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mercoledì 23 settembre 2009

Blog Notte - Frammenti di informazione televisiva

Blog Notte
Frammenti di informazione televisiva

23 settembre 2009
"La situazione in Italia è molto dura e difficile e i colleghi che si ribellano vengono puntualmente puniti ed emarginati. Tutto questo perché il sistema informativo italiano non è libero". Così Michele Santoro ai microfoni di Radio Città Futura questa mattina. Secondo il conduttore di Annozero, "oggi fanno molta fatica persino i giornalisti di un quotidiano importante come il Corriere della Sera, perché attraverso Mediobanca Silvio Berlusconi può avere una interferenza diretta dentro la testata". "La verità - conclude Santoro - è che in Italia abbiamo un grande gruppo editoriale che fa capo direttamente a Silvio Berlusconi e che può influenzare in mille maniere le vicende dei giornali e della televisione".

Ieri sera, martedì 22 settembre, è andato in onda regolarmente "Ballarò". Comincimo col rivedere il primo servizio e il primo intervento di Di Pietro.
















La scelta di privilegiare la trasmissione 'Porta a Porta' per la consegna delle prime case in Abruzzo è stata fatta "per continuità editoriale". Lo ha affermato oggi il direttore generale della Rai, Mauro Masi, nel corso della sua audizione davanti la Commissione di Vigilanza Rai a San Macuto. Masi spiega che è stato deciso di riqualificare il palinsesto e di anticipare in prima serata la trasmissione di Bruno Vespa perché questa aveva già seguito in precedenza il dramma abruzzese, con una trasmissione dedicata alla prima scossa di terremoto e, un mese dopo, con una trasmissione dedicata al bilancio per la ricostruzione. Inoltre, aggiunge Masi, il giorno della trasmissione tanto criticata avveniva la consegna di un asilo per la ricostruzione del quale 'Porta a Porta' aveva raccolto oltre 4 milioni di euro.
E per quanto riguarda Annozero: "Nessuno vuole scaricare su Agcom la responsabilità" della partecipazione di Marco Travaglio ad Annozero. Lo assicura il direttore generale della Rai, Mauro Masi, al termine dell'audizione in commissione Vigilanza.
Oggi è saltato il previsto incontro tra il Dg e Calabrò ma sono tuttora in corso contatti tra la Rai e l'Autorità per la definizione del contratto di Travaglio.

E adesso la seconda clip di Ballarò con l'intervento di Maurizio Lupi (Pdl).
















"Ci sono molti modi per intervenire sulla libertà e il diritto all'informazione. Capito che le censure palesi e le chiusure delle trasmissioni hanno un effetto troppo evidente, che provoca ripercussioni controproducenti, si opta adesso per un meccanismo meno diretto ma certo non meno efficace". Così Fulvio Fammoni, segretario confederale della Cgil, responsabile delle politiche dell'informazione e della comunicazione, interviene sulla vicenda Annozero. "Ritardare la programmazione dei programmi, ritardare all'estremo i contratti dei protagonisti, sperando magari che così siano loro ad escludersi, non prevedere le tutele legali necessarie a trasmissioni di inchiesta - afferma il dirigente sindacale - sono tutti metodi molto in voga attualmente in Rai, fino ad arrivare alla presentazione di programmi che si dichiara di subire e di cui si preferirebbe la non presenza". Tutto questo, per Fammoni, "non è meno grave, è altrettanto sbagliato e inaccettabile".
Per il segretario della Cgil, che riconferma l'adesione della Cgil alla manifestazione del 3 ottobre a Roma per la libertà di informazione, "deve essere forte ed esplicita la solidarietà alle redazioni, alle persone e ai programmi che subiscono questi trattamenti e deve salire la protesta contro i vertici della RAI e queste loro scelte non accettabili".

Gli interventi successivi sulla libertà di stampa a Ballarò.
















"Le idee sul giornalismo del servizio pubblico espresse in Commissione di Vigilanza dal Direttore Generale della Rai sono il fondamento teorico dell'informazione asservita al potere di turno". Lo afferma il presidente della Fnsi, Roberto Natale, che così prosegue: "Non si fanno trasmissioni politiche contro, ha detto Mauro Masi, riscrivendo la storia del giornalismo televisivo britannico e americano. Purtroppo si è dimenticato di aggiungere che non si dovrebbero fare nemmeno trasmissioni politiche a favore, e che la completezza dell'informazione andrebbe garantita anche quando si permette al Presidente del Consiglio di insultare senza replica i 'troppi farabutti'. La sua omissione conferma che vuol piegare il giornalismo Rai ad una umiliante funzione di propaganda; come attestano tutti i pretestuosi ostacoli che si stanno frapponendo in queste ore al contratto di Marco Travaglio. Questa Rai è capace soltanto di collezionare brutte figure: ultima delle quali la motivazione con la quale la Corte d'appello di Roma ha smontato le giustificazioni addotte a suo tempo per cacciare Michele Santoro. I comportamenti del servizio pubblico danno tanti motivi in più per essere con la Fnsi in piazza del Popolo il 3 ottobre, a difesa dell'Articolo 21".

Ancora Ballarò:
















Le attese nomine di Raitre domani non ci saranno e Sergio Zavoli, presidente della Commissione parlamentare di Vigilanza Rai, chiede al direttore generale Mauro Masi di spiegare il perché. È avvenuto alla fine della riunione della Commissione quando Zavoli ha ricordato che a luglio il Cda aveva rinviato la questione a settembre. Ora, ha chiesto Zavoli, perché non ci sono ancora le nomine? "Sono ragioni politiche o altre non confesse? C'è invadenza dei partiti o acquiescenza dell'Azienda?".
Zavoli ha anche riferito a Masi le critiche di poco pluralismo e di perdita di qualità dei programmi Rai. Ma ha anche fatto riferimento alle critiche che in questi giorni hanno investito personalmente Masi: "Lo sa di essere al centro, da più parti, del sospetto di voler normalizzare la Rai?". Ulteriore argomento è stato infine quello dell'informazione sul congresso del Pd. In proposito Zavoli ha raccomadato a Masi che la Rai sulle candidature alla segreteria tenga un criterio di pari trattamento.

L'ultima clip di Ballarò:
















E sempre sulla libertà di stampa, chiudiamo con due clip divertenti tratte dal Tg4 di questa sera.






























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Intimidazione

Ieri, Bucciantini e Solani avevano pubblicato questo articolo su l'Unità.it:
"Stai attenta", sms intimidatorio ad una testimone dell'inchiesta Tarantini.
Rassegna stampa, l'Unità.it, M.Bucciantini M.Solani, 22 settembre 2009.

C’è una traccia misteriosa, che però non sembra portare a Gianpaolo Tarantini. Una traccia elettronica che la procura di Bari sta cercando di seguire a ritroso per dare risposte agli interrogativi che in molti fra gli inquirenti in questi giorni hanno ripetuto. Qualcuno sta davvero cercando di inquinare i pozzi dell’inchiesta sulle ragazze ingaggiate da Gianpi per allietare serate e festini a Bari, in Sardegna e persino nella residenza romana del premier Berlusconi? Qualcuno sta davvero cercando di spaventare le ragazze, molte delle quali sentite negli ultimi giorni fra Roma e Milano, e consigliare loro il silenzio?
Per i magistrati baresi non c’è dubbio che qualcosa o qualcuno si stia muovendo in questo senso. Ne erano convinti da tempo e nei giorni scorsi avrebbero trovato una prima conferma. A fornirla proprio una delle testimoni ascoltate dalla Guardia di Finanza, che ai militari ha mostrato terrorizzata il proprio telefonino e il contenuto di un messaggio di testo ricevuto prima di recarsi in caserma a deporre. Due le parole, uno solo il sinistro messaggio: «Stai attenta». Chi fosse il vero mittente le Fiamme Gialle non sono ancora riuscite a scoprirlo, come non è ancora chiaro se la ragazza che ha avuto il coraggio di raccontare l’intimidazione ricevuta sia l’unica o se piuttosto altre, spaventate, hanno optato per il silenzio. Quel poco che le indagini hanno permesso di appurare è che l’sms è partito da un centralino elettronico di Roma. Anche per questo motivo, all’improvviso, venerdì la procura aveva disposto il fermo di Gianpaolo Tarantini ventilando il rischio di inquinamento probatorio oltre a quello di una fuga all’estero. Un’improvvisa accelerazione basata su ipotesi che il gip Vito Fanizzi non ha sposato pur riconoscendo, nell’ordinanza con cui ieri ha disposto gli arresti domiciliari per l’imprenditore barese, il rischio che qualcuno ancora senza volto si stia dando da fare nell’oscurità per cancellare le tracce e confondere le piste battute sino ad oggi dalla procura. Con effetti concreti, se è vero che nelle ultime deposizioni molte delle ragazze non hanno confermato quanto ammesso da Gianpaolo Tarantini sui festini e le serate hard.
Certo quello dell’sms è un segnale inquietante che apre nuovi e misteriosi scenari in una vicenda che si fa sempre più complicata. Scenari che ad onor del vero erano già stati ipotizzati da Patrizia D’Addario, la escort pagata da Tarantini per fare sesso col presidente del Consiglio Berlusconi, che nei giorni successivi allo scoppio dello scandalo per i festini a Palazzo Grazioli raccontò di un misterioso furto subito in casa propria a metà maggio, soltanto pochi giorni dopo aver confidato ad un amico di essere in possesso delle registrazioni di quella notte col premier. «I ladri hanno portato via tutto – raccontò – le mie agendine, i cd musicali, i vestiti e persino le grucce. Però lasciarono un televisore di grande valore». Che cosa cercavano? Patrizia ne è sicura: «I nastri della mia notte a Palazzo Grazioli».

Oggi i due giornalisti pubblicano questo nuovo articolo.
Francesca, non raccontare quella cena dal premier.
Rassegna stampa - l'Unità.it, M. Bucciantini M. Solani, 23 settembre 2009.

A quel tavolo erano in sei. Silvio Berlusconi, Gianpaolo Tarantini, Francesca Garasi, Carolina Marconi, Geraldine Semeghini e Maria Teresa De Nicolò. Quest’ultima si fermò «per un incontro intimo con il premier », come ha confessato Gianpi il 29 luglio scorso durante un interrogatorio nella caserma della Guardia di Finanza di Bari. In quelle risposte davanti al pm Giuseppe Scelsi compare per la prima volta un nome nuovo nel campionario di ragazze «offerte» dall’imprenditore al premier: «In occasione di un incontro a casa del presidente del Consiglio a Roma il 23 settembre 2008 invitai Francesca Garasi che giunse con tre sue amiche... ». Se al tavolo sono sei la notte fu di baldoria tanto che Berlusconi l’indomani decide di disertare l’assemblea delle Nazioni Unite al Palazzo di Vetro, a New York. «Devo salvare Alitalia», si giustificò. Invece sparì per cinque giorni in un centro benessere in Umbria, che riaprì per l’occasione.
Il personaggio. La Garasi è romana, mora, capelli corti, frequenta la Costa Smeralda, dove ha conosciuto la Semeghini, responsabile del privé del Billionaire. È amica della venezuelana Marconi, già concorrente del Grande Fratello, e i volti del piccolo schermo sono molto graditi a Palazzo Grazioli. Bazzica e conosce dunque i luoghi e i fatti scottanti dell’inchiesta, conosce il «giro» barese di Gianpi, ed è a lei che arriva l’sms perentorio: «Stai attenta». Lo legge sul cellulare martedì 15 settembre, tre giorni prima di dover comparire nella caserma della polizia tributaria di via dell’Olmata a Roma, per raccontare i suoi ricordi della cena e del dopocena nella residenza del premier. Di quella notte si conosce già il pernottamento della De Nicolò ma qualcuno si muove perché non si conoscano altri dettagli e altre presenze che imbarazzerebbero il presidente del Consiglio. Francesca si spaventa ma non asseconda i tentativi di intimidazione. E ai militari svela tutto, ripercorre i tempi di quanto successo e mostra il display del telefonino con quel breve avvertimento. Un segnale allarmante per gli uomini della Guardia di Finanza, che informano immediatamente la procura di Bari. Quel testo è partito da una cabina telefonica del centro di Roma e se sconosciuto è il suo autore, chiarissimo è il messaggio. Chi sa resti zitto, chi sta per parlare ci pensi bene. Ci pensi bene Francesca, ci pensino bene le altre ragazze chiamate in causa da Tarantini che nelle stesse ore stanno testimoniando a Roma e Milano. Ci pensino bene anche tutti gli altri coinvolti in questa vicenda, a qualsiasi titolo, i cui nomi sono da settimane sulle pagine dei giornali. È anche questo «l’inquinamento oggettivo» di cui parlavano il pm Scelsi e il procuratore Antonio Laudati nel decreto di fermo a carico di Gianpi. Provvedimento giustificato anche dalla possibilità di fuga dell’indagato, dalle sue menzogne, dalle contraddizioni: «Se metto piede a Bari mi ammazzano», diceva, e poi veniva in città a fare passerella davanti a fotografi e giornalisti. Il gip Vito Fanizzi non è stato della stessa opinione e ha concesso a Gianpi i domiciliari nella casa romana nei pressi di via Veneto. Una decisione che in procura non riescono a digerire mentre continuano a sfogliare i verbali degli ultimi interrogatori cercando fra i silenzi e i «non ricordo» la ragione per cui gran parte di loro non ha confermato i racconti di Tarantini sulle cene e le nottate nelle case di Berlusconi. Neppure quelle ragazze che d’estate avevano profittato dell’improvvisa ribalta mediatica, concedendosi a giornali e televisioni.
Il modello D’Addario. Ci sono due tempi in questa vicenda: dapprima sembra una storia di gossip, e molte delle aspiranti famose al soldo di Tarantini cercano di sfruttare l’occasione. Sulla scia di Patrizia D’Addario compaiono foto, interviste e dettagliati ricordi. Poi la scena cambia: le inchieste cominciano a delineare un quadro di corruzione, le ragazze scoprono di esser merce di scambio per la scalata sociale ed economica del pigmalione. «Il ricorso alle prostitute e alla cocaina – spiega Tarantini al pm il 29 luglio - si inserisce in un mio progetto teso a realizzare una rete di connivenze nel settore della Pubblica amministrazione. Ho pensato in questi anni che le ragazze e la cocaina fossero una chiave di accesso per il successo nella società». Così vengono indagati pezzi grossi, si connotano reati penali gravissimi. Quel petulante chiacchiericcio deve finire. E finisce. «Stai attenta», legge Francesca. E chissà quante altre. Basta interviste, rotocalchi, vanagloria e confidenze ai magistrati. Evoluzione sospetta, è il pensiero degli inquirenti. Confermata dal messaggio ricevuto dalla Garasi: «Il mittente non l’abbiamo identificato, ma chi l’ha spedito non è un cretino», ha insistito Laudati. «Il meccanismo è complesso, sofisticato». E premeditato.
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Nero nucleare

Chi si oppone alla legge.
Sette governatori rossi contro gli impianti atomici.
Rassegna stampa - Libero, Tommaso Montesano, 23 settembre 2009.



Due giorni fa erano state Toscana, Piemonte, Calabria e Liguria. Ieri è stata la volta di Umbria ed Emilia-Romagna. Venerdì toccherà al Lazio. Ogni giorno che passa si ingrossa sempre di più la lista delle Regioni italiane che hanno deciso di fare ricorso alla Corte costituzionale contro la legge che disciplina il ritorno al nucleare, la numero 99 del 2009. Minimo comun denominatore: l'appartenenza al centrosinistra del governatore. Le "regioni rosse" hanno deciso di rivolgersi alla Consulta perché secondo loro il governo non può decidere da solo dove collocare i nuovi impianti atomici nel caso non si raggiunga un'intesa con gli enti locali, come invece è previsto dalla "legge sviluppo" approvata dal Parlamento prima della pausa estiva.
Le prime a muoversi, lunedì, erano state Toscana, Piemonte, Calabria e Liguria. La prima, in particolare, aveva motivato il ricorso alla Corte nel nome del suo «impegno per diffondere il ricorso alle fonti rinnovabili». Ieri ha suonato la carica Vasco Errani, governatore dell'Emilia-Romagna, secondo cui due articoli della legge «non tengono conto del ruolo delle Regioni. Non è possibile che l'eventuale contrarietà di una Regione ad accogliere un impianto possa essere considerata alla stregua di un semplice parere non vincolante. Per questo abbiamo deciso il ricorso alla Corte». Nel mirino dei governatori rossi c'è la norma che assegna al governo il potere di sostituirsi agli enti locali in caso di divergenze.
La strada del ricorso ai quindici giudici costituzionali sarà seguita anche dal Lazio. «Venerdì la giunta regionale varerà una delibera per impugnare davanti alla Consulta la "legge sviluppo" che esautora le Regioni di fronte alle decisioni circa l'energia atomica», annuncia Filiberto Zaratti, assessore all'Ambiente della Pisana. Sarà, ma intanto la curiosa coincidenza del comune colore politico dei ricorrenti (giunte di centrosinistra) qualche interrogativo lo suscita. E non è l'unico, visto che l'atteggiamento sempre più "politico" degli enti locali non sfugge neppure, su un altro fronte, a Mariastella Gelmini. Il ministro dell'Istruzione, infatti, esprime «profonda preoccupazione per il blocco delle attività della conferenza Stato Regioni». Spiega il numero uno di viale Trastevere: «Non voglio entrare nel merito dei motivi che hanno causato questa situazione, ognuno ha le proprie legittime ragioni da far valere, però non è accettabile che temi come l'avvio della riforma della scuola secondaria superiore e l'avvio delle "sezioni primavera" (il nuovo servizio educativo a carattere sperimentale per la primissima infanzia, ndr), provvedimenti importantissimi per i cittadini, rimangano bloccati».
Sul nucleare, intanto, il governo tira dritto. Ieri Claudio Scajola, ministro dello Sviluppo economico, ha incontrato David Thome, neo-ambasciatore degli Stati Uniti, in vista della prossima missione americana di Scajola. Il ministro sarà negli Usa dal 27 settembre al 3 ottobre. Al centro dei colloqui, la firma di un accordo con l'omologo Steven Chu su «ricerca e sviluppo nelle nuove tecnologie nucleari».

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Esorcismo da trivio

Opposizione Wlly Coyote.
I siluri contro Berlusconi finiranno contro chi li spara.

Rassegna stampa - Libero, Davide Giacalone, 23 settembre 2009.

Due, ulteriori, missili sono in volo: la mozione che porterà il Parlamento Europeo a discutere sulla sopravvivenza, o meno, in Italia, della democrazia, e una nuova vecchissima inchiesta penale, relativa all'acquisto di film per la televisione. I missili sono diretti verso Silvio Berlusconi, ma a spararli sembra essere Willy Coyote.
La trovata della mozione europea ha la lucidità strategica tipica del gatto Silvestro, inspiegabilmente incapace di mettere le mani su Titti, che è pure antipatico. Gli esponenti di un gruppo che fu liberale e democratico, oggi colmo di falliti liberticidi, insufflato da un ex questurino e pubblico ministero italiano, Antonio Di Pietro, che avendo dismesso la toga dopo avere ricevuto favori dagli inquisiti ed avere restituito un presunto prestito con delle mazzette in contanti, contenute in una scatola da scarpe, dopo essersi proposto di rivoltare l'Italia come un calzino, per poi esportare Mani Pulite nel mondo, presentano una mozione mirante a sancire, con un voto a maggioranza, che in Italia non c'è più libertà di stampa e democrazia.
Colpevole, manco a dirlo, l'odiato Berlusconi. Il quale non è immune da colpe, tanto che a Di Pietro offrì anche un posto da ministro. Mettiamo che la votino, sarà respinta. Si può essere avversari di Berlusconi, in Italia ed in Europa, ma non si può ridicolizzarsi al punto da sostenere che qui non si viva in democrazia (se non altro perché le elezioni politiche le vince una volta la destra e una volta la sinistra, siamo una democrazia in altalena). Respinta la mozione, i proponenti si troveranno con una mano davanti e l'altra dietro. Se facessero politica sarebbero preoccupati, perché sarà come se l'Europa avesse votato a favore di Berlusconi. Ma loro fanno solo spettacolo, ed il loro unico obiettivo è mettere nella palta la sinistra. Gioiranno d'avere azzoppato i loro alleati. E se fosse approvata? Ne dubito, ma se così fosse si aprirebbe un grave conflitto istituzionale, che raderebbe al suolo quel che c'è dell`edificio europeo. No, non succederà.
Veniamo al secondo missile, unica speranza di chi ha la vita (A)grama. Tu guarda i casi della vita: contemporaneamente alla sentenza costituzionale sul lodo Alfano arriva una nuova richiesta di rinvio a giudizio. Tema: diritti tv acquistati all'estero, uso di un intermediario (Agrama) amico, quindi creazione di fondi neri, poi redistribuiti fra i protagonisti. A occhio e croce, la normalità, in quel mercato. Una normalità, però, che sarebbe reato. Peccato che l'indagine vada avanti da anni e, del tutto casualmente, paffete, giunge solo ora a cottura. L'ho già scritto: non è giustizia ad orologeria, è malagiustizia con l'orologio rotto, un eterno bagnomaria giudiziario dove succede tutto, tranne che si arrivi a delle sentenze e dei colpevoli siano condannati.
Bene, cioè male, ma, insomma, mettiamo che la cosa vada avanti. Si convoca l'udienza preliminare. Supponiamo che per gli imputati le cose vadano che peggio non si potrebbe: primo grado, secondo, cassazione. In che anno saremo? A sbrigarsi, sarà il 2015. Leggo su la Repubblica, preciso e tempestivo come un fascistico mattinale di polizia, che il reato contestato sarebbe appropriazione indebita. Articolo 646 del codice penale, pena massima prevista: tre anni. Potete anche distrarvi, il processo è abortito prima di cominciare. Tutto prescritto. Già, ma nel frattempo si potrà dire che Berlusconi è accusato anche di questo. E capirai! Con quello per cui è stato ripetutamente inquisito l'idea che abbia fregato dei soldi solo agli azionisti di Mediaset sarà preso come un gesto di generosità.
Attenzione, però, perché il super razzo, con la sua lunga miccia e la sua corazza di spago sta effettivamente volando, ha veramente acceso il ghigno vindice di Willy, che neanche ritiene possibile ci sia il millesimo tronco cavo che glielo rispedisce a domicilio, così la sinistra griderà al fascismo ed al criminale, perdendo del tutto l'occasione di far politica, di ragionare d'occupazione, di raccontare la storia di un'Italia che non sia solo l'eterno rincorrersi di nemici stanchi, bolsi. In gran parte inutili. È pazzesco come ancora non sia chiaro che se l'opposizione non riuscirà a battere Berlusconi politicamente, senza neanche guardare alle cose giudiziarie ed ai trucchetti di procura, sarà destinata a subirne sempre l'egemonia, per poi sparire nel nulla.
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Non c'è Santoro senza spina

Il solito santino del solito Michele.
Rassegna stampa - Libero, Mario Giordano, 23 settembre 2009.

Non c'è Santoro senza spina. E infatti Michele ce l'ha fatta anche stavolta: si è conquistato la sua bella polemica da prima pagina. E via: Anno Zero, titoli mille. Che ci volete fare? Lui è fatto così: un vero e proprio genio del self marketing, un autentico agit spot, il mago della auto promozione commerciale.
Continua a definirsi giornalista, ma a differenza dei giornalisti lui non dà più notizie da tempo: ormai è abituato a diventare esso stesso notizia. Non osserva, si fa osservare. Non racconta, diventa l'oggetto del raccontare. Ha sviluppato un'abilità straordinaria nel trasformarsi ogni volta in caso. Caso politico, mediatico, polemico. In fin dei conti, forse, soltanto caso umano. Il Mike Bongiorno della televendita di sé medesimo. Ma sì, pensateci bene: il martire Santoro ormai è come il prosciutto Rovagnati. Sempre più in alto, grappa Michele.
Ieri s'è inalberato su Travaglio: o c'è lui o non vado in onda, ha detto, cercando di proposito l'incidente e la bagarre. Ma il puntuale esplodere della polemica sulla trasmissione di Santoro ormai non riesce nemmeno più a scaldarci, tanto meno a indignarci. Al massimo, ci fa sorridere. Fateci caso: ormai non c'è stagione di "Michele chi?" che non preveda la sua bella baruffa. Se non c'è, lui se la inventa: nel 1999, quand'era a Mediaset corse a fare tele-Milosevic dal ponte di Belgrado (mentre i nostri aerei bombardavano la Serbia); nel 2001 mette in piedi una puntata contro Dell'Utri così di parte che si beccò condanna dall'Authority e multa (pagata dalla Rai coi soldi dei contribuenti); nel 2005 scelse di annunciare il suo ritorno dall'europarlamento alla tv irrompendo nel Rockpolitick di Celentano, nonostante il divieto imposto dal garante.
E da allora, da quando è rientrato in Rai, non perde occasione per agitare le acque del solito teatrino politico-mediatico: ora scatenando la guerra alla Sicilia di Cuffaro; ora sfruttando il fenomeno Grillo con annessa rissa Sgarbi-Travaglio; ora comprando dalla Bbc un discusso documentario sui preti pedofili; ora organizzando una puntata sulla Palestina, così pro-Hamas che persino una giornalista di sinistra come Lucia Annunziata fu costretta ad abbandonare lo studio in modo polemico, mentre il medesimo Santoro la insultava. «Imbarazzante», chiosò il critico Aldo Grasso. Imbarazzante, sì, ma evidente: Santoro senza non ci sa stare. Non esiste.
Santoro senza polemica è come Spic senza Span, come Ric senza Gian, come Gianni senza Pinotto. Come Linus senza la sua coperta, come Lucio Dalla senza peli. E la ragione è evidente: se non si alzano i toni, si abbassa l'audience. E di conseguenza la visibilità. Michele Narciso, nella circostanza, diventerebbe triste come quand'era nelle nebbie di Strasburgo. Non ce la può fare, non può resistere. E così ne inventa sempre una. In questo è davvero geniale: se trovasse le notizie come trova gli spot, sarebbe il più grande giornalista del mondo. Invece, ora che ha perso lo smalto dei tempi di Samarcanda, s'è ridotto ad apparire come un vecchio Carosello sgualcito: contro il logorio della Tv moderna, un Cynar al carciofo Michele.
Ma sì, in fondo si sa: su De Rica non si può, su Santoro neppure. Lui è bravissimo a trovare sempre motivi per diventare martire intoccabile e stare così al centro della scena. Se poi non gli viene in mente niente di meglio non esita nemmeno, per avere qualche riflettore puntato su di sé, a usare le donzellette di contorno: come la contessina Borromeo che insulta il direttore di rete o come la spadaccina Granbassi che porta in diretta Tv la divisa dell'Arma e le sue belle cosce, suscitando l'ira dei carabinieri e dell'ex presidente Cossiga (signorile nell`occasione la replica di Travaglio: «Lasciamolo ragliare»). L'ultima guerra Santoro l'ha scatenata lo scorso aprile, nei giorni immediatamente successivi al terremoto a L'Aquila. Mentre ancora i soccorritori rischiavano la vita fra le macerie e le bare delle vittime erano aperte, lui organizzò una puntata monstre in cui i soccorritori venivano dipinti come sfaccendati profittatori e le vittime venivano irrise dalle vignette macabre di Vauro. Bufera, accuse, controaccuse, sospensione per il vignettista. E il solito grido dalla finta trincea di Anno Zero: aiuto, il regime ci censura.
Macché censura, macché regime. Macché trincea. La verità è che Michele Santoro, con questo suo fare da anti-sistema è il più integrato nel sistema che ci sia. Finge di essere rivoluzionario, in realtà è il re del marketing commerciale. Altro che ex maoista sempre contestatore: lui non sta sulle barricate, sta all'ufficio vendite. E le vendite gli vanno benissimo. Infatti quando fu assunto in Rai guadagnava 20 milioni di lire l'anno. Oggi guadagna oltre 700 milioni di euro, cioè quasi 60 mila euro al mese. Solo per pagargli lo stipendio è stato calcolato che ci vogliano 6.753 abbonati, equivalenti a una città di almeno 20mila abitanti. E guai a chi glieli tocca. Di caso in caso, di polemica in polemica, infatti, si è guadagnato i galloni dell'intoccabile. Geniale, no? Ma non chiamatelo più conduttore: è un piazzista di sé medesimo. Il Guido Angeli dei giorni nostri, da Aiazzone ad Anno Zero, consegna e smontaggio in tutta Italia, isole comprese. Provare per credere.
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Travaglio & C.

Ecco la fabbrica degli anti Silvio.
Rassegna stampa - Libero, Francesco Borgonovo, 23 settembre 2009.

Oggi arriva in edicola, con una tiratura di circa centomila copie, "Il Fatto Quotidiano", giornale diretto da Antonio Padellaro (ex dell'Unità) che annovera fra le firme i grandi maestri del giornalismo antiberlusconiano: Marco Travaglio, Peter Gomez, Marco Lillo e altri. Tra gli azionisti privati che partecipano alla Il Fattoeditoriale spa (società che gestisce la testata) c'è anche Chiarelettere, la casa editrice che costituisce la maggiore sorpresa degli ultimi anni per il mercato librario italiano. Da quando è nata - nel 2007 Chiarelettere ha spedito in classifica quasi venti titoli, alcuni dei quali hanno raggiunto dati di vendita impressionanti: centinaia di migliaia di copie. Finora uno dei titoli più forti è Vaticano spa, firmato dal nostro Gianluigi Nuzzi, con otto edizioni e oltre 170 mila esemplari venduti, da tempo ben ancorato in vetta alle classifiche. Scorrendo il catalogo, però, si nota che è una radiosa eccezione, Perché la casa milanese è la vera roccaforte del travaglismo stampato. Vero, ci sono anche i libri sulla mafia, quelli sulle vittime della strada varie altre inchieste piuttosto interessanti. Ma la linea, per la gran parte, è quella: contro Berlusconi, contro alcuni "poteri forti" (è in preparazione Dentro l'Opus Dei, che raccoglie le rivelazioni di ex numerari messi in contatto tramite il web), ancora contro Berlusconí...
I bestseller
Qui sono stati fabbricati gli ultimi bestseller del bel Marco e di alcuni dei suoi compagni d'avventura al Fatto. In questa redazione hanno visto la luce Mani sporche di Travaglio, Barbacetto e Gomez (140 mila copie), Se li conosci li eviti di Travaglio e Gomez (180 mila copie), Bavaglio di Travaglio, Gomez e Lillo (120 mila copie), Italia Annozero di Travaglio, Vauro e Beatrice Borromeo (76mila copie), Papi di Travaglio, Gomez e Lillo (110 mila copie). E poi Italiopoli di Oliviero Beha, Un inverno italiano, diAndrea Camillerí e Saverio Lodato, Toghe Rotte di Bruno Tinti (ex magistrato, tra i fondatori del Fatto). Arriverà il volume di Michele Ainis (La cura) su come riFormare il Paese. Insomma, siluri sparati contro Silviuccio nostro. Se il "partito di Repubblica" del quale Libero ha parlato ieri vuole una casa editrice di riferimento non ha bisogno di riprendersi la Mondadori dall'odiato Cav.: c'è già Chiarelettere pronta per l'uso.
L`idea, bisogna riconoscerlo, è più che vincente. E i risultati superano le più rosee aspettative. Il merito va in gran parte al direttore editoriale Lorenzo Fazio, uno che per i libri-inchiesta ha una vera passione. Anni fa ha creato la collana Bur Futuropassato per Rizzoli, che ha ospitato titoli come Le mille balle blu (indovinate chi l'ha scritto: Peter Gomez e Marco Travaglio), Inciucio, Regime (gli autori sono sempre loro) ecc. ecc. Poi ha deciso di esportare il modello e mettersi in proprio, con una piccola redazione di quattro persone, una stagista e vari collaboratori esterni.
«Non cerchiamo il bestseller per il bestseller», spiega Fazio, «non ci rivolgiamo a un'élite di professori o giornalisti, ma al grande pubblico che vuole leggere e informarsi e ai giovani, che vogliono sapere, per esempio, cosa è successo negli anni Novanta con le stragi di Mafia». Secondo il direttore editoriale, il progetto Chiarelettere funziona «perché troppe volte gli editori pubblicano libri per il vicino di banco, per pochi influenti. Noi invece ci muoviamo in totale libertà, facciamo solo quello che vogliamo fare. Cerchiamo di utilizzare il libro come un veicolo di comunicazione, un po' come se fosse un giornale, un manifesto».
Non a caso, le copertine dei libri ricordano le prime pagine dei quotidiani, con un titolone in bella evidenza e alcune righe che spiegano il contenuto. Le ha realizzate il grafico anglosassone David Pearson, già in forza alla Penguin, utilizzando come ispirazione vecchi manifesti Feltrinelli degli anni '60.
Ma come nascono i bestseller travaglieschi? La domanda sorge spontanea vedendo arrivare sugli scaffali con cadenza quasi mensile i nuovi volumi di Marco e soci. Quando il giornalista riccioluto è pronto per una nuova opera, si mobilita una piccola squadra.
La squadra di Marco
I suoi tomi sono quelli sfornati più in fretta (tutti gli altri hanno gestazioni lunghe, non sono instant book). A seguire la lavorazione è il giovane Maurizio Donati. Travaglio si presenta in redazione con il suo materiale e a quel punto si mettono in moto cinque o sei persone (tra interni ed esterni) che leggono, rileggono, organizzano e correggono. Papi, per esempio, è stato preparato in una settimana. «Si lavora anche di notte, perché Marco è abituato così», dice Donati. Il testo, poi, passa velocemente nelle mani dell'avvocato Katia Malavenda ed eccolo pronto da servire nei negozi.
Ma per Chiarelettere non ci sono soltanto i libri. C'è internet, ci sono i blog dei giornalisti (ne ha uno anche il nostro Nuzzi). Voglioscendere, quello gestito da Pino Corrias, Gomez e Travaglio, è il quinto più frequentato d'Italia (con 400 mila utenti unici).
Dell'online si è occupata Giulia Civiletti, che fa anche da ufficio stampa. Lo strumento è importantissimo, spiega, perché permette di entrare in contatto con i lettori, di mobilitarli, organizzare presentazioni e via discorrendo.
Non è finita: la Travaglio spa sfornerà a breve anche un'agenda. Sarà in libreria dal primo ottobre e si intitolerà Voglioscendere, come il blog. Contiene numerose vignette di Roberto Corradi, la maggior parte dedicata a Silvio e ai ministri del suo governo (ma ci sono anche Veltroni e Franceschini, dipinti come opposizione inesistente). Compare anche una caricatura del nostro Filippo Facci, del quale - dice Fazio Chiarelettere non pubblicherebbe mai un libro, perché lui non produce inchieste, a differenza di Travaglio, ma invettive. Vabbe'...
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Intellettuali di tutta Italia unitevi

Il Vescovo.
L'appello di Ruini: all'Italia serve un'alleanza educativa.
Rassegna stampa - Il Messaggero, F. Gia., 23 settembre 2009.

Intellettuali di tutta Italia unitevi. Il presidente emerito dell'episcopato, il cardinale Camillo Ruini, ha lanciato un accorato appello ai serbatoi di cultura nel Paese, sia cattolici che non cattolici, a formare «un'alleanza educativa» in grado di fronteggiare quella che, a suo avviso, costituisce una delle sfide più gravi: la difesa identitaria. Il porporato ha spiegato la sua idea, o meglio la sua «ambizione», come l'ha chiamata, durante la presentazione del libro «La sfida educativa», un progetto-proposta della Cei, edito da Laterza. Accanto al cardinale - nominato da Papa Ratzinger a capo del Progetto Culturale - al tavolo dei relatori, sedevano i rappresentanti di quei soggetti che dovrebbero essere coinvolti: in primis la scuola, col ministro dell'Istruzione, Gelmini, il mondo dell'impresa, con il presidente di Confindustria Marcegaglia, la televisione pubblica, col presidente della Rai Garimberti.
«Abbiamo l'ambizione di raggiungere un'alleanza educativa di lungo periodo con le istituzioni e con tutti coloro che hanno una responsabilità in questo settore. La nostra proposta - ha detto Ruini è quella di offrire orientamenti. Tutti sappiamo la gravità, in Italia e nel mondo occidentale, dell'educazione. Vogliamo offrire un contributo, uno stimolo su un tema urgente». Ciò che occorre è una convergenza che superi gli interessi individuali o di parte. Secondo la Gelmini si dovrebbe agire su due fronti, da una parte lavorare sull'integrazione, dall'altra sulla difesa dell'identità del Paese. «Mi sto battendo affinchè i bambini stranieri immigrati imparino subito la lingua italiana, il primo vero passo verso una pacifica integrazione anche se la scuola deve essere anche un momento di difesa dell'identità del Paese». Ciò implica «l'esigenza dell'ora di religione e dei crocifissi nelle aule». Sul fronte del piccolo scherno, il presidente Garimberti, ha fatto notare che non si può chiedere alla Rai di fare «programmi di qualità e al tempo stesso di avere un bilancio in pareggio, con un'evasione del canone pari al 30 per cento». «Credo che un metodo per risolvere il problema sia il ripensamento profondo del sistema televisivo italiano poichè, non vi sono dubbi, sul fatto che esiste un'emergenza educativa sotto gli occhi di tutti».
Nella prefazione del libro, il porporato fa notare di quanto siano divenuti più incerti e problematici i rapporti tra le generazioni. La trasmissione dei modelli di comportamento e di vita è resa difficile dalla difficoltà a comunicare. Non è dunque un caso, dunque, se si parla di frattura o di indifferenza generazionale. «Quel che più importa. è che appaiono ridotte e precarie le possibilità di una autentica formazione della persona».
Che fare dunque? Da tempo i vertici della Chiesa si interrogano sul da farsi nella consapevolezza che senza la collaborazione con la scuola, le università, il mondo del lavoro, i mass media, si può fare ben poco per frenare questa deriva. «La Chiesa sa bene che non si tratta in alcun modo di un suo compito esclusivo e che occorre, invece, promuovere una collaborazione aperta a tutto campo».
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Finanziaria light il giorno dopo

Crisi e manovre.
Ma quando ci liberiamo dal cappio al collo?

Rassegna stampa - Il Messaggero, Paolo Savona, 23 settembre 2009.

Il Consiglio dei Ministri ha varato ieri la manovra finanziaria "leggera" in attesa di conoscere meglio gli andamenti della ripresa produttiva mondiale, soprattutto nei suoi riflessi sulle entrate e sulle uscite del bilancio pubblico, ma ha voluto fornire ai massimo vertice, una chiara valutazione positiva sullo stato di salute economica dell'Italia. Speriamo che non sbaglino come si dice abbiano fatto gli economisti.
Noi che non abbiamo mai creduto possibile una crisi drammatica quando tutti affermavano il contrario - ma che non abbiamo neanche sottovalutato gli effetti negativi della crisi sull'occupazione, sui redditi bassi e sul risparmio frutto di fatica e non di speculazioni - ci auguriamo che questa valutazione risponda veramente alla realtà. Una realtà i cui dati esatti ancora ci sfuggono, come sfuggono al Governo, ma che certamente presenta componenti non sanabili, come in troppi credono e sollecitano, con l'assistenza pubblica e il lassismo nel credito. Anzi potrebbe aggravarla se gli effetti sull'indebitamento pubblico non venissero presto riassorbiti e se le banche, a loro volta, entrassero in difficoltà abbandonando il loro atteggiamento cauto nei confronti di un rischio crescente, ma largamente e volutamente ignorato.
Viene quasi a noia ripetere che, una volta raggiunto un buon livello nell'indispensabile traino delle esportazioni e augurandoci che il dollaro regga, in assenza di una ripresa degli investimenti privati (l'unico veicolo dell'innovazione tecnologica) e pubblici (questi ultimi nel "solito" comparto delle infrastrutture), non si può sperare in una seria ripresa dell'occupazione; la quale, è giusto sottolinearlo, è andata meglio che altrove per la politica sociale e di assistenza produttiva seguita dal Governo. Se intervenisse un'inversione di attitudine, la si celi pure dietro la definizione inglese di exit strategy, nei confronti dei basso costo del danaro e degli elevati disavanzi pubblici da parte del resto del mondo o della sola Unione Europea, che rispetto alle altre aree geografiche è legata da propri accordi fondantì come quello di Maastricht, sarebbe difficile continuare questa politica; e, da noi, per il successo stesso della politica seguita, la disoccupazione si accentuerebbe.
L'unico modo permettersi al riparo resta sempre quello di una politica di portafoglio invece di una sulle entrate e spese, ossia la cessione del patrimonio pubblico in contropartita di una cancellazione equivalente del debito per togliere il cappio al collo all`economia e al Paese tutto; oppure effettuare in contropartita nuovi investimenti in infrastrutture capaci di aumentare le economie esterne alle imprese e alle famiglie, così accrescendo la produttività di sistema e riducendo il costo della vita. In breve una gestione di portafoglio che ceda le attività a minor reddito per acquistarne altre a maggior rendimento, snidando le rendite che si annidano nella proprietà pubblica. Non si capisce la persistente resistenza a questa politica se non valutando questo secondo aspetto del problema. Preoccupano invece le insistenti proposte di nuove imposte sul patrimonio che, avanzate fuori da una gestione delle infrastrutture, trasformerebbero ricchezza in spesa corrente, con ulteriore impoverimento del Paese.
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«Farabutti» e «anti-italiani», Feltri. Non imbecilli

I piedi della sinistra nel piatto Rai.
Santoro carica i fucili contro Berlusconi.
Il conduttore-despota urla e strepita, insulta il direttore di rete e si prepara a invadere le nostre serate con i suoi teoremi-killer. Il tutto alla faccia della maggioranza degli italiani. Viene voglia di non pagare il canone.

Rassegna stampa - Il Giornale, Vittorio Feltri, 23 settembre 2009.

Il nocciolo della questione è che la sinistra considera la televisione pubblica roba sua e non sopporta intromissioni di alcun tipo. Il popolo deve versare il canone senza nulla pretendere, neanche un minimo di disciplina. La maggioranza degli italiani ha votato centrodestra? Non importa. Non ha diritto neppure al rispetto delle proprie opinioni ed è tenuta a sorbirsi tutti i programmi, una miriade che sbeffeggiano odiati avversari politici, in testa Berlusconi. Citiamo i più noti: Ballarò, Lineanotte, Annozero, Report, Che tempo che fa, L'era glaciale, le spiritosaggini della Dandini e di Bertolino. Mi pare basti l'incompleta lista a inquadrare il problema.
I conduttori dei suddetti capolavori hanno la casacca rossa, o meglio, la canottiera dell'antiberlusconismo sfrenato, irragionevole, insultante. E non sarebbe niente. Essi non si limitano a mandare in onda trasmissioni allo scopo di offendere gli abbonati (che in cabina elettorale hanno scelto una determinata parte politica); trasformano lo studio televisivo in un pollaio di cui si sentono padroni assoluti, non accettando alcun limite d'azione. Invitano chi vogliono, i compagni e qualche volontario al quale affidare il ruolo dell'utile idiota.
Danno la parola a chi gli garba e la tolgono a chi non riga dritto col pretesto della pubblicità o di introdurre un ospite, un filmato, una tabella demoscopica, e così riescono a far trionfare le loro tesi precostituite, la scaletta orientata alla presa in giro del premier e dei suoi ministri.
I conduttori-despoti sono più efficaci come despoti che come conduttori. Non consentono a nessuno, nemmeno ai dirigenti Rai, di mettere lingua nel loro lavoro fazioso. Sono persuasi di avere licenza di uccidere e se ne infischiano delle idee prevalenti nel Paese.
Se il presentatore o il giornalista o il comico sa di avere la protezione dell'apparato progressista procede a ruota libera, con arroganza, senza riguardo per i telespettatori cui rimane una sola possibilità qualora non intendano sopportare lazzi, insolenze e insinuazioni malevole nei confronti dei loro rappresentanti: cambiare canale.
Le telecamere e l'emittente sono di proprietà pubblica, cioè di chi versa il canone, però agli sfrontati maneggioni dell'informazione e della satira questo non interessa. Credono di avere ogni potere e non agiscono entro i paletti che si impongono al servizio pubblico. Il quale difatti non è più pubblico ma privato, una toilette, un cesso nel quale il signor conduttore fa il comodo suo e quello del proprio referente partitico; se ne infischia di chi paga che, pertanto, perde la dignità del cliente. E solo un utente. Da trattare quale babbeo, pecorone cui spillare soldi in cambio di merce avariata, come un mutuato di cinquant'anni fa quando negli ambulatori i medici davano dei tu ai povericristi ed esigevano il lei; e guai a protestare. I raccomandati della sinistra non hanno la scienza del dubbio, non pensano che prima o poi si potrebbe chiedere l'abolizione del canone, e facilmente ottenerla, dopo di che, con la Rai privatizzata sul serio, abbasserebbero per forza le arie e imparerebbero cosa significa rispondere del proprio operato a un editore vero. E ciò che succederà presto e allora ne vedremo delle belle. Altro che capricci di Santoro: voglio questo e voglio quello, sputo in faccia a chi mi pare, qui comando io e se non mi garantite la collaborazione di Travaglio me ne vado. Se ne vada. Possibile che chiunque debba attenersi alle regole tranne lui e lo squadrone della morte (a Berlusconi) agli ordini dei compagni? Confidiamo nel governo. Ponga in vendita la Rai e non se ne parli più. Se la compri De Benedetti, il noto editore svizzero di un quotidiano italiano diretto da un evasore fiscale. Così finirà questa storia di Santoro, di Ballarò che slitta, di Travaglio che se non c'è lui non si comincia neppure. Pazienza. D'accordo, il mercato non sarà una divinità, ma a certa gente farebbe bene un bagno nella concorrenza. Forse comprenderebbe che stare in piedi col canone una tassa - comporta l'osservanza di norme ora calpestate.


Santoro carica i suoi fucili: riparte la caccia a Berlusconi.
La sinistra usa la Rai come fosse roba sua e se ne infischia di cosa pensano gli italiani che pagano il canone. Ma è ora che il governo venda la tv di Stato.
Tutti gli scandali creati da Annozero.

Il Giornale, 23 settembre 2009.

4 ottobre 2008 - A ciascuno il suo.
Sulla vicenda dei giudice Luigi De Magistris, con lo stesso De Magistris e il gip Clementina Forleo. Le esternazioni dei magistrati finiscono al Csm. La puntata viene messa sotto accusa dal Consiglio dell'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni.
6 dicembre 2008 - Libera o occupata.
Dedicata ai problemi della Rai e ai rapporti Rai-Mediaset. Vengono proposti ampi spezzoni di Reset, lo spettacolo di Beppe Grillo. Anche questa puntata finisce sotto accusa.
20 dicembre 2008 - I buoni e i cattivi.
Dedicata al gip Clementina Forleo. Pure questa puntata viene presa in esame dal Consiglio dell'Autorità per violazione dei «principi di completezza e correttezza dell'informazione, di obiettività, equità, lealtà, imparzialità, pluralità dei punti di vista e osservanza dei contraddittorio».
15 gennaio 2009 - La guerra dei bambini.
Dedicata a Gaza. Lucia Annunziata, ospite in studio, contesta l`impostazione a suo parere faziosa, troppo sbilanciata a favore dei palestinesi. Segue un battibecco e la Annunziata abbandona la trasmissione. Il caso finisce sul tavolo dei Consiglio di amministrazione della Rai.
12 febbraio 2009 - Eluana e Napoleone.
Dedicata alla vicenda di Eluana Englaro. La polemica esplode per una vignetta di Vauro, che sbeffeggia il senatore Maurizio Gasparri. Gasparrí si infuria e definisce «sciacalli» Santoro e Vauro.
9 aprile 2009 - Resurrezione.
Dedicata al terremoto in Abruzzo di tre giorni prima. I riflettori però sono quasi unicamente puntati sulle presunte inefficienze, fisiologiche in quella situazione di emergenza. Il caso esplode alla fine, con una vignetta di Vauro sulle cubature dei cimiteri. Il caso finisce al Cda della Rai e Vauro viene sospeso per una puntata.
16 aprile 2009 - Caccia all'abusivo.
Ancora sul terremoto in Abruzzo e sulle polemiche provocate dalla precedente puntata. Vauro, assente per la sospensione, è comunque protagonista della puntata con nuove vignette. Santoro non si scusa e prende di mira 'lI Giornale'.




Despoti. Offendono la maggioranza degli abbonati e in studio la fanno da padroni assoluti.
Il «Furioso».

È di scena il Santoro «furioso» aIla conferenza stampa di presentazione di Annozero. Ringhia contro tutti, compreso il direttore di RaiDue Massimo Liofredi che gli siede accanto e che cerca debolmente di difendersi. «Farabutti», urla il Santoro «furioso» ai suoi datori di lavoro. E invita accanto a sé Marco Travaglio. Ce n'è per tutti, per l'Authority, per Berlusconi e persino per Peppino Caldarola, definito «un miserabile che scrive sul Riformista e sul Giornale».

Ma vediamo com'è andata esattamente lo scontro Santoro-Liofredi (altre tre parti della conferenza stampa sono state proposte in un post precedente).


A proposito della puntata su Gaza citata sopra dal giornale di Feltri. Michele Santoro sul sito Annozero giovedì 17 settembre scrive:
Dedicato a tutti quelli che si indignarono per la nostra puntata su Gaza.
Ricordate le polemiche scatenate dalla nostra puntata sull’Operazione Piombo Fuso lanciata da Israele contro Gaza? Ricordate la guerra dei bambini? Per fare luce su questi fatti, l’Onu ha inviato a Gaza una Missione di indagine guidata dal Giudice Richard Goldstone, di origine ebrea, ex procuratore capo del Tribunale per i Crimini Internazionali di Yugoslavia e Ruanda. Il 15 settembre, la Missione Onu ha reso pubblico il suo rapporto finale. Noi avevamo mostrato le immagini di morti e feriti che erano stati colpiti dalle Forze Israeliane a Jabalya. Ecco cosa scrive su quest’episodio il Rapporto della Missione Onu.
La Missione Onu ha esaminato il bombardamento a colpi di mortaio dell’incrocio stradale di Fakhura a Jabalya, sito accanto ad una scuola dell’Agenzia per il Soccorso ed il Lavoro delle Nazioni Unite, che all’epoca era adibita a rifugio e ospitava più di 1300 civili. Le forze israeliane hanno lanciato almeno 4 colpi di mortaio in risposta a colpi di mortaio lanciati da Palestinesi, secondo dichiarazioni delle autorità israeliane (…). Il lancio di 4 colpi di mortaio per cercare di uccidere un piccolo e specifico gruppo di individui in un luogo ove un gran numero di civili stavano svolgendo le loro attività quotidiane e nei pressi del quale erano ospitate 1368 persone non può in alcun modo essere considerata un’azione compiuta da un comandante ragionevole che abbia valutato le eventuali accettabili perdite di civili in paragone ai vantaggi militari cercati. La Missione perciò ritiene che gli attacchi siano stati indiscriminati e in violazione delle leggi internazionali, e che abbiano violato il diritto alla vita dei civili Palestinesi uccisi in quegli attacchi.
Noi abbiamo mostrato l’intervista a una bambina, Hamal Samouni, che raccontava come l’esercito israeliano avesse attaccato la sua casa, ucciso a sangue freddo suo fratello e ferito lei stessa. Ecco cosa scrive su quest’episodio il Rapporto della Missione Onu.
La Missione ha svolto indagini sul bombardamento di una casa in cui civili Palestinesi erano stati costretti a riunirsi dalle forze israeliane e sull’uccisione a colpi di arma da fuoco di civili che stavano cercando di lasciare le loro case per rifugiarsi in un luogo più sicuro, che agitavano una bandiera bianca, o a cui, in alcuni casi, gli stessi israeliani avevano dato l’ordine di allontanarsi (…). La Missione reputa che la condotta delle Forze Armate Israeliane costituisca una grave violazione della Quarta Convenzione di Ginevra poiché hanno compiuto uccisioni premeditate di civili e hanno causato grandi sofferenze a persone protette, azioni tali da fare sorgere responsabilità criminali individuali. Reputa anche che l’uccisione arbitraria di civili Palestinesi sia una violazione del diritto alla vita.
E conclude:
In base ai fatti raccolti, la Missione reputa che le Forze Israeliane abbiano commesso numerose violazioni delle leggi umanitarie internazionali e delle leggi dei diritti umani.
Ma il rapporto della Missione ONU merita di essere letto dall’inizio alla fine e lo si può scaricare cliccando qui.


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Una testimonianza dall'Afghanistan

Una guerra che si può ancora vincere.
Rassegna stampa - Corriere della Sera, Bernard-Henri Lévy, 23 settembre 2009.

Ritorno in Afghanistan con un gruppo di giornalisti al seguito del ministro della Difesa Hervé Morin. Visione limitata poiché concerne solo le valli di Surobi e di Kapisa. Ma osservazioni tuttavia preziose perché in netto contrasto con quello che si sente dire quasi dappertutto. Quello che si sente dire anche nell'Italia ancora comprensibilmente turbata dalla tragica morte dei sei soldati a Kabul.
La prima tappa è Tora, un fortino appoggiato su un terreno di pietrisco, a 20 chilometri da Kabul. Siamo accolti dal colonnello Benot Durieux, un intellettuale, capo del reggimento e autore di un eccellente «Relire "De la guerre" de Clausewitz» (Éditions Economica, Paris 2005). Avanziamo verso Surobi, dove ci aspetta l'assemblea dei malek, i saggi della regione, per l'inaugurazione di una piccola scuola di ragazzi. Ci scambiamo discorsi sul tema dell'alleanza franco-afghana di fronte all'ascesa dei talebani.
Il numero di blindati mobilitati per lo spostamento, l'estremo nervosismo degli uomini, il volo raso terra, talora a 10 metri dal suolo, dell'elicottero Caracal che ci ha portati qui di buon mattino, non lasciano dubbi sulla serietà della minaccia. Ma non ci sono dubbi nemmeno sul fatto che la strategia dei militari si basa su un'idea semplice e che non ha molto a che vedere con la caricatura che ne danno i mass media: mostrare, certo, che si è lì per fare la guerra, ma che questa guerra si propone anche di portare sicurezza, pace, accesso alle cure e al sapere, a un popolo che ha la coalizione come alleata.
Poi il forte Rocco, nel cuore della valle di Uzbin, 10 chilometri più a monte rispetto al punto in cui trovarono la morte, nell'agosto del 2oo8, i dieci legionari francesi del Rpima (Reggimento di paracadutisti di fanteria di marina). È un altro forte da western, ancora più isolato, circondato dalle montagne. I 159 uomini del capitano Vacina alloggiano qui nelle tende, rafforzate da compensato in previsione dell'inverno. Appena installati, racconta Vacina, ecco le elezioni, il bombardamento talebano dei seggi elettorali, la risposta delle forze regolari afghane appoggiate dai legionari: segue poi l'incredibile spettacolo dei contadini che vengono a votare nel frastuono di bombe e mitragliatrici. Si tratta veramente di una forza d'occupazione? Di neocolonialismo, come dicono gli «utili idioti» dell'islamo-progressismo? Gli eserciti, come i popoli, hanno un inconscio. E non nego che la tentazione possa esistere. Ma quel che osservo, per il momento, è questo: una forza militare che viene qui per consentire, letteralmente, alla gente di votare e che quindi è presente, non meno letteralmente, per dare rinforzi a un processo democratico.
Quindi Tagab, nel cuore della valle di Kapisa, dove ritrovo il colonnello Chanson che ancora si ricorda di quando, quindici anni fa, allora giovane Casco blu a Sarajevo, mi impedì l'accesso al monte Igman. Stessa configurazione che a Rocco. Stesso paesaggio di montagne, con in basso una vallata verdeggiante ma infestata da gruppi armati. Il forte è stato bombardato ieri. Due giorni prima, un attacco più duro ha provocato un'incursione. E Chanson racconta l'arrampicata verso la posizione avversa; l'occupazione delle due creste della montagna; lo scontro, al ritorno, con un'unità jihadista; il combattimento, durissimo; e infine la disfatta degli assalitori. Il bilancio dell'operazione? Chiediamo. Il numero esatto delle vittime? Appunto, sorride Chanson: «Qui, io sono, e resterò, l'unico a saperlo. Infatti, ecco un altro principio: per ogni talebano ucciso c'è un nuovo talebano che nasce; ogni vittoria strombazzata provoca, automaticamente, umiliazione e vendetta. Di modo che vincere non deve più significare uccidere ma restare, semplicemente restare: essere gli ultimi a rimanere in campo e mostrarlo».
E ancora Nijrab, sempre nella valle di Kapisa, 18 chilometri a nord. È qui, in questo quarto forte, che è di stanza il terzo battaglione dell'esercito nazionale afghano, comandato dal colonnello Khalili. Ricordo che, nel mio «Rapporto afghano» del 2002 ordinatomi da Jacques Chirac, la prima raccomandazione era: aiutare a costituire un esercito nazionale afghano e lasciargli, appena possibile, la responsabilità di isolare, poi mettere, fuori gioco, i neofascisti talebani. Ebbene, è quello che sta accadendo, se devo credere alle spiegazioni di Khalili. Spetta a lui l'iniziativa degli assalti. È lui che decide, o no, di richiedere i rinforzi del battaglione francese. Ed è sotto il suo comando che si trovano i famosi «consiglieri» americani di cui mi parlava, poco prima, il colonnello americano Scaparotti. Di nuovo, il contrario del cliché. Di nuovo, l'inverso dell'immagine convenuta di una guerra franco-americana di cui gli afghani non sarebbero che le comparse.
Infine, Bagram, la base americana. Con la terribile prigione segreta, impossibile da avvicinare, a 200 metri dal luogo in cui mi trovo. E con i 42 uomini del distaccamento francese Harfang, addetti stavolta ai due droni Sidm, pilotati da terra dal personale navigante formato sui Mirage e che forniscono alle truppe qualsiasi informazione in grado di ridurre la parte di rischio delle operazioni. Immagine di una guerra «tecnica», fondata su un'estrema economia di mezzi. Conflitto di «bassa intensità», la cui via d'uscita, ognuno ne è consapevole, non può essere soltanto militare. È tendenza a «morti zero», tanto per l'avversario che per i soldati della coalizione stessa. Non ho visto tutto, naturalmente. Ma ho visto questo: una guerra brutta, come tutte le guerre; ma una guerra giusta; che ha preso un verso meno negativo di quanto si dica, nonostante i drammi patiti dall'Italia e dagli altri Paesi dell'alleanza; una guerra che i democratici afghani, con i loro alleati, possono vincere.
(traduzione di Daniela Maggioni)
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Un percorso iniziato

Il metodo è nuovo la sanatoria eccessiva.
Rassegna stampa - Corriere della Sera, Daniele Manca, 23 settembre 2009.

Si doveva tenere la rotta nel mare in tempesta della crisi. E lo si è fatto. Non perdere il sangue freddo. E non lo si è perso. Certo, la direzione intrapresa può apparire come il frutto di aggiustamenti progressivi più che un percorso dai confini ben delineati. Ma forse non può essere altrimenti in una fase così delicata. È innegabile comunque che la Finanziaria approvata dal Consiglio dei ministri di ieri rappresenti la conferma di una svolta. Nella procedura sicuramente; sul merito e l'entità delle scelte si dovrà attendere. Ed è così che queste ultime saranno il vero terreno di confronto, né facile né scontato, sia con le parti sociali ed enti locali sia con l'opposizione e probabilmente anche all`interno dello stesso governo.
Il ministro Giulio Tremonti è stato in questo estremamente netto e chiaro: quella approvata ieri è una «fotografia» del Bilancio dello Stato, con in più degli impegni presi dal governo. Impegni, non cifre già stabilite che avrebbero dato luogo a quella sorta di assalto alla diligenza in Parlamento alle quali si assisteva negli anni scorsi. A maggior ragione quando una caduta del Pil, leggermente meno pesante del previsto ma comunque attorno al 5%, imponeva e impone una disciplina di spesa e di bilancio ferrea. Disciplina che sinora non è mancata.
Gli impegni presi ed esplicitati dal ministro dell'Economia non sono di poco conto. Si va dagli stanziamenti per l'Università al 5 per mille, fino ai finanziamenti per le missioni militari all'estero e ai bonus per le ristrutturazioni edilizie prorogati fino al 2012, come pure alle risorse per i rinnovi dei contratti pubblici. Il quanto dovrà essere stabilito successivamente. Anche perché molto dipenderà dalle risorse che il governo riuscirà a mobilitare. Si fa affidamento in questo sullo Scudo Fiscale. Scudo che, come annunciato ieri dal governo tra le proteste dell'opposizione, dovrebbe essere in versione allargata. Renderà cioè non perseguibili alcuni reati fiscali e societari, compreso il falso in bilancio. Non un colpo di spugna totale perché i procedimenti in corso proseguono il loro iter, in ogni caso una sanatoria e come tale iniqua nei confronti di chi ha rispettato regole e norme. Non solo. Così facendo si mette in condizione, grazie anche a un'aliquota di per sé già bassa, chi ha usufruito furbescamente di paradisi fiscali e legislazioni indulgenti di usufruire di un condono più o meno mascherato.
Ma c'è,un ulteriore novità. Il maggior gettito proveniente dallo scudo avrà come destinazione, secondo quanto annunciato dallo stesso ministro Tremonti, un fondo istituito presso la presidenza del Consiglio. E stato così anche per i soldi destinati al Mezzogiorno. Palazzo Chigi sarà quindi il luogo dove verranno concretamente prese decisioni. Ed è lì che si dovrà guardare per capire dove ci porterà la navigazione. Accertato, ad esempio, che le risorse per gli ammortizzatori sociali ci sono, dalle scelte sul loro impiego si comprenderà quali saranno le categorie protette e quelle non protette. Se volendo agire sul Fisco e le tasse si punterà tutto sul federalismo o si sceglieranno strade diverse e complementari. Non è un caso che le Finanziarie vengano usate dai governi per aprire cantieri utili a capire quale idea e visione del futuro di un Paese c'è dietro le scelte di un esecutivo. Il percorso è così iniziato.
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Marcia per la Pace e altri messaggi

Riceviamo e volentieri pubblichiamo.
Marcia mondiale per la pace e la non violenza.

L’ANPI aderisce alla Marcia Mondiale per la Pace e la Nonviolenza - che partirà il 2 ottobre prossimo da Wellington (Nuova Zelanda) per concludersi a Punta de Vacas (Argentina) il 2 gennaio 2010, con tappe in Italia - condividendo pienamente la necessità, dichiarata dai promotori dell’iniziativa, di creare una coscienza diffusa a favore della pace e del disarmo e di “risvegliare” il sentimento della nonviolenza. Auspichiamo una grande partecipazione popolare ed una forte riuscita.

Il messaggio di auguri rivolto ad Edgardo Alboni in occasione dei suoi 90 anni a nome di tutti i soci ANPI e degli antifascisti lodigiani.

Caro Edgardo,
qualcuno ha osservato, di recente, che, nell’educazione delle nuove generazioni e nella vita pubblica, non si considera più il valore dell’esempio, di quel modo di comportarsi, coerente coi principi dichiarati, che può servire da orientamento per gli altri.
Bene, noi invece dobbiamo ringraziarti esattamente per questo: perché in quasi trent’anni di guida della nostra associazione sei sempre stato un esempio per tutti noi.
E non soltanto nella gestione quotidiana e normale, ma soprattutto nei momenti critici, quando l’associazione subiva attacchi e quando erano messi in discussione i valori fondativi della democrazia e del vivere civile nel nostro paese.
Non ti sei mai sottratto alle battaglie di civiltà, alla difesa appassionata dei diritti dei lavoratori e delle classi popolari, del patrimonio di storia del movimento operaio, di cui peraltro tu sei uno dei massimi protagonisti nel nostro territorio.
Di questo siamo consapevoli e orgogliosi.
Ma tutto ciò te lo diranno anche altri.
A noi sta a cuore manifestarti la nostra riconoscenza per la speranza di futuro che abbiamo sempre trovato nelle tue parole, nelle prese di posizione, a volte anche necessariamente aspre, ma che sempre indicavano una soluzione, una prospettiva.
Anche in momenti difficili (e ognuno di noi sa bene quanto sia difficile e travagliato questo passaggio nella storia del nostro Paese), non solo non ti sei mai fatto prendere dallo scoramento, dalla rassegnazione, mai hai abdicato ai tuoi impegni di orientamento e direzione, ma hai sempre sostenuto la necessità di avere speranza nel futuro, fiducia nelle nuove generazioni.
Se non è più di moda vedere nella storia un destino e una finalità di progresso, tuttavia tu hai sempre sostenuto che la storia è frutto dell’agire degli uomini, coniugato alle condizioni materiali e che il miglioramento dei modi di esistenza delle masse popolari è il risultato di un’azione costante, indefessa, mai scorata, sempre fiduciosa. Hai agito sapendo che le vicende umane si giocano in una lotta continua tra gruppi sociali diversi (una volta si definivano classi). Pur senza sottovalutarlo, non hai mai ceduto all’avversario le tue ragioni.
Questo è il fondamento di un insegnamento che resterà fertile anche nel futuro.
Nella tua lunga esistenza hai vissuto da protagonista tutte le stagioni della vita politica e sociale del nostro paese, dal declino del fascismo, alla resistenza, ai sessant’anni di repubblica e hai attraversato le vicissitudini del movimento operaio.
Sei stato comunista, e al di là dei giudizi storici e politici su quell’esperienza, ancora da mettere a fuoco, siamo convinti che quella passione e quella dedizione alla causa dei diseredati e degli sfruttati che ti ha animato in quegli anni non ti abbia mai abbandonato, nemmeno oggi. Anzi, sia stata la fonte permanente e decisiva della tua attività politica.
Anche per tutto questo ti siamo riconoscenti.
Non è il caso, tuttavia, di far suonare queste affermazioni come qualcosa che riguarda una storia in qualche maniera già conclusa.
Sabato 22 agosto 2009 ci hai dato il più forte e lungimirante esempio della tua concezione della vita e della politica come dovere sociale.
Il discorso che hai pronunciato in memoria dei martiri del Poligono è insieme un fortissimo monito e un atto di grande coraggio.
Abbiamo il dovere di opporci alla nuova barbarie che sta rischiando di sommergere la nostra società, con la distruzione dei valori di solidarietà e di umanità.
Che tu ce l’abbia ricordato con tanta fermezza, senza esitazioni e considerazioni di opportunismo politico non può che consolidare la nostra stima nei tuoi confronti.
Per questo noi tutti, vecchi e giovani militanti dell’Anpi, ti stringiamo in un forte e affettuoso abbraccio.
Caro Edgardo,
che i tuoi novant’anni ti siano leggeri e felici.
Le Sezioni dell’Anpi del Lodigiano

Emergenza diritti umani in Sierra Leone: una donna su otto rischia di morire durante la gravidanza o il parto. Il nuovo rapporto della campagna "Io pretendo dignità" di Amnesty International.

Alla vigilia del summit dei leader mondiali di New York, in cui si discuterà sull’aumento dei finanziamenti delle cure mediche nei Paesi in via di sviluppo, la Segretaria generale di Amnesty International, Irene Khan, ha lanciato oggi a Freetown, la capitale della Sierra Leone, una campagna per ridurre la mortalità materna nel paese africano.
Il rapporto presentato oggi [22 settembre, ndr], dal titolo 'Fuori dalla portata: il costo della mortalità materna in Sierra Leone', contiene dati e testimonianze personali che mostrano come le donne adulte e le ragazze spesso non siano in grado di accedere a cure mediche vitali perché sono troppo povere per pagarle. In Sierra Leone una donna su otto rischia di morire durante la gravidanza o il parto, uno dei piu' alti tassi di mortalità materna del mondo.
Migliaia di donne hanno emorragie mortali dopo il parto: la maggior parte di esse muore in casa, altre mentre cercano di raggiungere un ospedale in taxi, in motocicletta o a piedi. In Sierra Leone meno della metà dei parti sono assistiti da personale medico competente e neanche uno su cinque viene eseguito in strutture sanitarie.
'Questi dati raccapriccianti testimoniano che la mortalità materna è
un’emergenza dei diritti umani in Sierra Leone' – ha commentato Irene Khan. 'Migliaia di donne adulte e ragazze muoiono perché viene negato loro il diritto alla vita e alla salute, nonostante il governo abbia promesso di fornire cure mediche gratuite a tutte le donne in gravidanza'.
L’accesso alle cure nei Paesi in via di sviluppo sarà al centro dell’incontro che si terrà domani, mercoledì 23 settembre, all’Assemblea generale delle Nazioni Unite. Il primo ministro britannico Gordon Brown dovrebbe annunciare una serie di nuove misure finanziarie destinate a migliorare le cure mediche nei Paesi in via di sviluppo, in particolare quelle relative alla salute infantile e materna. La Sierra Leone dovrebbe essere tra i paesi destinatari dei finanziamenti.
'Questi ulteriori fondi, di cui in Sierra Leone c’è un disperato bisogno, non arriveranno alle donne e alle bambine che si trovano nelle zone più
interne del paese e che rischiano la morte più di tutte. Le loro vite saranno salvate solo se il sistema sanitario sarà guidato in modo adeguato e se il governo sarà chiamato a rispondere del proprio operato' – ha sottolineato Khan.
'I finanziamenti, da soli, non risolveranno il problema. La profonda discriminazione e il basso status sociale delle donne sono alla base della terribile tragedia della mortalità materna. La Sierra Leone è un paese in cui le bambine sono costrette ad accettare matrimoni precoci, vengono escluse dalla scuola e sono esposte alla violenza sessuale. I bisogni delle donne in termini di salute, ricevono scarsa considerazione da parte delle famiglie, dei leader delle comunità locali e del governo' – ha aggiunto Khan.
La visita della Segretaria generale di Amnesty International in Sierra Leone ha dato il via a una serie di azioni sul tema della mortalità materna. Nelle prossime settimane, un caravan percorrerà tutto il paese, per fornire informazioni e discutere sul tema della mortalità materna.
In Sierra Leone, Irene Khan ha avuto colloqui con la first lady Sia Koroma e altri rappresentanti del governo, ha visitato diverse strutture mediche e insediamenti abitativi precari e ha incontrato gruppi di donne per ascoltare la voce di coloro che vivono quotidianamente la realtà della mortalità materna.
Amnesty International ritiene che la povertà sia una questione di diritti umani e ha lanciato, nel maggio di quest’anno, una campagna dal titolo 'Io pretendo dignità', per chiedere la fine delle violazioni dei diritti umani che creano e acuiscono la povertà. La mortalità materna è un tema-chiave della campagna, che mobiliterà persone di ogni parte del mondo per pretendere che i governi e le aziende ascoltino la voce di coloro che vivono in povertà e rispettino i loro diritti.
Amnesty International Italia
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23 settembre 2009.
Le prime pagine dei giornali.










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