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giovedì 13 agosto 2009

Innse, una dura battaglia vinta dai lavoratori

Ancora due articoli tratti dal quotidiano Liberazione di oggi, riguardanti la conclusione della vicenda Innse. Il primo è di Gianni Rinaldini, segretario generale nazionale Fiom.
La lezione dell'Innse: come e perchè abbiamo vinto.
Rassegna stampa.

I lavoratori e le lavoratrici dell'Innse hanno vinto una dura battaglia resistendo prima con un interminabile presidio dello stabilimento per 15 mesi e poi rispondendo alla prova di forza dell'intervento delle forze dell'ordine per fare entrare un gruppo di trasferisti per smontare le macchine lo hanno fatto con una azione audace e coraggiosa che non si limitava alla resistenza, ma rendeva di assoluta trasparenza l'oggetto dello scontro. Bloccare lo smantellamento degli enormi macchinari era la condizione per affermare la possibilità di una nuova soluzione industriale con un nuovo soggetto industriale ed evitare un'operazione scientemente orchestrata per compiere una speculazione immobiliare secondo la nota logica del "guadagno a breve". Questo era l'intreccio costruito tra i proprietari dell'area ed il proprietario delle macchine, che dopo averle acquisite dall'Amministrazione Straordinaria, con una cifra equivalente ad un medio appartamento di Milano, la rivendeva a prezzi ben più consistenti. Anzi due di queste erano già state vendute e i proprietari ne rivendicavano il possesso.
Nel nuovo scenario che si era determinato con l'intervento della Polizia il 2 agosto, si delinearono diverse possibilità sul come continuare la lotta:- tentare di bloccare gli altri lavoratori che entravano per smontare le macchine con l'evidente rischio di uno scontro tra lavoratori e l'intervento della polizia;- tentare di bloccare l'entrata e l'uscita dei camion per trasferire il materiale con i prevedibili incidenti di cui l'enorme e spropositato schieramento delle forze dell'ordine assumeva le caratteristiche dell'avvertimento.
Tutte le ipotesi fatte si scontravano con il fatto che una volta smontati quei macchinari, per le loro caratteristiche, la fabbrica Innse era finita ed il resto diventava pura testimonianza di lotta.Credo che per questa ragione i delegati ed il funzionario sindacale che segue la vertenza, dopo l'incontro negativo tenuto con il Vice-prefetto, hanno deciso con assoluta razionalità e non solo per disperazione, un'iniziativa, audace, coraggiosa, con evidenti rischi personali e come mossa per bloccare i lavori in corso e riaprire la possibilità di una diversa soluzione industriale. Questa azione di lotta, il sostegno esterno, giorno e notte, il ruolo positivo svolto dai mezzi di comunicazione ha permesso di far conoscere le ragioni della lotta e della speculazione immobiliare.Sono stati contenuti gli inevitabili elementi di tensione attraverso un percorso democratico preciso dove tutto veniva deciso assieme ai "gruisti" e successivamente dall'assemblea esterna, soltanto dei lavoratori dell'Innse. Ad ogni incontro, ad ogni novità, corrispondeva questo percorso democratico.
Nello spazio di alcuni giorni, sono emerse nuove proposte di acquisizione, con un atteggiamento delle Istituzioni lombarde, di assoluto fastidio, fino a quando, direttamente al Prefetto, da parte di un Gruppo Bresciano, è stata presentata una proposta "pesante" di acquisizione totale, da concludersi in 48 ore. In queste ultime giornate è corretto riconoscere il ruolo positivo che hanno svolto Gianni Letta e il Prefetto di Milano per superare i diversi ostacoli per un accordo complessivo che prevede la riassunzione di tutti i lavoratori dell'Innse.
Ho voluto riassumere alcuni passaggi di queste ultime giornate per richiamarne alcuni aspetti di carattere generale.
1 - I lavoratori vanno ascoltati. Avevano ragione loro nel sostenere che l'Innse è una fabbrica viva, nei macchinari, nel mercato, nella elevata professionalità che esprime. I vari "sapientoni" che anche attraverso sofisticati articoli ci hanno continuato a spiegare che non c'era nulla da fare perchè il problema sono gli ammortizzatori sociali, dovrebbero pur interrogarsi sul fatto che in questa fase svolgono un ruolo di copertura delle stesse logiche che ci hanno portato alla attuale drammatica crisi sociale;
2 - A tutti coloro che prima di iniziare una lotta vorrebbero conoscerne il risultato finale dico semplicemente che non è tempo, meglio rischiare una sconfitta che non svolgere una lotta che rappresenta di per se una speranza una alternativa all'isolamento personale alla disgregazione. C'è un limite che segna la lotta, quella della democrazia, della non violenza e dell'unità dei lavoratori;
3 - Sulle forme di lotta non esiste un Vademecum per le diverse situazioni per la semplice ragione che c'è sempre un rapporto tra forme di lotta, situazione della azienda, obiettivo che si vuole perseguire. Questi aspetti a partire dalla unità di tutti i lavoratori sono ben evidenti nell'esperienza dell'Innse;
4 - Il ruolo dei mezzi di comunicazione, ed in particolare della Tv, è stato importante e positivo suscitando le ire del Presidente del Consiglio. Sono decine e decine le situazioni di crisi, di licenziamenti e di presidi dei lavoratori in corso nel nostro paese. E' necessario sviluppare assieme forze sociali e forze politiche democratiche un movimento di massa a sostegno di una informazione che renda visibili i drammi sociali di questo paese.

Il secondo articolo è di Paolo Ferrero, che già nel titolo esprime i segnali che Rifondazione intende cogliere dalla vicenda.
Un esempio da seguire. I compiti di Rifondazione.

I lavoratori dell'Innse hanno vinto. Se lo sono meritato, con mesi e mesi di lotta e, da ultimo, con una settimana di protesta sul carroponte. L'azienda non verrà frantumata e smantellata, i lavoratori non verranno ricollocati da qualche altra parte ma, al contrario, riprenderà la produzione - e quindi l'occupazione - con un nuovo padrone.
Questa lotta deve diventare un esempio per i lavoratori in lotta di tante aziende in crisi, perché dimostra che attraverso la lotta è possibile vincere, è possibile cambiare le decisioni dei padroni e del governo. Nell'autunno la parola d'ordine del fare come la Innse (ma anche come l'Indesit e la Fincantieri) deve diventare un punto centrale della mobilitazione e della comunicazione sociale.
Fare come l'Innse vuol dire innanzitutto costruire un'unità e una solidarietà molto forti tra i lavoratori. Senza l'unità dei lavoratori nulla sarebbe stato possibile. Unità tra i lavoratori vuole anche dire capacità di esprimere una propria soggettività autonoma, anche nei confronti delle proprie organizzazioni.In secondo luogo vuol dire chiarezza nei confronti degli obiettivi. La duttilità nell'utilizzare ogni margine di trattativa possibile non è mai diventata confusione sugli obiettivi da perseguire. Tutti i livelli di governo coinvolti nelle trattative e nelle discussioni delle settimane scorse erano orientati a garantire una ricollocazione dei lavoratori, ma non a riaprire l'azienda. Solo la netta determinazione dei lavoratori ha impedito che si spostasse completamente il senso della trattativa.
In terzo luogo, vuol dire avere la capacità di scegliere forme di lotta molto dure, non come elemento di disperazione, ma come razionale modalità di contrattazione e di costruzione di un immaginario capace di comunicare sui mass media. La lotta dell'Innse ha saputo sia modificare l'orizzonte contrattuale che costruire un universo simbolico. La Innse è diventata la prima notizia di vari telegiornali e questo ha fatto uscire pazzo Berlusconi, che sulla rimozione della realtà dall'immaginario ha costruito il suo progetto politico.
In quarto luogo, vuol dire avere la capacità di inserirsi nelle contraddizioni che si generano nel campo avverso, ma a partire da un proprio autonomo punto di vista. Nella vicenda Innse è del tutto evidente che si è giocata anche una partita politica tra la lega Nord (che aveva sponsorizzato lo speculatore Genta) e una parte del centro destra che ha prima subito l'iniziativa della Lega e poi - grazie all'azione operaia - ha spinto per altre soluzioni. La vicenda dell'Innse ci parla di grandi contraddizioni in seno alle classi dirigenti, contraddizioni che possono esplodere solo se fatte maturare dal conflitto sociale.
Nella vittoria dei lavoratori dell'Innse vi sono quindi numerosi elementi di interesse, a partire dalla compattezza e dalla determinazione degli operai, per arrivare alla capacità di costruire attorno alla loro lotta una "coalizione" che partiva dalla Fiom ma arrivava a Rifondazione, al popolo del presidio in questi giorni.
Proprio su questo voglio spendere alcune parole. Rifondazione è stata presente nella lotta Innse sin da quando il nostro ex assessore provinciale si adoperava per trovare una soluzione industriale. Siamo stati presenti in questi mesi e in queste settimane, sia con la partecipazione di molti compagni e compagne al Presidio, sia raccogliendo soldi per la cassa di resistenza, sia agendo nei confronti di tutte le istituzioni, da quelle locali a quelle nazionali, con il giornale Liberazione che ha fatto un ottimo lavoro.
Per svolgere un ruolo in autunno, dovremo essere capaci di fare quanto fatto alla Innse - e se possibile un po' meglio - in tutte le aziende in crisi. Alla Innse la lotta c'era già. In molti casi occorre proporla e adoperarsi per costruirla. Se non vogliamo che il "fare come la Innse" sia un puro fatto di propaganda agostano occorre quindi mettere mano al funzionamento del partito, territorio per territorio e dimostrare sul serio la nostra utilità sociale. So bene che la lotta non è sufficiente, ma senza di quella non si va da nessuna parte.

L'aspirazione ad una vita normale

Nelle pagine di "Lettere & Opinioni" dell'edizione di oggi, Il Cittadino ha pubblicato la seguente lettera di Giuseppe Foroni, coordinatore di Sinistra Democratica del Lodigiano.
Ambiente. Vogliono farci “digerire” la centrale.
Rassegna stampa.

È da giorni iniziata una campagna mediatica, non trovo altri termini, non so da chi promossa, che dalle pagine del «Cittadino» diffonde una serie di informazioni sulla grandezza della struttura e delle dimensioni della nuova centrale turbo gas di Turano-Bertonico. Una iniziativa che, temo, abbia lo scopo di far accettare,meglio “digerire”, questo impianto che il territorio, almeno per quei cittadini che ci hanno creduto e non vogliono stare zitti, ha rifiutato ritenendolo giustamente inutile per la nostra economia e dannoso per la salute dei Lodigiani.
Le ragioni di quel rifiuto sono ancora tutte valide; dal punto di vista economico la sua inutilità è testimoniata dalla sufficienza energetica del Lodigiano e della intera Lombardia, infatti il Lodigiano è già servito dalla centrale di Tavazzano, tra le più grandi d’Europa, e da una serie di piccole centraline che consumano combustibile ecologico o idriche.
Se poi parliamo di occupazione, è evidente che la costruzione comporterà l’impiego di 500-600 lavoratori per 23 anni, fatto positivo in un momento di pesante crisi, ma strutturalmente e stabilmente occuperà non più di 30 dipendenti. Sull’occupazione però mi chiedo, quali effetti avrà la competizione con la vicina centrale di Tavazzano e forse su ipotetici futuri insediamenti nucleari? Un panorama di incertezze che era decisamente meglio evitare.
Ma il danno più grave lo recherà alla salute dei cittadini lodigiani, attraverso un nuovo peggioramento delle attuali, già precarie, condizioni di inquinamento ambientale. Un impianto che brucia grandi quantità di gas non può non essere inquinante, si possono certo ridurre le emissioni in aria non eliminarle, quindi avremo un territorio più inquinato. Questa la cruda realtà, il resto sono parole al vento di chi vuole che continui indisturbata la trasformazione del nostro territorio in un ricettacolo di attività industriali o inquinanti non gradite altrove.
Anche per il motivo, che oltre alla centrale continua ad arrivare la logistica, vedere per credere il polo industriale di Codogno e l’area ex Polenghi, mentre in contemporanea non si trovano soluzioni per ricostruire il ponte sul Po che oltre ai disagi causa danni alla nostra economia e alla occupazione. Una semplicistica nota di attenzione che vuole ricordare le caratteristiche insediative della centrale e il continuo ininterrotto modello di sviluppo che sta occupando il lodigiano.
Abbiamo bisogno di forti segnali di discontinuità nel modello di crescita del nostro territorio, sollecitazione più volte indicata da Sinistra Democratica, quella di investire nell’ambiente iniziando con una profonda bonifica del territorio rilanciando politiche che parlano di difesa delle storiche vocazioni della nostra terra, per il rispetto che dobbiamo al territorio e dei cittadini che vi abitano. Una sollecitazione che spero possa servire ad aprire una profonda riflessione tra le forze politiche della sinistra e possa diventare una banco di prova, un terreno continuo di sfida con la nuova amministrazione.
In gioco non ci sono chiacchiere ma il nostro futuro, quello di chi chiede di vivere una vita normale in un ambiente normale con un lavoro normale, noi vogliamo dare risposte a chi chiede queste cose.

Il direttore Ferruccio Pallavera del giornale chiamato in causa ha così risposto:
Caro Foroni, non abbiamo mancato di sottolineare tutte le nostre contrarietà all’impianto di Bertonico-Turano, soprattutto dal punto di vista dell’impatto ambientale. Semmai e non ce l’ho con Lei è stato qualcun altro nel nostro territorio che ha sbraitato contro la centrale e fatto marce di protesta contro di essa, ben sapendo che la centrale sarebbe stata comunque realizzata, perché decisa nella propria sagrestia di partito.

Se l'offerta immobiliare è superiore alla domanda...

La panacea mattone.
Speciale, [12].
Da Il Cittadino di ieri riportiamo questo testo di Angelo Reccagni (Quaderni di Scuolalsole / cenni di urbanistica / agosto 2009) che è una indiretta risposta per alcuni versi alle affermazioni del nostro sindaco, oggi riportate nel quotidiano lodigiano (l'articolo è ripreso in E così sia).
A cosa servono 2mila case in una città senza prospettive?
Rassegna stampa.

Nella mia città... gli immobili invenduti in Lodi alla fine del 2008 , secondo stime ufficiali erano circa un migliaio ma a sentire gli operatori del settore potevano essere anche molti di più. Probabilmente, constatando che anche nel 2009 le cose non sono andate molto bene si può ragionevolmente supporre che questa situazione potrebbe essere ulteriormente peggiorata. Alcune recenti dichiarazioni da parte di sindacalisti del settore edile rivelano che anche nel mercato delle case in cooperativa l’invenduto è alto e preannunciano per il prossimo mese di settembre degli scenari poco rassicuranti , anche in tema di occupazione.
A “occhio nudo”, si vede che anche il settore delle costruzioni artigianali-industriali non sta tanto bene, basta fare un giro in bicicletta a San Grato o in Via della Agricoltura per rendersene conto. All’orizzonte, non si vedono grandi prospettive per la nostra Città, un po’ per la crisi economica ed un po’ per la crisi della Lodi produttiva che, scusate il gioco di parole, era già in crisi prima che iniziasse la crisi e per quanto riguarda Lodi Provincia e Polo Universitario va preso atto che queste realtà sono diventate “grandicelle” ed il relativo benefico indotto si è in pratica oramai consumato.
Difficile, molto difficile che in questo quadro possano inserirsi fenomeni di incremento della popolazione, pensarne il suo aumento congiuntamente alla realizzazione di duemila nuovi alloggi, cioè in un contesto dove già di fatto esiste un’offerta immobiliare superiore alla domanda, francamente, un po’ di preoccupazione la desta. In altre città, la sovrabbondanza di nuove abitazioni ha generato il classico meccanismo urbanistico dello stallo delle abitazioni usate, che non possono competere con il nuovo, con conseguente degrado ( e non solo di tipo edilizio …), poiché vengono a mancare gli stimoli per ristrutturare, riqualificare e soprattutto risparmiare suolo… ( come insegna il Pgt di Cassinetta di Lugagnano nonostante le pressioni per l’Expo 2015).
Infine, oltre al confessare di non avere capito che cosa è e a che cosa serve il Business Park (350mila metri quadri di territorio agricolo), mi auspico che la previsione di una Lodi di 50.000 abitanti venga ben motivata in fase di iter del Pgt… , farsi in un certo senso scudo sottolineando quanti ne prevedeva il vecchio Piano non è di per sé una motivazione valida, poiché prevedere una Lodi di 75.000 abitanti è semplicemente… roba da matti…
(12 - continua)

Kyoto: Italia anomalia europea

I costi di Kyoto.
Legambiente: "L’Italia paga l' assenza di una politica di riduzione delle emissioni e continuerà a farlo se incentiva centrali a carbone e nucleare".

Comunicato stampa di Legambiente di oggi.

“Non bisogna stupirsi se l’Italia dovrà pagare per aver sforato gli obiettivi fissati con il Protocollo di Kyoto e le politiche UE, piuttosto è importante concentrare gli sforzi per invertire la rotta, iniziando a ridurre le emissioni per evitare di continuare a pagare multe diminuendo l’impatto pure sul Clima. Sarebbe inoltre opportuno che qualcuno si assumesse la responsabilità per aver ritardato gli interventi che avrebbero permesso di evitare questa situazione”.
È questo il commento di Edoardo Zanchini, responsabile energia di Legambiente sui costi di Kyoto.
L’Italia, che deve recuperare il proprio sforamento rispetto agli obiettivi fissati dal Protocollo di Kyoto (-6,5% rispetto al 1990, mentre siamo a +9%), continua a rappresentare una anomalia Europea. È l’unico grande Paese che non ha una politica per ridurre le emissioni di CO2, e neanche con la ratifica del Pacchetto europeo, il cosiddetto 2020 avvenuta lo scorso Dicembre, ha ancora messo in campo alcun provvedimento. Del resto il Governo Berlusconi - denuncia Legambiente - aveva scommesso sul fallimento di Kyoto contando sulla promessa di Putin che non lo avrebbe mai ratificato. Ma anche dopo la firma di Putin, e la conseguente entrata in vigore del Protocollo, e perfino dopo l’introduzione da parte dell’Unione Europea di precisi obiettivi di riduzione per i settori energetico e industriale, ancora nessun provvedimento è stato preso per ridurre le emissioni.
“L’Italia inizia a pagare il conto di chi ha scommesso sul fallimento del protocollo di Kyoto, un costo che continuerà ad aumentare per le scellerate scelte di via libera alle nuove centrali a carbone e a nuove autostrade – ha aggiunto Zanchini – . Per non parlare, poi, del programma del Governo di rilanciare il nucleare. Progetto pericoloso e inutile ai fini della riduzione delle emissioni visto che potrebbe dare qualche risultato in tal senso solo dopo i termini fissati dagli accordi. Per Legambiente l'Italia può cambiare questa situazione in poco tempo, con vantaggi concreti per i cittadini e le imprese, puntando con forza sull’efficienza energetica, sullo sviluppo delle fonti rinnovabili e su una mobilità che premi il trasporto pubblico. Cioè facendo semplicemente quel che stanno facendo gli altri Paesi Europei da cui acquistiamo i diritti di emissione. Il Comitato di Gestione del Protocollo di Kyoto, che ha lanciato l’allarme sui costi, potrebbe essere finalmente di qualche utilità indicando al Governo queste politiche”.

Padre Pio avrà una statua solare

Poiché la Parrocchia si è recata in pellegrinaggio da Padre Pio, tratta da www.quotidianoenergia.it, ecco un progetto curioso che coniuga arte e tecnologia che sarà realizzato in quei luoghi.
La curiosità. Padre Pio fotovoltaico.

La statua di Padre Pio che sorgerà in posizione panoramica a Rignano Garganico, ridente cittadina di 2.000 abitanti a circa 15 km dalla tomba del santo di Pietrelcina, sarà una grande opera di arte e di fede, ha annunciato il promotore dell’iniziativa Padre Antonio Resta. A stupire, però, non sarà soltanto la dimensione del colossale monumento – che con un’altezza di 60 metri sarà in grado di ospitare al suo interno un museo e un luogo di culto – ma soprattutto l’innovativa vernice che lo ricoprirà.
Nel corso di una conferenza stampa, Padre Antonio Resta (sacerdote francescano, cappellano militare in congedo e figlio spirituale del frate delle stigmate) ha spiegato infatti che la superficie esterna della “Grande Statua di San Pio” verrà ricoperta di una vernice fotovoltaica sviluppata dai ricercatori dell’Istituto per lo studio dei materiali nano-strutturati del Cnr di Bologna e commercializzata dalla società austriaca Bleiner. In questo modo, la “statua solare” avrà una “capacità produttiva” di almeno una decina di kW di energia elettrica, da utilizzare per l’illuminazione del monumento e dell’area circostante.

L'inganno delle gabbie salariali

Riprendiamo sul tema delle "gabbie salariali", prima buttate lì e poi rimangiate dal centrodestra, un articolo di Dino Greco, pubblicato sul quotidiano Liberazione ieri.
Operai del nord, la Lega vi frega.
Rassegna stampa.

Bisogna provare a capire. Ed è vitale che i lavoratori, a partire da quelli del Nord, siano aiutati a farlo. Ma a capire cosa? In primo luogo, quale turpe inganno si celi dietro la proposta di reintrodurre in Italia differenze retributive per area geografica: le "gabbie salariali", appunto. Il rutilante miraggio fatto balenare dalla Lega davanti agli occhi degli operai settentrionali è quello di un aumento secco della loro retribuzione. Come se, per magia, quell'euro non corrisposto ad un lavoratore dell'Italsider di Taranto potesse entrare, direttamente, nelle tasche di un siderurgico bresciano. Insomma, come se il modello proposto agisse alla stregua di un sistema idraulico, capace di trasferire, di pompare ricchezza da un luogo all'altro del Paese. Ora, si mettano tutti in testa che, per cominciare, questa ipotesi non ha nulla a che vedere con le intenzioni del Carroccio. La Lega non pensa affatto ad aumentare il valore reale delle retribuzioni attraverso una lievitazione del corrispettivo della prestazione lavorativa, vale a dire del salario e del costo a carico del padrone. La Lega immagina un'ipotesi del tutto diversa, che funziona nel modo seguente: dato il carico fiscale complessivo oggi esistente su capitale e lavoro, si tratterebbe di lasciare invariato il primo e di diminuire il secondo. A questo primo intervento ne seguirebbe un altro: la maggior parte delle entrate fiscali complessive verrebbe destinata alle casse regionali e solo la residua parte, a questo punto drasticamente abbattuta, resterebbe competenza dello Stato centrale. Da questa secca redistribuzione tributaria uscirebbero premiate le retribuzioni nette dei lavoratori e la capacità di spesa dell'ente Regione. Ora, è del tutto evidente che questa ipotesi nulla ha a che vedere con il federalismo fiscale. Più semplicemente, essa prefigura la dissoluzione dello Stato unitario, poiché ne dissanguerebbe le risorse, ne prevaricherebbe i poteri, ne incrinerebbe l'intelaiatura legislativa, prefigurando, addirittura, un diverso regime impositivo fra cittadini di diverse aree del Paese. Cosa, come ognuno dovrebbe ben capire, del tutto impossibile, a meno di dare per scontata la trasformazione delle Regioni, o delle macroaree interessate, in veri e propri Stati sovrani indipendenti. La proposta della Lega è dunque la plastica esemplificazione, questa volta materialisticamente e non più ideologicamente prospettata, della secessione, della "balcanizzazione" dell'Italia, manco a dirlo, della separazione delle aree ricche da quelle povere, lungo una moderna traiettoria... prerisorgimentale.
Con tutta probabilità neppure il leghismo più radicale pensa all’attuabilità, almeno nell’immediato presente, di questa ipotesi. Ma, intanto, lo dice. E batte con forza su quel chiodo, sapendo che alle orecchie di tanti lavoratori che sperimentano da anni sulla propria pelle la realtà di un salario di fame, senza che la contrattazione collettiva abbia dato loro risposte decenti, quelle parole possono suonare dolci e seduttive. E poi, la Lega fa una cosa che una volta facevamo noi: pratica l’obiettivo, giorno dopo giorno. Con la luciferina consapevolezza che, così operando, con quotidiana perseveranza, anche i sogni in apparenza più velleitari, possono infine avverarsi. Tuttavia, come era ampiamente prevedibile, di fronte a questa commedia degli equivoci, un coro di “no” si è levato contro la possibile riedizione delle “gabbie”. Non già nella impraticabile versione più sopra riassunta, ma persino secondo la più tradizionale e storicamente conosciuta accezione, vale a dire quella che prevede differenziali retributivi applicati ai minimi contrattuali. Questa ritrosia non dipende dal fatto che i padroni considerino sbagliata la flessibilità delle retribuzioni ma, al contrario, perché ne vogliono - e ne stanno ottenendo - di più, molta di più.
Paradossalmente, il sistema delle gabbie sembra loro troppo rigido. L’accordo sottoscritto con Cisl e Uil lo scorso gennaio, infatti, consente loro di incassare deroghe salariali e normative, anche totali, rispetto ai contratti nazionali, in ogni azienda e in ogni punto d’Italia, tanto al nord quanto al sud. La sola condizione prevista è che i sindacati che hanno sottoscritto quell’intesa siano – di volta in volta - d’accordo. E potete giurare che lo saranno. L’obiettivo perseguito non è dunque meno, bensì più ambizioso. È quello di distruggere la contrattazione collettiva per sostituirvi, progressivamente, quella individuale, la più ingiusta e asimmetrica delle negoziazioni, quella del singolo operaio con il singolo padrone. Insomma, come due secoli fa, le relazioni sociali tornano ad essere riassunte nel motto: «Libero operaio in libera impresa». E siccome al peggio non c’è mai limite, ecco emergere, in seno al governo, una terza posizione, questa sì pericolosa, perché capace di riscuotere estesi consensi, su una latitudine politico-sociale molto ampia. E’ quella di fare contratti non più nazionali, bensì regionali. Avremmo così tanti regimi retributivi quante sono le Regioni italiane ed in più, all’interno di ciascuno di essi, la possibilità di derogarvi: ecco l’apoteosi della flessibilità, il raggiungimento del “sogno nel cassetto” di ogni imprenditore, l’eliminazione di qualsivoglia ostacolo alla piena, incondizionata mercificazione del lavoro. Non è richiesto un particolare acume per constatare come i lavoratori del Nord - ai quali i padroni non intendono elargire regali - non ricaverebbero alcunché dallo spappolamento di ciò che rimane della loro rete solidale. E quelli del Sud, già gravemente penalizzati dalla pressoché inesistente contrattazione di secondo livello, da una condizione di disapplicazione contrattuale elevatissima, da un tasso di disoccupazione doppio rispetto alle aree sviluppate del settentrione e da un sistema di servizi spesso fatiscente, vedrebbero assestare un colpo ulteriore alle loro già ridotte capacità reddituali. Il gap Nord-Sud aumenterebbe e produrrebbe, fatalmente, un’ulteriore depressione del Mezzogiorno, un più radicato ruolo di surroga dello Stato da parte delle organizzazioni criminali, ancor più intensi fenomeni di migrazione verso il Nord e l’abbandono del territorio. Nient’altro che questa è la pietanza che rischia di esserci servita.
Almeno, vediamo di non abboccare. E una volta dispersa la cortina fumogena, proviamo a costruire, con i lavoratori, un’altra ipotesi, questa sì matura, dopo anni di regressione politica e sindacale. A partire dalla riscoperta che il crollo dei salari in tutto il Paese - con una progressione impressionante dalla fine degli anni Settanta ad oggi - è stato il risultato del combinato disposto di tre fattori: l’erosione delle prerogative del Ccnl e della stessa contrattazione decentrata; l’abolizione di ogni forma di indicizzazione delle retribuzioni all’aumento del costo della vita; l’aumento del carico tributario indebitamente imputato al lavoro dipendente, per effetto del surplus di prelievo fiscale operato sulle buste paga in ragione di un aumento soltanto nominale del salario. Si potrebbe (e si dovrebbe) aggiungere che la manomissione dello Stato sociale e la privatizzazione dei servizi pubblici essenziali prima erogati a titolo gratuito abbia scaricato sulle spalle dei cittadini quote importanti di spesa pubblica previdenziale, assistenziale, sanitaria. E quanto questo esproprio di diritti che la Costituzione vorrebbe protetti sia stato devastante per la vita di milioni di persone. Citiamo questi elementi, così, giusto per conferire al quadro maggiore compiutezza. Ma, per concludere sul tema oggetto di questa trattazione, vorremmo dire con franchezza a quei lavoratori nella cui fantasia alberga sul serio l’idea che ciò che i padroni risparmiano al Sud potrebbe entrare nelle loro tasche di liberarsi da questa illusione fraudolenta.
Il fatto è che non sono date scorciatoie. I soldi che mancano alle nostre buste paga vanno chiesti, inesorabilmente (e giustamente!), ai padroni, perché soltanto così può aumentare la consistenza delle retribuzioni e il riconoscimento del valore del lavoro. Per farlo servono due cose: un contratto nazionale di lavoro che non si limiti a rincorrere - come Achille con la tartaruga - l’inflazione e la reintroduzione della scala mobile, ingiustamente imputata di essere un volano dell’inflazione e definitivamente soppressa nei primi anni Novanta nel nome di una pessima idea di ciò che aiuta la competitività delle imprese. Poi, anche una redistribuzione del carico fiscale può fare la sua parte: una parte integrativa e non sostitutiva di un modello contrattuale che è stato ridotto, in virtù di concertative complicità, ad un autentico colabrodo.

Una pagina dell'emigrazione italiana

Una storia poco nota di profonda attualità su cui bisognerebbe riflettere.
Riceviamo e volentieri pubblichiamo.

Nel 1893 la “Compagnia delle saline” francesi aveva assunto 600 Italiani e 150Francesi. Gli Italiani avevano accettato una paga di due terzi inferiore a quella dei francesi pur di lavorare, vivevano a circa dieci chilometri dal luogo di lavoro, sistemati in capanne, molti dormivano all’aperto. Il 17 Agosto1893 oltre cinquecento francesi attaccarono i capanni degli Italiani, dando l’assalto ai loro rifugi e massacrando un italiano a colpi di mattoni. Una ventina di piemontesi rimase imprigionata nella melma e fu bersagliata dalle pietre che vennero loro lanciate dai francesi: se ne salvò uno solo. La caccia all’italiano continuò per altri due giorni. È difficile stilare il bilancio esatto delle vittime: il loro numero oscilla dai nove, secondo la stampa francese, fino ai cinquanta, con circa un centinaio di feriti. I superstiti delle violenze di Aigues Mortes furono avviati alla frontiera di Ventimiglia e rimpatriati. Una storia poco nota, sfuggita agli storiografi ma che è di profonda attualità e sulla quale oggi, che l’Italia è terra di immigrazione, bisognerebbe meditare.
Dott. Marco Baratto - Vice presidente "DACIA"

Il segretario e il segretario ombra

Il Pd verso il congresso.
Speciale, [12].
Ieri abbiamo riportato del sondaggio de Il Riformista sulla gara nel Pd per diventare il nuovo segretario. Riprendiamo qui sempre dalle rassegne stampa di ieri questo articolo di Beatrice Macchia, tratto dal quotidiano Liberazione.
La replica dello staff di Franceschini: sondaggio improbabile, è in testa l'attuale segretario.
Nel pd è già guerra di numeri.
Il Rifomista: stravince Bersani.
Rassegna stampa.

Il piddì ha un nuovo segretario. È Bersani. Un segretario virtuale. Anzi, no: i segretari sono due. Ce n'è anche un altro. L'attuale, Franceschini. Naturalmente, anche la sua conferma è virtuale. E così, dopo che per un mese tutti e tre i candidati a guidare i democratici nella sfida di fine ottobre hanno fatto sfoggio di «stile», invitando tutti ad abbassare i toni, a stemperare i contrasti, ecco che all'improvviso scoppia la guerra dei sondaggi. La guerra dei numeri.
Ad aprire le danze è stato ieri "il Riformista" (quotidiano che è difficilmente collocabile nella geografia interna ai democratici: diretta da Antonio Polito è stato fra i più critici della gestione-Veltroni ma non ha mai sposato fino in fondo la "filosofia" dalemiana). Il giornale ieri ha pubblicato il primo sondaggio su come finirà la gara per la leadership del piddì. Un sondaggio un po' atipico, in cui i ricercatori non indicano né il campione, né i metodi usati. Comunque, sondaggio chiarissimo nei risultati: la corsa per la segreteria è già finita. La vincerà Pierluigi Bersani. L'ex ministro dell'Industria - sponsorizzato in questo caso anche da D'Alema - sarebbe già oltre il 50 per cento. Al 54 per essere esatti. Il suo principale rivale, l'attuale segretario Franceschini, lo insegue distaccato di oltre venti punti: trentacinque per cento bene che va. Terzo, lontanissimo, l'outsider, il senatore Marino. La sua campagna per spostare il partito sui temi dei diritti civili e delle libertà non sembra aver pagato: secondo il sondaggio al massimo arriverebbe all'undici per cento.
In realtà, l'inchiesta dice molto di più. Racconta che le primarie appaiono già uno strumento antico, superato. Tant'è che solo il 22 per cento degli elettori democratici dichiara che andrà sicuramente a votare l'ultima domenica di ottobre per scegliere il leader del partito. C'è un altro gruppo che ancora non ha deciso ma c'è una maggioranza che dichiara che comunque non parteciperà a quella scelta.
Dovrebbe essere quest'elemento, probabilmente, quello si cui si dovrebbero appuntare le riflessioni dei dirigenti del partito. Tanto più che, appena tre anni fa, quasi due milioni di persone parteciparono all'investitura di Veltroni. Unico candidato in corsa all'epoca. Cifre sicuramente «gonfiate» ma comunque indicative.
Dopo appena una stagione, invece, quel patrimonio di partecipazione sembra già bruciato. Ma di questo, nel piddì non si discute. Da ieri, s'è detto, è cominciata la guerra dei numeri. Così, nello staff di Franceschini, prima ti rispondono che loro non sono interessati a questa querelle sui numeri virtuali. E che quindi non replicheranno nulla ufficialmente.
Poi, se insisti, ti spiegano, invece, che loro dispongono di altre indagini che darebbero risultati esattamente opposti: Franceschini, insomma, sarebbe in vantaggio. Dove? Come? Nel dettaglio non raccontano nulla, anche perché gli uomini dell'attuale segretario accusano i loro rivali di aver diffuso sondaggi senza averli prima pubblicati sul sito sondaggionline.it. Come prevedono le normative vigenti (che in realtà si riferiscono alla competizione fra partiti). Poi, però, alla fine qualcosa trapela. E si viene così a sapere che lo staff di Franceschini non ha commissionato un sondaggio nazionale. Avrebbe chiesto mini-test regionali, in quelle aree che considera più «difficili». E fra queste la Liguria. Bene, qui, stando ai numeri dell'attuale segreteria, Franceschini sarebbe in vantaggio. Di dieci punti.
È bastata insomma una giornata per far saltare l'intesa sul savoir faire fra le fila dei democratici. Al punto che Piero Fassino, senza molta eleganza, ieri se n'è uscito così: «Bersani è dato in testa? Se fossi in lui aspetterei a cantar vittoria....». Più o meno le stesse parole che si rivolgono agli avversari politici nelle campagne elettorali per le politiche.
E lo stesso clima lo si respira se dalla gara nazionale si scende alle piccole competizioni regionali. Il caso del Lazio è emblematico. Qui, uno degli uomini più vicini a Veltroni, quand'era sindaco, Morassut è sceso in lizza per conto di Franceschini. Bersani aveva puntato sul giovane Fassina, un emergente. Sembrava fatta, la gara poteva cominciare quando D'Alema ha rimescolato le carte. E ha imposto la sostituzione di Fassina con l'ex segretario della Quercia di Viterbo, un uomo vicino all'ex tesoriere dei diesse. Che - detto fra parentesi - ancora non ha consegnato tutto il patrimonio di cui è titolare al nuovo partito. Situazione confusa, insomma, al punto che ieri Morassut ha fatto un pubblico appello «ai bersaniani delusi perché lo sostengano». Oggi, nel piddì si discute così.
E allora, non resta che parlare del senatore Marino. Tagliato fuori da tutte le previsioni, sembra comunque voler andar avanti per la sua strada. E mentre i due più grandi competitor si scambiano quelle frecciate, lui inaugura - nella settimana a cavallo di Ferragosto - il suo tour nel Mezzogiorno. Comincerà da Casal di Principe, luogo di dominio della criminalità organizzata. Sa di non avere chances ma ci prova lo stesso.
(12 - continua)

Destinazione Africa

Discarica abusiva nel Lodigiano: rifiuti rivenduti in Africa.
Rassegna stampa - Agi.

I Carabinieri della Stazione di Guardamiglio hanno denunciato alla Procura della Repubblica di Lodi, G.C. 67 anni di Milano per il reato di "gestione di rifiuti non autorizzata". L'uomo aveva allestito una sorta di magazzino nel comune di Santo Stefano Lodigiano all'interno del quale, anche all'aria aperta, stipava elettrodomestici di ogni genere non più funzionanti che venivano accatastati per poi essere esportati in Africa dove venivano rivenduti quali pezzi di ricambio o come materiale ferroso. Il sopralluogo, eseguito insieme ai Vigili del Fuoco di Casalpusterlengo, ai tecnici comunali del Comune di Santo Stefano Lodigiano e alla Polizia Locale della Provincia di Lodi ha permesso di rinvenire rifiuti speciali classificati come pericolosi e non pericolosi abbandonati in modo irregolare sul terreno. I Carabinieri si sono recati sul posto a seguito della segnalazione della presenza di cittadini stranieri che potevano vivere in stato di clandestinità e magari in condizioni disumane. Sul posto però sono stati trovati soltanto due cittadini della Costa d'Avorio regolari e senza precedenti penali che svolgevano le mansioni di custodi temporanei del magazzino per conto di G.C. che risulta essere il titolare di un'impresa edile e di intermediazione immobiliare con sede a Milano. I rifiuti rinvenuti sono circa 70 frigoriferi, vari infissi in legno, numerosi monitor per pc, 2 ciclomotori abbandonati, 1 lavastoviglie, 2 stufe a legna, 1 bombola di GPL, alcune decine di fusti in plastica, 1 carro agricolo nonché ulteriore materiale in plastica. Tutto il materiale sarebbe stato spedito in Africa dove sarebbe stato venduto in appositi mercatini allestiti sul posto. Si può ipotizzare che i rifiuti sarebbero stati abbandonati in immense discariche. Discariche che sono il "posto di lavoro" di migliaia di ragazzi e bambini, che sbarcano il lunario nel recuperare da questi oggetti le parti metalliche, per rivenderle sul mercato locale. La Stazione di Guardamiglio sta indagando per evidenziare eventuali ulteriori sviluppi dell'indagine. L'area non è stata sottoposta a sequestro al fine di imporre al proprietario l'immediata e controllata bonifica.

Segnali positivi

Crisi: Bce, siamo alla svolta.
Rassegna stampa - Agi.

"Sebbene il livello di incertezza rimanga elevato, vi sono crescenti segnali che la recessione mondiale stia raggiungendo il punto di svolta". È quanto sottolinea la Bce nel suo bollettino mensile. Quanto all'area euro, prosegue l'istituto di Francoforte, "i recenti risultati delle indagini suggeriscono che il ritmo di contrazione stia chiaramente diminuendo". "Tuttavia - si legge ancora nel bollettino - ci si attende che l'attività economica rimanga debole nella restante parte dell'anno, benché il ritmo di contrazione si stia riducendo nettamente". Per quanto riguarda l'inflazione, Francoforte prevede che i prezzi al consumo continuino a registrare variazioni negative ancora per poco tempo, per tornare a salire entro la fine dell'anno. In generale , però, "il grado di incertezza permane elevato e i dati disponibili in futuro possono mostrare una perdurante variabilità".
Nel 2009 il Pil dell'eurozona si contrarrà del 4,5% in termini reali, mentre il tasso di inflazione è stimato allo 0,4%, prevede la Bce. Entrambe le stime sono state riviste al ribasso rispetto alle precedenti, quella sul Pil dell'1,1% e quella sull'inflazione dello 0,1%. Il Pil di Eurolandia, si legge ancora nel bollettino, è poi visto in crescita dello 0,3% nel 2010 (con una revisione al rialzo di 0,1 punti percentuali) e dell'1,5% nel 2011. Per quanto riguarda l'inflazione è invece atteso un +1,1% nel 2010, dato rivisto al ribasso di 0,2 punti percentuali, e un +1,6% nel 2011. Sono infine state corrette al rialzo di 0,4 punti percentuali raggiungere le previsioni sul tasso di disoccupazione, che dovrebbe il 9,7% nel 2009 per poi salire al 10,9% nel 2010 e tornare a calare, al 10,6%, nel 2011.
Con la crisi che si avvicina a superare il punto più basso, raccomanda poi l'Eurotower, i governi dell'area euro devono pensare a elaborare strategie di uscita dai piani di stimolo, in modo da rimettere in sesto i conti pubblici, e a intervenire in un mercato del lavoro che continuerà a deteriorarsi. "Il Consiglio Direttivo accoglie con favore la posizione dell'Eurogruppo secondo cui, tenuto conto delle prospettive economiche correnti e degli andamenti previsti sul versante del debito e del disavanzo pubblico, no sono necessarie ulteriori misure di stimolo fiscale - si legge nel bollettino -. I programmi di finanza pubblica per il 2010, attualmente in fase di completamento in diversi paese, e le strategie di risanamento dei conti a medio termine, devono riflettere l'impegno a ripristinare finanze pubbliche solide e sostenibili in tempi brevi. I governi dovrebbero quindi predisporre nonché rendere note strategie di uscita dalle misure di stimolo e strategie di riequilibrio dei conti che siano ambiziose e realistiche, nel quadro del Patto di stabilità e crescita". "Il processo di aggiustamento strutturale - prosegue Francoforte - dovrebbe iniziare, in ogni caso, al più tardi con la ripresa economica e nel 2011 andrebbero intensificati gli sforzi di risanamento". "Gli interventi di riequilibrio dovranno superare in maniera significativa il valore di riferimento dello 0,5% del Pil" fino a "raggiungere almeno l'1% del Pil nei paesi che presentano disavanzi e/o rapporti di indebitamento elevati". "Passando alle politiche strutturali - continua l'Eurotower - è necessario maggiore impegno nelle riforme per favorire la crescita sostenibile nell'area dell'euro. Un adeguato processo di formazione dei salari e sufficiente flessibilità che favoriscano il reinserimento dei disoccupati sono di cruciale importanza per evitare che la crisi abbia un impatto negativo durevole sul mercato del lavoro. È quindi essenziale creare idonei incentivi al lavoro".
La Bce ha infine diffuso i risultati dell'indagine trimestrale sul credito, dalla quale emerge che le banche dell'eurozona stanno mantenendo stretti i cordoni ma in maniera meno rigida rispetto ai trimestri passati. "Nel secondo trimestre del 2009 la percentuale netta di banche segnalanti un irrigidimento dei criteri per la concessione di prestiti e linee di credito a favore delle imprese si è sostanzialmente dimezzata, scendendo al 21% dal 43% del primo trimestre - segnala la Bce -Gli istituti interpellati hanno inoltre segnalato nel secondo trimestre una diminuzione dell'irrigidimento netto dei crietri applicati alla concessione di prestiti alle famiglie per l'acquisto di abitazioni e per il credito al consumo, rispettivamente al 22% (contro il 28% del primo trimestre) e al 21% (a fronte del 26% del primo trimestre), in calo dai massimi storici del quarto trimestre del 2008".

Via tutto l'amianto dalla Lombardia entro il 2016

Amianto: siti bonificati 35%, livello fibre nell'aria ovunque "trascurabile".

Procede a pieno regime, secondo tempi e modalità previste, l'attuazione del Piano Regionale Amianto Lombardia, il programma approvato dalla Regione nel 2005, che coinvolge l'azione di tre assessorati - Reti e Servizi di Pubblica utilità, Sanità e Qualità dell'Ambiente - e il cui obiettivo finale è la rimozione completa da tutto il territorio di questo materiale entro il 2016.
Due i dati salienti che emergono dalla Relazione 2008 (terzo anno di attività): primo, che la bonifica dei siti interessati dalla presenza di questo materiale e il suo smaltimento riguardano già il 35% del totale; secondo, che il livello di fibre nell'aria è ovunque "trascurabile", largamente al di sotto della soglia di rischio per la salute dell'uomo.
Il Piano prevede una serie di interventi che vanno dal censimento e la mappatura della presenza di amianto sul territorio (effettuato anche con metodi innovativi come le immagini aeree), all'individuazione dei siti prioritari da bonificare, alle azioni vere proprie di bonifica e smaltimento.
Altro elemento importante è il monitoraggio dei livelli di concentrazione di fibre di amianto dell'aria, che ha mostrato come tutti i valori registrati siano ampiamente sotto i limiti di legge, vicini al minimo rilevabile dagli strumenti (0,02 - 0,07 fibre/litro). Queste concentrazioni sono fino a 100 volte inferiori a quelle misurate nel 1990, quando la presenza di amianto nell'aria era causata dai freni e dalle frizioni delle auto.
La presenza di tetti amianto negli edifici non costituisce dunque di per sé un rischio, perché il rilascio di fibre da queste strutture è pressoché inesistente quando in buono stato di conservazione. Completano il quadro le azioni di tutela sanitaria e di formazione: controllo sulle malattie causate dall'amianto, in particolare i mesoteliomi, su cui esiste uno specifico Registro che monitora i casi di questa malattia; ricerca e sorveglianza sanitaria delle persone esposte all'amianto; aggiornamento del personale delle Asl e dell'Arpa. I risultati delle azioni e il raggiungimento degli obiettivi sono stati unanimamente condivisi dalla Conferenza Regionale Amianto che si è tenuta lo scorso 26 novembre e che ha visto la partecipazione, insieme alla Regione - rappresentata da tre Direzioni Generali (Sanità, Qualità dell'Ambiente, Reti, Servizi di Pubblica Utilità e Sviluppo Sostenibile) - di ARPA Lombardia, ASL Lombarde, Unione delle Province Lombarde (UPL), Associazione Nazionale Comuni Italiani (ANCI) organizzazioni datoriali e sindacali.
La Lombardia è stata la prima Regione a interessarsi del problema amianto fin dall'inizio degli anni Ottanta con vari programmi e azioni e anche la prima a dotarsi di un Piano per la sua completa eliminazione. L'amianto è stato un materiale ampiamente utilizzato, soprattutto in edilizia, fino a circa quindici anni fa, quando è stato vietato per la sua pericolosità per la salute.
Al 28 febbraio 2009 sono state censite 28.200 strutture (23.972 private e 4.228 pubbliche) con presenza di amianto. Di queste, più del 35% sono già state bonificate (5.228 pari al 18,5%) o sono in fase di bonifica (4.879 pari al 17,3%).
A supporto del censimento, che prosegue, Arpa Lombardia ha realizzato una mappatura delle coperture in cemento amianto mediante un sensore iperspettrale MIVIS utilizzato per riprese aeree effettuate a luglio e agosto 2007. Da questa mappatura, è emersa una stima complessiva sulla presenza di amianto in Lombardia, pari a circa 2.800.000 metri cubi.
Il monitoraggio dei livelli di concentrazione di fibre di amianto dell'aria viene effettuato attraverso postazioni presenti in tutte le province lombarde. I valori rilevati sono ovunque molto bassi, ampiamente al di sotto dei limiti di legge, in molti casi vicini o addirittura inferiori al minimo rilevabile dagli strumenti.
Da alcuni anni è inoltre in corso il campionamento, effettuato dal Dipartimento di Pavia dell'Arpa, per la ricerca di fibre di amianto nell'area ex Fibronit. Anche in questo caso i valori rilevati sono molto bassi. La ricerca delle fibre ultrafini, effettuata dal 2006, ha dato gli stessi risultati (valori trascurabili).
Nel corso del 2008 è stata completata la bonifica di sei importanti strutture pubbliche: Scuola comunale di viale Brianza (Milano), Stazione Centrale di Milano, Università Statale di Milano, Ospedale Sacco (Milano), Policlinico (Milano) e Ospedale Maggiore (Milano). In applicazioni di parametri nazionali, sono stati inoltre individuati 88 siti prioritari dove effettuare le bonifiche.
Tra questi, il più importante è l'area dello stabilimento ex Fibronit di Broni (nei cui impianti si producevano manufatti di cemento amianto come tubi e lastre per coperture). Le operazioni di messa in sicurezza e bonifica sono in corso. Sono attualmente in fase di istruttoria presso la Giunta Regionale e presso le Provincie istanze di autorizzazione per nuove discariche e impianti di trattamento che potranno costituire modalità di smaltimento alternativa.
È in fase di predisposizione da parte della giunta regionale un piano di innovazione tecnologica finalizzato alla individuazione di nuove modalità di smaltimento dei rifiuti contenenti amianto.
È stato istituito nel 2007 il registro dei lavoratori esposti ed ex esposti all'amianto per i quali è prevista una sorveglianza sanitaria che prevede innanzitutto una azione di informazione per i soggetti interessati, oltre che esami e visite specifiche. Sempre dal 2007 le Asl effettuano anche la ricerca attiva di ex esposti.
Nel corso del 2008, 60 tecnici (30 di Asl e ospedali e 30 di Arpa) hanno frequentato un corso di formazione e aggiornamento sulle normative e le attività di prevenzione e controllo legate all'esposizione all'amianto.

La Regione per chi ha perso il lavoro

Sostegno affitto di 1.500 Euro per i senza lavoro.

Chi ha perso il lavoro, o è stato messo in mobilità, e ha fatto richiesta del Fondo sostegno affitti, potrà beneficiare di un contributo supplementare che, in questo modo, alza l'agevolazione a 1.500 euro. È quanto prevede una delibera approvata dalla Giunta regionale su proposta dell'assessore alla Casa e Opere Pubbliche, Mario Scotti, che stanzia per questo obiettivo 5 milioni di euro. "Questa cifra in sostanza va ad integrare il Fondo sostegno affitti, già approvato con una dotazione iniziale di 51 milioni di euro (che diventano dunque 56), a cui ancora devono essere aggiunti i fondi che i Comuni annualmente stanziano subito dopo la chiusura degli sportelli, aperti fino al 15 settembre, presso i quali è possibile presentare richiesta di contributo ordinario", spiega l'assessore. "In totale quindi nonostante il momento particolarmente difficile per l'economia e i tagli che si susseguono da più parti, i fondi a disposizione per il 2009 saranno superiori a quelli degli anni precedenti".
Il provvedimento, essendo una vera e propria integrazione del Fondo sostegno affitti, che è regolato dalla legge nazionale 133/08, richiede gli stessi requisiti, vale a dire la residenza da almeno dieci anni in Italia o da cinque in Lombardia. Dunque, in presenza di queste condizioni, può richiedere il contributo anzitutto chi ha perso il posto di lavoro (la disoccupazione può riguardare anche un altro componente della famiglia) o è stato messo in mobilità nel periodo compreso tra il 1° gennaio e il 30 settembre 2009, a patto che persista la condizione di non impiego alla data di presentazione della domanda. Il contributo straordinario sarà calcolato in base alla differenza tra quanto assegnato dal Fondo sostegno affitti e la cifra di 1.500 euro. In secondo luogo, nel caso in cui in cui poi non venissero esauriti tutti i fondi, potranno beneficiare del contributo anche gli inquilini di Edilizia residenziale pubblica che presentano un Isee inferiore a 35.000 euro (esclusi quelli che pagano il canone sociale, perché la legge regionale che lo regola già prevede riduzioni del canone stesso proporzionalmente alla diminuzione del reddito). Le domande dovranno essere presentate esclusivamente presso le Sedi territoriali regionali (Ster) dal 1° ottobre al 31 ottobre.
Secondo Scotti, "Un provvedimento di grande importanza che dimostra ancora una volta la grande attenzione di Regione Lombardia anzitutto nei confronti delle categorie in difficoltà. Sono tanti i lombardi che hanno perso il posto di lavoro e noi abbiamo deciso di aiutarli anche con un provvedimento che li aiuti nel pagamento dell'affitto".

L'idea di far dimagrire gli enti locali

Guido Bandera su Il Giorno di oggi parla della prospettiva di riduzione del numero dei consiglieri previsti attualmente nei consigli degli enti locali.
Si taglia il numero dei consiglieri nei due enti locali più grandi.
Cura dimagrante in vista per il Broletto e la Provincia.
Rassegna stampa.

Finora è solo una promessa, una delle tante, che i governi in questi anni hanno fatto: ridurre i «costi della politica», far dimagrire il numero degli eletti, retoricamente si direbbe poltrone, all’interno dei consigli. L’ultimo in ordine di tempo a provarci è il ministro Roberto Calderoli, che ha depositato in Parlamento la sua bozza di riforma del Codice delle autonomie, l’insieme di leggi che regolano la vita di tutti gli enti territoriali, dalle Regioni alle Province, passando per le Comunità montane fino ai Comuni. E il progetto iniziale, se sarà confermato, è di ridurre di molto il numero dei consiglieri, sempre che gli enti non vengano tagliati. Se i propositi di Calderoli dovessero essere confermati, Provincia e Comune, in futuro, risentirebbero di qualche taglio. Oggi Palazzo Broletto ha infatti 40 consiglieri comunali, ai quali si aggiunge il sindaco, consigliere di diritto. Già ora Lodi, per il numero di abitanti, non potrebbe avere questo numero di eletti, se non per la deroga che riguarda i Comuni capoluogo. Il progetto su cui il Governo si sta confrontando con gli enti locali, tuttavia, prevede che la soglia di 40 consiglieri comunali sia riservata alle città con almeno 500mila abitanti. Lodi, che ne ha meno di un decimo, sarà obbligata a scendere.
Fino al livello di 30, più il sindaco. Un quarto degli eletti, quindi, non ci saranno più. Questo, naturalmente, se il testo di Calderoli dovesse diventare legge in tempo per l’indizione delle elezioni amministrative del 2010. Una decisione già presa da oltre un anno è invece l’abolizione dei Consigli di zona, le varie rappresentanze di quartiere, che Lodi certamente perderà per la prossima tornata amministrativa. Norma confermata anche nella Bozza Calderoli. Che peraltro le consentirà soltanto per i Comuni capoluogo di Regione, oppure nelle città sopra i 250mila abitanti. Se la speranza è quella di fare grandi risparmi, però, sarà una delusione. L’intero Consiglio comunale, fra commissioni, gettoni di presenza e rimborsi è costato in tutto, per la prima metà dell’anno, circa 24mila euro. Non certamente una grandissima cifra. Soprattutto se confrontata con i livelli complessivi del bilancio comunale. Ma neppure le Province saranno risparmiate. L’ipotesi di abolizione è francamente fumosa: si valuterà in base a territorio, popolazione, efficacia e efficienza, costi di gestione. Al di là delle ipotesi di abolizione, peraltro non volute dalla Lega al Governo, pare certo un taglio di consiglieri anche a Palazzo San Cristoforo. Ma in prospettiva, nei prossimi anni. Per le province con meno di 300mila abitanti (come Lodi) si dovrebbe arrivare a 12 membri, contro gli attuali 25. Ma la bozza Calderoli prevede che l’obiettivo sia raggiunto in modo «graduale». Quindi, semmai si approvasse tutto, occorrerebbe attendere anni.

La sinistra casalina sul piede di guerra

Casalpusterlengo - Il consigliere Cattaneo: No alle ordinanze del Comune.
«Bivacchi vietati? Occupiamo i parchi».
Rassegna stampa - Il Giorno di oggi.

Casalpusterlengo — «Faremo ricorso alle vie legali per cercare di bloccare l’ordinanza sul reddito minimo, ma abbiamo in programma mobilitazioni per dire no agli altri provvedimenti repressivi della giunta di centrodestra». Sarà un mese di settembre caldo per il consigliere comunale di minoranza del Partito comunista dei lavoratori Leopoldo Cattaneo che sta preparando, insieme agli attivisti, una serie di iniziative politiche. «Occuperemo i parchi e le altre zone rese off limits dalle ordinanze che vietano i cosiddetti bivacchi. Chiedermo alla gente di fare altrettanto, cercanmdo di sensibilizzarli sulle tematiche — spiega Cattaneo —. Questi provvedimenti non c’entrano nulla con la sicurezza, visto che Casale è una citta tranquilla, ma servono solo per deviare l’attenzione sui problemi veri. Ora chiedo all’amministrazione di non continuare a dare la colpa alla precedente amministrazione di centrosinistra che, pur avendo fatto moltissimi errori, ora non c’è più. In questi primi mesi, la giunta del sindaco Parmesani non ha fatto altro che “sforbiciare” investimenti. Centrodestra e centrosinistra sono due facce della stessa medaglia».
Cattaneo insiste ancora sul tema della sicurezza ribadendo che il provvedimento sul reddito minimo (cinquemila euro all’anno per lo straniero che non ha occupazione) «è una manovra illegale di fronte alla quale faremo ricorso».

Il grande risultato

Merlo ammette: «Ci sono stati momenti di tensione, ma abbiamo ottenuto un bel risultato».
«Sette giorni pigiato tra le lamiere».
Parla l’operaio lodigiano salito sulla gru per salvare la Innse.

Rassegna stampa - Ivana Castagnone, Il Cittadino di oggi.

Dopo una giornata di nervi tesi, sul carroponte, il grande risultato. La Innse di via Rubattino a Milano non sarà smantellata. Grazie ai quattro operai, tra i quali il lodigiano 53enne Massimo Merlo e il rappresentante della Fiom che hanno resistito sette giorni sulla gru dell’officina, si è riusciti ad evitare che i macchinari venissero svenduti come rottame. L’ex Innocenti è stata ceduta, dopo due giorni di lunga e intensa trattativa, al gruppo Camozzi.
Merlo, come ha vissuto questi sette giorni sul carroponte?
«Con tensioni, incavolature, in mezzo all’olio, al grasso, al caldo, sporchi, punti dalle zanzare e senza vedere il cielo. Come materasso usavamo i giornali».
Le sembra vero di aver dormito la scorsa notte in un letto?
«Certo che mi sembra vero: ho sentito che non mi trovavo più su una lamiera».
Cosa facevate tutto il giorno?
«Controllavamo quello che facevano polizia e vigili del fuoco in fabbrica; ci accertavamo che nessuno salisse. Anche di notte, facevamo i turni. Poi discutevamo di come stava andando la situazione degli operai della Innse all’esterno. Io mi sono trovato sul carroponte perché sono rappresentante delle Rsu, ma se non lo fossi stato, avrei dato il mio sostegno da fuori. Noi non abbiamo fatto cose eclatanti, se abbiamo resistito su è proprio perché c’erano le persone fuori che ci sostenevano».
Non aveva paura di star male là dentro? Hanno detto che la temperatura superava di molto i 40 gradi e non c’era un filo d’aria.
«Sì, l’umidità era pazzesca, ci trovavamo attaccati ai finestroni che sono ricoperti di lana di vetro. Sentivamo un pochino di fresco dalle 4 e mezza alle 8 della mattina».
Come avete fatto ad entrare?
«Lavoriamo qua da oltre 20 anni, conosciamo la fabbrica e tutte le possibilità di entrare come le nostre tasche. In passato, infatti, abbiamo dovuto impedire che entrassero a rubare».
Vi aspettavate un risultato così e di scendere martedì sera?
«Non ci aspettavamo al 100 per 100 di scendere, anche se c’era un sentore. Al risultato ci credevamo, altrimenti non saremmo rimasti 15 mesi qui a presidiare la ditta e 3 mesi e mezzo a produrre senza padrone. Avremo accettato il ricollocamento».
La giornata di martedì è stata la più dura?
«Martedì e lunedì perché c’erano le trattative in corso».
È la sua prima lotta in 32 anni di Innse?
«No. Nel ‘99 avevano tentato di portarsi via il materiale in lavorazione perché volevano chiudere. Allora presidiavamo la fabbrica anche di notte per impedirlo. Siamo riusciti a bloccare i camion. Ogni volta che portavano via un pezzo ne dovevano portare un altro. Abbiamo ottenuto che l’officina non venisse dismessa, ma venduta».
L’effetto Innse ora dilaga. Alcuni operai sono saliti sul silos in provincia di Roma.
«Ed altri operai hanno occupato una fabbrica ad Ascoli. È un buon segno, significa che si stanno svegliando. Ok agli ammortizzatori sociali, ma se gli ammortizzatori servono a chiudere le fabbriche non va bene. Bisogna presidiare le aziende per evitare che si portino via i mezzi di produzione. Senza macchine la fabbrica diventa una scatola vuota e nessuno entra più a lavorare».
Che consigli date agli operai in lotta?
«Di tenere duro».
Dopo essere stati isolati dalle istituzioni per 14 mesi siete diventati un caso internazionale. È incredibile no?
«È incredibile sì. Tutto poteva essere risolto 14 mesi fa perché lavoravamo e c’era già un compratore».
Ad un certo punto hanno detto che non potevate più caricare i telefoni, era vero?
«Avevamo avvicinato un altro carroponte dove c’era il 220 che serve per la manutenzione. Ad un certo punto le guardie del proprietario Silvano Genta hanno tolto la corrente. Per isolarci».
Sua moglie non l’ha mai rimproverata in questi sette giorni di essere salito lassù?
«Se siamo arrivati a questo punto è perché le nostre compagne ci hanno sostenuto. Il risultato è anche merito loro, se no avremmo dovuto combattere su due fronti e alcuni magari avrebbero ceduto e sarebbero scesi».
Cosa hanno detto i suoi bambini quando l’hanno vista?
«Erano contenti e mi hanno abbracciato. Gli ho spiegato che la fabbrica continuerà a produrre. Loro ci sono stati e la conoscono».

E così sia

Il sindaco Sozzi apre il libro dei sogni confidandosi con Andrea Bagatta su Il Cittadino di oggi ma tralascia di dire dei possibili "effetti collaterali".
Brembio - Insediamenti all’area ex Scat nel Piano di governo del territorio. «Sviluppo economico e ambiente le parole chiave del nostro paese».
Rassegna stampa.

Brembio - Punta su sviluppo economico e attenzione al territorio e all’ambiente il piano di governo del territorio già adottato dal consiglio comunale di Brembio. Il documento tornerà in consiglio entro la fine dell’anno per l’approvazione definitiva. «In un momento di crisi come questo non potevamo che partire dall’impegno verso lo sviluppo economico del paese, per il quale abbiamo già diversi contatti in corso - commenta il sindaco Giuseppe Sozzi -. Proprio il piano di governo del territorio è uno strumento che permetterà di accelerare le trattative per nuovi insediamenti sul territorio».
Insediamenti che andranno tutti a posizionarsi nell’area ex Scat, al confine territoriale con il comune di Secugnago. «E proprio con Secugnago e la provincia di Lodi è in corso un proficuo confronto per uno sviluppo economico complessivo del territorio - prosegue Sozzi -. Ormai un paese non può più guardare solo a se stesso, e la collaborazione in atto potrà dare frutti importanti».
Nello sviluppo economico un ruolo fondamentale lo potrà svolgere anche il ruolo di svincolo internodale dell’area, sulla direttrice della ferrovia Milano-Bologna, a due passi dalla via Emilia e a cinque minuti dal casello autostradale di Ospedaletto, a maggior ragione grazie al completamento dell’attesa tangenziale di Brembio, la cui previsione è confermata nel Pgt.
L’altro aspetto centrale, quello dell’attenzione all’ambiente e al territorio, invece, poggia su uno sviluppo residenziale sostenibile, in particolare grazie a prescrizioni precise che saranno contenute negli strumenti attuativi dei piani di lottizzazione, nei piani di recupero e nei piani integrati. Da segnalare che la centrale a biogas in costruzione rappresenta un punto di contatto importante tra queste due attenzioni allo sviluppo economico e all’ambiente: da gennaio, troveranno lavoro almeno una ventina di unità, e all’orizzonte si profila già la possibilità di una seconda centrale a biogas, stimolata con i fondi della vicina centrale di Turano-Bertonico.
«Infine altri elementi importanti sono quelli relativi al recupero del centro storico e al piano dei servizi: in termini architettonici, saranno mantenute e recuperate le facciate degli edifici tradizionali del centro, mentre grande rilievo viene dato alla presenza di un tessuto sociale vivo, fatto di associazioni e di servizi erogati alla cittadinanza - conclude Sozzi -. L’obiettivo indicato per il lungo termine è quello di 5 mila abitanti, ma l’attuazione del piano di governo del territorio porterà un incremento sostenibile, con quota 3 mila abitanti da superare nei prossimi anni».

I sindaci hanno voluto la bicicletta? Pedalino

Greta Boni ritorna oggi su Il Cittadino informando sul taglio dei trasferimenti statali di cui abbiamo ampiamente detto ieri anche di Brembio.
In provincia di Lodi 43 sindaci alle prese con la sforbiciata, anche il Sudmilano piange. Che mazzata per i comuni. Roma taglia di 1,7 milioni i trasferimenti.
Rassegna stampa.

Un taglio da capogiro di oltre un milione di euro. Lo stato chiude i rubinetti e riduce la quota di contributi destinati agli enti locali. Questo significa che sul territorio lodigiano arriverà 1.762.578 euro in meno rispetto al passato. Sebbene comuni e province fossero consapevoli della batosta, adesso dovranno fare i conti per capire come garantire l’erogazione dei servizi ai cittadini.
Per verificare le spettanze destinate agli enti locali per il 2009 è necessario collegarsi al servizio di finanza locale del ministero dell’Interno, disponibile su Internet. È sufficiente inserire nel database informatico alcune informazioni geografiche per vedere comparire i dati relativi ai contributi. La scure si è abbattuta sui comuni più grandi, primo fra tutti il capoluogo: Lodi vede svanire nel nulla 592.425 euro, seguita a ruota da Codogno (166.391 euro) e Casale (112.425 euro). Gli altri centri che subiscono le decurtazioni più consistenti sono Casalmaiocco (85.381 euro), Zelo (57.040 euro), Lodi Vecchio (51.516 euro ), Somaglia (48.206 euro), Sant’Angelo (46.502 euro), Cornegliano (45.164 euro), Mairago (36.919 euro). Nel Lodigiano, su 61 comuni, ben 43 dovranno affrontare a muso duro i tagli, mentre gli altri 17 potranno contare su qualche risorsa in più. Fra i più fortunati spuntano i casi di Borghetto (+75.095 euro), Senna (+52.003 euro), Guardamiglio (+46.780 euro), Livraga (+46.084 euro) e Massalengo (+40.725 euro).
La provincia di Lodi deve fare a meno di 401.912 euro, una somma che se aggiunta al taglio dei comuni raggiunge quota 2 milioni e 164mila euro. La provincia di Milano, invece, si è vista “portar via” circa un milione e 700mila euro. In tutta Italia, dalle tasche delle province spariranno 50 milioni di euro.
Per quanto riguarda il Sudmilano, in questo caso la “mazzata” sfiora i due milioni e mezzo, più precisamente 2.483.043 euro. In questo caso, il comune più colpito dalle decurtazioni è Peschiera: l’amministrazione avrà a disposizione un milione di euro in meno. Anche San Giuliano e San Donato non se la passano bene, le due città hanno perso rispettivamente 362.318 e 492.402 euro. Ci sono poi due eccezioni, Dresano e Vizzolo avranno circa 37mila euro in più nelle casse comunali.
Gli enti locali in difficoltà dovranno trovare soluzioni creative per uscire dai guai, facendo il possibile per eliminare gli sprechi. I sindaci dovranno guardarsi in giro, alla ricerca di sponsor per finanziare progetti e alla caccia di bandi, regionali o europei, per ottenere risorse. Ridurre le spese per gli investimenti sarà per lo più un passaggio obbligato.
La crisi, però, rende più difficile il compito di sindaci e presidenti di provincia, una complicazione a cui si aggiunge la necessità di garantire le spese per il sociale, a fronte di una riduzione del fondo statale destinato a questo settore. Per moltissimi amministratori del territorio l’unica via d’uscità potrebbe essere il federalismo fiscale, che però dovrebbe “andare a regime” soltanto nel giro di dieci anni. Nel frattempo, ognuno di loro dovrà tenere sotto controllo il bilancio e ridurre le spese.

Il pacchetto Maroni-Berlusconi colpisce nel lodigiano

Carlo Catena su Il Cittadino di oggi ci dice degli egiziani e marocchini fermati tra lunedì e martedì nella Bassa in base al “pacchetto sicurezza” che introduce il reato di clandestinità.
Denunciati i primi undici clandestini. Operazioni dei carabinieri di Codogno e della Finanza di Casale.
Rassegna stampa.

La palma della prima denuncia in provincia di Lodi per il nuovo reato di clandestinità se la contendono i carabinieri della compagnia di Codogno (e delle stazioni della Bassa) e i militari della tenenza di Casalpusterlengo della guardia di finanza. Così nei primi due giorni della settimana, ad appena 48 ore dall’entrata in vigore del “pacchetto sicurezza”, sono già stati undici gli immigrati irregolari, tutti nordafricani, che dovranno comparire innanzi al giudice di pace e che potrebbero essere condannati a una multa da 5 a 10mila euro. Il giudice però potrebbe anche applicare la pena sostitutiva dell’espulsione, da eseguirsi a cura del questore.
Il reato è stato introdotto dal “pacchetto sicurezza”, 34 pagine di nuove norme pubblicate sulla Gazzetta ufficiale il 24 luglio, che tra l’altro inaspriscono ulteriormente il codice della strada, sanzionano chi vende bombolette spray con vernici non biodegradabili ai minorenni e reintroducono il reato di oltraggio a pubblico ufficiale nell’esercizio delle sue funzioni. Precisamente, si tratta della legge 94 del 2009 e l’articolo che sanziona “l’ingresso e il soggiorno illegale nel territorio dello Stato” è il 10.
Tecnicamente non si tratta di un delitto ma di una contravvenzione, e la competenza è del giudice di pace, innanzi al quale il clandestino deve comparire entro 15 giorni dalla contestazione. In questi giorni il coordinatore dell’ufficio del giudice di pace di Lodi è in ferie e anche dal suo vice non arrivano, per ora, commenti riguardo al prevedibile aumento dei carichi di lavoro dei due uffici: per quello di Lodi le udienze per i clandestini possono essere inserite nel calendario, a Codogno, dove dovranno passare gli 11 denunciati tra lunedì e martedì, fino ai mesi scorsi le udienze erano solo due al mese. A occuparsi del procedimento il sostituto procuratore di turno presso la procura della Repubblica di Lodi. Gli avvocati che non sono in ferie stanno studiando in questi giorni le nuove norme, la cui applicazione dovrà inevitabilmente passare per un periodo di “rodaggio”. A cominciare da un aspetto: i clandestini sono stati tutti identificati dall’ufficio stranieri della questura e il questore ha formalizzato i decreti di espulsione, da rispettare entro 5 giorni. Non si esclude al proposito il trasferimento ai Centri di identificazione ed espulsione. Difficilmente però le udienze, complice il Ferragosto, si terranno entro tale termine. La tenenza di Casale della Finanza ha fermato il primo clandestino nella serata di lunedì, durante un pattugliamento: F.A., 21 anni, egiziano, si aggirava a piedi per il centro di Casalpusterlengo, senza documenti validi. Identificato, si è scoperto che era già destinatario di un provvedimento di espulsione, che non lo aveva rispettato e che per questo era stato processato e condannato. E non lo si può processare due volte per lo stesso reato. Si trovava quindi in un “limbo” di impunità, fino a quando la clandestinità in sè non è diventata reato. Anche i carabinieri di Codogno hanno cominciato ad applicare la legge lunedì, denunciando tra lunedì e martedì a Casalpusterlengo gli egiziani E.A., 25 anni, ed E.E., di 30, e i marocchini E.M., 34enne, B.M., 24enne, e J.H., 25enne. A Somaglia invece sono stati fermati quattro egiziani M.M., 39 anni, G.M., 38, O.S., 35, e S.M., 28. Si tratta, rimarca il comandante della compagnia di Codogno dell’Arma, capitano Francesco Maretto, del più alto numero di clandestini denunciati contemporaneamente.

Effetti iniqui di nefaste leggi bandiera

Ciclodi: «Chi va in bici ora è discriminato».
Rassegna stampa - Il Cittadino.

«Una sperequazione assurda a discapito dei ciclisti». Così la presidente di Ciclodi Fiab, Pina Spagnolello, commenta le nuove norme del codice della strada, introdotte dalla mezzanotte di venerdì dal “pacchetto sicurezza” del governo Berlusconi: «Se il conducente è persona munita di patente di guida, nell’ipotesi in cui sono stabilite le sanzioni amministrative accessorie del ritiro, della sospensione o della revoca della patente di guida, le stesse sanzioni accessorie si applicano anche quando le violazioni sono commesse alla guida di un veicolo per il quale non è richiesta la patente di guida». Compresa la decurtazione dei punti sulla patente. Chi va in bicicletta ubriaco, quindi, se sanzionato si vede obbligatoriamente (e non per “cattiveria” dell’agente o del vigile che provvede) gravato delle medesime sanzioni accessorie che gli toccherebbero se, nelle medesime condizioni, guidasse l’auto. Non è invece (almeno per ora, osserva maligno qualcuno) prevista la confisca del velocipede. Ma in Italia non si può mai dire. «È assurdo - commenta Spagnolello - la bicicletta è evidentemente molto meno pericolosa dell’auto». È anche vero che molti incidenti gravi o mortali sono stati causati da comportamenti pericolosi dei ciclisti. Ma, anche a detta di molti avvocati, è ingiusto che chi ha la patente subisca una sanzione più elevata rispetto a chi non l’ha. Sul sito www.ciclodi.it ci sono piuttosto alcune controproposte per rendere la bici più sicura. Per ora nessuna sanzione ai ciclisti da parte dei vigili di Lodi, con il nuovo codice. Ciclodi comunque promette ricorsi al giudice di pace contro queste sanzioni accessorie.

Tentata rapina alle Poste di Ossago

Emiliano Cuti su Il Cittadino di oggi ci racconta del tentativo di rapina alla posta di Ossago dove i malviventi hanno minacciato l’impiegato, poi l’hanno picchiato e se ne sono andati con il suo portafoglio.
In fumo il tentativo di rapinare la Posta. Tre persone a volto coperto tradite dalla chiusura temporizzata.
Rassegna stampa.

Ossago - Hanno picchiato l’impiegato, ma alla fine se ne sono andati via con un magro bottino: il portafoglio e gli effetti personali del sostituto del responsabile della filiale di Ossago di Poste italiane. Due persone senza scrupoli, incappucciate per non farsi riconoscere, sono entrate in azione ieri in piazza della Chiesa risolute nel rapinare la filiale mentre un terzo complice doveva fare da “palo” e autista. La chiusura temporizzata della cassaforte ha però vanificato il piano criminale della banda, che è scappata al volante di una Station Wagon verso via IV Novembre. Sulle sue tracce i carabinieri della compagnia di Lodi e dei reparti operativi. Ma per il momento le ricerche non hanno dato esito.
Sono stati attimi di terrore puro. Da qualche giorno c’è un nuovo impiegato che fa servizio presso la filiale. Ieri doveva essere un giorno come gli altri. Ha aspettato le 14, l’orario di chiusura, poi è uscito dal retro che dà su un cortile privato protetto da un cancello per tornare a casa. Appena ha premuto l’interruttore per spalancare la cancellata, gli sono piombati addosso i due banditi, che probabilmente stavano sfruttando la vetrata di un supermercato vicino come specchio spiando i movimenti dell’ignaro dipendente. «Io ho sentito dei rumori - spiega una signora che abita nel cortile -, ma pensavo si trattasse degli ispettori. Sa, alle volte succede. Sono andata avanti ad usare la mia aspirapolvere. Poi però ho sentito gridare e piangere. Ho capito quello che era successo». In un attimo infatti sono arrivati il soccorso sanitario e i carabinieri. In piazza, nell’area di mercato, un ambulante ha visto sgommare via un’automobile: all’interno c’era il commando che aveva assaltato le poste, tre ragazzini poco più che maggiorenni. Mentre due donne, affacciate al balcone dirimpetto alla filiale, hanno visto qualcosa di più: loro però si trincerano dietro un secco: «Non rilasciamo dichiarazioni».
Stando ad una prima ricostruzione dei fatti, i rapinatori avrebbero costretto il sostituto del direttore a portarli all’interno della banca. E da lui volevano che venisse aperta la cassaforte: quando questo gli ha spiegato che non era possibile, si sono accaniti contro di lui spingendolo ripetutamente e minacciandolo. Alla fine gli hanno preso gli effetti personali e sono fuggiti. Sotto shock e con varie escoriazioni, il poveretto è stato medicato al pronto soccorso dell’ospedale di Maggiore Lodi.
L’amministrazione comunale per bocca dell’assessore all’istruzione Antonio Dossena e dell’assessore ai servizi sociali Laura Ferrari esprimono solidarietà al dipendente delle Poste aggredito. «Sono fatti - spiegano - che non dovrebbero mai accadere e che purtroppo hanno avuto il nostro territorio come protagonista. Un episodio raro, in una comunità tranquilla. Non abbiamo mai pensato alla videosorveglianza perché cose come queste non fanno parte dell’ordinarietà di una comunità tranquilla come la nostra». In realtà un’altra tentata rapina c’era stata proprio alle Poste, ma bisogna tornare indietro di vent’anni fa quando la filiale era ubicata in un altro luogo: allora si è materializzata un’altra scena di estrema violenza. Altra visita in filiale tre anni fa, poi più niente se non gli ormai noti episodi di vandalismo con un gruppo di giovani che ha dato fuoco alla piazzola.