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venerdì 13 novembre 2009

BlogNotte - Il Mal Paese

Blog Notte
Il Mal Paese

13 novembre 2009

Gran brutto posto l'Italia se una maggioranza pensa di reggersi sul consenso di una maggioranza di bucanieri, ovvero pensi che questo popolo che si spaccia (o è spacciato) per popolo di santi, poeti e marinai sia in realtà un popolo (al di là dei pochi coglioni e farabutti che continuano a martellarsi sulle palle) soprattutto di delinquenti tanto da aspettarsi il plauso per aver annientato lo stato di diritto. Anche se nella miseranda convinzione di fare una marchetta in favore di chi tiene il libro paga (e poi sì, in fin dei conti una legge simile può tornare comoda sempre, parola del Cosentino di turno che intanto non si dimette - già, e se la legge passa? che figura da fesso sarebbe).



Intanto oggi le cronache ci dicono che nella pratica di divorzio tra il premier e lady Veronica rischiano di entrare le carte del processo per corruzione che riguardano l’avvocato inglese. Così, a complicare le cose tra 5 figli e un maxi patrimonio, potrebbe spuntare qualche segreto. (Sky Tg24).



Un intricato nodo economico e giudiziario (racconta Sky Tg24) che partirebbe da una richiesta di divorzio, si intreccerebbe con alcune inchieste e finirebbe col condizionare l'assetto patrimoniale del premier, con inevitabili conseguenze politiche. Per alcuni osservatori, è questo lo scenario che Silvio Berlusconi e i suoi legali dovranno affrontare nei prossimi mesi.
Il ricorso individuale di separazione con addebito, presentato in tribunale, secondo il Corriere della Sera, dai legali di Veronica Lario, sarebbe solo una parte del complicato contenzioso sul patrimonio del premier, che vedrebbe contrapposti i due primogeniti di Berlusconi ai tre figli avuti con Veronica Lario.
Per il quotidiano Libero, vicino al centrodestra, ad aggravare infatti la situazione sarebbe poi "l'ipotesi di un tesoretto non ufficiale accumulato negli anni all'estero a favore di Berlusconi e dei suoi due figli (Marina e Piersilvio ndr) impegnati direttamente in azienda", circostanza che emergerebbe "dalle carte del processo Mills e dalle varie inchieste sui diritti televisivi".
Una supposizione che, se confermata, finirebbe inevitabilmente col riguardare anche la richiesta di divorzio della Lario. Era stata proprio Veronica ad annunciare la separazione a mezzo stampa nel maggio scorso. Dopo aver criticato la scelta del partito del premier di candidare “veline” alle elezioni europee (“ciarpame senza pudore”), la first lady italiana aveva detto di considerare “chiuso” “dopo 30 anni il sipario sulla mia vita coniugale”, motivando così la sua scelta: “non posso stare con un uomo che frequenta le minorenni”. La Lario alludeva alla partecipazione del premier alla festa di compleanno della diciottenne Noemi Letizia.
La richiesta di separazione con addebito aggraverebbe ora la distanza tra i due. In tal caso, si profilerebbe infatti una battaglia legale da almeno sette miliardi: a tanto ammonterebbe il valore del gruppo Fininvest.
Obiettivo della Lario non sarebbe tanto quello di tutelare la sua posizione: attraverso la finanziaria “Il Poggio”, infatti, è già proprietaria di un patrimonio immobiliare di 20 milioni di euro, oltre a disporre di una quota consistente (il 38%) del quotidiano Il Foglio. La signora Berlusconi chiederebbe invece maggiori garanzie sul futuro dei suoi tre figli (Barbara, Eleonora e Luigi), in modo da ottenere una spartizione equa con i due primogeniti del premier, avuti dalla prima moglie Carla Dall’Oglio (Marina e Piersilvio).
Attualmente, il presidente del Consiglio detiene il 65% del gruppo, mentre ciascuno dei cinque figli controlla il 7%. Sempre secondo la ricostruzione del quotidiano Libero, in un primo momento l’idea dei legali del premier sarebbe stata quella di sdoppiare il gruppo in due società. Nella prima, destinata ai due primogeniti, sarebbero finite Mediaset, Mondadori e magari, Medusa. La seconda, invece, riservata ai figli di secondo letto, avrebbe contenuto la quote di Mediolanum, il Teatro Manzoni, gli immobili e tutte le altre attività minori, oltre a un congruo conguaglio in denaro.
Su questa ipotesi si sarebbe arrivati alla rottura. Anche perché se i due primogeniti del premier hanno da tempo ruoli di responsabilità nel gruppo (Marina è presidente di Fininvest, Piersilvio è vicepresidente di Mediaset), gli altri tre figli, invece, avrebbero già da tempo rivendicato ruoli di responsabilità nelle aziende ammiraglie del gruppo. Intenzioni lasciate trapelare anche da dichiarazioni pubbliche: è il caso, ad esempio di Barbara Berlusconi che, in un'intervista a Vanity Fair dopo aver affermato di non voler essere “la nuova presidente di Medusa film”, ha manifestato il desiderio di lavorare per il gruppo Mondadori. Sembra ormai certo che il futuro suo e dei suoi fratelli sarà determinante per l'esito della separazione tra il premier e la seconda la moglie.



Sempre oggi un articolo su Libero ci racconta di chi conta davvero. Silvio Berlusconi naturalmente, tra i potenti d'Europa dietro solo al Papa. Già Papi in ordine alfabetico viene ovviamente dopo "papa". Undicesimo il Papa, dodicesimo Papi. E tutti gli altri europei dietro con qualche distacco. È la lista di Forbes, la rivista americana, che mette in fila le personalità più potenti - aggettivo che Libero si affretta a specificare che non sta per forza per i più ricchi, ma dei più influenti politicamente, economicamente e socialmente. Incredibile risultato, no? Ma tranquilli, Forbes al quarantunesimo posto mette "El Chapo", ovvero Joaquin Guzman, il grande capo del narcotraffico, messicano e pluriomicida, al momento latitante. Tutto torna insomma. Del resto nella lista c'è anche Osama Bin Laden. Ma la cosa curiosa di Libero è che fa la distinzione in buoni e cattivi. Vada tra i buoni l'uomo più potente del mondo, Barack Obama, vada Bill Gates, il fondatore di Microsoft e di questi tempi filantropo, naturalmente nessuna obiezione per Benedetto XVI, per Bill Clinton, per Steve Jobs, il mitico guru fondatore di Apple, per Ratan Tata, produttore della macchina più economica del mondo. Ma chi ti mettono i belpietrini in mezzo ai buoni, lui il santo, Papi. Vi chiederete chi sono i cattivi. Beh, innanzitutto due comunisti Hu Jintao, il presidente cinese, secondo nella lista e Vladimir Putin, il premier russo, terzo, l'amicone del nostro premier. Che brutte compagnie frequenta Silvio. Va a escort? Siamo fortunati che non mangi bambini. Nella lista dei cattivi scritta sulla lavagna di Libero, dopo, viene Abdullah bin Abdul Aziz al Saud, il sovrano saudita - con lui forse i redattori ce l'hanno perché Forbes lo definisce «il dominatore assoluto del regno del deserto», tant'è che commentano "manco fosse il Veglio della Montagna". Tra i cattivi, secondo i belpietrini, poi Kim Jong II, il citato Osama Bin Laden, terrorista naturalmente, Ali Hoseini Khamenei, titolo di demerito ayatollah, Joaquin Guzman, trafficante di droga e la ciliegina Hugo Chavez detto dittatore. Chavez nella lista Forbes occupa il sessantaquattresimo posto, l'ultimo. E nell'articolo si cita la biografia che Forbes riporta: «Il suo socialismo del ventunesimo secolo si basa su controllo dei prezzi, razionamento del cibo, nazionalizzazioni e maratone televisive di cinque ore nel suo talk show "Alò presidente", e si chiosa "E pure questo è potere". Che dovremmo dire noi di Papi?
Ma godiamoci il Travaglio di ieri sera.



Oggi, come riporta La Stampa, Fini avrebbe detto: «I patti non erano questi, siamo al gioco delle tre carte». Alla faccia del «L'intesa regge solo se il testo non cambia» del famoso accordo tra Berlusconi e Fini. Ma il premier tira dritto. Sì perché come fonti vicine a Papi spiegano, per Silvio «Gianfranco non capisce che siamo di fronte a un attacco eversivo dei pm». E ai parlamentari del predellino della libertà ha dato appunto libertà: «I deputati e i senatori sono liberi di modificare il ddl sul processo breve». Già, è proprio questa la preoccupazione che Fini - dice La Stampa - ha comunicato al capo dello Stato durante il breve colloquio a Montecitorio in occasione di una cerimonia per le vittime delle missioni internazionali. Cioè, come c'è stata la prima modifica del testo sul reato di immigrazione, ce ne saranno altre - la paura è questa - peggiorative. C'è da chiedersi chi abbiamo mandato in Parlamento, la banda Bassotti? Ogni riferimento all'altezza è puramente casuale.



L'ultima. Proprio oggi il "feltrino", cioè il Giornale di Feltri, ha pubblicato la ricetta di Berlusconi per l'ecologia, un suo intervento nel libro «Guida al green jobs». Molto aziendal-politichese di convenienza. Ma in una cosa è stato preciso, e di riflesso è il suo pensiero sul che fare: «Nella nuova epoca della green economy la tutela degli ecosistemi avverrà lungo un cammino lastricato [già questo è un brutto verbo] di realismo e concretezza. Si tratta di una nuova impostazione che sarà possibile grazie alle tecnologie a disposizione e a un approccio più pragmatico. D'altro canto, il fondamentalismo ambientalista ha fallito: non ha dato risultati concreti e in Italia ha condotto alla mancata realizzazione di infrastrutture fondamentali, a cominciare dalle centrali nucleari e dai termovalorizzatori. La stagione del dogmatismo verde ha danneggiato la società senza preservare l'ambiente. sul tema, il nostro governo userà tutti gli strumenti per favorire lo sviluppo della green economy evitando qualunque pericolosa distorsione ideologica». E vai! Termovalorizzatori e centrali nucleari a gogo.
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Dare respiro ad un pianeta in asfissia

Quando il cibo finisce nel cassonetto dell’immondizia. Libro-denuncia. Tristram Stuart alza il velo su un fenomeno spaventoso che affligge «le società del benessere»: quello dello spreco.
Rassegna stampa - Avvenire, Stefano Gulmanelli, 13 novembre 2009.

I numeri sono impressionanti: Mark & Spencer, la catena inglese di supermercati, getta ogni anno nella spazzatura 20mila tonnellate di cibo non smer­ciato; la conna­zionale Sain­sbury va oltre: le tonnellate an­nue di derrate a­limentari che manda in disca­rica sono 60mi­la. Di là dall’A­tlantico, negli U­sa, il trend è lo stesso, se non peggio: il cibo che entra nei supermercati e nei ristoranti ma che nessuno mangerà è il 30% del totale. Di qua dalla Manica, l’Europa continentale (Italia compre­sa) nel suo insieme butta via ogni an­no 200 milioni di tonnellate di alimenti. E questi non sono che alcuni dei dati sullo spreco alimentare riportati in ab­bondanza da Tristram Stuart nel libro Sprechi. Il cibo che buttiamo, che distruggiamo, che potrem­mo utilizzare (Bruno Monda­dori). Nella sua opera, redatta nel corso di 10 anni passati a raccogliere informazioni e viaggiare intorno al mondo per stu­diare il rapporto fra le varie popola­zioni e il cibo, Stuart mette a fuoco u­na realtà – quella del pessimo uso che facciamo del cibo – che nemmeno i più pessimisti ipotizzavano così osce­na nei suoi risvolti etici.
L’indagine a tutto campo di Stuart parte dai cassonetti dell’immondizia dei super­mercati della Gran Bretagna. È da essi che il 32enne Tristram, u­na laurea a pieni voti a Cambridge, estrae or­mai da anni quantità spropositate di cibo perfettamente commestibile. «Non scavo fra i rifiuti dei su­permercati solo per rimediare un pasto più che dignitoso – scherza Stuart – ma per mo­strare a quanta più gente possi­bile che nell’immondizia quel­la roba non dovrebbe andarci per nessun motivo». E invece ci finisce, ogni giorno e a tonnel­late; in parte è «stock in eccesso», in parte sono confezioni danneggiate o, semplicemente, in imminente sca­denza. «Un surplus enorme», sottoli­nea Stuart, il cui approccio alla que­stione non è mai ideologico né pre­giudizialmente ostile a questo o quel soggetto economico. Al contrario, la trattazione rimane il più possibile a­nalitica; tanto che nel caso dei super­mercati il libro descrive in dettaglio i meccanismi commerciali che perver­samente rendono possibile e anzi de­terminano tale situazione. Due su tut­ti: la necessità di offrire scaffali sempre pieni a clienti ormai assuefatti a nego­zi-cornucopia e gli alti margini dei su­permercati che rendono più conve­niente sovrastoccarsi e poi buttare piuttosto che rischiare di “perdere” vendite per mancanza di merce. Il tut­to poi, sottolinea Stuart, finisce per a­vere un effetto di spiazzamento – e di conseguente spinta all’insù dei prezzi – che colpisce quanti sul mercato dei prodotti alimentari ci entrano non per bulimia da benessere ma per garantir­si la mera sussistenza. Ma la descrizione dell’incredibile spre­co occupa solo una parte del libro di Stuart. Nella seconda metà l’autore passa ad argomentare le conseguenze 'ambientali' di un uso così indegno del cibo.
Sono capitoli particolarmente indige­sti, soprattutto per l’occidentale me­dio, poiché – se è vero che lo spreco è presente anche in altre culture e parti del mondo – è l’Occidente a risultare il protagonista quasi assoluto dell’i­gnobile scenario descritto. E questo, alla luce del legame fra spreco ali­mentare e conseguente danno ecolo­gico finisce per fare apparire prete­stuosi i richiami dell’Occi­dente ai Paesi in via di svi­luppo circa la necessità di una loro presa di responsa­bilità ambientale.
«Stiamo trasfor­mando il pianeta in un’enorme fabbrica alimentare – dice Stuart – che produce cibo che il mondo sviluppato utilizza come una commodity qualsiasi, senza ri­guardo per le implicazioni so­ciali e ambientali della sua pro­duzione ». I dati al riguardo so­no chiari: un terzo della super­ficie terrestre è ormai destina­ta ad agricoltura e allevamen­to. Dove ora ci sono campi e pa­scoli, prima c’erano distese di piante e alberi: foreste e giungle che permetterebbero (o avrebbero per­messo) il contenimento delle emissio­ni. «Un terzo dei gas serra europei vie­ne dalla produzione agricola se solo dimezzassimo lo spreco alimentare, le emissioni potrebbero abbattersi del 10%». Una soglia di riduzione spesso considerata “eroica” da governanti ed economisti se perseguita con mecca­nismi complessi quali la carbon tax o “il sistema di scambio di quote di e­missione”. «In teoria – continua Stuart – se pian­tassimo alberi sui terreni oggi sfrut­tati per produrre il cibo che va but­tato potremmo veder ridotte le e­missioni del 50%».
In pratica, è la conclusione di questo giovane rovistatore di cassonetti del­l’immondizia, se solo sapessimo con­cepire un benessere che non necessa­riamente si identifichi con lo spreco potremmo allentare non solo la pres­sione sul mercato delle derrate ali­mentari a beneficio dei più poveri ma persino dare un po’ di respiro a un pia­neta ormai in asfissia.
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Nanotecnologie per farla franca

Il ddl in Senato, prescrizione dopo 2 anni. La rabbia dell'opposizione e dell'Anm.
Processo breve ma non per gli immigrati.

Rassegna stampa - Liberazione, A.Mau., 13 novembre 2009.

Ce l'hanno fatta ed è bufera. Gli sono bastati anche meno di due giorni e due notti ai tecnici berlusconiani guidati da Niccolò Ghedini per mettere a punto il disegno di legge sul processo breve e presentarlo al Senato. A 48 ore dal faccia a faccia Berlusconi-Fini, il testo, con tanto di firma del presidente dei senatori Pdl Gasparri, del vice Quagliariello e del leghista Bricolo, si avvia ad un iter parlamentare non facile. «Misure per la tutela del cittadino contro la durata indeterminata dei processi, in attuazione dell'articolo 111 della costituzione e dell'articolo 6 della convenzione europea sui diritti dell'uomo», è il titolo di quello che passerà alla storia come il ddl Gasparri, un altro dopo la legge sulle tv. Un altro cucito a misura per Berlusconi, tuonano Pd e Idv, un altro pure peggio del lodo Alfano per garantirgli il salvacondotto dai processi milanesi (Mills, diritti tv Mediaset, Mediatrade). Ma c'è di più. Perchè il menu preparato questa volta sembrerebbe portare dritto dritto ad un ennesimo scontro tra governo e organi della magistratura, nonchè Quirinale. E c'è da stare attenti alla Consulta, perchè in molti, anche di maggioranza, rilevano già da ora profili di incostituzionalità temendo una nuova bocciatura della Corte Costituzionale, dopo quella del lodo Alfano.
Come si era detto alla vigilia, il testo stabilisce in sei anni, due per ogni grado di giudizio, la durata massima dei processi per reati con pene non superiori ai dieci anni di reclusione. La norma si applicherebbe ai soli imputati incensurati e anche ai processi pendenti ma solo quelli in primo grado. In altre parole, a partire dalla data del rinvio a giudizio i magistrati hanno due anni di tempo per concludere il processo, sono i limiti imposti da Ghedini per rendere certa la tagliola della prescrizione al processo Mills in cui Berlusconi è imputato per corruzione in atti giudiziari. E già in queste ultime due clausole si concentrano molte delle critiche dell'opposizione, delle toghe, nonchè di aree del Pdl più vicine al presidente della Camera. Ma ciò che ha destato più scalpore ieri è la novità imposta dalla Lega. Vale a dire l'esclusione del reato di immigrazione clandestina e dei reati legati all'immigrazione (quelli del testo unico) dalle fattispecie che possono beneficiare del processo breve. Di contro, sono inclusi nei benefici reati come la corruzione, truffa, ricettazione, violenze private. La capogruppo del Pd al Senato Anna Finocchiaro, che l'altro ieri aveva convocato una conferenza stampa per avanzare proposte al governo in tema di giustizia, è furiosa. Sbatte - letteralmente - il testo del ddl contro il muro davanti ai giornalisti. Netta negli esempi: «Il ddl non si applicherà per il furto aggravato. Così per il rom che ruba il processo rimarrà, mentre processi come Eternit, Thyssen, Cirio e Parmalat andranno al macero». Il segretario del Pd Pier Luigi Bersani annuncia «battaglia» in Parlamento. In soffitta, per il momento, i propositi di confronto con la maggioranza sulle riforme. «Il ddl è inaccettabile. Se arriveremo allo scontro non sarà responsabilità dell'opposizione». Di Pietro e Rifondazione, che scenderanno in piazza contro Berlusconi il 5 dicembre, chiariscono che quella sarà l'occasione per cominciare a «raccogliere le firme contro una legge incostituzionale». Casini con la sua Udc aveva criticato il testo nei giorni scorsi, ora è più dimesso (astensione in Parlamento?).
Ma in questa fase è soprattutto la maggioranza a soffrire il nuovo colpo di mano. Non ci sono solo i dubbi dei finiani che faranno sentire la loro voce al passaggio del testo a Montecitorio. Anche costituzionalisti di area Pdl, come Antonio Baldassarre, bollano il ddl Gasparri come «incostituzionale e imbarazzante». Perchè, spiega Baldassarre, «esclude reati lievi e include reati gravissimi, come la concussione e la corruzione». E poi c'è un'altra violazione del principio di uguaglianza: la scelta di limitare l'applicazione della norma solo ai processi pendenti in primo grado: «O si applica solo ai processi futuri o si deve applicare a tutti i processi in corso: diversamente mi pare incostituzionale dal punto di vista della parità di trattamento». L'Anm parla di «effetti devastanti sul funzionamento della giustizia penale. Gli unici processi che potranno essere portati a termine saranno quelli nei confronti dei recidivi e quelli relativi ai fatti indicati in un elenco di eccezioni che pone forti dubbi di costituzionalità». Il Csm prepara il parere, anche senza la richiesta del Guardasigilli Alfano, il quale si dice «soddisfatto» del testo. Ma di mine non ce n'è una sola. Berlusconi pensa anche ai processi futuri, quelli di mafia sulle stragi dei primi anni '90 che potrebbero scoppiargli tra le mani, stando alle dichiarazioni dei pentiti. La proposta di legge costituzionale sull'immunità è depositata alla Camera, serve una maggioranza dei due terzi, difficile ma già Casini ha detto sì.
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Una domanda che reclama una risposta intellettualmente onesta

Il potere corrotto che si autoassolve.
Rassegna stampa - Liberazione, Dino Greco, 13 novembre 2009.

C'è una domanda che reclama una risposta intellettualmente onesta: se la Corte costituzionale avesse dato via libera al lodo Alfano, Pdl e governo sarebbero oggi ugualmente impegnati nella spasmodica ricerca di soluzioni come la «prescrizione breve» (ipotesi solo formalmente tramontata), o come il «processo breve» (anzi, brevissimo, alla luce del ddl presentato ieri dal governo), frutto del neonato, fragilissimo compromesso fra Berlusconi e Fini? In altri termini, se il caudillo di Arcore avesse ottenuto dalla Consulta il salva condotto desiderato - per lui e per lui solo - saremmo qui a discutere, come invece sarebbe davvero necessario, dell'insopportabile lentezza della giustizia, dei processi che non giungono mai a conclusione o che - quando finalmente pervengono a sentenza - rischiano di procurare più danni di quanti torti riparino? Mi pare scontata la risposta. La possibilità di una giustizia "giusta", rapida, garantista dipende, in non piccola parte, da quanto si investe in una macchina ridotta ai minimi termini. Chi abbia prestato ascolto alle relazioni che i procuratori della Repubblica svolgono, da almeno un decennio, in occasione dell'inaugurazione dell'anno giudiziario, avrebbe compreso che l'esiguità delle risorse dedicate alla giustizia ne hanno messo in ginocchio l'amministrazione. Nessuno, nei governi, ha mai prestato ascolto all'abnormità di una situazione che - come sempre - fa pagare ai deboli.
Perché nei meandri della burocrazia e della farragine giudiziaria - come si sa - resta impigliato il povero e la fa franca, sempre o quasi, il ricco. La sola cura, ossessivamente somministrata dal governo di centro destra consiste nel tentativo di mettere sotto tutela (generoso eufemismo) la magistratura inquirente. Il resto è fumo. Come è fumo tutta la cultura pseudo-legalitaria che si infrange ogniqualvolta si tratta di incrociare seriamente i ferri con la mafia, con l'evasione fiscale o con chi compromette la sicurezza sul lavoro, mentre si accanisce - travestita da garanzia securitaria - contro migranti, lavavetri, graffitari, posteggiatori abusivi, clochard, per abbattersi con crudele, classista pervivacia contro tutto il mondo della marginalità, dei senza diritti, che tali devono rimanere. La faccenda è tutta qui: nella difesa pregiudiziale di Cosentino e nella presunzione di colpevolezza di Cucchi, giustiziato prima ancora di essere processato per la detenzione di 20 grammi di hashish. E nell'evocazione spregiudicata e sprezzante del responso della sovranità popolare per pretendere un'immunità ed un potere assoluti, sopra il diritto e sopra la legge.
In questi giorni, dicevamo, fra Fini e Berlusconi è intervenuto un compromesso. Che avrà tuttavia come prevedibile conseguenza la caduta in prescrizione dei processi Mills e Mediaset. Così, le prescrizioni vantate dal premier, tutt'ora incensurato (!), toccheranno la ragguardevole cifra di otto. Né ciò basta. Perché il caudillo "sente" che altre nubi si addensano sulla sua testa. E ne è visibilmente preoccupato. Il processo d'appello a Dell'Utri, le inchieste sugli attentati di mafia del '92, le rivelazioni di Massimo Ciancimino e di Tommaso Buscetta possono condurre lontano. E dirci molte cose sulla formazione del patrimonio dell'uomo più ricco d'Italia, sul blocco di interessi (anche innominabili) che sono stati agglutinati da Forza Italia e che si muovono sotto l'involucro protettivo del «partito del predellino». Ecco allora, ad abbundantiam , a lato del «processo breve», prendere corpo l'idea di resuscitare l'immunità parlamentare, cancellata dopo i processi a tangentopoli, e tagliare così di netto il nodo gordiano. Il Giornale e la minzoliniana tv di famiglia stanno, non a caso, sponsorizzando questa soluzione (alla quale lavora l'infaticabile Ghedini) che garantisce l'immunità non soltanto dai processi del presente, ma anche dalle inchieste del futuro. Quando si dice la cattiva coscienza! Ma poiché il diavolo fa le pentole, e non sempre i coperchi, ecco saltare fuori anche la Lega che, coerente con il proprio imprinting razzista, ha imposto di tener fuori dal «processo breve» gli immigrati mentre, per altro verso, qualcosa come 100mila procedimenti in corso andrebbero al macero. Insomma, un capolavoro!
Il rischio che questa ennesima fuga verso l'impunità si infranga nuovamente sugli scogli della Consulta è - fortunatamente - molto forte.
Un'ultima considerazione, di ordine prettamente politico. Ci si chiede se la ormai quotidiana, mediatica disfida fra il premier e il presidente della Camera sia "sostanza o accidente", se riveli un'inesorabile rotta di collisione fra i due oppure rappresenti un'articolazione opportunistica che consente al Pdl di tenere insieme, elettoralmente, impostazioni culturali e politiche altrimenti divaricanti. Ora, non vi è dubbio che fra la destra presidenzialista di impronta europea agognata da Fini e l'autoritarismo plebiscitario anticostituzionale perseguito da Berlusconi esista una evidente differenza. Ma è altrettanto chiaro che una rottura del Pdl, oggi, sarebbe catastrofica per Fini che, nel tempo, vorrebbe far sortire il cigno (si fa per dire) dal brutto anatroccolo. La corda tesa - in un gioco ad alto rischio, prima di tutto per il Paese - è destinata a durare. Non sembra che Berlusconi sia disponibile a spalancare le porte al suo alleato-rivale. Anzi: il combinato disposto dei provvedimenti in materia di giustizia è talmente impresentabile da cuocere a fuoco lento le velleità del traghettatore di An.
Resta, non ancora svolto, il tema di fondo: la necessità che l'opposizione parlamentare e la sinistra giochino in proprio, una partita che oggi hanno guardato dagli spalti. Vedremo se Bersani saprà battere un colpo. Intanto, vi sono segnali incoraggianti, dai territori, che la Federazione della Sinistra comincia ad ingranare, provando ad unire ciò che per troppo tempo ci si è esercitati a dividere.
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Scomunichiamo le mafie nei nostri cuori

C’è bisogno di comunità vive e consapevoli. E di valori puri e forti. Intelligenza e cuore contro la mafia (e la lotta sia palmo a palmo).
Rassegna stampa - Avvenire, Domenico Delle Foglie, 13 novembre 2009.

Scomunichiamo le mafie nei nostri cuori. Se, come è vero, i malavitosi che militano nelle organizzazioni criminali che soffocano il Sud e hanno esteso le loro radici grondanti sangue in ogni angolo d’Italia, sono fuori dalla comunione ecclesiale, allora il problema è tutto nostro. Di noi cristiani e cittadini italiani. Anche noi, forse, ci siamo adagiati sull’idea che la lotta alla mafia, persino nella Chiesa, sia opera di santi e figure eroiche. Il nostro pensiero corre a don Pino Puglisi o a don Giuseppe Diana, a chi è morto in prima linea perché si è permesso di contrastare il potere della mafia sul territorio. Ecco, appunto il territorio. Ovvero il controllo delle coscienze. Chi è meridionale sa bene che le mafie, soprattutto nella versione delle 'cosche' o delle 'famiglie', non esisterebbero se non avessero il controllo del territorio. Ecco dunque la sfida dell’ordinarietà per i cristiani: contendere il territorio alle mafie. Non abbiamo bisogno di martiri, che pure fanno grande la Chiesa, ma di comunità vive, capaci di contendere lo spazio urbano delle coscienze e di sottrarle, soprattutto nel nostro Sud, al controllo del crimine operato attraverso l’elemosina della mafia. Quel surrogato di assistenzialismo che la pone in concorrenza sleale con lo Stato. Ma va detto che oggi le mafie hanno strategie sempre più sofisticate. Nei giorni in cui si scopre che l’Italia è tra i primi cinque Paesi in Europa per consumo pro capite di cocaina, non si può far finta di non sapere che tutto il mercato delle droghe è nelle mani della criminalità organizzata e che dal Sud al Nord è in atto un continuo trasferimento di fiumi di droga che vengono riversati sui mercati più ricchi del Paese. Intere generazioni sono già in balìa delle mafie, perché consumatori o spacciatori.
Tante categorie professionali a rischio sono sotto la lente d’ingrandimento. Un numero sempre crescente di incidenti stradali sono causati dall’uso di stupefacenti. E addirittura si arriva a ipotizzare, sul quotidiano della Confindustria, che anche una parte delle responsabilità della crisi finanziaria che ha scosso il mondo, sia da attribuire alla cocaina che circola fra gli operatori del settore, in particolare giovani fra i venticinque e i quarant’anni. Vittime dello stress, sarebbero facili prede delle droghe, e il loro stato di sovraeccitazione li spingerebbe a scelte finanziarie rischiose e sbagliate che tutti noi stiamo pagando. Dinanzi a tutto questo è necessaria un’analisi più affinata di che cosa sono le mafie oggi. Spesso i nostri parroci e le nostre comunità incrociano la manovalanza delle mafie. Ed è inevitabile, trattandosi né più né meno che dei sottoproletari di cui ha scritto Roberto Saviano nel suo Gomorra. A questa gente, sospesa fra il crimine e l’indigenza sociale, si fa davvero fatica a chiudere le porte delle nostre comunità o negare i sacramenti. Ma è ai custodi delle 'strutture di peccato' che va rivolto lo sguardo, per carpirne i segreti e svelarne i progetti egemonici, se non addirittura 'politici', come spesso ci capita di verificare. Dunque è assolutamente necessario, per i credenti, una doppia azione. Innanzitutto presidiare il territorio e mettere in competizione i nostri luoghi con quella terra di nessuno che le mafie prediligono per i propri affari. Facendo esattamente quello che spetta alla comunità cr istiana, dalla catechesi alla liturgia e alla carità. Nulla di più. E poi non farsi sviare lo sguardo. Guai a immaginare la mafia con la coppola e la lupara, o anche con il kalashnikov nella recente versione di Saviano. La mafia è quella, ma non è solo quella. Bisogna piuttosto temere l’intelligenza mafiosa che conosce le nostre debolezze e su quelle si arricchisce. Sulla nostra debole antropologia sta costruendo le sue fortune. Ecco perché frenare il fiume di droga che sta invadendo il Nord del Paese (a Milano si consumano ogni giorno una media di 9,1 dosi di cocaina per mille abitanti, contro le 6,9 di Londra) è oggi una scelta strategica per assestare un colpo gravissimo alle mafie. Pensare di poter continuare a convivere con chi fa ingrassare il mercato delle droghe è il più grave peccato di omissione nei confronti delle future generazioni e ci condanna a essere tutti sudditi delle mafie. Per dirla tutta, forse ai mafiosi la scorza della religione che spregiudicatamente usano presto non servirà più, perché la globalizzazione e la secolarizzazione hanno già fatto breccia anche nella criminalità organizzata. Non avranno più bisogno della festa del santo patrono per far capire chi comanda veramente.
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I picconatori della fede

Il rifiuto della fede non è una novità, ma la pressione aumenta. Quella pretesa di farci folli e con le lanterne rotte.
Rassegna stampa - Avvenire, Salvatore Giuliano, 13 novembre 2009.

È impressionante come negli ultimi anni stia prendendo piede nel nostro Paese un movimento di chiaro stampo laicista guidato da alcuni volti e nomi più o meno noti che dilagano nel mondo dell’informazione e tentano di demolire il bene della fede attraverso la banalizzazione di tutto ciò che riguarda la sfera religiosa. L’obiettivo è chiaro e nemmeno più tanto originale: trasmettere la 'morte di Dio' che essi hanno nel cuore a quanta più gente possibile. Si fanno, insomma, sempre più forti i movimenti mediatici suscitati da quanti puntano presentare il cristianesimo come un fastidio da estirpare, con i suoi dogmi, i suoi principi morali e la sua organizzazione. Nuovi e vecchi esponenti del mondo dei mass media – attraverso trasmissioni radiotelevisive, libri e articoli sulla stampa scr itta – non perdono occasione per picconare ciò che è stato (e ancora per moltissimi è) un grande riferimento: credere in Dio e sentirsi parte della Chiesa. Per coloro che hanno fondato la loro fede sulla 'roccia' certamente non basterà un programma tv, per quanto sapientemente organizzato, o un articolo di giornale, per quanto avvolto da un’apparente erudizione, a confondere le idee sulle tradizioni bimillenarie che hanno nutrito e nutrono generazioni di uomini, donando alla vita senso, speranza e forza. Ma ci sono tanti che, come direbbe Gesù, hanno invece il «lumignolo fumigante» con la fiamma della fede un po’ «smorta». A questi, forse, bastano poche parole o qualche insinuazione romanzata, fatta passare per oro colato contro la Chiesa e la sua storia, per distruggere quella forza che ha creato eroi di umanità e di santità, che ha ispirato l’arte, che ha diffuso e promosso ovunque la cultura, la solidarietà e la speranza soprattutto in quei periodi in cui queste ultime non erano ancora sentite come valori da tutelare e diffondere. Si mina un bene, lasciando uno spaventoso vuoto nel cuore dei semplici che, proprio per il fatto di non aver approfondito la loro fede, stentano a trovare vere risposte consegnandosi a quella solitudine che l’uomo nietzschiano esprimeva gridando la «morte di Dio» e designando tragicamente l’inizio di un eterno precipitare.
Il rifiuto della fede, del resto, non è fatto inedito. La fede cristiana, anzi, è nata proprio tra le persecuzioni. E sono state ancora le persecuzioni a darle radicamento e vigore. D’altronde, Gesù stesso lo aveva preannunciato quando disse ai suoi Apostoli: «Se hanno perseguitato me, perseguiteranno anche voi… e tutto questo lo faranno perché non hanno conosciuto né il Padre né me» ( Gv15,20.16,3 ).
C’è quindi una radice motivazionale nel gesto del rifiuto della fede: il non conoscere Dio. Si demolisce perché non si conosce. Gli oppositori sono probabilmente coloro che non hanno mai assaporato la bellezza, il bene, il valore dell’incontro con Dio, perdendo così una delle avventure più esaltanti che all’essere umano possa capitare: incrociare nella propria contingenza storica lo sguardo d’amore dell’Eterno. La Chiesa come risposta a questa opposizione non è innanzitutto chiamata a ribadire le proprie ragioni e i propri diritti inasprendosi per il rifiuto o la demolizione mediatica dei suoi valori, ma dovrà elaborare sempre nuovi strumenti per far conoscere il volto del Padre attraverso quello di Cristo. Non è certamente con lo studio di nuove vie diplomatiche che si opera la diffusione della fede, ma reinvestendo sul fascino di ciò che di più prezioso si possiede: il tesoro del Vangelo di Gesù. Ogni singolo cristiano dovrà rivestire di bellezza e di coerenza il proprio credere affinché possa esserci una nuova fioritura di fede a cominciare proprio dal cuore di coloro che le fanno guerra. Non lasciamo, quindi, come l’«uomo folle» di Nietzsche che la nostra lanterna cadendo a terra si frantumi e si spenga, ma rimotiviamoci ancora di più nello slancio parenetico dell’annuncio, perché il Requiem aeternam Deo che tanti continuano a cantare sia sostituito dall’Exultet pasquale nella testimonianza gioiosa di essere Chiesa.
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Mondo News – Fatti e parole, n. 3 - 13 novembre 2009

Mondo News – Fatti e parole
Numero 3, 13 novembre 2009

11 settembre. Holder: chiederemo la pena di morte.
L'amministrazione del presidente degli Stati Uniti Barack Obama punta alla pena di morte per i cinque terroristi accusati degli attacchi contro le Torri Gemelle e il Pentagono. Lo ha indicato oggi a Washington il ministro della Giustizia Usa Eric Holder.
Dalle Agenzie - Sky Tg24, 13 novembre 2009.



I cinque uomini accusati per gli attentati dell'11 settembre saranno trasferiti dal carcere militare Usa di Guantanamo a New York per essere processati da un tribunale civile. Lo hanno reso noto oggi fonti dell'amministrazione Obama a Washington.
Annunciando che i terroristi (tra cui il 'cervello' Sheikh Khaled Mohammed), tutti e cinque incarcerati a Guantanamo verranno processati "da una giuria imparziale" a Manhattan, a pochi isolati da Ground Zero, il ministro della Giustizia Eric Holder ha indicato che per questo tipo di delitto gli Usa prevedono la pena di morte: "Spero che i procuratori chiederanno la pena di morte".
I cinque presunti autori degli attacchi del 2001 contro gli Stati Uniti Khalid Sheikh Mohammed, sono stati finora giudicati da commissioni militari speciali per i sospetti di terrorismo detenuti a Guantanamo. Tuttavia, l'amministrazione Obama si è impegnata a chiudere il carcere a Cuba e a trasferire alcuni casi a tribunali di diritto comune negli Stati Uniti.
La decisione dovrebbe essere annunciata ufficialmente in giornata dal dipartimento di giustizia.
I cinque rischiano la pena di morte per aver pianificato gli attentati dell'11 settembre.

Aereo atterra dentro la sala vip.
Incidente in Ruanda: un morto. Una volta atterrato i motori del velivolo sono rientrati nuovamente in funzione.
Dalle Agenzie - Sky Tg24, 13 novembre 2009.



È di un morto il bilancio di un incidente occorso ieri in Ruanda sul Kigali International Airport, quando un CRJ100 operato da Rwandair ha investito la VIP Lounge sfondando un muro. Le circostanze non sono chiare, ma pare che il velivolo fosse rientrato sull'aeroporto senza problemi dopo aver interrotto il volo per Entebbe, in Uganda, ma che una volta fermo sul piazzale i motori abbiano ripreso improvvisamente i giri. La macchina coinvolta è il CRJ100 immatricolato 5Y-JLD di proprietà di JetLink Express.

La Nasa: "Trovata acqua ghiacciata sulla luna".
A confermarlo è stata l'analisi spettrografica della nuvola di detriti provocata dall'impatto di un missile-proiettile lanciato un mese fa contro un cratere lunare.
Dalle Agenzie - Sky Tg24, 13 novembre 2009.



Una "significativa quantità" di acqua ghiacciata è stata trovata sulla luna. Lo ha annunciato la Nasa poco più di un mese dopo che una sonda aveva lanciato un missile-proiettile contro un cratere lunare alla ricerca di possibili riserve d'acqua. L'analisi spettrografica della nuvola di detriti provocata dall'impatto del missile ha confermato la presenza di acqua allo stato ghiacciato.
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Giustizia per Cucchi



Pm: Cucchi pestato in Tribunale. Sei indagati.
I pm della Procura di Roma hanno iscritto nel registro degli indagati tre medici e tre guardie. Per i primi l'accusa è omicidio colposo, per gli altri omicidio preterintenzionale. Nessun elemento invece contro i carabinieri.
Dalle Agenzie - Sky Tg24, 13 novembre 2009.



Sono sei gli indagati nell'inchiesta sulla morte di Stefano Cucchi, l'uomo di 31 anni morto il 22 ottobre al Sandro Pertini, dopo essere arrestato per droga il 15 ottobre. Si tratta di tre agenti di custodia e di tre medici, che sono stati iscritti nel registro degli indagati dai pm di Roma Francesca Loj e Vincenzo Barba.
Le lesioni subite da Cucchi, inoltre, secondo la ricostruzione fatta dagli investigatori, sono la conseguenza del pestaggio che il 31enne avrebbe subito nella cella di sicurezza dove era in attesa di comparire davanti al giudice Maria Inzitari.
Secondo quanto si è appreso, Cucchi, colpito violentemente, è caduto a terra battendo il sedere. Poi su di lui si è concentrata la furia delle guardie, che gli hanno provocato le lesioni ma anche, si è detto, vere e proprie fratture come è emerso dall'autopsia.
I 'bracci' dell'inchiesta sulla quale indagano i pm sarebbero due.
Il primo è quello relativo al presunto pestaggio subito da Cucchi: sono due i detenuti che sostengono di averne appreso in una cella del Tribunale, lo scorso 16 ottobre, quando il giovane comparve davanti al giudice per la convalida del fermo. Tra le loro deposizioni, comunque, sembra ci sia qualche discordanza: ecco perché la Procura potrebbe decidere di ascoltarli di nuovo in sede di incidente probatorio.
E poi c'è il braccio dell'inchiesta relativo alle eventuali responsabilità del personale del Pertini: a determinare il coinvolgimento dei sanitari potrebbero essere le risultanze medico legali conseguenti agli esami autoptici già eseguiti.
Alcuni sanitari dell'ospedale dove è morto Cucchi sono stati ascoltati uno per uno e separatamente dalla commissione d'inchiesta sul Sistema sanitario nazionale, presieduta da Ignazio Marino.
Tra i medici dei vari ospedali che a vario titolo hanno avuto a che fare con Cucchi, ascoltati in questi giorni in Senato dalla commissione, sarebbero emerse delle contraddizioni "in particolare in relazione alle lesioni del giovane" ha spiegato Marino.
Una situazione che ha portato la commissione, ha aggiunto il senatore, "a secretare tutti gli atti fino alla conclusione dell'inchiesta. Abbiamo chiesto ai medici le condizioni di Stefano nel momento in cui è arrivato al Pertini e poi le sue condizioni cliniche fino al decesso. Abbiamo chiesto specificamente quali trattamenti sono stati effettuati sul ragazzo", anche in relazione al suo comportamento e alla sua alimentazione.
La commissione ha inoltre nominato come suo esperto il professor Vincenzo Pascali, dell'ospedale Gemelli di Roma, che parteciperà agli esami sulla salma del trentunenne che sarà riesumata su disposizione della Procura di Roma.
Anche gli indagati potranno nominare a loro volta dei consulenti per prendere parte agli accertamenti. Intanto, a difesa delle guardie carcerarie, è intervenuto il capo del Dap Franco Ionta. "Ho piena fiducia nell'operato degli inquirenti - ha detto, ma nello stesso tempo "stima e riconoscimento agli uomini della polizia penitenziaria".
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Lodi prima uscita post primarie

Partito democratico regionale in assemblea: aprirà i lavori Guerini, ospite d’onore Rosy Bindi. Stati generali del Pd lombardo a Lodi. Domani la “carica” dei 430 delegati al cinema Fanfulla.
Rassegna stampa - Il Cittadino, Alberto Belloni, 13 novembre 2009.

Si terrà domani a Lodi, ospite d’onore l’onorevole Rosy Bindi, la prima assemblea regionale lombarda del Partito democratico targato Pierluigi Bersani, eletto nuovo segretario nazionale nelle primarie dello scorso 25 ottobre. L’assemblea si terrà dalle 9.30 alle 18 circa al cinema Fanfulla, in viale Pavia, e oltre ai 430 delegati eletti alle stesse primarie è aperta ai lombardi eletti all’assemblea nazionale del Pd, ai deputati e senatori lombardi, nonchè agli europarlamentari, ai portavoce di circolo e agli eletti nei comuni e nelle province della regione. Ad aprire i lavori sarà Lorenzo Guerini, sindaco di Lodi e presidente della commissione regionale congressuale del partito, cui attorno alle 9.45 farà seguito la relazione introduttiva di Maurizio Martina, il neo segretario regionale. Alle 11 il via al dibattito, seguito a mezzogiorno dall’intervento del nuovo presidente nazionale del Pd, Rosy Bindi. I lavori, grazie a un servizio di bar-caffetteria, continueranno senza pause, per culminare alle 16 con la sessione di voto e gli adempimenti statuari: oltre alla “rielezione” di Martina, quasi un atto simbolico, l’assembela sarà chiamata sostanzialmente ad eleggere la direzione regionale e il presidente dell’assemblea regionale. Padrone di casa e coordinatore dei lavori, Lorenzo Guerini si rallegra per la scelta di Lodi come prima uscita “post primarie”, prospettando una riunione nella quale emergeranno le linee strategiche del partito in vista dei duelli elettorali del 2010. «È importante e significativo che si sia scelta Lodi, perché dimostra attenzione rispetto agli appuntamenti politici che dovremo affrontare, compresa l’elezione del nuovo sindaco di Lodi: credo sia un riconoscimento dell’esperienza positiva di governo della città - spiega il primo cittadino in carica -. Il dibattito comunque riguarderà soprattutto gli aspetti regionali e dagli incontri cui ho partecipato e dai contatti che sto tenendo mi pare ci sia voglia di costruire il profilo di un partito che vuole dialogare e confrontarsi con la società lombarda. Il tutto attraverso una proposta all’altezza, soprattutto per l’elezione regionale, intraprendendo una strada che porti a una candidatura sulla quale convergano le nostre forze».
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Una goccia nel mare dei bisogni

Sono stati finanziati 110 progetti per oltre 4 milioni di euro, ma dal Lodigiano erano arrivate richieste per 24 milioni. «Gli immensi bisogni sociali del territorio». L’allarme di Castellotti, presidente della Fondazione Banca Popolare.
Rassegna stampa - Il Cittadino, 13 novembre 2009.

Una goccia nel mare dei bisogni. La Fondazione della Banca Popolare di Lodi ha provveduto a finanziare 110 progetti, riversando sul territorio lodigiano una cifra ingente, pari a 4 milioni e 207 mila euro. Ma non sono stati sufficienti, neppure in minima parte, perché in occasione del primo bando della sua storia, alla Fondazione della Popolare sono stati presentati qualcosa come 174 progetti, con richieste di finanziamento pari a 24 milioni di euro.
Duccio Castellotti, presidente della Fondazione, lancia un grido d’allarme: attenzione - dice - la spesa sociale sta esplodendo, e gli enti pubblici non ce le fanno più ad affrontarla. Castellotti ha parlato chiaro l’altra sera, a un incontro organizzato dal Lions Lodi Host presso il ristorante Isola Caprera.
A fare gli onori di casa, il presidente del club, Adriano Landi. L’accoppiata tra i due “vecchi” sindacalisti – il dottor Landi per tanti anni presidente dell’Ordine dei medici di Lodi e Castellotti per altrettanto tempo leader e manager della Coldiretti – si è rivelata vincente. In sala c’era lo stato maggiore della Popolare: l’amministatore delegato Maurizio Di Maio, il direttore generale Luigi Negri, il direttore generale della Popolare di Crema Paolo Landi, numerosi consiglieri dell’istituto bancario, tra cui Ambrogio Sfondrini, Angelo Biasini e Gianluigi Corsi. A rappresentare la Provincia di Lodi, due assessore: Maiocchi e Capezzera. Tra i presenti anche il notaio Piercarlo Mattea, rappresentante lodigiano della Fondazione Cariplo.
La relazione di Castellotti, tenuta a braccio, ha catalizzato l’attenzione dei presenti. Il presidente della Fondazione della Banca Popolare ha snocciolato una serie di numeri e di cifre eloquenti. Nel settore dell’assistenza sociale e sanitaria sono stati finanziati 30 progetti, per un totale di 1.696 mila euro; per il culto 22 progetti per 720 mila euro; per l’educazione 12 progetti per 155 mila euro; per l’istruzione 14 progetti per 267 mila euro; per la ricerca scientifica 3 progetti per 975 mila euro; per la ricreazione 29 progetti per 394 mila euro. Ma queste cifre non sono sufficienti a fornire uno spaccato vero di come la Fondazione è riuscita a interagire con il territorio. Castellotti ha ricordato il grande sforzo compiuto per sostenere il potenziamento del polo universitario di Lodi, un centro di eccellenza che sta catalizzando l’interesse dei ricercatori. L’espansione del polo universitario ha trovato nella Fondazione della Banca Popolare un significativo compagno di viaggio, con la realizzazione di una sala chirurgica robotica che è la prima di questo tipo presente in Europa.
E sempre Castellotti ha dedicato una parte del suo intervento anche al considerevole impegno svolto a livello culturale. In questi mesi è stato acquistato un corposo numero di documenti della poetessa Ada Negri, impedendo che andassero dispersi in un’asta pubblica. La Fondazione intende infatti riunire tutto ciò che Lodi possiede di Ada Negri, dal materiale dell’associazione Poesia la vita (capofila del progetto) a quello di proprietà del Comune di Lodi, con lo scopo di metterlo a disposizione degli studiosi. Un’altra idea è quella di riunificare tutto ciò che si possiede di Tiziano Zalli, mettendo insieme i documenti della Banca Popolare di Lodi con quelli conservati presso la Società Operaia di Mutuo Soccorso. C’è l’esigenza di valorizzare il materiale di Maria Cosway rendendolo visibile in una grande mostra tematica. Lo stesso discasi per un progetto finalizzato alla valorizzazione della figura di Paolo Gorini e dei suoi studi scientifici.
Il presidente della Fondazione della Popolare si è dimostrato molto preoccupato per le pressanti richieste avanzate da tutto il territorio nel settore sociale. Gli enti, le istituzioni e le associazioni che si occupano di queste problematiche hanno sempre di più i bilanci in rosso, e la situazione è destinata a peggiorare in un immediato futuro. Questo territorio – ha detto – non reggerà più di fronte al mare dei bisogni e all’impennata dei costi. A tale proposito Castellotti ha più volte ribadito la necessità che si incominci a lavorare insieme. Ha auspicato, ad esempio, che le tredici case di riposo del Lodigiano non si limitino a lavorare in rete, ma mettano insieme le proprie forze per abbattere i costi di gestione delle singole strutture.
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P come Pdl P come Pedrazzini

Pedrazzini alla guida del Pdl lodigiano anche per il 2010.
Rassegna stampa - Il Cittadino, 13 novembre 2009.

Claudio Pedrazzini resterà il coordinatore del Popolo della Libertà lodigiano per tutto il 2010. È stato ufficialmente comunicato martedì in occasione dell’insediamento del coordinamento provinciale, che ha nominato i suoi 36 componenti. Pedrazzini, ex segretario lodigiano di Forza Italia, attuale vicepresidente e assessore allo sviluppo e alle attività produttive della provincia di Lodi, dovrebbe restare in carica fino agli inizi del 2011, data prevista per il prossimo congresso provinciale del Pdl lodigiano. Suo vice resta Giancarlo Regali, già segretario provinciale di An. Nel frattempo il principale partito di centrodestra sta già lavorando per gli obiettivi a breve e medio termine. Il primo grande appuntamento in tal senso è previsto il 21 novembre con l’apertura della nuova stagione di tesseramento, per il quale verranno allestiti i gazebo nelle piazze del territorio. Le quote di iscrizione partiranno da 20 euro: la speranza, come confermato dallo stesso Pedrazzini, è raggiungere un traguardo attorno alle 3500-4000 tessere. Pedrazzini annuncia entro poco tempo un’altra iniziativa di radicamento nel territorio: «La nomina dei coordinatori comunali - spiega -, che come patrimonio di Forza Italia e An esistono già in parecchie realtà amministrative, ma che vanno ufficializzati». Infine la grande sfida per la poltrona di sindaco di Lodi, in programma nel marzo prossimo. Entro breve, il Pdl dovrebbe ufficializzare il nome del suo candidato, «che non sarò io, ma una persona ben radicata e apprezzata nel capoluogo», precisa Pedrazzini. Nel frattempo, il Popolo della Libertà sta lavorando per assicurarsi il sostegno dell’Udc, possibile ago della bilancia in caso di contesa all’ultimo voto con Lorenzo Guerini. Quanto al nuovo coordinamento, oltre a Claudio Pedrazzini e a Giancarlo Regali, i componenti sono Nicola Buonsante, Andrea Erba, Andrea Dardi, Franco Addamonte, Andrea Alloni, Samuele Arrighi, Loredana Bigli, Livio Bossi, Luisa Braguti, Nancy Capezzera, Patrizia Cardone, Vanna Cavalleri, Antonio Ceraminiello, Massimo Codari, Maurizio Cogni, Paolo Della Maggiore, Antonio Di Grigoli, Davide Dornetti, Matteo Ferrari, Francesco Ferrari, Pierangelo Foletti, Oscar Fondi, Vittorio Gavetta, Martino La Penna, Nicola Locatelli, Simona Malattia, Francesco Pesatori, Luca Peviani, Gianfranco Pinciroli, Paola Rosa, Enrico Rossi, Bruno Rossi, Paola Roverselli e Mauro Tresoldi.
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Bandiera bianca

Fombio. Si punta al recupero di alcuni dipendenti e a una mobilità incentivata dei lavoratori. Akzo, i sindacati giocano in difesa. «La chiusura dell’azienda è totale, salviamo il salvabile».
Rassegna stampa - Il Cittadino, Andrea Bagatta, 13 novembre 2009.

Fombio - I 185 lavoratori della Akzo Nobel alzano bandiera bianca e puntano ormai a un accordo difensivo: l’assemblea ha dato mandato ieri ai delegati sindacali di mandare avanti la trattativa sulla bonifica dell’area e sugli ammortizzatori sociali. Un primo incontro con l’azienda ci sarà già oggi pomeriggio alle 14.30 nella sede lodigiana di Assolombarda. Dopo la prima riunione del tavolo di crisi del ministero dello Sviluppo economico a Roma i giochi sembrano fatti. La chiusura netta dell’azienda, irremovibile sull’abbandono di ogni attività a Fombio entro il 30 giugno scorso, ha portato i lavoratori verso l’unica strada ormai percorribile, ovvero quella di trattare il trattabile. E la base del confronto, allora, potrebbe essere là dove si era fermato il tavolo lodigiano: spezzatino di alcune attività per recuperare fino a 60 posti di lavoro in Italia e all’estero, con trasferimento su base volontaria, e disponibilità ad aprire una finestra di mobilità incentivata già a inizio anno per riconoscere un contributo anche a chi avesse qualche opportunità immediata di altra collocazione lavorativa. In più, si è aggiunta la disponibilità dell’azienda a stendere un protocollo d’intesa per favorire la reindustrializzazione del sito. «Ai lavoratori abbiamo chiesto di indicarci la strada da seguire, se continuare con iniziative di lotta oppure se andare a salvare il salvabile - spiega Francesco Cisarri, segretario provinciale dei chimici Cgil -. I lavoratori hanno compiuto una scelta di buon senso, motivata dalla grande preoccupazione che ormai c’è in fabbrica. Anche il blocco della produzione avrebbe come unico effetto solo quello di accelerare la chiusura dello stabilimento». A Lodi, infatti, la partita con i vertici aziendali può essere ancora lunga, sia per arrivare a un protocollo d’intesa per favorire nuovi insediamenti industriali sia per assicurare ai lavoratori le più ampie tutele al momento della chiusura, cassa integrazione, mobilità incentivata, possibilità di reimpiego in altre fabbriche del gruppo. «Anche se l’azienda chiude completamente sulla possibilità di mantenere delle produzioni, la strada da fare per un accordo su reindustrializzazione del sito e ammortizzatori sociali è ancora lunga e impegnativa», aveva detto Giampiero Bernazzani, segretario di categoria della Cisl, già dopo l’incontro di Roma. «E non sono ancora abbandonate del tutto le forme di lotta - dice Giuseppe Ciossani della Rsu Akzo -. Ora entriamo nel merito della trattativa, e soprattutto degli ammortizzatori sociali che si potranno ottenere, e poi vedremo che cosa succederà. Siamo nella situazione di dover portare avanti una trattativa di difesa, ma lo faremo con tutti gli strumenti a disposizione. La chiusura dell’azienda nei confronti dei lavoratori e del governo è stata totale, e non lascia altre possibilità».
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Autovelox, un passo indietro

Autovelox invisibile sotto accusa, dalla Lega “no” alle polemiche con il municipio di Pizzighettone.
Rassegna stampa - Il Cittadino, 13 novembre 2009.

«Nessuna polemica nei confronti del vicino comune di Pizzighettone». Il segretario della Lega nord sezione Adda Alessandro Canevari interviene sul caso autovelox fonte da un anno a questa parte delle arrabbiature degli automobilisti che percorrono la provinciale di collegamento tra Maleo a Pizzighettone. «La Lega per prima riconosce quale importante funzione di deterrente abbia l’autovelox rispetto alla sicurezza stradale, auspichiamo pertanto che trattare la questione funzioni da monito agli automobilisti così da salvaguardare la propria salute, sicurezza e portafoglio». Secondo Canevari sono proprio i cittadini residenti di qua dell’Adda il principale bersaglio delle sanzioni, comminate dal comune cremonese e non da Maleo però, come si corre il rischio di equivocare. «Mi sono preso l’incarico di fare tutte le verifiche del caso ed ho potuto constatare come l’apparecchio sia tarato a 96 km orari, secondo quanto disposto dalla normativa in merito ai tratti stradali provinciali» assicura, altra cosa invece la «segnalazione preventiva, che dovrebbe consentire al guidatore di accorgersi del controllo in tempo, quantomeno attraverso un colore più vivace dell’apparecchio da renderlo riconoscibile».
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Nel Basso Lodigiano furti in calo

Nei primi dieci mesi del 2008 erano state denunciate 1428 incursioni, quest’anno 1287: i consigli per scongiurare visite sgradevoli. Meno furti, ma non abbassare la guardia. L’invito arriva dai carabinieri che registrano un bilancio positivo.
Rassegna stampa - Il Cittadino, Paola Arensi, 13 novembre 2009.

Nel Basso Lodigiano i furti sono in calo, ma le forze dell’ordine invitano a non abbassare la guardia. È arrivato il periodo dell’anno in cui i soliti ignoti razziano più frequentemente le abitazioni. Per evitare spiacevoli inconvenienti, i carabinieri della compagnia di Codogno consigliano di essere in ogni caso sempre prudenti. Questo anche se i dati riguardanti l’annata in corso sono più confortanti rispetto ai colpi messi a segno nel 2008. C’è stata una diminuzione generale dei reati che nei primi dieci mesi dell’anno scorso sono stati 1428 e nel 2009 sono diventati 1287 con una media mensile che da 143 si abbassa a 129. In questo caso si intendono tutti i tipi di reati e quindi anche quelli che prevedono la querela di parte come ingiurie e lesioni colpose. Invece i furti, dalla bicicletta alla razzia milionaria, si sono ridotti del 21 per cento: da gennaio a ottobre 2008 erano stati 669 mentre quest’anno fin’ora ne sono stati denunciati 529. Quindi la media passa da 67 a 53. Le statistiche lasciano ipotizzare che, fino ai primi mesi del 2010, complice il buio del tardo pomeriggio, i malviventi cercheranno di entrare nelle case soprattutto tra le 17.30 e le 20.30 e quindi in assenza dei residenti. Ecco perché sarà bene mettere in pratica una serie di accorgimenti che fungano da deterrente finché le giornate si allungheranno e ci sarà più probabilità di scoprire i malintenzionati all’opera. Per prima cosa si raccomanda la massima collaborazione tra vicini di casa. È infatti estremamente importante chiamare il 112 o la polizia locale in caso si noti qualcosa di sospetto. Le forze dell’ordine, impegnate di concerto nella difesa del territorio, preferiscono intervenire a vuoto che arrivare in ritardo. Nella Bassa i carabinieri sono soltanto un centinaio, suddivisi in sette stazioni e devono occuparsi di ben 26 comuni per un totale di 77.193 abitanti e 376 chilometri quadrati. Ecco perché la collaborazione della gente è indispensabile. È invece inopportuno, oltre che pericoloso, affrontare i malviventi personalmente. Nella maggior parte dei casi i ladri preferiscono darsi alla fuga e non cercano lo scontro, ma è sempre meglio evitare inutili rischi. Quando si esce di casa la porta va chiusa con più mandate. Mai nascondere le chiavi sotto lo zerbino o in posti ormai facilmente ipotizzabili da chiunque. È molto importante installare un impianto anti intrusione, eventualmente con combinatore telefonico collegato alla caserma più vicina, la cui sirena sia ben visibile all’esterno. Utili anche le inferriate e i vetri blindati alle finestre, telai robusti, persiane con chiavistello di sicurezza, steccati o muri di cinta in giardino, prese di corrente esterne disattivabili dall’interno delle abitazioni. Si consiglia inoltre di conservare i propri beni in una cassetta di sicurezza della propria banca, farsi ritirare la posta dal vicino se si è in vacanza, tenere un inventario aggiornato dei propri averi da poter trasmettere ai carabinieri in caso di furto.
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Detto fatto

L'utilità delle segnalazioni [al blog].

Detto.



Fatto!



Il nostro plauso.
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Salvare Berlusconi a qualunque costo

Giustizia, Finocchiaro: "Ddl serve solo a Berlusconi".
"Si sta affrontando la questione con una soluzione inefficace per ridurre la durata dei processi. Serve solo a fare prescrivere quelli per Berlusconi", così la capogruppo del Pd sulla spinosa questione della durata dei processi.
Dalle Agenzie - Tg Sky24, 11 novembre 2009.

"Si sta affrontando la questione con una soluzione inefficace. Il testo serve solo a fare prescrivere le cause di Berlusconi", così la capogruppo del Pd sulla spinosa questione della durata dei processi.



Processo breve, Casini:"Una porcheria, diremo no".
Il leader dell'Udc: "Il ddl sfascia il sistema giudiziario e dimentica le vittime. Unico rimedio la presentazione al più presto di un nuovo Lodo Alfano, ma questa volta come legge costituzionale”.
Dalle Agenzie - Sky Tg24, 13 novembre 2009.



"Questo ddl per abbreviare i processi è realmente una porcheria, un provvedimento che dimentica le vittime, fascia l'ordinamento e abroga la giustizia". Il leader dell'Udc, Pier Ferdinando Casini, boccia con durezza il disegno di legge presentato ieri da Lega e Pdl al Senato per accorciare i tempi dei processi e rilancia una proposta: approvare al più presto il Lodo Alfano con legge costituzionale.
"Ci vuole un'intesa tra maggioranza e opposizione, i tempi sarebbero un po' più lunghi ma, del resto, io ho sempre detto che Berlusconi non sarà mai liquidato sul piano giudiziario e che una sua eventuale condanna in primo grado non può coincidere con una sua uscita di scena. In questo modo, Berlusconi dimostrerebbe di evitare scelte dissennate".
C'è poi l'ipotesi immunità. "Noi preferiamo il Lodo Alfano, ma se qualcuno la propone sarà comunque meglio reintrodurre l'immunità parlamentare sul modello europeo" afferma il leader dell'Udc in una conferenza stampa convocata a Montecitorio per esprimere la contrarietà del suo Partito al disegno di legge presentato ieri al Senato da Lega e Pdl.
E conclude: "Sarebbe comprensibile garantire una stessa normativa sia per i parlamentari europei sia per i parlamentari italiani".
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Moralmente inaccettabile come il suo principale beneficiato

Processo breve, Anm: conseguenze devastanti.
Il disegno di legge sul processo breve depositato dal Pdl al Senato riaccende lo scontro sulla giustizia. La maggioranza fa quadrato e difende il provvedimento ma l'opposizione e le toghe insorgono. Tra i processi a rischio Parmalat e Antonveneta.
Dalle Agenzie - Sky Tg24, 13 novembre 2009.

Il processo breve messo in cantiere dalla maggioranza compatta Lega e Pdl ma alza nuovi steccati con giudici e opposizione. La protesta più vibrante è quella del sindacato delle toghe: l'Associazione nazionale magistrati denuncia come "devastanti" gli effetti che il provvedimento avrà sui processi. La maggioranza non si scompone e parla di un'emergenza giustizia che attende una risposta da troppi anni. L'opposizione condanna all'unisono il provvedimento: per l'Udc è una "pietra tombale sulla certezza della pena", il Pd lo ritiene "moralmente inaccettabile".


Effetti collaterali.
Rassegna stampa - Corriere della Sera, Luigi Ferrarella, 13 novembre 2009.

Una legge piena di contraddizioni e iniqui effetti collaterali. Stabilisce priorità che sono l'esatto contrario di quelle dettate da un'altra legge appena un anno fa. Strangola in culla i processi per gli omicidi colposi in ospedale, ma garantisce tutto il tempo per giudicare un borseggio sull'autobus.
E chissà se i pazienti vittime del chirurgo della clinica milanese Santa Rita apprezzeranno la «tutela» promessa loro dal disegno di legge «misure per la tutela del cittadino contro la durata indeterminata dei processi». Questa «tutela»: la spugna, tra pochi mesi, su tutte le 89 imputazioni di lesioni volontarie ai pazienti e truffa milionaria allo Stato.
Effetto che si determinerebbe invece subito nel caso di Berlusconi con il disegno di legge che, alla già esistente prescrizione dei reati, intende ora affiancare anche la prescrizione dei processi agli incensurati se la sentenza di primo grado non arriva entro i 2 anni dalla richiesta di rinvio a giudizio per reati con pene inferiori ai 10 anni nel massimo: appena dovesse entrare in vigore, infatti, sopprimerebbe immediatamente le imputazioni mosse a Berlusconi per frode fiscale nel processo sui diritti tv Mediaset e per corruzione di testimone nel processo Mills, dibattimenti entrambi già ben oltre i 2 anni dalla richiesta di rinvio a giudizio.
Ma quel genere di «tutela», come effetto collaterale tra le migliaia di processi di primo grado non ancora a sentenza a distanza di 2 anni dalla richiesta di rinvio a giudizio, spegnerebbe subito ad esempio anche quello all`ex governatore di Bankitalia Antonio Fazio e al senatore Luigi Grillo per l`aggiotaggio Antonveneta (reato che nel 2005 era punito con meno di 10 anni). Chiuderebbe il primo grado in corso alle grandi banche internazionali imputate dell'aggiotaggio Parmalat a Milano (non il processo per il crac a Parma, visto che la legge "salva" le bancarotte fraudolente). Stroncherebbe dibattimenti su maxicorruzioni, come le tangenti delle inchieste Enipower-Enelpower.
Sarebbe implacabile con chi truffa un "gratta e sosta" da pochi euro, ma sterilizzerebbe corpose truffe allo Stato, come il processo alla clinica milanese San Carlo per i falsi rimborsi spillati al servizio sanitario.
Tutti processi già finiti un minuto dopo l`entrata in vigore della legge, che invece darebbe la mazzata finale nel prossimo maggio anche al processo che imputa al presidente Mediaset Fedele Confalonieri e al deputato pdl Alfredo Messina un favoreggiamento nel processo Hdc. La clessidra del ddl fermerebbe già a luglio prossimo il processo Santa Rita al chirurgo Brega Massone, nella più che probabile mancanza per allora di una sentenza di primo grado pur in un processo-lampo che più lampo non si può (giudizio immediato e quindi niente udienza preliminare, tre udienze alla settimana, da mattina a sera).
E il processo per i dossieraggi della Security Telecom-Pirelli, che oggi è appena all'inizio dell'udienza preliminare, tra un anno sarà appena avviato in primo grado, e dunque sarà già prescritto per quattro quinti delle imputazioni. Nella lotteria, chi ha avuto ha avuto e chi ha dato ha dato: Tavaroli ha appena chiesto di patteggiare la pena sui dossier Telecom? Peggio per lui, buon per i coimputati che invece potranno avvalersi della legge. Tanzi è da poco stato condannato in primo grado a 10 anni per aggiotaggio Parmalat nel processo alle persone fisiche? Che sfortuna, quella sentenza è arrivata a tre anni dalla richiesta di rinvio a giudizio, con le nuove norme Tanzi si sarebbe salvato.
Paradossi. E contraddizioni a iosa. Non un secolo fa, ma appena un anno fa, il legislatore aveva imposto ai presidenti di Tribunale criteri di priorità in base ai quali fissare i processi, e tra essi ad esempio un binario privilegiato per i processi ai recidivi: adesso, invece, lo stesso legislatore fa l`esatto contrario, cioè scrive una legge che costringerà i Tribunali a rallentare i processi ai recidivi per dare priorità a quelli agli incensurati, che altrimenti si prescriverebbero in appena due anni dalla richiesta di rinvio a giudizio. E se un anno fa in un'altra legge, uno dei tanti pacchetti sicurezza, il legislatore aveva svilito la qualità di incensurato ai fini della concessione delle attenuanti generiche, adesso invece la esalta al punto tale da farne scaturire addirittura l'estinzione del processo in mancanza di una sentenza di primo grado nei fatali 2 anni. Questo anche per tutti i reati tributari degli evasori fiscali, per gli omicidi colposi dei medici, per le truffe di ogni genere. Salvo però escludere dalla tagliola tempistica della nuova legge una contravvenzione, quale il reato degli immigrati clandestini.
Beffa in vista, poi, per lo Stato che dovrà restituire agli imputati, i cui processi vengano prescritti, i soldi che in quei procedimenti erano stati sequestrati. Ma beffa soprattutto per quei coimputati di un medesimo reato che, allo scoccare dei 2 anni, vedranno l'imputato incensurato farla franca con la prescrizione del processo, e l'imputato non incensurato continuare invece a essere giudicato e magari condannato.


Oggi il blog ospiterà una ricca rassegna stampa e molti articoli riportati in post. Contro il governo della delinquenza ora e sempre Resistenza.
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Al Berluscone, un pot-pourri dedicato a lui

Siamo all'infamia.




Me ne frego!
«Processo breve» + prescrizione + immunità parlamentare: ecco la micidiale strategia del Pdl. In gabbia andranno solo immigrati e poveri diavoli. Non gli evasori fiscali e chi manda a morte gli operai nelle fabbriche. I magistrati: «Effetti devastanti». Nelle opposizioni è rivolta. Rifondazione e Italia dei Valori: «Raccoglieremo le firme per il referendum». Bersani: «Provvedimento incostituzionale». Intanto, cresce la mobilitazione per il «No B day» del 5 dicembre.



Banda larga
La legge sulla prescrizione mascherata approda al senato. Tre articoli per cancellare i processi di Berlusconi (con il paracadute dell'immunità parlamentare). Liberi tutti (a rischio Cirio e Parmalat), tranne rom e immigrati, come chiede la Lega.






Il Messaggero



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Appello per i diritti umani nella Roma di Alemanno

Riceviamo e volentieri pubblichiamo.
Sgombero forzato del campo "Casilino 700": Appello di Amnesty International a prefetto e sindaco di Roma.
Comunicato stampa - Amnesty International Italia, 12 novembre 2009.

Amnesty International ha lanciato un’azione urgente mondiale (on line qui), sullo sgombero forzato del campo ‘Casilino 700’ di Roma, nel quale vivevano circa 400 persone rom, avvenuto mercoledì 11 novembre all’alba.
Nell’appello, l’organizzazione per i diritti umani sollecita il prefetto di Roma Giuseppe Pecoraro e il sindaco Gianni Alemanno ad assicurare che a tutte le famiglie sgomberate sia fornita una sistemazione alternativa come soluzione di emergenza e sia accordato un risarcimento per tutti i beni che sono stati distrutti durante lo sgombero forzato. Amnesty International ricorda che gli sgomberi forzati, eseguiti senza protezioni legali o di altro tipo, sono proibiti dal diritto internazionale in quanto grave violazione dei diritti umani, in particolare del diritto a un alloggio adeguato.
Secondo quanto riferito dalle Organizzazioni non governative (Ong) e dai mezzi d’informazione, all’alba dell’11 novembre circa 150 agenti di polizia hanno sgomberato le famiglie dal campo di via Centocelle, nella parte est della capitale. Tutti gli accampamenti della comunità sono stati distrutti e circa 20 rom sono stati arrestati, nonostante non si sappia di cosa siano accusati. Le Ong locali affermano che la comunità non ha ricevuto alcuna notifica dello sgombero forzato né è stata consultata, e che il Comune di Roma ha offerto rifugi per brevi periodi solo ad alcune donne e ai bambini piccoli, nei dormitori dei senza tetto della città. In base alla legge italiana, le autorità dovrebbero notificare lo sgombero a tutte le persone oppure pubblicare un’ordinanza o un preavviso. In ogni caso, non essendo l'ordinanza formalizzata in questo modo, la comunità non ha potuto rivolgersi alla magistratura per tentare di fermare o posporre lo sgombero.
Nella comunità ci sono circa 140 bambini, di cui 40 frequentano una scuola nelle vicinanze. Lo sgombero minaccia di interrompere la loro scolarizzazione e sconvolgere seriamente la loro educazione.
La maggior parte di coloro che vivono nel campo di Centocelle ha già subito in precedenza sgomberi forzati, con distruzione di accampamenti, vestiti, materassi, e qualche volta, di medicine e documenti.
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Un concorso per le scuole

Raccontate con creatività.
Rassegna stampa - Avvenire, 12 novembre 2009.

Un concorso per i gli studenti e uno per gli insegnati. Per entrambi l’occasione di mettere a frutto la propria creatività. I ragazzi dovranno trovare un finale originale a una storia in cui il protagonista vive un’avventura particolare oppure trasformare un’immagine o ancora, in gruppo, ideare uno spot. Gli insegnanti possono raccontare come hanno risolto in modo originale un problema importante in classe.
Nell’anno europeo dedicato alla creatività non poteva che essere questo il tema del Concorso promosso dall’Associazione Amici dell’Università Cattolica, insieme con l’Editrice La Scuola per l’anno scolastico 2009-2010 che ha per titolo «Ricreazione Ricreazione Ricreazione». La partecipazione è aperta alle scuole dell’infanzia, primarie e secondarie di primo grado. Informazioni sul sito www.istitutotoniolo.it.
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Patto di stabilità con il Pirellone e guerra al governo

L’accordo. Un premio per i Comuni virtuosi.
Rassegna stampa - Avvenire, Tino Redaelli, 12 novembre 2009.

I 1.546 Comuni e le 12 Province della Lombardia stringono un importante Patto di stabilità con il Pirellone, ma dichiarano guerra al governo sul tema del tra­sferimento dei fondi. Associazione dei Comuni lombardi (Anci), Upl (Unione delle Province Lombarde) e Regione hanno infatti siglato ie­ri un importante accordo, in base al quale gli enti locali potranno u­tilizzare 40 milioni di euro messi a disposizione dal Pirellone, per la copertura delle spese di investi­mento bloccate dai vincoli impo­sti dal Patto di stabilità nazionale ( lo strumento che garantisce il mantenimento dei debiti dello Sta­to entro i parametri di Maastricht). Per usufruire di questo beneficio gli enti locali dovranno aver ri­spettato il Patto di stabilità inter­no del 2008, aver esaurito la pos­sibilità di effettuare pagamenti nei limiti definiti dal Patto, possedere l’adeguata disponibilità di cassa per effettuare i pagamenti e dimo­strare l’effettiva liquidabilità delle spese.
«L’accordo premia gli enti locali più virtuosi, sostenendo i loro in­vestimenti in opere pubbliche e li­bera risorse da mettere a disposi­zione del sistema produttivo lom­bardo – commenta il presidente della Regione, Roberto Formigoni –. Ma significa anche che la Lom­bardia è pronta per un federalismo più avanzato e maturo, in grado di gestire autonomamente un Patto di stabilità regionale, senza dover sottostare a quel vero e proprio strumento di tortura per gli enti lo­cali, che è quello nazionale». «La nostra non è una sfida al governo – conclude Formigoni –, ma la te­stimonianza che il modello lom­bardo fatto di sussidiarietà, dialo­go e confronto con il territorio è vincente e da prendere come e­sempio. Sperando che il prossimo anno ci sia dato più spazio, nel se­gno di un federalismo vero» . An­cora più duro nei confronti del go­verno, il sindaco di Varese e presi­dente di Anci Lombardia, Attilio Fontana: «Questo accordo dimo­stra che gli enti locali sanno risol­vere i problemi molto meglio che a livello centrale. Da anni stiamo subendo pesanti tagli e scelte pe­nalizzanti, pagando in prima per­sona quasi tutti i costi della crisi, eppure siamo proprio noi che fac­ciamo il 70% degli investimenti del Paese». Fontana ha inoltre antici­pato una manifestazione di tutti i Comuni lombardi e del Nord Ita­lia, in programma il prossimo 20 novembre a Milano, per protesta­re contro il mancato trasferimen­to agli enti locali della quota resi­dua di Ici (800 milioni di euro), promesso da parte del governo a i­nizio anno e non ancora eseguito.
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Un dibattito sempre aperto

Dopo la sentenza della Corte di Strasburgo sul crocifisso in classe. Non può e non deve prevalere la spinta verso una «libertà intollerante».
Rassegna stampa - Avvenire, Cesare Mirabelli, 12 novembre 2009.

Una 'libertà intollerante'. Questa contraddizione, poco evidente ma reale, è l’idea che appare sullo sfondo della sentenza della Corte di Strasburgo, che ha ritenuto la presenza del crocifisso nelle aule scolastiche in contrasto con la Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali.
La Corte afferma che la presenza di questo simbolo nella scuola statale violerebbe due disposizioni. Secondo la prima «lo Stato, nell’esercizio delle funzioni che assume nel campo dell’educazione e dell’insegnamento, deve rispettare il diritto dei genitori di assicurare tale educazione e tale insegnamento secondo le loro convinzioni religiose e filosofiche» (articolo 2 del primo protocollo). In base alla seconda, l’articolo 9 della Convenzione, è assicurata la libertà di religione, che garantisce il diritto di credere e di non credere, il rispetto delle convinzioni religiose o filosofiche dei genitori e dei fanciulli; ciò imporrebbe la neutralità e imparzialità dello Stato, il quale non può valutare la legittimità delle convinzioni religiose e le modalità della loro espressione. Inoltre, nel contesto dell’insegnamento scolastico, è da garantire il pluralismo, per il quale le informazioni e le conoscenze che figurano nei programmi devono essere diffuse in maniera obiettiva, critica e, appunto, pluralista.
C’è da chiedersi, se enunciati questi principi, la Corte sia rimasta fedele a se stessa e ne abbia fatto una corretta applicazione, o se invece non ne ha distorto il significato e alterato il contenuto, giungendo a conclusioni paradossali, che negano l’equilibrio di garanzie che quelle disposizioni richiedono.
Il diritto dei genitori ad assicurare ai propri figli una educazione conforme alle proprie convinzioni è affermato non solo dalla Convenzione europea, ma da tutte le carte dei diritti fondamentali. È un diritto riconosciuto tanto a chi ha una fede religiosa quanto a chi è agnostico o ateo. Da questo segue che i simboli religiosi debbano sparire dall’ambiente scolastico? Non si direbbe. Di fronte all’eguale diritto dei genitori che ne vogliono la presenza, in coerenza con il proprio indirizzo educativo, e dei genitori che ne rifiutano la presenza per eguale e contraria ragione, affermare la eliminazione del crocifisso significa attribuire la prevalenza al diritto di questi ultimi rispetto al diritto dei primi, privilegiando una scelta negativa nei confronti della religione.
L’ispirazione di fondo di questa scelta è la esclusione di quella dimensione religiosa dal contesto educativo scolastico. Ma in tal modo si offende la libertà di chi, per convinzione religiosa o anche solo per condivisione culturale, ritiene che il cristianesimo ha un valore educativo, e segna la storia e la cultura della nostra comunità nazionale, e che quindi è positiva la presenza di un simbolo che rappresenti questa realtà che, in un contesto di libertà, non impone una fede religiosa e non può essere considerata offensiva per alcuno.
Difatti sulle pareti scolastiche il crocifisso è una presenza silenziosa, testimonia un avvenimento che ha mutato il corso della storia e che ha profondamente plasmato l’identità e la cultura italiana ed europea. Su questo è difficile per chiunque non convenire, quali che siano le personali convinzioni religiose, ateistiche o agnostiche. La sua presenza nelle aule scolastiche non richiede una adesione di fede, non sollecita il compimento di atti di devozione o di culto, che muovono nella sfera della libertà religiosa individuale, da preservare e garantire. È un simbolo che parla della dimensione divina solo in dialogo con chi gli riconosce la rappresentazione di questo valore.
È proprio vero che la presenza di questo simbolo può turbare la coscienza del non credente, fatta valere da chi ha ricorso alla Corte di Strasburgo, o invece la pretesa di rimuoverlo non manifesta intolleranza verso la dimensione religiosa che il crocifisso esprime? La rimozione imposta apre al dialogo e alla reciproca comprensione, o invece li esclude? Il pluralismo rifiuta segni che manifestino una identità religiosa, cui pure non si aderisce, o non presuppone la coesistenza di diversità non occultate, che non si ignorano, ma si riconoscono e cooperano alla ricerca di valori comuni?
L’idea di neutralità dello Stato anziché essere espressione del pluralismo che caratterizza una società democratica, come pure la sentenza vorrebbe, rischia di tradursi nella sua negazione, se impone l’assenza di simboli religiosi nei luoghi pubblici nei quali si manifesta la presenza dello Stato, se questi simboli non sono più la rappresentazione di una religione di Stato e dell’antica unione tra trono e altare, in un contesto di legislazione restrittiva della libertà religiosa, ma sono espressione della comunità, in un diverso contesto che assicura pienamente la libera espressione di ogni religione ed il pluralismo confessionale.
La sentenza della Corte di Strasburgo, anche per il dibattito e le critiche che ha suscitato, e che ne dimostrano il distacco dal sentire comune, è tuttavia una occasione per approfondire le riflessioni sulla libertà religiosa e ricostruire e proporre una idea di laicità non antagonista della dimensione religiosa. Ad evitare che, con l’affermazione di una 'libertà intollerante', la stessa libertà finisca con il negare se stessa.
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