(Avvenire - Gerolamo Fazzini)
Che in Cina Internet sia sottoposto a un ferreo controllo non è una novità. Il punto è che, sino a ieri, i provider internazionali si erano arresi, in nome del business e del ' così fan tutti', al diktat del governo cinese che impone filtri sofisticatissimi per monitorare ( e nel caso, togliere di mezzo) i contenuti ritenuti inopportuni che viaggiano in Rete.
Ora la musica potrebbe cambiare.
Dopo aver denunciato attacchi di pirati informatici alle caselle e- mail di attivisti e dissidenti cinesi, Google infatti ha dichiarato che potrebbe chiudere il proprio sito in cinese e lasciare il Paese. L’annuncio segna un punto di svolta. Sempre che, ovviamente, alle parole seguano i fatti. Sarebbe la prima volta che una società straniera si oppone in modo così coraggioso alle autorità cinesi, che non tollerano intrusioni quando c’è di mezzo la ' sicurezza nazionale'.
I primi ad augurarselo sono gli attivisti per i diritti umani e i dissidenti cinesi e, insieme con loro, la parte più consapevole dell’opinione pubblica cinese. La Cina è oggi il Paese con il più alto numero di utenti di Internet; sempre di più il web viene usato come veicolo di ' informazione alternativa', se non di aperta opposizione. Ma tutto ciò non piace affatto ai mandarini di Pechino, spaventati dalla prospettiva di un flusso ingovernabile di e- mail, testi, immagini e filmati. Specie quando ci sono di mezzo argomenti tabù come Tienanmen, democrazia, libertà e via dicendo.
Ma proprio sul fronte del web si gioca la nuova battaglia per il cambiamento. È grazie a Internet che i 303 firmatari iniziali del manifesto del dissenso cinese, ' Carta 08', sono diventati quasi 10mila in poco tempo. È grazie al web che dal Tibet e dallo Xinjiang sono arrivate in Occidente informazioni e immagini, poco gradite al regime, delle proteste e delle repressioni dei mesi scorsi.
Presidiare uno spazio di libertà su Internet è, dunque, cruciale: il duro giro di vite imposto nei mesi precedenti e durante i Giochi olimpici lo ha confermato una volta di più. Questo spiega come mai lo scorso luglio un migliaio di persone si siano radunate a Pechino, per un’innovativa forma di protesta, promossa dall’artista ' controcorrente' Ai Weiwei. Noto per aver progettato il Nido d’uccello, lo stadio delle Olimpiadi di Pechino, Ai Weiwei è uno dei più attivi nella battaglia per la verità sul crollo delle scuole nel terremoto del Sichuan.
Ebbene, in risposta all’intento del governo cinese di installare su ogni computer un nuovo filtro di controllo, ha lanciato un boicottaggio simbolico di Internet.
Non è l’unico caso del genere. Nel 2007 fece rumore la decisione di una donna, Yu Ling, di denunciare Yahoo davanti a un tribunale americano, chiedendo i danni per la detenzione del marito, Wang Xiaoning, noto dissidente, arrestato grazie proprio alla collaborazione fra la multinazionale statunitense e il formidabile apparato della censura cinese.
È un fatto che il popolo dei cyber¬dissidenti cresce a vista d’occhio, pur pagando un prezzo alto per la sua voglia di libertà: Amnesty calcola che siano una sessantina i prigionieri di questa categoria ( più dei ' giornalisti scomodi' della carta stampata).
Qualche nome? Li Zhi, condannato a 8 anni di reclusione per aver criticato la corruzione di funzionari locali in gruppi di discussione su Internet; Xie Wanjun, che aveva tentato di fondare in Cina il partito democratico ( decisivo anche in questo caso il contributo di Yahoo). Il volto più noto è quello di Shi Tao, che sta scontando una condanna a ben 10 anni di carcere inflittagli nel 2005.
Amnesty lo ha adottato come ' prigioniero di coscienza'.
Se la scelta di Google farà scuola, il sacrificio di tutti costoro non sarà stato vano. E il popolo cinese potrà sperare in qualche spiraglio di libertà maggiore.