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lunedì 30 novembre 2009

Bocciato il minareto ma non il commercio delle armi

Referendum svizzero, crocefisso sulla bandiera italiana: la destra che rantola sfrutta o s'inventa ogni cosa purché si parli d'altro. Tutto va bene per non parlare d'un predellino che scricchiola.



Subito una buona notizia sul fronte dei diritti. La Corte di giustizia della Comunità europea ha stabilito che il trattenimento degli immigrati presso i Cpt, ai fini dell’allontanamento dal territorio nazionale, deve riguardare soltanto “il tempo necessario all’espletamento diligente delle modalità” del rimpatrio; non deve superare il massimo di 18 mesi e deve uniformarsi in tutti i paesi della Comunità. Inoltre deve essere prevista l’immediata liberazione qualora non vi sia “alcuna prospettiva di allontanamento per motivi di ordine giuridico o per altri motivi'' o siano scaduti i tempi massimi stabiliti per il trattenimento. La Corte ha espresso la sua decisione esaminando il caso di un cittadino ceceno fermato dalle autorità bulgare al confine con la Turchia e trattenuto in un Centro di permanenza temporanea.
Sul fronte “immigrazione” oggi due questioni hanno tenuto banco: il referendum elvetico contro la costruzione di nuovi minareti e l’uscita leghista sul tricolore “crociato”. Sull’esito del voto svizzero la presa di posizione più forte e decisa, nel nostro panorama politico, è venuta da Gianfranco Fini che ha addossato alla scelta svizzera “la responsabilità di rendere il fanatismo islamico più forte”.
La vittoria del “sì” è stata commentata dai vescovi svizzeri come “un ostacolo e una grande sfida sul cammino dell'integrazione nel dialogo e nel rispetto reciproco”. I vescovi si erano impegnati, a fianco delle Chiese protestanti e naturalmente della comunità musulmana, perché la proposta di legge fosse respinta. L'esito delle urne è stato invece diverso e i vescovi assicurano di “averne preso atto con grande attenzione”: “Evidentemente non siamo riusciti a mostrare al popolo che il divieto alla costruzione dei minareti non contribuisce ad una sana coabitazione delle religioni e delle culture, ma al contrario la deteriora”. Per i vescovi, la campagna referendaria “con le sue esagerazioni e caricature”, ha mostrato che “la pace religiosa non viene da sé e va sempre difesa”. Il sì al referendum “aumenta i problemi di coabitazione tra le religioni e le culture” e non aiuterà “i cristiani perseguitati e oppressi nei Paesi islamici”, anzi “diminuisce la credibilità del loro impegno in quei Paesi”. Adesso, per i presuli, “la sfida principale è quella di ridare alla popolazione la fiducia necessaria nel nostro ordine giuridico e un'attenzione adeguata agli interessi di tutti”.
Ahmad Gianpiero Vincenzo presidente dell'associazione Intellettuali Musulmani Italiani, consulente per l'immigrazione della Commissione Affari Costituzionali del Senato e membro dell'Assemblea Generale della Grande Moschea di Roma ha dichiarato che “sulla questione dei minareti la Svizzera non sta dando una bella immagine al resto del mondo”. “Purtroppo si sta facendo sempre più forte in Europa l'influenza dei partiti estremisti che fanno dell'anti-islamismo la loro bandiera. Anche in Svizzera la maggior parte dei gruppi politici era contraria al referendum, ma questo non ha impedito alla maggioranza dei votanti di esprimersi contro i minareti. Paradossalmente non è passato, invece, il referendum sull'esportazione di armi: si continuerà così a produrre e a vendere strumenti di morte. L'immagine che ne emerge non è certo quella di un Occidente pacifico e tollerante”.
Per Karim Mezran, segretario generale degli Intellettuali Musulmani Italiani e docente alla Johns Hopkins University, quella approvata in Svizzera è “una norma assurda e inutile perché non sono certo i simboli architettonici a costituire un problema, ma semmai i gruppi fondamentalisti, contro i quali si continua a fare troppo poco, in Svizzera come nel resto d'Europa. Impedire la costruzione dei minareti rappresenta solo un segnale preoccupante di mancanza di tolleranza e democrazia. Siamo preoccupati che si possa andare verso un mondo dove le minoranze etniche e religiose rischiano di non avere più sufficienti garanzie e di vedere limitati i loro diritti fondamentali”.
L'Osservatore Romano ha commentato l’esito dicendo che “il 'no' svizzero a nuovi minareti danneggia la libertà religiosa”. Il giornale vaticano ricorda la posizione dei vescovi locali che hanno parlato di “un duro colpo alla libertà religiosa e all'integrazione” e di una “tendenza che complica le cose per i cristiani”. L'Osservatore riporta le parole del segretario generale della Conferenza episcopale elvetica, don Felix Gmur, il quale ha spiegato la vittoria dei sì “con la paura della gente verso chi viene da lontano, di chi non capisce, e si chiude”.
Infine, mons. Antonio Maria Vegliò, presidente del Pontificio consiglio per la pastorale dei migranti, ha fatto sapere di essere “sulla stessa linea dei vescovi svizzeri”.
Questa mattina, Calderoli, ministro leghista, commentando in un'intervista a Repubblica il referendum aveva detto: “Su questo do un giudizio assolutamente positivo. Il minareto è qualcosa di diverso da una moschea. Ha un forte contenuto simbolico, che travalica la dimensione religiosa. La esteriorizza, fino a farle assumere significati altri dalla preghiera. Un conto è garantire la libertà di culto, altro mettere un argine agli aspetti politici e propagandistici legati all'Islam”. Per Calderoli “l'aspetto positivo della consultazione è lo stimolo ad aprire anche da noi un dibattito serio su queste forme di democrazia diretta. Proprio mercoledì al Senato comincia la discussione sulla riforma federale dello Stato, noi della Lega avanzeremo una proposta. Da noi c'è il referendum confermativo per le leggi costituzionali e abrogativo per quelle ordinarie, manca il referendum propositivo, che esiste solo nelle realtà locali: bene, estendiamolo e facciamo come la Svizzera”. In Svizzera, secondo Calderoli, ''cercano di frenare gli aspetti propagandistici dell'Islam, mentre in Italia si è addirittura aperto un dibattito sul diritto di cittadinanza, e quindi di voto, da estendere agli immigrati. Ma così si ipotizza la nascita di partiti islamici, come qualcuno ha già detto. Sarebbe la cosa peggiore, per l'Islam religione e politica sono la stessa cosa, anzi la prima prevale sulla seconda”.
Castelli ha fatto subito da sponda rilanciando la sua proposta di inserire la figura della croce cristiana all'interno del tricolore nazionale: “Spero che il Partito di cui mi onoro di far parte faccia propria la mia proposta”. Ed in una nota rincara: “Ricordo che esiste già una bandiera italiana che contiene non una, ma tre croci, quella della nostra gloriosa Marina militare. E ciò soprattutto il Ministro della Difesa dovrebbe saperlo. Ricordo inoltre a chi si accinge a riformare la Costituzione italiana che si potrebbe valutare l'opportunità di una bandiera dello Stato italiano simile a quella della Marina, cioè senza la corona ma con gli emblemi delle nostre storiche Repubbliche marinare, simbolo di indipendenza e autonomia”.
Una sorta di risposta, quella di Castelli, a La Russa che ha detto commentando la “castellata”: “Non abbiamo bisogno di mettere il crocifisso all'interno della bandiera italiana, basta tenerlo all'interno della nostra cultura e della tradizione cristiana. Un cambiamento della bandiera lo può fare soltanto chi non ama la bandiera. Credo che Castelli da persona intelligente qual'è, abbia fatto una battuta. Non è neanche una provocazione, ma una battuta propagandistica che può fare chi non capisce che la bandiera italiana non è tante bandierine da sventolare e non è che se ne possa sventolare una diversa ogni giorno”. Quanto al referendum svizzero, secondo La Russa “la Svizzera non è mai stato un paese particolarmente aperto. Ha fatto molto bene ad esprimere un'opinione che conferma che non bisogna mai discriminare, ma nemmeno arrendersi, ad un futuro non dico multietnico ma multiculturale”.
Il miglior commento sulla proposta di Castelli è venuto da Fini: “La Lega delle volte esagera. In molte occasioni dice cose strumentali, in modo viscerale e che hanno conseguenze negative. Per esempio la proposta di Castelli di metter la croce nel tricolore per fortuna è durata lo spazio di un mattino”.
Per chiudere una rapida carrellata su altre esternazioni in merito al referendum svizzero e al crocefisso leghista. Rotondi: “No alla croce nel tricolore, vale sempre la linea di Cavour: libera Chiesa in libero Stato”. Maurizio Lupi: “Credo che in questo momento l'unica cosa che dobbiamo evitare è cavalcare una polemica sterile su croci e minareti. La libertà religiosa non si difende con l'integralismo e con battaglie che hanno come unico risultato quello di banalizzare temi che, al contrario, definiscono l'identità di un popolo. Tra l'altro, questo è il modo migliore per minare le fondamenta di quella laicità positiva che è alla base della nostra società”. Capezzone: “C'è da augurarsi che tutto il mondo politico, senza distinzioni di schieramento, dopo qualche prima reazione emotiva, voglia scegliere una linea di sobrietà e di razionalità a seguito del referendum svizzero sui minareti. Gli italiani desiderano una politica operosa e volta al buongoverno: e di tutto si sente il bisogno tranne che di qualche improvvisata e paradossale guerra di religione, comunque e da chiunque condotta”.
Urso ha lanciato in direzione della Lega un'ammonizione “per le possibili conseguenze di un referendum contro il quale si era giustamente schierata anche la chiesa locale”. La Lega sbaglia “a innalzare la bandiera dell'intolleranza. Se Calderoli e Castelli credono davvero in quel che dicono, presentino delle proposte di legge costituzionali per modificare la carta costituzionale e cancellare dal nostro ordinamento la libertà religiosa e, mentre ci sono, per restaurare lo stato pontificio anche contro il volere della chiesa ma stavolta proprio in padania”.
Ancora Calderoli, tanto per dimostrare d’essere più “furbo” di Castelli, “Mi spiace per Castelli e per la sua proposta, ma devo ricordare che nella nostra bandiera, quella lombarda, la croce c'è già ed è quella rossa in campo bianco, la croce di san Giorgio, emblema della bandiera con cui Milano e gli altri comuni lombardi sconfissero il Barbarossa nella storica battaglia di Legnano del 1176”. Per Calderoli: “Sono altre, ritengo, le riflessioni che devono invece nascere dal referendum svizzero e dal suo risultato. La prima è inerente al segnale che ci giunge da un risultato così schiacciante, un sì ai campanili e un no ai minareti, ovvero da un lato il rispetto per la libertà di religione e dall'altro la necessità di mettere un freno agli aspetti politici e propagandistici legati all'Islam come, per esempio, la costituzione di un partito islamico in Italia, come già avvenuto in Spagna”.
Gasparri, per alcuni aspetti più “calderoli” di Calderoli: “Il risultato del referendum svizzero è chiaro. In Europa anche paesi notoriamente più tolleranti guardano con preoccupazione al dilagare dell'islamismo e delle sue forme più estreme. Moschee o minareti spesso non sono solo simboli di culto, ma luoghi dove i predicatori di odio, nella loro lingua, infondono i dettami della violenza e dell'intolleranza. In pericolo non c'è solo la nostra identità cristiana, ma la nostra sicurezza. Il prevalere nell'Islam di posizioni integraliste è noto. E se anche la neutrale e tollerante Svizzera ha con il referendum dato un segnale di preoccupazione inequivocabile, credo che sia nostro compito quanto meno riflettere. Abbiamo il dovere di difendere le nostre radici con determinazione e convinzione. A tal proposito, l'idea di inserire nel Tricolore il crocifisso è una provocazione suggestiva, ma che come tale va trattata”. Ronchi: “La proposta della Lega sulla croce è una fesseria, il Tricolore è un simbolo che non può essere toccato, ha una tradizione e una attualità immensa, deve essere bianco, rosso e verde e basta. Il voto della Svizzera sui minareti, invece, è un'espressione popolare che deve far riflettere e a cui bisogna riservare la giusta considerazione. Bisogna capire che c'è in Europa una profonda difficoltà nei confronti dell'Islam. Per questo, per dare sicurezze e certezze al cittadino europeo, dobbiamo accelerare il processo di integrazione, aiutare i musulmani moderati e avere parole chiare e atteggiamenti consequenziali e intransigenti contro il fondamentalismo e contro le moschee e i predicatori fai da te”. Donadi: “Ormai siamo alla farsa. La proposta della Lega di inserire la croce nel tricolore è semplicemente ridicola e viene da chi la bandiera italiana voleva bruciarla. La Lega, la forza politica dei riti celtici, delle ampolle, dei matrimoni celebrati da druidi ora cavalca l'intolleranza e si presenta come alfiere della cristianità, soffiando sul fuoco delle paure e delle insicurezze dei cittadini. Un po' di serietà non guasterebbe da parte di chi è al governo dell'Italia, una e indivisibile”. Zanda: “La bandiera italiana è bellissima ed è il simbolo dell'unità nazionale. La Lega deve smetterla con le provocazioni contro i simboli dell'Italia unita. Queste provocazioni sono ancora più gravi perché fatte da chi siede in Parlamento e dovrebbe rappresentare tutti gli italiani”.
Nel nostro paese c'è una “parte della classe dirigente che ritiene ancora di soffiare sul fuoco e innescare nuove contrapposizioni”. A dirlo è stato il segretario generale della Cisl, Raffaele Bonanni, che nel corso di un convegno organizzato dal sindacato sul tema dei diritti degli immigrati ha detto di sperare che “in Parlamento, al più presto, si definisca quella proposta bipartisan, che va nella direzione del riconoscimento del voto agli immigrati, dei diritti civili e amministrativi per chi paga i contributi e le tasse e ha un rapporto stabile con l'Italia”. Secondo Bonanni “i cittadini e i lavoratori italiani non cascano nella trappola della xenofobia e della contrapposizione. Il Paese è maturo per fare questi passi”.
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Il Pdlega perde un pezzo

Il promotore Stefano Buzzi: «Al voto con un nostro candidato, poi al ballottaggio si vedrà». Nasce la lista dei “dissidenti” del Pdl. Presentata “Il Lodigiano che verrà” con ex consiglieri azzurri.
Rassegna stampa - Il Cittadino, Matteo Brunello, 30 novembre 2009.

Una forza liberale e riformista per superare un bipolarismo ormai “malato”. È il battesimo ufficiale dell’associazione “Il Lodigiano che verrà”, nuova formazione che guarda già alle comunali di Lodi. «Ci opponiamo all’asse Pdl e Lega e ad un’opposizione sterile di un Pd di sinistra», afferma il suo presidente Stefano Buzzi, ex consigliere provinciale di Forza Italia. E si annuncia già la proposta di una lista autonoma per l’appuntamento con le urne di marzo, che potrebbe catalizzare molti dei consensi all’interno dell’area del centrodestra locale. «L’ambizione ci spinge a proporre, dove possibile, il nostro candidato e nostro programma - riprende Buzzi - Per ora resteremo da soli e in caso di eventuale ballottaggio si discuterà». In sala, sabato pomeriggio, molti esponenti della politica cittadina di entrambi gli schieramenti. In particolare l’ex capogruppo di Forza Italia in consiglio comunale Giuseppe Bruschi (attualmente parte del gruppo misto in Broletto), Nando Mascherpa (candidato alle ultime elezioni provinciali per i Moderati Riformisti), e Pietro Cipolla (ex consigliere provinciale Ds e del gruppo dei Riformisti per il Lodigiano). Tra il pubblico anche il sindaco di Lodi, Lorenzo Guerini («sono stato invitato e ho partecipato come atto di cortesia istituzionale», commenta), il presidente del consiglio comunale Gianpaolo Colizzi, oltre ad una serie di esponenti di area centro destra (il consigliere comunale del gruppo ex Fi Vittorio Sala, Beppe Carlin, Stefano Cecchi, Vera Lambri). «L’idea è quella di partire dal riformismo per dare risposte alla crisi della politica. Ci vuole il coraggio d’intraprendere un cambiamento - illustra Buzzi - molti dei promotori di questa iniziativa hanno partecipato ad una stagione politica improduttiva e da qui vogliamo ripartire per un progetto innovativo». Il modello è quello di altre realtà, come il gruppo “Parma che verrà”, rappresentato dal suo presidente Gianluca Zoni, che ha fornito contributi significati nelle sfide elettorali per comune e provincia di Parma. E il progetto ha già contagiato altre località, tra cui Napoli, c’è l’interesse di Pavia, Brescia. A moderare l’incontro, il responsabile cronaca Milano del quotidiano Il Giorno, Alessandro Neri. «Non abbiamo ricette miracolose, ma ci muoveremo con buon senso», specifica Buzzi, che ha anche annunciato la nascita del gruppo “Lodi che verrà”, che avrà probabilmente il compito di traghettare l’associazione alle elezioni comunali di marzo per il capoluogo.
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