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mercoledì 19 agosto 2009

L'inno delle regionali

Il Cittadino, oggi, nella rubrica "Lettere & Opinioni" pubblica una lettera di Paolo Cipriani, coordinatore provinciale del Partito repubblicano.
Giù le mani dall’inno di Mameli.
Rassegna stampa.

Dopo l’iniziativa dei senatori leghisti su inni e bandiere regionali e sull’introduzione dello studio dei dialetti nei programmi scolastici registriamo l’uscita del leader dei lumbard sul valore simbolico del Tricolore e sull’inno di Mameli, icone dell’unità d’Italia ambedue legate al Risorgimento.
L’Inno, nato nel 1847, fu scelto di nuovo nel 1946 dal governo dell’Italia di allora, tornata libera ed unita. Fu una scelta provvisoria, ma, curiosamente, rimasta tale, almeno da un punto di vista formale. Vari tentativi di renderlo definitivo con una integrazione della Costituzione nelle passate legislature non sono andati a buon fine. Eppure, quel Canto degli italiani, scritto da Goffredo Mameli nel 1847 e musicato da Michele Novaro nello stesso anno, è divenuto, insieme al Tricolore, il simbolo sonoro del Risorgimento prima e dell’Italia unita poi, passando attraverso varie vicissitudini sia durante il fascismo (che lo oscurò ) sia durante la Repubblica.
Ormai l’Inno di Mameli, (morto nel 1849 a ventidue anni a causa di una ferita rimediata nella difesa di Roma assediata dalle truppe francesi e papaline) lo cantano tutti. Musicalmente non sarà un’opera d’arte, forse è anche un po’ retorico, ma ormai è entrato nella testa e nel cuore degli italiani. È diventato, come dice il vero titolo, “il Canto degli Italiani”.
Il “Senatùr” vuole impedire agli italiani di cantarlo? Che ci provi! Dato il suo fiuto politico (che gli riconosciamo) siamo più propensi a pensare che egli stia facendo partire la campagna elettorale per le prossime elezioni regionali scaldando il suo popolo (che certo non conosce ed apprezza“il canto degli Italiani”) per accaparrarsi (corsi e ricorsi) il Lombardo Veneto.
P.S. Speriamo che, oltre a noi, qualcuno rammenti al Ministro Bossi ed ai suoi sodali che gran parte dei volontari risorgimentali erano lombardi e che la maggior parte dei Mille erano bergamaschi!!
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La Lega è consapevole del consenso

L'Ufficio stampa di Marco Rondini, deputato della Lega Nord, ha inviato alla rubrica "Lettere & Opinioni" de Il Cittadino un comunicato stampa pubblicato oggi.
Nord. I simboli sono sentiti dalla gente.
Rassegna stampa.

«Non stupisce il sì alle nostre proposte di salari differenziati e alle ronde previste del pacchetto sicurezza. Quanto alle bandiere regionali, che secondo la rilevazione, sarebbero poco apprezzate, penso che la domanda sia stata posta male. La realtà, ci racconta che i simboli locali e territoriali sono molto sentiti dalla gente». Lo afferma il deputato della Lega Nord e segretario provinciale della Martesana, Marco Rondini a proposito del sondaggio realizzato da Nicola Piepoli il 10 agosto e diffuso in esclusiva dal quotidiano online Affaritaliani.it. Alla domanda «il governo sta valutando di rapportare gli stipendi al costo della vita nell’area in cui si vive» i favorevoli sono stati il 58 per cento mentre i contrari il 34. I sì sono più numerosi al Nord e al Centro rispetto al Sud e alle Isole, dove comunque raggiungono un considerevole 50 per cento. Via libera anche alle ronde volute dal ministro dell’Interno Roberto Maroni. Favorevoli 53 per cento, contrari 42 per cento. Solo un quarto degli intervistati, si è detto invece favorevole all’affiancamento delle bandiere regionali al tricolore.
«Porre in essere politiche a favore del reddito osserva Rondini è una necessità incontrovertibile». Il parlamentare milanese, ricorda alcuni dati recentemente diffusi da Bankitalia, secondo i quali il divario del costo della vita fra Nord e Sud è del 16,5 per cento in più a svantaggio di chi vive sopra il Po. «A Milano sottolinea il deputato padano riferendosi sempre ai dati della banca centrale l’affitto di casa, una delle voci più pesanti sul bilancio familiare, arriva ad essere del 60% più oneroso che in Meridione a parità di tipologia di alloggio. È assurdo che per la nostra gente avere un tetto sulla testa sia un lusso!”. Netto il giudizio sulla questione ronde: «La gente le vuole e dove sono state fatte lavorare, come a Verona, ma anche con aMilano e Novara o con i volontari civici nelle “rosse” Bologna e Genova, hanno dato prova di funzionare bene. A questo punto, anche alla luce del sondaggio, vorrei sentire l’opinione dei sindaci di centrosinistra dell’hinterland milanese che hanno dichiarato di non volersene avvalere, come quello di Sesto San Giovanni o di Cinisello Balsamo».
Infine, sulle bandiere regionali, Rondini contesta l’esito della rilevazione di Piepoli. «Il divario fra favorevoli e contrari, mi sembra eccessivo. Evidentemente ipotizza il dirigente del Carroccio la domanda è stata posta male. I simboli legati al territorio sono molto amati, basti guardare cosa succede nello sport. Allo stadio, sia fra le tifoserie dell’Inter che del Milan (giusto per citare due delle squadre più seguite al Nord), sono centinaia le bandiere con la croce rossa in campo bianco che sventolano ad ogni partita. Molto più numerose dei tricolori. Lo stesso vale per altri simboli, come la bandiera ducale, che grazie al lavoro di diverse realtà culturali è stata ricoperta e valorizzata e oggi è molto diffusa in alcune provincie dell’Insubria, come Como e Varese».
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Altri 15 giorni in più, ma poi, obtorto collo... o no?

Piano rifiuti, quindici giorni di tempo in più per consegnare il nuovo testo in Regione.
Rassegna stampa - Il Cittadino di oggi.

La Provincia di Lodi ha 45 giorni di tempo per “sistemare” il Piano rifiuti, 15 in più rispetto alla prima scadenza comunicata dal Pirellone. La giunta regionale, infatti, ha approvato la diffida che esorta ufficialmente palazzo San Cristoforo ad adottare una serie di prescrizioni sullo smaltimento dei rifiuti. Fino a questo momento, il provvedimento non è ancora stato pubblicato sul Burl, il Bollettino ufficiale di regione Lombardia, ma lo sarà a breve. L’assessore regionale all’ambiente, Massimo Buscemi, ha sottolineato che le stime circa la produzione di rifiuti non sono sufficienti, soprattutto perché non stato previsto come smaltire inerti e speciali. Buscemi, inoltre, ha ribadito che non si tratta affatto di un «atto d’imperio», bensì di un «atto dovuto verso un piano adottato in maniera errata dalla precedente amministrazione». Nel caso in cui palazzo San Cristoforo non dovesse rispettare i tempi e le indicazioni previste dal Pirellone, si rischierà il commissariamento. Nel Piano rifiuti realizzato dalla giunta Felissari, il Lodigiano avrebbe dovuto smaltire 300mila tonnellate di inerti, una cifra ben lontana dai 2 milioni previsti dal Pirellone, una quantità che obbligherebbe la Provincia di Lodi ad attrezzarsi per lo smaltimento dei restanti 1,7 milioni di tonnellate. A riguardo non sono mancate le polemiche politiche: si tratta proprio dello stesso quantitativo garantito dalla discarica di Senna, un impianto che il territorio non ha nessuna intenzione di ospitare e contro cui ha ingaggiato una vera e propria battaglia. Per quanto riguarda la valle del Po, un’area che comprende anche il territorio di Senna Lodigiana, è stato da poco riconosciuto il vincolo paesistico. O meglio, sono scattate le misure di salvaguardia: «I documenti sono stati pubblicati all’albo pretorio del comune - spiega il presidente della Provincia, Pietro Foroni -, ad oggi l’iter non si è concluso ma ci sono le misure di salvaguardia». Questo significa che nel valutare la possibilità di un nuovo insediamento specializzato nello smaltimento rifiuti, si dovrà tenere in considerazione la particolarità della zona, protetta da un vincolo ambientale che impedisce la costruzione di discariche.
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La centrale è ancora oggetto di contesa

Greta Boni su Il Cittadino di oggi ci informa che Foroni ha incontrato i sindaci della Bassa per trattare con Sorgenia.
Il presidente della Provincia a colloquio anche con agricoltori e sindacati; Turano potrebbe restare fuori dall’accordo.
Centrale, si lavora per la convenzione.
Rassegna stampa.

La convenzione tra Provincia di Lodi e Sorgenia, la società che sta costruendo una centrale turbogas nell’area ex Gulf, si allarga anche agli altri comuni del territorio. Il presidente di palazzo San Cristoforo, Pietro Foroni, ha già incontrato i sindaci di Castiglione, Casalpusterlengo, Terranova, Turano e Mairago, per capire quali siano le esigenze del territorio; inoltre, anche se in via informale, ha avuto modo di confrontarsi con i primi cittadini di Cavenago e Secugnago. Per settembre è già previsto in agenda un appuntamento con il sindaco di Bertonico, Verusca Bonvini.
La nuova giunta, che si è insediata nel mese di giugno, ha bocciato la precedente convenzione, realizzata dall’amministrazione Felissari. Uno dei motivi che ha portato a questa decisione è, secondo quanto riferito dal presidente, il mancato coinvolgimento delle realtà che si trovano a pochi passi dall’impianto. «Ho incontrato anche gli agricoltori, i sindacati e le associazioni di categoria - spiega Foroni -, per cercare di capire che cosa si aspettano. Come ho sottolineato più volte, non abbiamo intenzione di cambiare tutto il testo del documento, alcune parti saranno riprese, come quella ambientale, che tenteremo di migliorare, e quella occupazionale. C’è poi il discorso economico, che deve ancora essere definito».
Secondo alcune indiscrezioni, è possibile che il comune di Turano resti fuori dalla nuova convenzione. L’amministrazione guidata da Umberto Ciampetti, infatti, ha chiesto a Sorgenia 22 milioni di euro per opere di urbanizzazione; il gruppo di De Benedetti ha fatto ricorso al Tar (Tribunale amministrativo regionale) per ottenere l’annullamento della nota con cui il municipio ha richiesto la somma. «Turano rivendica il pagamento degli oneri di urbanizzazione - dice Foroni -, non mi sento di pregiudicare la sua iniziativa, ma non ho nemmeno intenzione di rallentare i tempi per aspettare la decisione del Tar. Al momento non c’è nulla di definito circa la convenzione e i comuni che ne faranno parte, verificheremo tutti gli aspetti a breve e cercheremo di trovare una soluzione, in ogni caso sono abbastanza ottimista, il quadro sarà più chiaro a settembre-ottobre».
Le scelte della giunta turanese, però, non piacciono all’opposizione in consiglio comunale. Mauro Tresoldi, membro della precedente commissione ambiente, e Roberto Ginelli, capogruppo di “Turano nuova”, chiedono spiegazioni: «Vogliamo sapere il motivo per cui questa settimana presso l’area della centrale c’è stato un incontro tra i rappresentanti del comune, i referenti di Ansaldo energia e Sorgenia - incalzano i due esponenti del partito -. Perché non era presente nessun rappresentante provinciale? Sollecitiamo un incontro con i capogruppo consiliari al fine di chiarire, collaborando insieme sui temi di carattere generale, per affrontare ciò che riguarda tutti i cittadini e non solo una parte».
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Dall'anno prossimo più poveri i poveri del Lodigiano

Andrea Bagatta su Il Cittadino di oggi ci informa che a Zorlesco da dicembre dovranno andarsene i volontari che da 15 anni raccolgono i mobili in tutto il Nord per le famiglie bisognose.
Il comune sloggia i Lavoratori Credenti.
Eternit e buchi sul tetto: il centro di solidarietà deve essere chiuso.
Rassegna stampa.

Addio al Centro di solidarietà dei Lavoratori Credenti di Zorlesco: entro dicembre l’associazione di don Peppino Barbesta lascerà il capannone casalino nel quale procura gratis ai poveri i mobili e l’arredamento usato. Dietro la decisione, ufficialmente presa in accordo tra associazione e amministrazione comunale, ci sono alcuni rilievi tecnici mossi dalla nuova giunta di centrodestra alla struttura. In particolare il capannone comunale usato dall’associazione non ha alcun collegamento all’impianto elettrico, gli oltre 350 metri quadrati di tetto sono realizzati ancora in ondulina con amianto e perdipiù ci sarebbero dei buchi nel soffitto dai quali passerebbe l’acqua piovana, mancano completamente la pavimentazione e i servizi igienici, non ci sono porte tagliafuoco e uscite di sicurezza e nessuna dotazione antincendio, nonostante all’interno vi siano accatastate decine e decine di mobili in legno.
«L’area è del tutto inadatta a un’attività di quel tipo - spiega il sindaco Flavio Parmesani -. Proprio come per la moschea, senza fare discriminazioni di alcun tipo e tantomeno di carattere religioso, siamo costretti a intervenire per questioni di sicurezza degli edifici. Sulle problematiche della struttura di Zorlesco hanno concordato anche i responsabili del centro, che infatti si sono detti disponibili a lasciarlo entro pochi mesi». Il capannone è di proprietà comunale e si trova nel recinto del centro raccolta rifiuti di via IV Novembre. All’interno, anche oggi che pure il centro è ufficialmente chiuso per ferie, si trovano armadi, letti, camerette intere, cucine e mobili di qualunque tipo, alcuni sacchi di vestiario, accessori di cucina, servizi di piatti, pentole e altri oggetti d’uso domestico più comune. I volontari del centro vanno in giro per tutta la Lombardia e per l’Emilia Romagna per smontare, caricare e trasportare i mobili in disuso, quelli destinati a essere buttati per il rinnovo dell’arredamento nelle case delle famiglie normali. Se non ci sono danni e sono ancora in condizioni accettabili, i Lavoratori Credenti li prendono e li portano a Zorlesco.
Qui, ogni sabato mattina, quaranta o cinquanta persone, quasi tutte straniere, vengono a vedere i mobili, scelgono quelli adatti alle proprie esigenze e alle proprie case e se li portano via. Arrivano al mattino presto, e qualche residente si lamenta della loro presenza, ma incidenti non ne sono mai capitati. Spesso, i volontari li portano direttamente nelle abitazioni di chi che ne aveva fatto richiesta per tempo. «Vengono tutti qui - dicono Sante ed Enrico, due dei volontari storici del centro -. Si trovano famiglie intere di brava gente, qualche furbo che pensa di venire a fare affari, chi se ne approfitta e chi ha vergogna a chiedere. È un’umanità varia, senza dubbio, ma spesso quando consegniamo troviamo case molto spoglie, dove la povertà è reale».
Nel centro vengono smistate 2 mila consegne l’anno, qualche volta piccoli soprammobili altre volte camere intere, e la povera gente arriva a prenderli da Brescia, da Bergamo, da Piacenza. Inoltre, è attivo un servizio di riparazione biciclette che garantisce il recupero di un centinaio di mezzi l’anno. Il tutto è fatto dai volontari dietro offerta libera, per il pagamento delle spese di trasporto e per sostenere le attività di don Barbesta. Dopo più di 15 anni di attività, ora il centro di Zorlesco va verso la chiusura e, anche se esiste un’ipotesi di trasferimento a Codogno, difficilmente riaprirà con le stesse caratteristiche. Dall’anno prossimo, i poveri del lodigiano saranno più poveri.
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Cani e pendolari

Francesco Dionigi ci racconta su Il Cittadino di oggi che a Casale i cani sono affidati all’Associazione zoofila che rilancia l’adozione a distanza.
Il comune sborsa 15mila euro per i trovatelli a quattro zampe.
Rassegna stampa.

I cani abbandonati costano al municipio di Casalpusterlengo quasi 15mila euro all’anno. L’amministrazione comunale ha infatti stipulato una apposita convenzione con l’Associazione zoofila lombarda di Casalpusterlengo, che prevede la custodia ed il mantenimento dei cani randagi per un importo di poco superiore ad un euro al giorno per ogni esemplare. La giunta municipale ha quindi deliberato di assegnare, per il secondo semestre del 2009, un importo di 7.350 euro a favore dell’associazione locale, che prevede di sfamare e custodire una trentina di animali abbandonati con un costo ipotizzato di 1,03 euro al giorno per cane. Nel contempo prosegue da parte dell’associazione lodigiana l’iniziativa allo scopo di aiutare i volontari del gruppo nelle cure e nel mantenimento dei cani abbandonati e ora ospiti del rifugio casalese. Si tratta di un progetto di “adozione a distanza” che, grazie al contributo di chi aderisce, consente di mantenere uno di questi cani abbandonati, ricevendo a casa direttamente un attestato di adozione con la foto e la storia del “trovatello” che si è deciso di adottare e che si può andare a trovare quando si vuole.
L’Associazione zoofila lombarda è un sodalizio senza fini di lucro nato nel 1991 per volontà di un gruppo di persone che si sono poste un obiettivo in comune: costruire un rifugio per salvare tanti poveri cani abbandonati. I volontari si fanno carico anche di offrire supporto e aiuto per eventuali casi di maltrattamento, norme condominiali, amici degli animali in difficoltà.
Da segnalare inoltre che se il cane adottato ha più di 7 anni, l’Adica si fa carico dei costi di vaccinazione annuali e della profilassi della filaria per i futuri cinque anni.

Mario Borra su Il Giorno di oggi ci racconta invece dell'ennesima disavventura sulla Milano-Piacenza.
L’aria condizionata si rompe Pendolari costretti alla sauna.

L’impianto di condizionamento non funziona e i pendolari sono costretti a viaggiare in un autentico forno. Nuova disavventura, lungo la tratta Milano-Piacenza, per i viaggiatori della Bassa Lodigiana e piacentini che, a bordo del Regionale in partenza alle ore 18 e 34 dal capoluogo lombardo e diretto a Bologna, hanno dovuto sopportare l’ennesimo disagio. «A bordo ci saranno stati quasi cinquanta gradi — ha spiegato Massimiliano Davoli, il pendolare che ogni giorno registra tutte le magagne lungo la tratta —. Naturalmente il treno era anche in ritardo ed inoltre l’unica carrozza con “struttura” da prima classe è stata declassata e non si sa il perché. Ho visto addirittura qualche pendolare viaggiare in piedi, non per la mancanza di posti, ma nel tentativo di abbassare la temperatura percepita visto che sui sedili era allucinante». Poi all’altezza della stazione di Secugnago, la beffa. «L’altoparlante ci ha avvisato che, a causa di problemi di circolazione, il treno viaggiava con un ritardo di tredici minuti».
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«Vivere il parco del Brembiolo»

Parco del Brembiolo, finita la prima fase della riqualificazione.
Rassegna stampa - Il Cittadino di oggi.

È stata completata la prima fase del progetto, denominato “Vivere il parco Brembiolo” gestito dal comune di Casale, ente capofila che con Brembio, Somaglia e Fombio formano il comitato di gestione del Parco locale di interesse sovracomunale del Brembiolo che si sviluppa attualmente lungo il corso d’acqua di oltre 23 chilometri che attraversa la campagna e i paesi con una storia secolare alle spalle. Un parco che ha ottenuto il riconoscimento regionale che si pone come obiettivo una sua valorizzazione come momento di coesione ecologico-ambientale del territorio basso lodigiano bagnato dal Brembiolo e che punta ad un raddoppio della propria superficie, attualmente di 274 ettari. Ora mancano sole le adesioni dei comuni di Ossago e Codogno per coprire il percorso del colatore che si forma ad Ossago e, dopo aver attraversato i centri abitati di Brembio, Zorlesco e Casale, tocca i territori di Codogno e Somaglia e a Fombio sfocia nella Mortizza, antico alveo del Lambro. Il progetto “Vivere il parco Brembiolo” è stato finanziato da parte della Fondazione Cariplo che ha emesso un apposito bando di concorso 2008 sul tema “Tutelare e valorizzare le biodiversità”. Il progetto prevede un finanziamento di 75mila euro, di cui 45mila dalla Fondazione Cariplo ed altri 30mila euro a carico del comune casalese, e si sviluppa in due distinti interventi. Il primo di questi è stato completato ad opera della ditta Antonio Fasoli di Santo Stefano per un importo di 35miila euro e riguarda la zona boschiva a Zorlesco, limitrofa al centro sportivo di via Vistarini. La seconda fase del progetto riguarda invece il corso del Brembiolo nel tratto tra Zorlesco ed il capoluogo con la creazione di una pista ciclopedonale lungo le sponde oltre a quattro punti di sosta, ognuno di circa 24 metri quadrati, dotato di panchine in legno per il riposo e bacheche informative, oltre a due aree predisposte per la pescasportiva, realizzando due veri e propri pontili con assi e pali di sostegno in legno, sfruttando le alte rive del Brembiolo nel tratto comunale casalese.
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L'aumento di nidi privati segnala un bisogno

Cristina Vercellone su Il Cittadino di oggi ci dice che i nidi privati nel Lodigiano hanno una crescita superiore anche alla media nazionale: pure le rette sono elevate e il pubblico dovrebbe fare qualcosa in più.
Nidi privati, in provincia è un boom.
In un anno gli spazi per i piccoli sono aumentati del 50 per cento.
Rassegna stampa.

Boom di asili nido privati. In provincia di Lodi sono cresciuti del 50 per cento circa in un anno, più che nelle altre province lombarde. Solo Lecco e Pavia con un più 42 e 26,7 per cento hanno segnato una crescita discreta. Ma Lodi, con le sue 9 strutture, è in cima alla classifica, superando anche la media nazionale che si attesta su una variazione del 13 per cento.
I dati sono quelli elaborati dalla Camera di commercio di Milano. In Lombardia, le imprese per l’infanzia, in un anno, sono cresciute del 12,8 per cento, passando da 549 del 2008 a 619 del 2009. Gli asili privati lodigiani rappresentano l’1,5 per cento di quelli lombardi, lo 0,3 di quelli italiani. Resta invariato e fermo a 4, invece, il numero delle scuole materne. In calo, invece, del 7,7 per cento, il settore del commercio al dettaglio di prodotti per bambini e neonati. Per quest’ultimo aspetto, infatti, Lodi è la provincia dove il settore ha registrato sintomi di crisi più forti. I negozi per l’infanzia del Lodigiano rappresentano l’1,7 per cento di quelli lombardi, lo 0,2 di quelli nazionali.
Se gli asili nido privati però crescono, crescono anche le tariffe per le famiglie. La media della retta più alta, infatti, supera i 700 euro. In quelli comunali, invece, la tariffa varia dal reddito della famiglia: si va da un minimo di 80 a un massimo di 585 euro. Per quanto concerne la flessibilità degli orari, però, il privato riesce ancora a garantire un’offerta più vasta rispetto alle strutture comunali. Secondo l’assessore ai servizi sociali del comune di Lodi, Silvana Cesani, manca una politica nazionale che consenta alle amministrazioni comunali di ampliare l’offerta. «Il bisogno da parte delle famiglie è aumentato - spiega Cesani -. Tanti anni fa l’asilo nido era l’ultima spiaggia, c’erano i nonni e la famiglia allargata. Poi i nidi pubblici sono diventati servizi di carattere educativo, le mamme hanno iniziato a lavorare fuori casa e le famiglie si sono rimpicciolite. La richiesta di inserimento all’asilo però, da bisogno si è trasformata anche in una scelta. È stato dimostrato, infatti, che laddove si lavora bene anche per il bambino l’asilo è un'offerta educativa importante, oltre che una sicurezza per i genitori».
L’offerta pubblica, nel Lodigiano, è rimasta uguale negli anni e di conseguenza sono fiorite le iniziative imprenditoriali. «Secondo me - ammette l’assessore - bisognerebbe aumentare il numero dei posti negli asili nido pubblici. Ci vorrebbe una legge nazionale che permettesse di aprire strutture e dare risposte pubbliche più complessive. Il finanziamento per la gestione dei nidi pubblici, invece, è molto ridotta. Manca la cultura della crescita e della cura dei bambini piccoli. Penso sia importante che ci siano delle risposte di fronte a dei bisogni emergenti. Ci vorrebbero però dei fondi dello Stato dedicati alla cura e alla crescita dei minori, anche per mettere in rete tutte le esperienze. Oggi è impossibile. Il privato può gestire l’attività come vuole. Fortunatamente hanno almeno degli standard da rispettare».
A luglio gli asili comunali di Lodi contavano circa una trentina di famiglie in lista d’attesa. «Al momento della chiamata però - aggiunge Cesani -, succede sempre così, la lista d’attesa viene scremata. Le famiglie, infatti, pur di vedersi assicurato un posto iscrivono i bambini dappertutto. Nel nido pubblico la retta è più adeguata alle finanze delle famiglie». L’assessore lamenta «il taglio di risorse dal fondo nazionale minori, nell’ultima finanziaria. Quella dell’asilo - ribadisce - è una risposta fondamentale che l’ente pubblico deve dare alle famiglie. Poi il pubblico è una garanzia. A parte le strutture di Lodi, conosco anche quelle degli altri comuni. Sono garantiti orari di lavoro, standard di rapporti tra educatrici e bambini e standard strutturali rispetto a giochi e attrezzature. Su questi aspetti il controllo è molto ferreo. Dal punto di vista della qualità, la certificazione è sotto gli occhi di tutti. Anche i nostri due asili hanno ottenuto la certificazione. In qualsiasi momento possono dimostrare la loro validità».
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La Ercole Marelli come l'Innse

Dal 24 luglio in lotta, caso gemello dell'Innse.
Ercole Marelli, presidio permanente mentre si attende il compratore.
Rassegna stampa - Fabrizio Salvatori, Liberazione di ieri.

Contrariamente a quanto ha annunciato l'attuale amministratore delegato Ermes Giuffrè, non sarà oggi il giorno in cui si presenterà il "mitico" compratore della Ercole Marelli, azienda che nei tempi d'oro dava lavoro a più di settemila tute blu. Tuttavia, i ventuno dipendenti, continueranno a tenere in piedi «a oltranza» l'assemblea permanente che ormai va avanti dal 24 luglio. Salvare l'impianto dalla bancarotta per debiti ormai è diventata una sfida che ognuno di loro vive come una sfida personale, oltre che sindacale. I grossi macchinari per produrre generatori per centrali idroelettriche sono fermi ma il lavoro, almeno per il momento, non mancherebbe. Le commesse sono per grandi aziende del settore energetico, come Edison, Enel e General Electric. A fare la differenza fino ad oggi è stata una cattiva gestione delll'azienda. Gestione che, secondo alcune stime, potrebbe aver prodotto un buco non inferiore ai dieci milioni di euro. «Finora ci hanno accreditato tutti gli stipendi, senza però versare i contributi pensionistici», spiega Fabio Palumbo, che ha lavorato alla Innse di Milano fino al 2002, prima di approdare alla Ercole Marelli. Sugli stipendi di agosto, tuttavia c'è un grosso punto interrogativo. La loro è una protesta corale e trasversale, che coinvolge operai generici e specializzati, ingegneri e personale amministrativo. Tutti nel capannone, dove dormono a turno per impedire lo sfratto e dove hanno appena trascorso il Ferragosto con una grande grigliata alla quale hanno partecipato amici e parenti. «La proprietà per anni ha accumulato debiti», continua Palumbo. «Con lo Stato italiano, con i fornitori, con le banche e con la Alstom», la multinazionale francese del settore energia che affitta il capannone alla Ercole Marelli e che l'11 giugno ha fatto notificare lo sfratto. «Il lavoro ci sarebbe - spiega Luca Calciolari, da otto anni dipendente della Ercole Marelli - quello che manca è una dirigenza seria. Per questo abbiamo deciso di occupare, e di andare avanti a oltranza fino a quando non arriverà un nuovo compratore». A Sesto San Giovanni le fabbriche che solo trent'anni fa davano lavoro a migliaia di persone hanno chiuso i battenti. Attorno ai capannoni sono spuntati palazzi, uffici e sedi amministrative di grandi aziende, in quello che era uno dei più grandi poli industriali del Nord Italia. Le vie portano ancora i nomi delle storiche aziende che hanno esportato la tecnologia made in Italy in tutto il mondo. Falck, Breda e, appunto, Ercole Marelli. «Speriamo in bene, la storia dell'Innse ci ha dato un filo di speranza. E, se andrà male, anche noi abbiamo i nostri carri ponte», conclude Calciolari.
Secondo Franco Arrigoni, segretario generale, la Ercoli Marelli è una azienda «fortemente danneggiata da una gestione dissennata». «Ha comunque il diritto a continuare a vivere - aggiunge - perché esegue produzioni pregiate e con un mercato sicuro. I lavoratori e il sindacato vogliono che la Ercoli Marelli stia in piedi».
Alla fine degli anni '50 il gruppo contava 7 mila dipendenti, produceva ventilatori e motori elettrici per navi, aerei, centrali elettriche. Negli anni ' 80 la crisi, irreversibile, con la chiusura dei vari rami d' azienda. «Gli operai hanno rinunciato alle vacanze - spiega Marco Giglio, sindacalista della Fim Cisl - pur di restare in fabbrica a difesa del posto. Questa azienda ha futuro, chiuderla sarebbe una beffa, oltre che un danno per l' economia».
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Solo una battaglia di retroguardia

Sempre sulla questione del dialetto il quotidiano di Rifondazione Liberazione nell'edizione di ieri ha pubblicato due articoli che riportiamo. C'è da dire che comunque la si veda, la querelle sull'inno e sul dialetto che si è sviluppata in questo caldo agostano appare comunque una battaglia di retroguardia. Inevitabilmente l'Europa delle Regioni, che è il futuro, non può che nascere dalla disgregazione degli stati nazionali così come oggi li stiamo vivendo: un processo lungo sicuramente ma oramai irreversibile.
I due articoli sono introdotti da un occhiello significativo dell'antagonismo tra il Prc e la Lega su fondati motivi: Il recupero delle nostre radici così come è stato progettato dalla Lega avviene attraverso una "propaganda dell'esclusione"; e da un titolo che fa il punto sull'obiettivo bossiano dell'uso dell'«arma» dialetto: Il maligno intento di recuperare la tradizione per marcare la differenza, anche linguistica.
Veniamo al primo articolo di Barbara Beneforti.

Ho nel cassetto una laurea in dialettologia italiana, rispolverata soltanto per alcune rare pubblicazioni locali. Tuttavia la boria dialettofona sbandierata in questi giorni dai boss leghisti mi incoraggia ad esprimere un'opinione sulla questione dell'insegnamento dei dialetti. La Lega non solleva un problema nuovo. L'Italia ha una storia secolare di frammentazione linguistica, tanto che al momento dell'Unità l'italiano non era parlato che da un'esigua minoranza di popolazione agiata. Per agevolarne l'apprendimento, i programmi scolastici inviatavano i maestri ad evitare le espressioni dialettali e il fascismo esasperò questa politica. Dopo, complici i movimenti migratori interni e la diffusione della tv, le stesse famiglie proteggevano i figli dal dialetto, temendo gli insuccessi scolastici.
Solo negli anni '60 e '70 ci fu una valorizzazione dei dialetti nei loro aspetti storici e culturali, come strumento per l'insegnamento dell'italiano e come oggetto di studio interdisciplinare. Un interesse sacrosanto, poiché l'insegnamento dell'italiano trascurava la realtà di partenza degli alunni e proponeva una lingua ingessata, studiata sui libri ma con la quale le nuove classi sociali finalmente affacciatesi nelle aule non erano a proprio agio nella vita quotidiana. Era un interesse che si accompagnava a un tentativo di riscatto delle classi subalterne, che dette luogo a un uso del dialetto in letteratura e in musica, lungo un filone fortunatamente mai esaurito, che va - pescando a caso - da Buttitta a Camilleri, da De André fino al recentemente scomparso Ivan Della Mea. Poi, negli ultimi decenni, l'uso dei dialetti è diminuito, sono entrate nel sistema italofono altre lingue, tv e internet hanno moltiplicato le varietà linguistiche con le quali veniamo a contatto. Ecco dunque le proposte di "salvezza" dei dialetti, ma con vari problemi: quale dialetto insegnare, locale o regionale? Di quali indicatori deve tener conto la scelta degli insegnanti, la nascita, il Dna, il titolo di studio? Un alunno che cambia casa studia il veneziano fino alla seconda e il romanesco dalla terza in poi? E così via.
Ora la Lega innalza barriere attorno ai singoli localismi, più o meno geograficamente estesi. Vanno in questa direzione il pacchetto sicurezza con la criminalizzazione di ogni presunta differenza e devianza, il regionalismo fiscale, le gabbie salariali, nonché il progetto di salvaguardia dei dialetti, con il maligno intento di recuperare la tradizione al solo fine di marcare una differenza, un "altro da noi", anche linguisticamente estraneo. La minoranza cerca di proteggersi, conservando i propri particolarismi e isolandosi dagli altri. La causa di molti conflitti sta nel semplice fatto che "gli altri" sono "diversi", un po' come nel racconto biblico del libro dei Giudici, dove i galaditi uccisero 42 mila efraimiti riconoscendoli dal modo con cui pronunciavano la parola scìbbolet. La cosa noiosa di questa alzata d'ingegno della Lega è la reiterazione del danno, uno sfacciato martellamento di proposte malsane. Allora è meglio ribadire che la scuola italiana, quanto meno prima del ciclone-Gelmini, era una scuola decente, dove la didattica della lingua cercava di valorizzare il patrimonio locale, ma insegnando a padroneggiare la più ampia gamma possibile di varietà linguistiche, dall'italiano formale fino a quelle colloquiali e dialettali che ciascuno di noi ha il piacere di utilizzare quando parla con i propri amici. Considerando la varietà come arricchimento, in un quadro in cui si intrecciano fatti linguistici, sociali e culturali. All'interno di questo contesto, ogni insegnante della mia città, mentre insegna che strumento meraviglioso può essere ogni lingua, dovrà tener conto che da noi la parola cannella significa rubinetto e che granata significa scopa, e che tutte quante queste parole fanno parte del nostro patrimonio, cosa che ci consente di scegliere quella più adeguata per ogni specifico atto comunicativo. Mi pare che in questa estate narcotizzata stiamo prestando poca attenzione al fatto che allorché il recupero delle nostre radici non avviene con l'intento di costruire un saldo basamento per affrontare le sfide del presente, ma avviene attraverso una "propaganda dell'esclusione", a questo deve essere opposta un'alternativa sensata, combattendo con ogni forza civile e morale perché, senza che ce ne accorgiamo, quella popaganda dell'esclusione non si trasformi in pogrom.

Ecco il secondo, esagerato e non solo un po' "risorgimentale" di Angelo d'Orsi, che sarà un bravo compagno, ma fa fatica a leggere le prospettive europee, troppo legato riguardo alla nostra penisola alle cose imparate da una scuola che ancora oggi risente di molta tradizione fascista.
Dietro sciocchezze e proposte che fanno sorridere c'è invece il disegno di spaccare un'Italia sull'orlo della balcanizzazione.
Statalisti, centralisti e patriottici contro la Lega nessuna esitazione.
Le ultime dichiarazioni di leaders leghisti/nordisti stanno animando la vita pubblica, un po' ottenebrata sotto il caldo sole d'agosto. Il rischio, oltre al disinteresse estivo per la politica, è quello solito, di guardare a quanto giunge dal partito che ha usurpato il glorioso simbolo del Carroccio, come alle sparate degli ubriachi di mezzanotte, o come alle chiacchiere dei cacciatori che al bar raccontano balle sulle loro performances in doppietta.
Da tempo, in realtà, dietro le provocazioni di Bossi, Calderoli, Maroni & Co., affiora un disegno, che, come ha ricordato il vecchio saggio Carlo Azeglio Ciampi, è semplicemente quello della dis-unità d'Italia. A cominciare dal federalismo, come lo propone, anzi lo impone ai recalcitranti alleati, la Lega Nord (è ora di smettere di parlare semplicemente di "Lega", nome nobile per cose nobili: si pensi alle leghe contadine alle origini del movimento socialista italiano: bisogna aggiungere quella specificazione regionale, cosa a cui del resto gli adepti tengono più di tutto. Nordisti, bisogna chiamarli, piuttosto!). Il federalismo nasce, di regola, come un prodotto di federazione, appunto, ossia di unione tra entità locali, non nasce, come finge di intenderlo Bossi, come uno strumento di frammentazione. Ci si federa, insomma, tra entità che sono distinte, per difendersi meglio, per produrre maggior reddito e dunque benessere per tutti; non si crea, invece, la federazione da una entità unica, per spezzettamento della stessa. Dunque, il federalismo, a cui colpevolmente la quasi totalità dello schieramento politico nazionale si piegò, facendo una specie di gara a chi per prima lo aveva proposto, è una proposta sbagliata e perversa. Antinazionale. E, necessariamente, posticcia, e antieconomica. Perché non lo si dice, a chiare lettere? Perché non si oppone un necessario statalismo, a questa sciagurata versione del "federalismo"?
Acquiescenti, in larga parte, verso il federalismo antiunitario, politici e opinionisti ora sorridono davanti alle ultime boutades dei signor Nessuno della Lega Nord, (ir)resistibilmente ascesi a sogli ministeriali o di guide parlamentari. E non si rendono conto che dietro le trovate caserecce, e non di rado pecorecce delle "camicie verdi" c'è la teorizzazione di un Paese egoista e menefreghista, un Paese dove la gente "si fa i fatti suoi", dove le tasse è meglio non pagarle e se proprio si debbono pagare, bisogna che vengano non redistribuite a tutti i cittadini, sotto forma di servizi di cui si avvantaggino in primo luogo i meno abbienti, i più disagiati; no, devono essere "restituite" a chi le paga, nel territorio dove egli le versa. Una concezione del fisco che farebbe rabbrividire un qualsiasi economista liberale. Ma perché gli economisti liberali, o i liberali economisti e non, tacciono? O la mettono sul ridere? Dietro la proposta del test dialettale, o di conoscenza della storia locale, o della introduzione dell'insegnamento e dello studio del dialetto (pardon: degli "idiomi locali"), dietro il grottesco attacco all'Inno di Mameli e dietro le sciocchezze sulle bandiere regionali (con altrettanti inni!), dietro le feste padane, dietro le gare sportive o i concorsi per Miss questo e Miss quello, all'insegna della stessa pseudo-nazione padana, c'è il progetto di spaccare l'Italia.
È un'idea poco originale, altre volte presentatasi nella storia. Si pensi alla secessione del Katanga, nei primi anni Sessanta del ‘900, che provocò una guerra e molti lutti: era la zona più ricca, per via delle miniere diamantifere, del Congo. E sotto sollecitazione esterna (compagnie franco-belghe dei diamanti), si arrivò a creare un effimero Stato indipendente. Fu proprio in quella vicenda che il primo ministro della neonata Repubblica democratica del Congo, Patrice Lumumba, liberamente eletto, fu rapito e ucciso (per ordine diretto di Eishenower, si è scoperto ora). La secessione aveva un chiaro significato economico, di riduzione dei beneficiari della ricchezza, come si sta tentando ora in Bolivia, sempre su sollecitazioni di multinazionali; e di controllo sulle sue fonti. Ma ogni secessione è miope, in realtà; riducendo i beneficiari della ricchezza prodotta in loco, si riduce anche il mercato. Se il Nord abbandona "la zavorra" del Sud, come andranno le sue esportazioni? Come andrà il turismo? Scacciati gli insegnanti e gli impiegati meridionali, come funzioneranno scuole e burocrazia? E così via.
A differenza del Katanga, che fu una mossa improvvisa e di tipo militare - un golpe, insomma - i nostri nordisti stanno preparando il terreno, passo dopo passo. I loro ballon d'essai , lasciati passare, magari tra un sorriso e un gesto di fastidio, poco alla volta, creano senso comune. E prima o poi, ci troveremo balcanizzati. Perché alla secessione del ricco Nord, come risponderà, che so?, la Toscana? Dove andrà? Con la Padania? O con la "Repubblica del Mezzogiorno"? Insomma, è il caso di prenderli sul serio, i nordisti. E di dare battaglia, fin da ora. Sull'inno, sul tricolore, sui dialetti. E rimetter in discussione un federalismo spurio e pericoloso. E se si tratta di lottare contro costoro, e i loro disegni politici, non dovremo avere paura di passare per statalisti e centralisti, persino patriottici. Contro la pseudo-nazione "padana", rilanciamo i valori italiani, che stanno, tutti, nello straordinario crogiuolo che storia e geografia hanno disegnato, dandoci Napoli e Trieste, gli Appennini e le Alpi, il Po e il Tevere, Dante e Giordano Bruno, Garibaldi e Cavour, Porta Pia e Don Milani. E oggi si aggiungono nuove ricchezze umane dal Sud e dall'Est del mondo, contro cui, non a caso, proprio i leghisti/nordisti sbraitano, con la stessa colpevole ignoranza e lo stesso disinvolto cinismo con cui procedono verso la tentata dis-unità d'Italia. No pasaran!
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Milano e il dialetto

Il dialetto è stato rilanciato dalla polemica politica agostana. Lunedì La Repubblica edizione di Milano informava delle offerte di corsi nella città meneghina.
Dialetto: corsi e offerte in città.
Ma il milanese si studia anche online.

Il presidente dell’Accademia del dialetto Gianfranco Gandini, ha sottolineato che la nostra "lingua locale" ha diverse grammatiche e dizionari, e consta di letteratura copiosa. Per questo, non dovremmo dimenticarlo, ma studiarlo.
Rassegna stampa.

Studiare il dialetto? A Milano sono già numerosi i corsi dove la "lingua locale" viene approfondita, studiata e analizzata e anche sul web non mancano le occasioni per prendere lezioni. Insomma, i nostalgici della lingua dei nostri nonni ci sono già e così la proposta-provocazione del leader del Carroccio Umberto Bossi trova in città terreno fertile. Si impara a parlare milanese ai corsi dell’Ufficio Tempo libero del Comune. L’anno scorso il programma prevedeva due corsi uno di base e uno avanzato.
Ma corsi di dialetto li propone anche il Circolo filologico milanese, oltre a un corso di storia milanese; l’Università della Terza età ha attivato un Dipartimento ad hoc dedicato ad arte cultura e tradizioni milanesi: si insegna il dialetto, ma sono numerosi anche i corsi di storia e letteratura milanese.
L’associazione culturale "El Pontesell" ha fatto del recupero del dialetto un vero e proprio manifesto culturale. Negli scorsi anni, infatti, lontano dalle polemiche agostane di oggi, l’associazione aveva lanciato un progetto di recupero della lingua dialettale intitolato "Ritroviamo il milanese", con un dettagliato programma di lezioni che spaziavano dalla grammatica alla storia e alla letteratura. Attività di recupero e conservazione della memoria che persegue anche l’Accademia del dialetto milanese.
Oltre ai programmi di associazioni ed enti, però, il dialetto si è tenuto al passo coi tempi. È così che on line sono diversi i corsi di milanese disponibili. Dal sito elmilanes.it a melegnano.net/meneghino, al sito canzon.milan.it, vera e propria miniera di informazioni in materia, fino ad un singolare prontuario in inglese per chi voglia districarsi con il dialetto all’indirizzo http://www.geocities.com/CollegePark/Dorm/5401/milano/milanese.htm sotto la voce “language of milan”.
Riguardo alla proposta del leader del Carroccio Umberto Bossi sul dialetto a scuola, Gianfranco Gandini, presidente dell’Accademia del dialetto milanese e docente di dialetto meneghino ai corsi del tempo libero del Comune, ha voluto rispondere: "Se dobbiamo parlare di qualcosa rispettiamo ciò di cui si parla per evitare grossolanità. Non do ascolto a questa diatriba politica, valuto il dialetto per il suo significato storico e culturale e da questo punto di vista dico sì, è giusto che i giovani lo approfondiscano".
Secondo Gandini, anche autore di numerosi volumi in milanese e in italiano, il dialetto "è la cassaforte che conserva valori intrinsechi alla nostra cultura e alla nostra storia. Solo per citare un esempio: il Porta che con un suo sonetto scrive dei francesi che escono da Milano descrive un pezzo di storia milanese, ma non c’è solo il Porta ovviamente, tanti autori milanesi fino ai nostri giorni". "Quello milanese è un dialetto - prosegue - che ha diverse grammatiche e dizionari, una lingua che consta di letteratura copiosa e per questo non dovremmo dimenticarlo ma studiarlo".
Ai corsi del Comune, Gandini assicura infine una presenza trasversale: "Gli alunni vanno dai 28 ai 55 anni, segno che ai più giovani interessa molto. All'ultimo corso erano iscritte anche due straniere: una russa e una ucraina".
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Alcuni numeri di ieri

Contratti: in 13 milioni attendono rinnovo, primi i metalmeccanici.
Fuga di capitali: evasi redditi per 3,3 mld.
Dalle agenzie di ieri - Agi, Asca.

Sono quasi 13 milioni i lavoratori italiani che attendono il rinnovo del contratto di lavoro. Tredici milioni (12,7 per l'esattezza), appartenenti a 11 categorie, del pubblico e del privato, che a partire dal prossimo autunno attenderanno l'esito delle trattative sindacali che si svolgeranno su piattaforme separate dopo l'accordo sul nuovo modello rifiutato dalla Cgil.
Primi fra tutti saranno i metalmeccanici, 1,3 milioni di lavoratori che, dal prossimo 31 dicembre, saranno senza contratto. La trattativa vera e propria inizierà il prossimo 10 settembre, dopo un primo incontro svoltosi nel mese di luglio. Ma ad essere coinvolti saranno, tra gli altri, anche i lavoratori del settore statale (3,3 milioni), dell'edilizia (2,5 milioni), dell'agroindustria (1,8 milioni) e della scuola e università (2 milioni).
Ecco i lavoratori, settore per settore: MECCANICI: 1.342.000 lavoratori con il contratto che scade il 31 dicembre 2009; FUNZIONE PUBBLICA: 3,3 milioni di lavoratori; EDILI: 2.565.000 lavoratori, per la maggior parte il contratto scade il 31 dicembre 2009; SCUOLA E UNIVERSITÀ: 1.198.181 lavoratori di scuola e università, il contratto scade il 31 dicembre 2009; AGROINDUSTRIA: 1.880.000 lavoratori con il contratto scaduto a maggio; CHIMICI: 622.500 lavoratori, per la maggior parte il contratto scade il 31 dicembre 2009; TESSILI: 200mila lavoratori, per la maggior parte il contratto è scaduto il 31 dicembre 2008; COMUNICAZIONI: 383mila lavoratori; COMMERCIO: 225mila lavoratori, per la maggior parte il contratto è scaduto il 31 dicembre 2008; BANCARI: 46mila lavoratori delle assicurazioni, il contratto scade il 31 dicembre 2009; TRASPORTO: 950mila lavoratori, per gli addetti della mobilità il contratto è scaduto a fine 2007.

Sono oltre 5.690 le indagini, le verifiche e i controlli conclusi dalla Guardia di Finanza dall'inizio dell'anno (periodo gennaio/luglio 2009) contro l'evasione e le frodi fiscali di rilievo internazionale e i trasferimenti illeciti di capitale oltre confine. 1,8 miliardi è l'Iva evasa a seguito di frodi scoperte dalla Guardia di Finanza nelle indagini su triangolazioni commerciali per evadere l'Iva ricorrendo a società cartiere e fatture per operazioni inesistenti, con 3.557 soggetti denunciati, pari al 17% in più dello scorso anno, mentre a 3,3, miliardi di euro ammonta la cifra dei redditi evasi constatata dalla Guardia di Finanza a seguito delle investigazioni sulle altre operazioni evasive ed elusive con risvolti "oltre confine". Di quest'ultimo valore, oltre 600 milioni di euro sono stati trovati a soggetti e imprese che, per sfuggire al fisco, avevano falsamente localizzato la propria residenza o la sede della propria attività all'estero, mentre 1,1 miliardi di euro è stato scovato nelle transazioni e nelle operazioni finanziarie con i paradisi fiscali ed altri 1,6 miliardi nelle stabili organizzazioni di imprese estere operanti in Italia non dichiarando nulla al fisco. Si tratta di valori in linea con i risultati del corrispondente periodo del 2008, che si è chiuso in questi settori con i risultati più alti di sempre. 396 milioni di euro, già superiore a tutto il 2008, è l'ammontare dei titoli e della valuta sequestrati in occasione dei controlli sui movimenti di capitale effettuati al confine in collaborazione con l'Agenzia delle Dogane, che hanno altresì permesso di verbalizzare 1.185 soggetti sorpresi a portare al seguito denaro o titoli per valori superiori a 10.000 euro all'atto dell'attraversamento della frontiera.
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