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lunedì 5 ottobre 2009

«Libertà è partecipazione»

Piazza del Popolo, trecentomila lettori contro il bavaglio.
Rassegna stampa - l'Unità, Mariagrazia Gerina, 3 ottobre 2009.

«Libertà è partecipazione», canta la piazza venuta a riprendersi i giornali, i tg, la stampa libera di criticare. E anche quella parola, scippata, con tutto il resto, dal premier. Libertà. Sono donne, uomini, ragazzi, bambini insieme alle loro madri a scandirla. Lettori stanchi, arrabbiati, lettori che vorrebbero risposte e non insulti dal premier. Telespettatori stufi di quello che passano i tg. Farabutti con il bavaglio sulla bocca. Che sciamano da via Cola di Rienzo da via del Corso, da via di Ripetta verso una piazza del Popolo, improvvisamente troppo piccola, ancor prima che cominci la manifestazione, per contenere tutti quelli che oggi hanno deciso di scendere in piazza per difendere la libertà di stampa. Sono partiti con i pullman da Milano, da Empoli, da Forlì da Napoli. «Siamo trecentomila», gridano dal palco.
«Eccoci». Aldo ha fotocopiato la storica prima pagina dell'Unità e la distribuisce agli amici venuti con lui da Napoli. «La compro da sempre, sono qui perché è incredibile che Berlusconi vi abbia querelato per aver scritto la verità». «Non ne possiamo più delle sue bugie, delle sue reti private, di quelle pubbliche a lui asservite, siamo stufi di essere presi per il c...».
Chi va in giro con il bavaglio. Chi con l'articolo 21 della Costituzione stampato sul petto. «Denuncia anche me», le magliette di Staino sono andate a ruba. In un'ora Cesare, Isabella, Dario, Riad e Mohammed, Cecila ed Emanuele, le finiscono tutte e cinquemila. Fuggono per la piazza indossate dai lettori. «Sono finite? Buon segno», si rassegna Teresa, pensionata, mentre in tanti si accalcano attorno al nostro stand. Ben visibile sotto la frase di Gramsci che volteggia nel cielo: «Odio gli indifferenti». Lettori anziani, lettori in erba. «Brava Concita, hai fatto bene», gridano quando arriva il direttore. «Il fatto è che il giornale che compro me lo scelgo, ma le tv me le impongono», si scalda Stefania, 56 anni, casalinga, marito partita Iva e figli (di 30 e 34 anni) ancora precari. In mano le magliette, sotto braccio l'Unità.
Elisa, Elena e Ambra indossano una maglietta autoprodotta. Con l'articolo 21 della Costituzione scritto a pennarello. «Tutti hanno diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione. La stampa non può essere soggetta ad autorizzazioni o censure». Hanno sedici anni. E vengono da Pescia, in provincia di Pistoia. E' la loro prima manifestazione. «La libertà di stampa è tutto, senza informazione un paese è finito, ma in quale altro posto al mondo il presidente del consiglio non risponde alle domande legittime che gli fanno i giornalisti?».
Mariagrazia, pensionata, e le sue amiche Mariella e Patrizia, che quando dice il suo nome suscita l'ilarità delle altre, si sono cucite una chiusura lampo rossa sulla bocca, aperta a metà. Perché zitte non ci vogliono stare: «E adesso stampiamo un bel casino», hanno scritto su un paio di tazebao di fortuna. Non sono ragazzine, ma l'hanno presa con un certo spirito. Sono saltate sul pullman della Cgil e da Grosseto eccole qua. «Ero stufa di indignarmi davanti alla tv e sono venuta a indignarmi qui». «E' la vergogna di quello che siamo diventati, la vergogna di avere un presidente del consiglio così che ci ha portato in piazza», raccontano. «E poi non parliamo di quello che sta capitando alle donne...».
Lo striscione più bello lo portano Francesco e Silvia, 12 anni, insieme a Luca, 10 anni: «Papi posso leggere topolino?». L'hanno fatto con le loro mamme: «La libertà di espressione è l'abc della democrazia», spiegano, mentre cercano di infilarsi nella piazza che è già strapiena ancora prima che la manifestazione cominci.
Vincenzo, 60 anni, architetto, l'ha presa dal lato più cupo. Berlusconi l'ha vestito da Mussolini, sotto gli ha messo tutti e sei i tg nazionali: «Potevo fare di quest'aula sorda e grigia un bivacco...». «Non è una esagerazione, la tv è manipolata, i direttori di tg raccontano ciò che gli viene detto di raccontare dall'alto ed è gravissimo perché l'informazione è l'unico vero contropotere che i cittadini hanno nelle loro mani».
Rabbia e ironia. Fischi, per il direttore del Giornale Vittorio Feltri, evocato dal palco. E applausi. Per Santoro. Per il nostro direttore, per Ezio Mauro. Applausi per il grande vecchio del giornalismo italiano, Eugenio Scalfari, che lascia la piazza, con un palloncino rosso e una rosa in mano tra la folla che lo applaude e lo ringrazia. E una domanda per i parlamentari dell'opposizione che non erano in aula quando si votava lo scudo fiscale. «Dove eravate?», recita un cartello.
L'appello di Siddi
«Con noi c'è la coscienza civile di questo paese, che non china la testa e non piega la schiena”, ringrazia Franco Siddi, il segretario della Federazione nazionale della stampa, che dal palco scandisce la regola-base a difesa della democrazia e della verità: “Se il re è nudo, è nudo, anche se è il premier... A meno che Berlusconi non pensi a un lodo Alfano per l'informazione che metta al riparo lui e i potenti dalle notizie vere”. Le querele a l'Unità e a Repubblica, gli attacchi continui alla stampa che lo critica, fanno capire che siamo già su quella cattiva strada: “Cessi le campagne di accuse ai giornalisti. Cessi di dare loro dei farabutti”, chiede Siddi al premier. “Ritiri le querele”, e “ritiri anche il lodo Alfano”.
Le voci dal palco
La “farsa”, l'ha chiamata Berlusconi. Non poteva però iniziare in modo più austero. Con un minuto di silenzio invocato dal palco sui morti di Messina. «È diabolico dire che una manifestazione per difendere la libertà di stampa è una farsa», attacca la lettera di don Sciortino, il direttore di Famiglia Cristiana letta da Andrea Vianello, presentatore della manifestazione e giornalista del tg3. Una delle tante voci che si sono alternate sul palco con una varietà incredibile.
La voce di Roberto Saviano che rivendica «la serenità di poter lavorare senza doversi aspettare ritorsioni»: «Ciò che sta accadendo dimostra che verità e potere non coincidono mai». E quella di don Sciortino, che scandisce: «La legittimazione del voto popolare non autorizza nessuno a colonizzare lo Stato e a spalmare il Paese di un pensiero unico senza diritto di replica».
La voce di Simone Cristicchi che dopo aver candato chiede: «C'è una escort bionda da spostare, è targata Bari parcheggiata davanti Palazzo Grazioli». E quella di Valerio Onida che legge ciò che scrive la Corte europea: «L'informazione deve essere garantita anche quanco contiene una buona dose di esagerazione e persino di provocazione». E chiosa: «Il cittadino non informato o informato male è meno libero».
La voce del Gabibbo di Striscia la notizia - «Applaudite il cdr di Mediaset», chiede Vianello alla piazza. E quella di Sergio Lepri, storico direttore dell'Ansa, 90 anni appena compiuti che richiama all'impegno collettivo «per evitare che si soffochino le voci libere».

Foto tratte dalle gallerie pubblicate sul sito de l'Unità. Le prime due riguardano manifestazioni a Londra e Madrid, le altre Roma.










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Se lo si dice a destra

L'editoriale.
Non è follia parlare di elezioni.
Rassegna stampa - Il Tempo, Roberto Arditti, 5 ottobre 2009.

Da oltre quindici anni siamo abituati a commentare le vicende politiche senza poterle separare da quelle giudiziarie, con un sovrapporsi di lotte, di ambizioni e di colpi bassi di cui avremmo fatto volentieri a meno. Non ci stupisce quindi la decisione del giudice civile di Milano di rendere nota la sentenza sul lodo Mondadori a poche ore da quella della Corte Costituzionale sull'altro lodo, quello che porta il nome del ministro Alfano. Tanto poco ci stupiscono questi intrecci che vogliamo qui ricordare come tre delle ultime cinque legislature si siano anticipatamente interrotte, ogni volta a causa di questioni giudiziarie.
È quindi chiaro che ci troviamo a un punto di svolta. D'altronde, proteste assurde come quella sulla libertà di stampa altro non fanno che gettare benzina sul fuoco, in una situazione che è già incandescente.
Il governo è sostenuto da un`ampia maggioranza parlamentare (spesso troppo distratta in aula) e lavora dignitosamente, tenendo conto del biennio di gravissima crisi economica. Ma al tempo stesso è di tutta evidenza una durissima offensiva contro la persona, del capo del governo (che ha mostrato un punto debole), volta a tentare di realizzare un «corto circuito» (o una «scossa», come direbbe D'Alema). Dentro e fuori l'Italia molti hanno interesse a togliere di mezzo Berlusconi, questo è chiaro anche ai bambini.
Ecco perché, soprattutto in caso di bocciatura del lodo Alfano, non è più follia pensare a elezioni anticipate.
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In edicola oggi

5 ottobre 2009.
Le prime pagine dei giornali.






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Intervista a Brembio

Le problematicità che stiamo vivendo o vivremo nei prossimi anni.
Opinioni dei brembiesi raccolte in piazza.


Nelle scorse settimane un po’ tutti noi della redazione abbiamo raccolto osservazioni e pareri tra la gente di Brembio, una sorta di intervista al paese per capire quali erano i problemi che la comunità sentiva maggiormente. Il nostro comune tra non molto approverà definitivamente il PGT, il piano di governo del territorio che stabilirà l’assetto urbanistico e ambientale per i prossimi cinque anni. Il problema è presente tra la cittadinanza e particolare preoccupazione è sollevata dall’espansione industriale che, se andrà in porto, affiancherà altra logistica a quella attuale con conseguenze che molti ritengono di grande disagio per il paese. Anche i segnali che arrivano dal Comune in proposito non fanno che ingigantire perplessità e timori, come il fatto che per carenza di fondi si sia accantonata per il momento ogni possibilità di avvio della costruzione della tangenzialina. La mancanza di entrate derivanti da oneri di urbanizzazione ha fatto sì che si cancellasse almeno per quest’anno la possibilità di iniziare gli espropri dei terreni dove passerà la futura strada che, realizzata, dovrebbe risolvere il problema del frequente passaggio di tir per le vie cittadine nonostante il divieto di transito. E proprio riguardo a questo c’è chi ci ha detto che “siamo partiti dal tetto per costruire la casa”, una metafora per dire che la grande area industriale sarà realizzata prima di costruire le strade: “Se ne parla (della tangenziale Livraga-Secugnago, ndr) ad ogni tornata elettorale fingendo di picchettarla e poi rimane lettera morta”.
Ma sempre riguardo all’area di trasformazione industriale c’è chi osserva che con i suoi piazzali e coperture di vario genere “riverserà acqua piovana e altro nella nostra fognatura datata anni ’60. Si dovrà prevederne in gran parte, se non totalmente, la sistemazione”. Esatto, non esatto, c’è di certo che della nuova espansione non si è detto più di tanto, neanche nella presentazione pubblica del PGT, quando ad una domanda precisa della consigliera Russo, che era intervenuta, il sindaco Sozzi in risposta si è mostrato vago, puntando di più ad illustrare la parte dell’area di interesse sovracomunale che compete a Secugnago piuttosto che dare indicazioni precise riguardo all’esatta localizzazione della nostra ed al suo futuro. Che l’area sia destinata indicativamente a logistica sta scritto nei documenti che formano il PGT. Voci che corrono per il paese sussurrano di un ampliamento della Fiege Borruso che sarebbe intenzionata a portare qui un’altra sede – si parla della sede di Settala - ritenendo lo scalo ferroviario di Secugnago di grande interesse per la sua attività. L’azienda così descrive nel suo sito l’unità operativa di Brembio: “32.000 mq di superficie coperta con una potenzialità di espansione sino a 80.000 mq”; e sottolinea: “ha la possibilità di utilizzare il raccordo ferroviario”. Per avere un dato sull’impatto dell’azienda, la stessa afferma che oggi: “La piattaforma logistica di Brembio movimenta ogni giorno in uscita oltre 1.000 tonnellate di merci, le consegne avvengono direttamente o tramite TP in tutta Italia”, e si evidenzia come lo stabilimento sia “situato a 10 Km dal casello di Lodi, a meno di 180Km da Torino, Genova, Bologna, Verona”. (La foto è tratta dal sito della Fiege Borruso).



Ma non è solo l’area industriale a preoccupare. Impatto sul sistema fognario lo avranno anche le nuove abitazioni. C’è chi mi ha ricordato che quando a suo tempo fu approvata la realizzazione della nuova Piazza Europa, la minoranza consiliare di allora aveva sollevato l’analogo problema, sostenendo la necessità di provvedere ad una verifica del nostro sistema fognario. La risposta fu come tante altre evasiva. Si scoprì qualche anno dopo, come mi ha confermato Pino Botti, che tutti i progetti riguardanti la fognatura erano scomparsi. Ma questa è una storia vecchia.
C’è più d’uno che si chiede: “perché stravolgere così il nostro paese con una previsione di circa 5.000 abitanti?”, per aggiungere subito dopo un “Non credo che se ne senta il bisogno”. Anche qui in verità va detto che già il piano regolatore fissava nella stessa cifra il numero massimo di popolazione, e che in realtà il PGT sta sotto quella cifra. Ma la domanda rimane e forse sarebbe giusto dare una risposta che non sia quella scontata legata a questioni di cassa. Anche perché qualcuno ha sollevato il problema dell’impatto sugli attuali servizi: “Abbiamo una nuova scuola elementare sufficiente per l’utenza attuale di 2.500 abitanti. Se il sindaco Sozzi prevede di arrivare a 5.000, allora è necessario costruire una nuova scuola. E se così è, dove sta la programmazione?”.
Qualcuno ha anche sollevato la questione del Palazzo Andreani, di cui l’amministrazione Cortesini aveva sistemato la facciata e messo mano alla parte che ospita gli uffici: “Nessuno ha mai pensato di fare una visita ai locali al primo piano del palazzo comunale? È un vero schifo. tutto è lasciato nell’abbandono”.
Anche il biogas non è visto senza preoccupazione, e soprattutto nella parte avversa al sindaco si avanza l’accusa che “gli impianti di biogas sono serviti per accaparrarsi i voti degli agricoltori, anche di quelli del Pdl, e serviranno solo ed esclusivamente a questi ultimi. A noi brembiesi solo l’inquinamento dei trattori che passeranno dal nostro paese e chissà anche le puzze”. Dicono di no, aggiungono, ma non ne siamo convinti. I lavori del primo impianto procedono, in consiglio comunale il 15 ottobre il sindaco dovrebbe svolgere una comunicazione sullo stato dei lavori. Voci di paese dicono invece che ci siano difficoltà per la localizzazione riguardo al secondo impianto, quello che dovrebbe essere finanziato da Sorgenia. Si parla, ma sottolineo che al momento non ho avuto conferme, che l’impianto dovrebbe sorgere in prossimità della strada per Cà de’ Folli.
E chiudo con un’ultima critica “agricola” raccolta, è un leit-motiv: “Mi sembra di ricordare che il motto della lista del sindaco Sozzi evidenziava il riferimento ad un paese ecologico. Ma i terreni agricoli sottratti alle nuove abitazioni e all’area industriale con i suoi piazzali cosa hanno di ecologico?”. Provare a dare una risposta, in fondo non sarebbe male.
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Cronache da una ridotta assediata

Secondo l'estensore della sentenza, il giudice Raimondo Mesiano, anche il premier risponde "della vicenda corruttiva". Da qui la ricaduta sulla Fininvest Lodo Mondadori, le motivazioni: "Berlusconi corresponsabile". "È impossibile che i vertici della società ignorassero il pagamento fatto al giudice Metta per ottenere una decisione a loro favore".
Rassegna stampa - Repubblica.it, 5 ottobre 2009.

Milano - Silvio Berlusconi è "corresponsabile della vicenda corruttiva" alla base della sentenza con cui la Mondadori fu assegnata a Fininvest. Lo scrive il giudice Raimondo Mesiano nelle 140 pagine di motivazioni con cui condanna la holding della famiglia Berlusconi al pagamento di 750 milioni di euro a favore della Cir di Carlo De Benedetti. "È da ritenere - scrive il giudice -, 'incidenter tantum' (cioè solo ai fini di questo procedimento, ndr) e ai soli fini civilistici del presente giudizio, che Silvio Berlusconi sia corresponsabile della vicenda corruttiva per cui si procede".
La "corresponsabilità" di Silvio Berlusconi, spiega il giudice Mesiano, comporta "come logica conseguenza" la "responsabilità della stessa Fininvest", questo "per il principio della responsabilità civile delle società di capitali per il fatto illecito del loro legale rappresentante o amministratore, commesso nell'attività gestoria della società medesima".
In definitiva, secondo il tribunale che ha condannato la Fininvest, è impossibile che i vertici della Fininvest ignorassero l'atto di corruzione: "Vale osservare che i conti All Iberian e Ferrido erano conti correnti accesi su banche svizzere e di cui era beneficiaria economica la Fininvest. Non è quindi assolutamente pensabile - scrive Mesiano - che un bonifico dell'importo di Usd 2.732.868 (circa tre miliardi di lire) potesse essere deciso ed effettuato senza che il legale rappresentante, che era poi anche amministratore della Fininvest, lo sapesse e lo accettasse".
"In altre parole - conclude il giudice -, il tribunale ritiene qui di poter pienamente fare uso della prova per presunzioni che nel giudizio civile ha la stessa dignità della prova diretta (rappresentazione del fatto storico). È, come è noto, la presunzione un argomento logico, mediante il quale si risale dal fatto noto, che deve essere provato in termini di certezza, al fatto ignoto".
La sentenza sul lodo Mondadori è stata pubblicata il 3 ottobre. La Fininvest si è messa subito al lavoro per l'appello, e per ottenere un provvedimento sospensivo della condanna, che dispone a carico della società il pagamento di 750 milioni di risarcimento alla Cir di Carlo De Benedetti.
Nelle motivazioni pubblicate stamane viene sottolineata l'ingiustizia della sentenza Metta e il fatto che fosse stata emessa in quei termini per via della corruzione del giudice Metta stesso, "argomento che resiste in ragione del ruolo primario che ebbe il Metta nella formazione della decisione del collegio all'obiezione della collegialità della sentenza".
"Ciò posto - scrive il giudice Mesiano - deve rilevarsi che se è vero che la Corte d'Appello di Roma emise una sentenza, a parere di questo ufficio, indubbiamente ingiusta come frutto della corruzione di Metta, nessuno può dire in assoluto quale sarebbe stata la decisione che un collegio nella sua totalità incorrotto avrebbe emesso".

L'analisi.
Berlusconi chiama la politica a difesa del suo patrimonio. Metà del Paese chiamata a sostenrlo per un episodio di corruzione. E il premier trasforma in complotto un'ordinaria storia di malaffare.

Rassegna stampa - Repubblica.it, Giuseppe D'Avanzo, 5 ottobre 2009.

La politica, per Silvio Berlusconi, è nient'altro che il modo più efficace per accrescere e proteggere il suo business. È sempre stato così fin da quando, neolaureato fuori corso in giurisprudenza, si dà agli affari. Forte di legami politici con le amministrazioni locali e regionali - e qualche "assegno in bocca" - diventa promotore immobiliare. La politica gli consente di tenere a battesimo, fuori della legge, il primo network televisivo nazionale. La collusione con la politica - la corruzione d'un capo di governo e il controllo di ottanta parlamentari - gli permette di ottenere, dal presidente del consiglio corrotto, due decreti d'urgenza e, dal parlamento, una legge che impone il duopolio Rai-Fininvest. Non proprio un prometeo dell'economia, nel 1994 è in rotta e fallito (gli oneri del debito della Fininvest - 4000 miliardi di lire - superano l'utile operativo del gruppo).
Ha perso però i protettori travolti dal malaffare tangentocratico e s'inventa "imprenditore della politica" convertendo l'azienda in partito. È ancora la politica che gli consente di manomettere, con diciassette leggi ad personam, codici e procedure per evitare condanne penali per un variopinto numero di reati (falso in bilancio, frode fiscale, appropriazione indebita, corruzione) fino all'impunità totale della "legge Alfano" che gli assicura un parlamento diventato bottega sua (domani la Consulta ne vaglierà la costituzionalità).
Non c'è da sorprendersi allora se, condannato oggi al pagamento di un risarcimento di 750 milioni di euro per aver trafugato la Mondadori corrompendo un giudice, Silvio Berlusconi si nasconda ancora una volta dietro il paravento della politica. È sempre la sua carta jolly per confondere le acque, cancellare i fatti, rendere incomprensibile quel che è accaduto, difendere - dietro le insegne dell'interesse pubblico - il suo interesse personale. Secondo un copione collaudato nel tempo, il premier anche oggi è lì a cantare la favola dell'"aggressione politica al suo patrimonio", dell'"assedio ad orologeria". Evoca, con le parole della figlia Marina (presidente di Mondadori), il "momento politico molto particolare". Piagnucola: "Se è così, chiudo". Minaccia (gli capita sempre quando è a mal partito) che chiamerà alle urne gli elettori, se sarà contrariato. Bisogna dunque dire se c'entra la politica, in questa storia della Mondadori. La risposta è sì, c'entra ma (non è un paradosso) soltanto perché salva Berlusconi dai guai (e non è una novità).
Ricapitoliamo. È il giugno 2000. Berlusconi è accusato di aver comprato la sentenza che gli ha permesso di mettere le mani sul più grande impero editoriale del Paese scippandolo a Carlo De Benedetti (editore di questo giornale). Per suo conto e nel suo interesse, gliela compra l'avvocato e socius Cesare Previti (poi suo ministro). L'udienza preliminare del "caso Mondadori" ha un esito sorprendente: non luogo a procedere. È salvo. Il pubblico ministero Ilda Boccassini si appella. La Corte le dà ragione, ma Previti e Berlusconi hanno destini opposti. Per una svista, i legislatori nel 1990 si sono dimenticati del "privato corruttore" aumentando la pena della corruzione nei processi soltanto per il "magistrato corrotto". Correggono l'errore nel 1992, ma i fatti della Mondadori sono anteriori a quell'anno e dunque Berlusconi è passibile della pena meno grave, da due a cinque anni (corruzione semplice), anziché da tre a otto (corruzione in atti giudiziari). Se ottiene le attenuanti cosiddette generiche, può farla franca perché il reato sarebbe estinto. La sentenza del 25 giugno 2001 le concede a Berlusconi, non a Previti che va a processo. Stravagante la motivazione che libera il premier: è vero, Berlusconi ha corrotto il giudice, ma si è adeguato a una prassi d'un ambiente giudiziario infetto e poi l'attuale suo stato "individuale e sociale" (si è appena insediato di nuovo a Palazzo Chigi) merita riguardi. Diciamolo in altro modo. Per i giudici non si possono negare le attenuanti, e quindi la prescrizione, a quell'uomo che - è vero - è un "privato corruttore" perché è "ragionevole" e "logico" che il mandante della tangente al giudice sia lui, ma santiddio oggi governa l'Italia, è ricco, potente, conduce la sua vita in modo corretto, come si fa a mandarlo a processo? Berlusconi potrebbe rinunciare alla prescrizione, affrontare il giudizio, dimostrare la sua estraneità, pretendere un'assoluzione piena o almeno testimoniare e dire perché ha offerto a Previti i milioni da cui attinge per pagare il mercimonio del giudice. Non lo fa, tace, si avvale della facoltà di non rispondere e il titolo indecoroso di "privato corruttore" gli resta appiccicato alla pelle.
Dunque, prima conclusione. La politica di ieri e di oggi non c'entra nulla se si esclude il salvataggio del premier, "privato corruttore". Bisogna riprendere il racconto da qui perché la favola dell'"aggressione politica al patrimonio" di Berlusconi si nutre di un sorprendente argomento: "Il processo non ha mai riguardato la Fininvest che si limitò a pagare compensi professionali a Previti".
Occorre allora mettere mano alle sentenze. C'è un giudice, Vittorio Metta, che già è stato corrotto da Previti per un altro affare (Imi-Sir). Viene designato come relatore dell'affare Mondadori. La designazione è pilotata con sapienza. Scrive le 167 pagine della sentenza in un solo giorno, ventiquattro ore, "record assoluto nella storia della magistratura italiana". In realtà, la sentenza è scritta altrove e da chi lo sa chi: "Da un terzo estraneo all'ambiente istituzionale", si legge nella sentenza di primo e secondo grado. Venti giorni dopo il deposito del verdetto (14 febbraio 1991), la Fininvest (attraverso All Iberian, il "gruppo B very discreet") bonifica a Cesare Previti quasi 2 milioni e 800 mila dollari (3 miliardi di lire). Su mandato di chi? Nell'interesse di chi? "La retribuzione del giudice corrotto è fatta nell'interesse e su incarico del corruttore" scrivono i giudici dell'Appello che condannano Cesare Previti non perché concorre al reato di Vittorio Metta (il giudice), ma perché complice del "privato corruttore" (Berlusconi). "E' la Fininvest - conclude infine la Corte di Cassazione - la fonte della corruzione e pagatrice del pretium sceleris", del baratto che consente a Berlusconi da diciotto anni di avere nella sua disponibilità la Mondadori.
Rimettiamo allora in ordine quel si sa e ha avuto conferma nel lungo percorso processuale, in primo grado, in appello, in Cassazione. Berlusconi è un "privato corruttore". Incarica il socius Previti di corrompere il giudice che decide la sorte e la proprietà della casa editrice. Previti ha "stabilmente a libro paga" Vittorio Metta. Il giudice si fa addirittura scrivere la sentenza. Ottiene "almeno quattrocento milioni" da una "provvista" messa a disposizione dalla Fininvest che "incassa" in cambio la Mondadori.
Questi i nudi fatti che parlano soltanto di malaffare, corruzione, baratterie, di convenienze privatissime e non di politica e mai di interesse pubblico. Di politica parla oggi Berlusconi per salvare se stesso. Come sempre, vuole che sia la politica a tutelare business e patrimonio privati. Per farlo, non rinuncia - da capo del governo e "privato corruttore" - a lanciare una "campagna" che spaccherà in due - ancora una volta - un'opinione pubblica frastornata e disinformata. Berlusconi chiede un'altra offensiva di plagio mediatico con il canone orientale delle tv e dei giornali che controlla e influenza: non convincere, non confutare, screditare. Il premier giunge a minacciare le elezioni anticipate, come se il suo destino fosse il destino di tutti e l'opacità della sua fortuna una responsabilità collettiva. Ripete la solita filastrocca che si vuole "manipolare con manovre di palazzo la vittoria elettorale del 2008 ed è ora che si cominci a esaminare l'opportunità di una grande manifestazione popolare". In piazza, metà del Paese. In difesa di che cosa? Si deve rispondere: in difesa della corruzione che ha consentito a Berlusconi la posizione dominante nell'informazione e nella pubblicità. E perché poi dovremmo tornare a votare? In difesa del suo portafoglio. L'Italia esiste, nelle intenzioni del capo del governo, soltanto se si mobilita a protezione delle fortune dell'uomo che la governa.

Retroscena. Ira per la sentenza Mondadori: vogliono che chiuda. Il presidente del Consiglio si sente assediato e studia le contromosse. "Si sono messi in testa di farmi fuori". Il Cavaliere tentato dal ricorso alle urne.
Rassegna stampa - Repubblica.it, F. Bei, 5 ottobre 2009.

Roma - Il rischio di una escalation c'è tutto. E il clima che si respira in queste ore a palazzo Chigi è quello di un fortino assediato, con gli assalitori che già scalano le mura: già tra 24 ore forse si saprà se la Consulta avrà bocciato il lodo Alfano e i pessimisti nel Pdl sono ormai la maggioranza. Da qui il via libera dato ieri dal Cavaliere a una mossa estrema come quella del ricorso alla piazza. "È la nostra carica di Balaklava", celia un berlusconiano per mascherare la preoccupazione.
Un'ipotesi, quella della piazza, che si era affacciata una decina di giorni fa durante una riunione ristretta a palazzo Grazioli, ma su cui il premier aveva inizialmente preso tempo per decidere. Ieri ha rotto gli indugi: "Si sono messi in testa in farmi fuori, dobbiamo rispondere".
A far infuriare il Cavaliere, più della manifestazione di piazza del Popolo, è stata la concomitante condanna al maxirisarcimento da 750 milioni di euro nei confronti della Cir per il Lodo Mondadori. Una sentenza che, nei ragionamenti che il premier ha fatto con i suoi, porta soltanto in una direzione: "Vogliono farmi chiudere". Raccontano che Berlusconi si sia infuriato per un verdetto che sente "profondamente ingiusto" e che assolutamente non si aspettava: "È stato un fulmine a ciel sereno". Oltretutto con una richiesta ritenuta talmente "sproporzionata" che costringerebbe il gruppo a mettersi di nuovo nelle mani delle banche. Né il premier ripone grandi speranze nell'appello sul lodo Mondadori visto che, come commenta sconsolato uno dei suoi, "da Milano cosa mai vuoi aspettarti?".
Chi gli ha parlato in queste ore lo descrive diviso tra la tentazione di mollare tutto e la rabbia che lo spingerebbe a una dura reazione (come appunto potrebbe essere un'adunata da un milione di persone), nella convinzione che "più mi attaccano e più mi rafforzano". Tra i consiglieri ormai c'è chi è certo che, se messo con le spalle al muro da una bocciatura del lodo Alfano, il premier davvero possa tentare la carta del ricorso al "giudizio del popolo", dimettendosi e chiedendo a Napolitano lo scioglimento delle Camere. Su quest'ultima ipotesi Berlusconi sarebbe anche sicuro di portarsi dietro Gianfranco Fini, a cui serve più tempo per tessere la sua tela.
Fantapolitica? Ormai nella cerchia stretta del Cavaliere sono questi i ragionamenti che si fanno. La convinzione che si sta facendo strada infatti è che la Consulta si avvii a bocciare il lodo, imponendo una legge costituzionale per stabilire l'immunità processuale delle alte cariche dello Stato (mentre il lodo Alfano è stato introdotto con legge ordinaria).
Uno scenario da incubo per Berlusconi, che si vede accerchiato da forze ostili. Un attacco "concentrico e lungo più direttrici - così lo descrive Fabrizio Cicchitto - che vanno dal gossip, all'evocazione degli attentati di mafia del '92, ad altro ancora che si prepara. E, adesso a questa sentenza civile dalle proporzioni inusitate".
Tra gli uomini di Berlusconi c'è anche la convinzione che, in fondo, la forza del premier nel Paese non solo sia intatta ma anche in crescita. "C'è uno scollamento drammatico tra la politica che viene rappresentata nei giornali - spiega Gaetano Quagliariello - e quello che pensano i cittadini, la gente per strada. Non a caso Berlusconi, quando va a all'Aquila o a Messina, viene applaudito, lo accolgono come un salvatore". I sondaggi del premier sarebbero incoraggianti, ragione in più per affidarsi a una carta estrema come le elezioni anticipate. Anche se una vecchia volpe come Pier Ferdinando Casini, a sentir parlare di elezioni, sente puzza di "bluff" e ritiene si tratti soltanto di "una pistola scarica".
C'è poi la partita della Rai, dove Berlusconi non si rassegna a finire ogni settimana nel mirino di Annozero e delle altre trasmissioni "di sinistra". "Quello di Annozero è stato un attacco ignobile", ha detto venerdì durante il Consiglio dei ministri a proposito della puntata che aveva come ospite la escort Patrizia D'Addario. Il Cavaliere ha apprezzato la puntata di Bruno Vespa, ma è ormai convinto che si tratti di passare al contrattacco, magari forzando il palinsento Rai con una nuova trasmissione. "Ma a noi manca un Santoro di destra", sospira un ministro che ne ha raccolto lo sfogo.

Il leader della Lega conferma il pieno appoggio al premier. "Penso comunque che andremo avanti a fare le riforme". Bossi: "Sempre pronti a votare". Da Fini no a un governo tecnico. Il presidente della Camera: "La maggioranza è quella che esce dalle urne".
Rassegna stampa - Repubblica.it, 5 ottobre 2009.

Trucazzano (Milano) - La Lega ribadisce il pieno appoggio al premier Silvio Berlusconi, che si definisce "vittima di un complotto", e conferma la piena disponibilità alle elezioni anticipate. "Penso che non andremo al voto, comunque noi siamo sempre pronti. Penso comunque che andremo avanti a fare le riforme", ha detto oggi Umberto Bossi, ministro per le Riforme e leader della Lega Nord. Mentre il presidente della Camera, Gianfranco Fini, dice di fatto no a un governo tecnico: "Nel nostro sistema, la maggioranza - osserva - è quella che esce dalle urne. Non a caso gli elettori che hanno votato nelle ultime politiche hanno trovato sulla scheda il nome del candidato premier".
Bossi ha poi ribadito che le vicende personali del premier sono "un problema creato dalla mafia, noi abbiamo fatto leggi pesantissime contro la mafia e quindi c'era il rischio che se la pigliassero con Berlusconi".
Quanto alla possibilità di una manifestazione 'pro Berlusconi', Bossi non ha voluto fare commenti affermando solamente "non ho ancora parlato con Berlusconi". Un'eventuale manifestazione a favore di Berlusconi era stata proposta dal capogruppo del PdL alla Camera, Fabrizio Cicchitto., che oggi ha rilanciato la proposta: 'Non c'entra niente con quella di qualche giorno fa, perchè quella è una manifestazione organizzata dalla Federazione nazionale della stampa italiana, noi stiamo riflettendo sulla possibilità di una manifestazione politica che mira a dar voce alla maggioranza del popolo italiano che conferma il suo sostegno a questo governo e al presidente Berlusconi".
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I pierini in gara ieri a Brembio

Gara di pierini organizzata dai pescasportivi.
FotoPost - Foto scattate ieri pomerigio, 4 ottobre 2009.










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Una festa di colori per la pace

Striscioni e bandiere sulla strada che da Lodi porta a Ossago: «Diffondiamo il seme della tolleranza». In marcia con i colori della pace. Più di mille persone hanno sfilato contro le guerre.
Rassegna stampa - Il Cittadino, Matteo Brunello, 5 ottobre 2009.

Striscioni contro le guerre, bambini avvolti da bandiere arcobaleno e percussioni a scandire il cammino. Si muove a ritmo di musica la marcia della pace lodigiana. Una decina di chilometri di percorso (dal capoluogo ad Ossago), per invocar concordia tra i popoli. Una lunga e nutrita processione, che ha richiamato lungo il tragitto una gran quantità di persone: circa 1.500 per gli organizzatori e oltre un migliaio per la questura. «Il popolo della pace ha dimostrato di volerci esserci, in un’iniziativa di sensibilizzazione per i tanti conflitti nel mondo - interviene l’assessore alla cultura del comune di Lodi, nonché promotore dell’evento, Andrea Ferrari - alla manifestazione hanno aderito in moltissimi: oltre 20 comuni, la provincia di Lodi e più di 60 associazioni del territorio». E a guidare il corteo, le fasce tricolori con i relativi gonfaloni, i vari gruppi di volontariato, poi le rappresentanze dei lavoratori e tante persone che si sono unite alla dimostrazione.Il via è stato dato nella mattinata di ieri, da piazza della Vittoria a Lodi. Prima un suggestivo spettacolo del laboratorio degli Archetipi “Controvento” sul tema dei migranti. Seguito da testimonianze di rifugiati politici, che hanno trovato ospitalità nel territorio. «Sono fuggito dalla Colombia, perché perseguitato. E sono stato accolto qui», riferisce Tirso Alfonso. Il suo, è uno dei tanti volti di rifugiati, che sono stampati su supporti e appesi al collo di tanti manifestanti. «Abbiamo deciso di portare i pannelli della mostra, che avevamo allestito in occasione della giornata mondiale dei rifugiati - dice Laura Coci dell’associazione Lodi per Mostar - sono in tutto venti». Intanto la marcia procedeva dal Duomo verso San Fereolo, fino al Palacastellotti, per sbucare quindi ai margini della provinciale. Davanti le forze dell’ordine, volanti della questura, polizia locale; in più la protezione civile. Anche un serpentone anticipato da un mezzo, con alcuni stranieri del gruppo Tam Tam d’Afrique muniti tamburi. E subito dietro i sindaci e amministratori. Tra i partecipanti anche esponenti politici, e rappresentanti di lavoratori (uno striscione anche per la vertenza Azko Nobel). «È un’iniziativa positiva, un messaggio forte, per dire che la democrazia non si esporta con la forza», commenta Domenico Campagnoli, segretario della Cgil. E Mario Uccellini, segretario Cisl: «Noi stiamo dalla parte della gente, che guarda alle cose concrete. Vuole la pace e la difesa del salario». A buona andatura, la massa colorata è giunta più tardi a San Martino in strada. Prima tappa, per rifocillarsi e dare vita ad un momento di preghiera interreligioso: invocazioni sono state lette da un imam per gli islamici, da un cattolico, un cristiano ortodosso ed evangelico. E nella pausa, i presenti hanno potuto ascoltare anche le parole di Maura De Vizi per Amnesty International, Peppo Castelvecchio della comunità Il Pellicano, oltre a Stefano Taravella per Unicef. Che ha scandito: «Mai più guerre. Mai più guerre con i bambini». Infine, dopo le ore 13, Ossago Lodigiano è stato invaso dal “popolo della pace”. Per l’occasione sono stati allestiti banchetti. Si potevano assaggiare kebab e raspadura. E dal palco è arrivato il momento dei saluti, con i due organizzatori della marcia e referenti dell’ufficio pace del comune di Lodi, Luigi Lacchini e Latifa Gabsi. Il sindaco di Ossago, Angelo Taravella: «Così forse non spegneremo ogni guerra e terrorismo, ma diffondiamo il seme della tolleranza e dell’apertura alla convivenza tra popoli diversi». E il primo cittadino di San Martino, Luca Marini: «Per la pace cominciamo dai piccoli gesti. Partiamo dal quotidiano e dal rapporto con i nostri vicini».

Foto tratte dall'album fotografico pubblicato su Facebook da Andrea Ferrari.














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Secugnago saluta don Marco Avogadri

Nella giornata di festa il sacerdote ha ricordato che «Dio continua a chiamarci, al di là dei nostri peccati». Secugnago ha salutato il suo pastore. Dopo vent’anni don Marco Avogadri lascia la parrocchia.
Rassegna stampa - Il Cittadino, 5 ottobre 2009.

Secugnago - L’intera comunità di Secugnago si è stretta in un simbolico e commovente abbraccio per salutare don Marco Avogadri che dopo 20 anni passati nelle vesti di parroco lascia il paese bassaiolo. Per l’occasione il consiglio pastorale e l’amministrazione comunale hanno organizzato una festa che ha assunto la caratteristica più che d’addio di ringraziamento per l’opera pastorale fatta nei due decenni di permanenza a Secugnago di don Marco. Nel corso della celebrazione della Santa Messa solenne domenicale, accompagnata dal Piccolo Coro guidato da Sonia Squintani e dalla Schola Cantorum San Gaudenzio diretta da Roberto Generani, il consiglio pastorale attraverso un intervento di Gianluca Garotta ed il sindaco Mauro Salvalaglio hanno ringraziato don Marco in una chiesa gremita di fedeli oltre che di rappresentanti delle associazioni locali e della Polisportiva Oratorio Aurora, con atleti e dirigenti in divisa sociale. «Grazie per il suo impegno attento - ha detto Garotta - e continuo per la salvaguardia sia dei beni materiali che spirituali della nostra parrocchia» aggiungendo che il lavoro fatto da don Marco «resterà un esempio indelebile nella memoria della comunità». Il primo cittadino ha ribadito «l’impegno di don Marco in questi anni a favore della comunità parrocchiale che lo ringrazia sentitamente». Nella sua omelia don Marco ha sottolineato «l’amore di Dio veramente grande nei confronti di tutta l’umanità, che continua a chiamarci, al di là dei nostri peccati ed infedeltà, sulla strada della fede sotto lo sguardo materno della Madonna» alla quale, insieme al patrono San Gaudenzio Vescovo ha affidato la comunità di Secugnago. Da segnalare che nel pomeriggio si è svolta una festa presso l’oratorio dove il consiglio pastorale ha voluto salutare don Marco con alcuni regali: una pianeta con raffigurato San Gaudenzio, un presepe con statue di 20 centimetri realizzate a mano dallo stesso artigiano toscano che ha fatto le statue del presepe della chiesa parrocchiale, un orologio ed un televisore. Ora la comunità si appresta a ricevere domenica 11 ottobre alle 10 don Gigi Gatti.
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I furbetti raccontati a teatro

Nel suo monologo da commedia dell’arte de’ Giorgi racconta i protagonisti della scalata cercando il sorriso e non la denuncia. Tutto esaurito per lo show su Fiorani. Cinquanta persone in lista d’attesa ma non riescono a entrare.
Rassegna stampa - Il Cittadino, Rossella Mungiello, 5 ottobre 2009.

La serietà di Eugenio de’ Giorgi dura quel tanto che basta per ringraziare chi ha reso possibile lo spettacolo. Le associazioni lodigiane, l’attore Giulio Cavalli che l’ha sostenuto, l’avvocato Alessandra Cocco che l’ha difeso in tribunale. Poi quasi si accascia al muro, le braccia spalancate come in una crocifissione, richiamo forse alle traversie giudiziarie affrontate per portare sulla scena lodigiana la storia del «più rampante dei banchieri italiani». L’aula magna del Verri, le 21 passate da pochi minuti, è già stracolma. E almeno una cinquantina di persone, hanno ripreso la via di casa. Inutile sperare in una prenotazione non ritirata. Quello di “Previsioni meteo: Diluvio universale. The rise and fall of Giampy”, sabato sera sul palco del Verri, è un debutto da tutto esaurito. Lui annuncia di star lontano dalle imitazioni e sceglie la tradizione della Commedia dell’Arte. Non c’è il bergamasco dell’Arlecchino e nemmeno il bolognese del Dottore. Nella poliedrica confusione del canovaccio di un giullare contemporaneo, c’è il lodigiano di Giampiero Fiorani e il suo mantra “com’è cara la vita” per uno come lui («perché mi piace il potere e lo voglio»). E poi il bresciano di Emilio “Chicco” Gnutti, il romano di Stefano Ricucci (con l’ossessione per il passato da odontotecnico) e Danilo Coppola (voce flebile che sciorina una lamentela dopo l’altra), ma anche quel «Sant’Antonio Fazio», con cui l’ex amministratore della Banca Popolare di Lodi («inutile spiegare a voi di chi si parla» apre de’ Giorgi) condivide intenti e progetti della sua scalata occulta ad Antonveneta. Buio in sala, luci colorate da “one man show“, il personale racconto-ritratto di Eugenio de’ Giorgi sull’ascesa e la caduta di Giampiero Fiorani, vuol raccontare ai lodigiani un pezzo della loro storia, «rifacendosi al libro Capitalismo di rapina, di Biondani, Malagutti e Gerevini, e a circa 5 mila articoli pubblicati dalla stampa nazionale sulla vicenda».
«E adesso che banca mi compero?». Spavaldo e sicuro di sé, alla ricerca di amici e sostenitori, il Fiorani di de’ Giorgi è soprattutto un uomo che si ama. Disperatamente. Ma se i personaggi sono maschere, e la commedia dell’arte denuncia vizi e virtù, questa carrellata di quadri, che in qualche caso solletica il sorriso, di certo non smuove la riflessione. Smontata per portarne alla ribalta i dettagli, la vicenda perde per strada la forza della Storia e l’importanza della denuncia cade nel compiacimento del cabaret, del voler far ridere ad ogni costo. Si ride sulle folle oceaniche della convention di Genova del 2003 con la quarta richiesta di aumento di capitale in tre anni («perché i soldi sono come le unghie, ricrescono»); si ride sul patto «Sciacchetrà», la cena a Palazzo Grazioli in cui il governatore della Banca d’Italia sollecita il premier Silvio Berlusconi sul tema dell’italianità delle banche. «Un nuovo viaggio, una nuova meta»; e ancora «quanto sono bello» e l’immancabile «com’è cara la vita»; sono i ritornelli di quel Fiorani che incontra Berlusconi in Sardegna, portando con sé un enorme cactus, che si carica in spalla e trascina fino ai piedi del premier, scatenando di nuovo l’ilarità del pubblico. Le eccedenze patrimoniali non sono un problema («basta inventarsi nuove commissioni da applicare i correntisti»), perché «Fiorani? L’è mej dell’enalott» per chi ha ottenuto fidi da 25 milioni di euro per comprare azioni Antonveneta e in 21 settimane si trova sul conto 12 milioni di euro di interessi. Si ride sulla campagna di reclutamento dei prestanome, tra il 2004 e il 2005; il protagonista, prima citato per nome e cognome, ora anonimo dopo le nuove diffide dell’interessato, è un pezzo di quella Lodi che ha taciuto. Per tutti, però, la caduta è vicina. Passa per il Natale 2004, per i 218 regali che de’ Giorgi-Fiorani prepara per gli amici degli amici, passa per la festa in cui l’ex amministratore della Popolare offre i polsi alla Guardia di Finanza. Ma questo non è l’ultimo quadro. De’ Giorgi decide di chiudere con una nuova rinascita, quella che passa per la movida in Costa Smeralda, per le festa con veline e tronisti, perché «la vita è una» e forse è meglio passarla in spiaggia che a San Vittore. Leggerezza che una parte della città non dimentica. A ricordarla uno spettatore, sventolando prima dell’inizio dello spettacolo, la fotografia di un Giampiero Fiorani in costume accanto a Costantino Vitaliano.



Insieme alle associazioni anche la gente comune non ha voluto mancare all’appuntamento. La politica latita, la società civile no. In una sala gremita nessun amministratore comunale.
Rassegna stampa - Il Cittadino, Francesco Gastaldi, 5 ottobre 2009.

Lodi ha voluto seppellire in fretta la stagione degli scandali bancari e sabato sera si è comportata allo stesso modo allo spettacolo di de’ Giorgi/Maffeis sui “furbetti del quartierino”. Spiccava soprattutto l’assenza del mondo politico locale, quel mondo che già il giorno dopo l’arresto del banchiere lodigiano (la notte di Santa Lucia del 2005) s’affrettava a cercare una “zona grigia” dove negare amicizie personali e favori chiesti fino alla settimana prima all’ex potente decaduto. Nessuno che fosse curioso di scoprire come un attore venuto da fuori avrebbe trattato il più grosso scandalo che abbia mai coinvolto la città. O di capire almeno se questa commedia - che i legali di Fiorani hanno cercato di bloccare fino all’ultimo - valesse la pena vederla o fosse una schifezza. In ogni caso, lo show è stato un successo di pubblico. I 250 posti dell’aula magna del Verri sono stati venduti tutti. La Lodi che conta ha disertato in massa. Quella della gente comune, invece, c’era.
I volantini sullo scudo fiscale
Un’ora prima dell’inizio dello spettacolo già molta gente è in coda per ritirare i biglietti prenotati. C’è anche una lista d’attesa piuttosto nutrita (una quarantina di persone) per chi il tagliando non ce l’ha e spera in defezioni dell’ultimo momento. Pochi di loro riusciranno a entrare. Di fronte all’improvvisato botteghino Giambattista Pera, segretario provinciale dell’Italia dei Valori, distribuisce volantini di Banca Etica contro il decreto sullo scudo fiscale fresco di approvazione alla Camera. «Il palco ideale per spostare l’attenzione su questa porcata di decreto», dice il dipietrista, riferendosi anche a quanti fra i "furbetti" all’epoca trasferirono fiori di milioni guadagnati con plusvalenze illecite sui conti all’estero. La minuscola sala si riempie velocemente. Gli organizzatori sistemano qualche sedia in più per non lasciare nessuno in piedi.
«Qualcuno ci sta registrando»
A riempire l’aula magna del Verri ci sono le associazioni che hanno promosso lo spettacolo e diversi curiosi. Assenti le istituzioni e la politica, sia quella che governava all’epoca e che venne coinvolta nello scandalo sia quella che è in sella oggi. C’è un consigliere provinciale (milanese), l’ex sindaco di Paullo Massimo Gatti; ci sono i rifondazionisti Enrico Bosani (segretario lodigiano) e Antonio Bagnaschi (ex assessore provinciale); e il dipietrista Pera. I rappresentanti di quei partiti che le distanze dal mondo della finanza allegra le hanno sempre prese. C’è anche un volto della vecchia Dc, Giuseppe Giannelli, da sempre professatosi amico personale di Fiorani. In prima fila ci sono Mario Gerevini (Corriere della Sera) e Vittorio Malagutti (L’Espresso), due dei tre autori (mancava Paolo Biondani) di “Capitalismo di rapina“, che più di ogni altro libro ha raccontato le imprese dei “furbetti“. «Mi aspettavo di veder comparire Fiorani da un momento all’altro - commenta Gerevini -; tempo fa l’avrebbe fatto. Evidentemente il tempo passa per tutti». «Lui non c’è - ribatte l’attore Giulio Cavalli - ma qualcuno starà senza dubbio registrando».
Politici ed ex collaboratori, tutti alla larga
Della giunta Ferrari, che governava negli anni dell’età dell’oro della Bipielle di Fiorani, c’è solo l’ex vicesindaco Paola Tramezzani (peraltro sempre contraria alle scelte urbanistiche che finirono nel mirino delle procure e decapitarono i vertici dell’ufficio tecnico di palazzo Broletto). Di quella attuale, nemmeno uno (solo alcuni funzionari dello staff del presidente del consiglio comunale Colizzi). Neanche l’assessore alla cultura Andrea Ferrari, che ha concesso la sala («E poi è sparito», commentano velenosi alcuni attivisti delle associazioni). Zero assoluto nel centrodestra. Nessuno dalla provincia, nessuno dal Pdl, nessuno dalla Lega (cui Fiorani salvò la banca Credieuronord). Nessuno tra i convolti nell’inchiesta. Nessuno tra gli allora dirigenti della Popolare. Un disinteresse “bipartisan“.


Cavalli: «Stasera un miracolo: è stato rispettato un diritto».
Rassegna stampa - Il Cittadino, Rossella Mungiello, 5 ottobre 2009.

«Oggi i giullari o vanno in giro scortati o finiscono in tribunale. Mi auguro che questa sera non ci sia stato profumo di linciaggio; se così fosse, sarò io il primo a scusarmi, di persona». Giulio Cavalli, è il primo ad intervenire nel dopo show. A chiamarlo sul palco è lo stesso de’ Giorgi, ringraziandolo per il sostegno morale alla sua battaglia. Provocatorio e divertente nel raccontare la visita dell’ufficiale giudiziario che ha recapitato al teatro Nebiolo il ricorso di Giampiero Fiorani («in cui Eugenio de’ Giorgi, che non esiste perché è il nome d’arte di Eugenio Maffeis, risultava domiciliato al Nebiolo, come se dormisse clandestinamente qui» ha scherzato l’attore lodigiano), Cavalli ha poi letto alcuni estratti della sentenza che ha dato il via libera alla messa in scena, soffermandosi sull’«oggettivo interesse pubblico della vicenda» richiamato dal giudice e sul «dissenso ragionato» dell’informare con l’arte della satira. «Mi fa paura un paese in cui la normalità è un’eccezione e in cui una vicenda di questo genere passa nel più totale silenzio - ha detto ancora Cavalli - ; questa sera è successo un miracolo, è stato rispettato un diritto». Ad intervenire per le associazioni che hanno sostenuto lo data lodigiana (Adelante!, Bottega dei Mestieri Teatrali - Teatro Nebiolo di Giulio Cavalli, Casa del popolo, Centro documentazione teatro civile, Circoscrizione locale dei soci di Banca etica della provincia di Lodi, Laboratorio per la città, Legambiente, Punto informativo Finanza etica, Rete Lilliput-Nodo di Lodi), Michele Merola. «Siamo stati intercettati dalla Digos nel 2002 perché in concomitanza con il Forex, qualcuno a Roma spacciava la nostra manifestazione per una finanza diversa come un attacco dei no global - ha detto Merola, ricordando l’interrogazione parlamentare dell’onorevole Andrea Gibelli - ; mentre Fiorani portava in alto il nome di Lodi, noi lo infangavamo. Eravamo in piazza a ricordare che la finanza non è solo speculazione e in questi abbiamo continuato a ricordare e parlare della vicenda. C’è una parte della città che non si è mai piegata allo strapotere di Fiorani». Merola si è poi rivolto alle istituzioni, assenti in sala, perché «noi pretendiamo che la politica decida da che parte stare, non può e non dev’essere neutrale tra chi ha patteggiato più di una condanna e i cittadini». Ospiti della serata anche due degli autori di Capitalismo di rapina, Mario Gerevini e Vittorio Malagutti. «Noi abbiamo scritto un libro ben più duro di questo spettacolo e lo stesso de’ Giorgi è andato in scena quindici volte a Milano, credo a toccarlo sia proprio questo luogo - ha detto Gerevini - ; mi aspettavo una cosa dal Fiorani che conoscevo, che fosse qui questa sera, seduto nel pubblico». Soddisfazione dall’autore per «essere riuscito a portare in scena lo spettacolo come previsto» e per l’accoglienza del pubblico lodigiano. «Hanno potuto constatare che non si trattava di una presa in giro, ma di una ricostruzione secondo la maniera della Commedia dell’arte che fa parte del mio percorso artistico - ha detto de’ Giorgi, poco prima di lasciare la città - ; il teatro a volte smorza i toni; la realtà supera di gran lunga la finzione».
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In tre a Roma per il congresso

Bosoni, Moretti e Ferrari andranno a Roma per l’appuntamento del 25 ottobre. Pd a congresso, eletti tre delegati. «Non possiamo farci male da soli».
Rassegna stampa - Il Cittadino, Matteo Brunello, 5 ottobre 2009.

Confermati i risultati delle elezioni di circolo, che hanno sancito la vittoria della linea Bersani nel territorio. Dopo un dibattito sulle relative mozioni, la convenzione provinciale Pd elegge i tre rappresentanti al congresso nazionale. E considerate le percentuali raggiunte, non c’è posto per rappresentanti del documento Marino. Andranno a Roma: il giovane David Bosoni e Monica Moretti (per la mozione Bersani); e Andrea Ferrari (assessore cultura del comune di Lodi) per l’opzione Franceschini. Nel corso dell’assise, 150 delegati che si sono riuniti sabato mattina al Capanno, è stata decisa anche un’iniziativa di censura nei confronti dei parlamentari democratici, assenti al voto durante lo scudo fiscale. E al termine del confronto, c’è stato tempo anche per una tavola rotonda con l’ex presidente della provincia di Lodi, Osvaldo Felissari, Alessandro Manfredi, responsabile organizzativo del partito, e il consigliere regionale Gianfranco Concordati.
Il congresso, guidato alla presidenza da Isa Veluti, è stato aperto da una relazione di Pasquale Briscolini, per lanciare una scuola di formazione alla politica. Un saluto iniziale è arrivato dal segretario uscente, Giuseppe Russo, hanno portato un loro contributo di riflessione anche esponenti di forze politiche alleate: Rifondazione comunista e Comunisti italiani, Sinistra e Libertà, Italia dei Valori. Poi si è entrati nel merito delle tre mozioni. Ad aprire le danze, i sottoscrittori dell’opzione Bersani. «La partecipazione a queste consultazione è stata decisamente buona e di qualità è stato il dibattito - spiega Simone Uggetti, assessore comunale a Lodi e schierato dalla parte dell’ex ministro - abbiamo però davanti una strada stretta e difficile, evitiamo quindi di farci male da soli». Per questo ha preso anche le distanze dalle dichiarazioni di Penati, che aveva invitato il segretario nazionale in carica a farsi da parte anzitempo. Il coordinatore della Franceschini, Federico Moro, ha sottolineato i risultati di affluenza ritenuti convincenti: «E ora abbiamo la necessità di consolidare il patrimonio raggiunto, con una forte mobilitazione delle primarie». Infine, Davide Fenini per la Marino (i voti accumulati nel territorio andranno sommati agli “scarti” di altre province): «Serve una svolta nel partito. E si parta anche con le nomine negli enti, che devono avvenire per competenza e non per cooptazione politica».Sullo sfondo la sfida prossima per le comunali di Lodi. E il presidente del consiglio comunale del capoluogo, Gianpaolo Colizzi suona la carica: «L’aria in giro non è brutta, le opere sono state fatte. Ma una sconfitta a Lodi metterebbe in ginocchio il partito». Infine il capogruppo del Pd in provincia, Felissari, ha invitato l’amministrazione di centrodestra di palazzo San Cristoforo a mettere in campo un maggiore sforzo per la crisi e per il lavoro.
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Africa: racconti di viaggio, un evento a Lodi

Riceviamo e volentieri pubblichiamo.


Africa: Racconti di viaggio.
Presentazione dell'associazione e dei progetti di intervento in Camerun e Togo.
Venerdì 9 ottobre 2009 ore 20.30 presso l'Oratorio di San Bernardo a Lodi.

L’associazione TamTam d’Afrique si è costituita nel 2006 e lavora nel territorio lodigiano.
È una associazione formata da persone provenienti dal Camerun, dal Togo e dall'Italia; opera in collaborazione con realtà africane quali, l'associazione Solidaritè, la Parrocchia di San Gabriele e il Monastero Cistercense di Koutaba (Camerun); l'associazione Environnement Propre e la Parrocchia Abobo Kpoguede (Togo).
Sostiene progetti di promozione del diritto alla salute e all'istruzione.
Numerose sono state le feste di piazza animate da TamTam d’Afrique, da anni partecipa attivamente alla realizzazione dell’iniziativa del Comune di Lodi “Viviamo insieme il nostro quartiere”, il gruppo dei musicisti di TamTam d’Afrique ha intrattenuto con musica e canti il pubblico dei Laus Open Games.
Attualmente l’associazione è impegnata nelle parrocchie per la celebrazione di messe cantate che si sono già svolte nella chiesa di Brembio, Ossago Lodigiano e alcune parrocchie di Lodi.
Ad agosto i membri dell’associazione hanno intrapreso un viaggio di solidarietà in Camerun e grazie alla generosità dei cittadini lodigiani hanno potuto portare al villaggio sito a Koutaba numeroso materiale scolastico.
Il soggiorno nel villaggio ha permesso a TamTam D’Afrique e all’associazione Solidaritè di Koutaba di lavorare intensamente e grazie all’importante sostegno economico di Tam Tam d’Afrique si sono realizzate le basi concrete del progetto di costruzione del dispensario farmaceutico.
Per parlare di tutto ciò e per meglio far conoscere l’associazione e i suoi obbiettivi che abbiamo pensato di organizzare una festa nelle giornate del 9 – 10 – 11 ottobre.
Saremmo veramente onorati di avervi nostri ospiti nella serata a tema e nelle altre giornate di festa di cui alleghiamo il programma.
Henri Tima (presidente)
M. Rosaria Russo (vicepresidente)


Venerdì 09 Ottobre 2009 ore 20.30
Oratorio di San Bernardo, Lodi
Africa: Racconti di viaggio
Presentazione dell'associazione Tam Tam d’Afrique
e dei progetti di intervento in Camerun e Togo


Domenica 11 Ottobre 2009 dalle ore 12.30
Casa del Popolo via Selvagreca Lodi
Pranzo Africano
con specialità dal Togo e dal Camerun
A seguire musica e ballo per tutto il pomeriggio….

(12 € per i soci della Casa del Popolo, 15 € per i non soci.
Prenotare al n. 320/2138594 entro giovedì 8/10)
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Le nuove lampadine sono un rifiuto speciale


Però non tutti sanno che le lampadine fluorescenti a risparmio energetico vanno smaltite in modo speciale e non gettate nel vetro o nel differenziato. È vero che il risparmio è pari all’80% rispetto alle normali lampadine, ma le fluorescenti contengono in realtà sostanze pericolose come il mercurio che deve essere pertanto separato dagli altri rifiuti e quindi, smaltibile soltanto presso le isole ecologiche.


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