattare il Centro Donna tel. 0371 424183

Diritto di Famiglia, informazione legale - una volta al mese.
È disponibile ogni mese il SERVIZIO GRATUITO DI CONSULENZA LEGALE SUL DIRITTO DI FAMIGLIA. Il servizio, di tipo informativo, si rivolge a tutte quelle donne che abbiano dubbi o domande in merito ai propri diritti su separazione, divorzio, coppie di fatto, affidamento figli. È necessario prendere appuntamento telefonicamente al Centro Donna Tel. 0371.424183 (mercoledì h. 14.30/16.30) o via mail centrodonna@comune.lodi.it

Banca del Tempo - 1° sabato del mese.
Preparare una torta in cambio di una lezione di inglese, potare le piante in cambio di un aiuto per fare la spesa, un massaggio per la stiratura delle camicie… tutto questo è la BANCA DEL TEMPO, un sistema in cui le persone scambiano reciprocamente attività, servizi e saperi senza intermediazione monetaria, attraverso l’organizzazione di una rete sociale. Per saperne di più visita il sito della BdT www.comune.lodi.it/informagiovani/bdt
e-mail: bancadeltempo.lodi@libero.it .
Sportello aperto il primo sabato di ogni mese dalle ore 10 alle 12 presso il Centro Donna – Via Orfane, 12 – Lodi

Biblioteca di Genere - ogni martedì e mercoledì.
È aperta al pubblico martedì dalle 16.30/18.30 e mercoledì 14.30/16.30 la BIBLIOTECA DI GENERE del Centro Donna con una dotazione di circa un centinaio di testi e documentazione sui diritti, le problematiche e i vissuti delle donne. Il prestito è gratuito. Ingresso Via delle Orfane, 12 – tel. 0371.424183
e-mail: bibliogenere.lodi@libero.it
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Difendere la libertà di stampa

Riceviamo e volentieri pubblichiamo.
I partigiani sottoscrivono l'appello: "È una battaglia civile e culturale".

In una lettera indirizzata a Ezio Mauro, direttore di Repubblica, Raimondo Ricci, il presidente nazionale dell'Anpi, l'Associazione nazionale partigiani d'Italia, esprime piena solidarietà e invita tutti a sottoscrivere l'appello dei giuristi per difendere la libertà di stampa.
L'Associazione nazionale partigiani d'Italia si schiera con la Repubblica e il suo direttore "a seguito delle iniziative giudiziarie annunciate da Silvio Berlusconi". Condivide inoltre l'appello lanciato "a sostegno della battaglia civile, morale e culturale che la Repubblica sta portando avanti con decisione".
Il segretario nazionale, Raimondo Ricci, appellandosi ai valori della Costituzione denuncia "una gestione del potere improntata al disprezzo delle regole democratiche". E conclude con una esortazione rivolta a tutti i cittadini, e in particolare ai giovani, a esprimere solidarietà sottoscrivendo l'appello dei giudici e "a farsi promotori di iniziative in difesa della libertà di stampa", espressione massima della democrazia.

Questo il testo della lettera:

Ufficio Presidenza
Prot. n. 231
Roma, 31 agosto 2009

Egregio Direttore,
l’ANPI Nazionale esprime a Lei e alla intera redazione la più ampia solidarietà a seguito delle iniziative giudiziarie annunciate da Silvio Berlusconi contro il Suo giornale, così come esprime condivisione per l’appello lanciato a sostegno della battaglia civile, morale e culturale che la Repubblica sta portando avanti con decisione.
I valori ai quali l’ANPI si richiama, fondati sulla tutela dei diritti e il rispetto dei doveri contenuti nella Carta Costituzionale nata dalla Resistenza, impongono una presa di posizione forte e determinata in difesa degli alti principi di libertà che nella legge fondamentale dello Stato hanno trovato il contributo di tutte le forze unitesi per instaurare nel Paese una moderna democrazia.
L’ANPI ritiene l’attuale momento politico meritevole di un’attenta e forte vigilanza a difesa dei diritti fondamentali posti in serio pericolo da una gestione del potere improntata al disprezzo delle regole democratiche.
La nostra Associazione invita inoltre le sue strutture provinciali e regionali e tutti i cittadini, in particolare i giovani, a esprimere solidarietà sottoscrivendo l’appello dei giuristi Cordero, Rodotà e Zagrebelsky e a farsi promotori di iniziative in difesa della libertà di stampa che della democrazia è una delle massime espressioni.
Con viva cordialità
Il Presidente Nazionale
Raimondo Ricci
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Suggerimenti per un paese “ecologico”

Tegole fotovoltaiche e pompe di calore.

Si possono trasformare i tetti in impianti fotovoltaici che producono energia elettrica, anche quelli nei centri storici. I tetti rimarranno belli e il paesaggio pure. Tutto questo grazie ad una azienda di Agnani (Area industrie ceramiche), che ha brevettato un sistema geniale. I coppi li produce una bottega di Rovigo con il sistema tradizionale, mentre è l’anima che cambia: dentro vengono inglobati moduli di pannelli fotovoltaici che trattengono i raggi e li restituiscono in corrente. Non più corpi estranei, ma coperture integrate perfettamente nel panorama. Per un tetto di medie dimensioni si spendono circa 25.000mila euro, manutenzione facile e i coppi danneggiati si possono sostituire facilmente. Sting nella sua villa in Toscana li ha già installati.

Ma un’altra opportunità è costituita dalla geotermia. Il terreno contiene una inesauribile sorgente di calore. Già a pochi metri di profondità, la temperatura si mantiene costante nell’arco dell’anno: durante l’inverno, dunque la sua temperatura è più calda dell’aria esterna, mentre in estate è più bassa. Sfruttare l’energia prodotta dal terreno (o dall’aria) è possibile con sistemi di riscaldamento e raffreddamento che utilizzano pompe di calore.
Le pompe di calore geotermiche non inquinano, l’impianto necessita di poca manutenzione e si ha un risparmio fino al 50% dei costi di esercizio. Un sistema geotermico che utilizza pompe di calore fornisce riscaldamento, acqua calda e raffreddamento 24 ore al giorno, 365 giorni all’anno. Le pompe di calore possono essere installate anche su impianti di riscaldamento con termosifoni tradizionali ed è possibile riscaldare e raffreddare gli ambienti con lo stesso impianto.
Se non si ha la possibilità di avere un terreno, con le pompe di calore è possibile riscaldarsi comunque utilizzando l’energia termica dell’aria per attuare il cosiddetto “scambio in aria”. È sufficiente avere un locale, una cantina o una soffitta, con una differenza termica rispetto agli ambienti da riscaldare di almeno 2 °C.
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