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giovedì 24 settembre 2009

Un applauso non fatto

Di Pietro e l'Afghanistan, capolavoro di ipocrisia.
Rassegna stampa - Liberazione, Alfio Nicotra, 24 settembre 2009.

Devo confessare che anch'io ero caduto nella tentazione di applaudirlo. Parlo di Antonio Di Pietro e dei suoi toni fermi e risoluti a favore del ritiro delle truppe. Sarà perché con un Parlamento ridotto ad una caserma e una informazione embedded speravo (e spero) sinceramente che qualcuno avesse il coraggio di dare voce e ragione al 58% degli italiani che chiedono la fine della missione di guerra in Afghanistan. Con rammarico è invece un applauso che non ho fatto. Mi è bastato leggere la mozione presentata dall'Italia dei Valori alla Camera e sbandierata come "mozione per il ritiro" per scoprire che si tratta di una fregatura bella e buona. In quella mozione non c'è traccia del ritiro ma chiede al governo di «non prorogare i termini, anzi, a predisporre il rientro nel più breve tempo possibile degli uomini inviati come rinforzo per garantire lo svolgimento delle elezioni presidenziali dell'agosto 2009». Ovvero è la stessa posizione espressa dal ministro La Russa che ha già annunciato l'immediato rientro di quelle poche centinaia di soldati inviati in forma aggiuntiva per garantire la sicurezza dei seggi (ma non per impedire i brogli).
La prosa della premessa della mozione è un altro capolavoro d'ipocrisia quando chiede al Governo di «riferire in Parlamento se e come sia cambiata la situazione in Afghanistan» (Di Pietro crede per caso alla balle di La Russa?) e ciliegina sulla torta di «porre, senza indugi, nelle sedi internazionali, l'esigenza di un riesame (sic!!!) e di modifica dei tempi e della strategia d'intervento di ristabilimento della pace e della democrazia in Afghanistan». Del ritiro neanche l'ombra!!! Al massimo la mozione si spinge a chiedere di «verificare le reali condizioni in cui il nostro contingente si trova ad operare» in considerazione che è in corso «una guerra civile tra diverse fazioni e conseguentemente valutare anche una autonoma strategia di uscita dall'Afghanistan».
Sorvoliamo sull'amnesia che più che di una guerra civile tra fazioni diverse è in corso una occupazione militare ed una guerra da parte della Nato (non chiediamo certamente che Di Pietro diventi antimperialista). Ci saremmo però aspettati un atteggiamento conseguente alle dichiarazioni fatte all'assemblea di Vasto e sui giornali di una posizione a favore del ritiro delle truppe. Di Pietro, su "Liberazione" di ieri, si arrampica sugli specchi anche quando annuncia che l'Idv voterà per il rifinanziamento della missione «perché vogliamo che ai nostri militari siano garantite le migliori condizioni di sicurezza». Ennesimo capolavoro d'ipocrisia.
Le missioni militari hanno un limite temporale - infatti periodicamente se ne vota la proroga e il rifinanziamento - e in quel limite sono previste anche le risorse per riportare a casa il nostro contingente in piena sicurezza. Morale di questa vicenda: Di Pietro blandisce l'elettorato pacifista, intuisce che c'è una separazione colossale su questo tema tra il Paese reale e quello legale e cerca di "smarcarsi" dalla posizione ultra atlantica del Pd. Lo fa però in modo maldestro adottando una politica dei due forni: parole di pace per l' opinione pubblica da un lato e sostegno alla guerra in Parlamento dall' altro. La stessa tattica di Bossi: a parole per il ritiro, nei fatti per mantenere le truppe.
Sarebbe facile ricordare come all'epoca del governo Prodi, davanti alla sofferenza della sinistra nel voto sulla proroga delle missioni militari nei teatri di guerra, Di Pietro fu uno dei più veementi accusatori del "lassismo" pacifista e della nostra inaffidabilità politica . Saremo disposti a metterci una pietra sopra se l'Idv compisse oggi scelte coerenti con politiche di pace e di disarmo. Quello che non possiamo accettare sono le prese per i fondelli. Quel parlare in un modo alle masse e di fare l'opposto nel Palazzo. Perché è con questi metodi che - oltre a produrre vittime di guerra in Afghanistan - si uccide la residua credibilità della politica.
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Incentivi regionali per moto ecologiche

L’obiettivo è ridurre le emissioni di gas nocivi e rinnovare il parco ciclomotori che si muove nelle città lombarde. Si potrà risparmiare da 200 a duemila euro a seconda dei mezzi. Incentivi per le moto ecologiche. Dalla Regione un contributo a chi rottama le due ruote inquinanti.
Rassegna stampa - Avvenire, Daniela Fassini, 24 settembre 2009.

L'obiettivo è quello di dare una mano ai cittadini che risiedono nelle zone di maggior inquina­mento atmosferico: da domani, chi abi­ta in Lombardia, potrà acquistare una nuova moto ecologica ri­sparmiando fino a duemi­la euro. Lo ha annunciato il governatore della Lombar­dia Roberto Formigoni, in­tenzionato a promuovere nei centri urbani un tra­sporto alternativo all’auto­mobile, rinnovando altresì il parco motociclistico at­tualmente in circolazione per ridurre gli agenti inqui­nanti nell’atmosfera. Una seconda campagna regionale di incenti­vi, quindi, destinata ai motocicli che se­gue quella già attivata l’anno scorso, con importo, questa volta leggermente inferiore: oltre tre milioni (3milioni 230mila euro, per l’esattezza) che la Regione, fi­no a oggi la sola in Italia ad affiancare con i propri contributi quelli già erogati dal governo, ha deciso di destinare ai propri cittadini. Gli incentivi regionali saranno elargiti ai residenti di oltre cinquecento comuni (in quasi tutti i ca­poluoghi e comuni limitro­fi) del territorio lombardo per la rottamazione di vec­chi motorini ma anche per l’acquisto di nuovi, più eco­logici e a basso impatto am­bientale come le 'macchi­nine' (in realtà quadricicli) elettriche che si possono guidare già a 14anni e che vanno tanto di moda tra gli adolescenti milanesi come valida alternativa agli scooter. Per que­ste è addirittura previsto un rimborso re­gionale fino a duemila euro. Per quanto riguarda i più comuni motorini o scooter, a benzina, sono previsti contributi che variano da un minimo di duecento euro per cilindrate da 50 a 200 cc, fino a un massimo di quattrocento euro per motocicli da 200 a 400 cc. A questi van­no aggiunti altri ottanta euro di rimbor­so per eventuale rottamazione di un mez­zo Euro 0 o Euro 1. Rimborsi differenti e maggiori se si intende invece acqui­stare un nuovo mezzo elettrico di ultima generazione: in questo caso si va da un minimo di 400 euro (per ciclomotori con velocità fino a 25 km/h) fino a un massi­mo di duemila euro per un quadriciclo leggero o pe­sante, elettrico o ibrido. Il rimborso regionale sarà naturalmente cumulabile con l’incentivo e­largito dal governo: tradotto in cifre ed esempi pratici, da domani sarà possibile acquistare uno scooter Piaggio Liberty 125, ad esempio, con soli 1500 euro (con un risparmio di 1030 euro sul prezzo di listino di 2.530 euro, ai quali vanno sot­tratti i 500 euro degli incentivi statali più i 280 euro di quelli regionali con rotta­mazione e altrettanti scontati dal pro­duttore o dal concessionario). Non cosa da poco, quindi, per chi ri­siede in Lombardia ed è intenzionato ad acquistare un nuovo scooter o per chi, fi­no ad oggi, tentennava a sostituire quello vecchio in at­tesa di tempi, ma soprattut­to di prezzi, migliori.
I contributi regionali saran­no accreditati direttamente sul conto corrente di chi acquista il motociclo (provve­derà il concessionario ad at­tivare la pratica) mentre per la sola rot­tamazione bisognerà rivolgersi all’Aci che provvederà a rimborsare gli 80 euro in­dicati dalla regione.
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Piano anticrisi regionale

Misure anticrisi.
Passa a 56 milioni di euro il fondo sostegno affitti.

Rassegna stampa - Avvenire, 24 settembre 2009.

Piano anticrisi. Un’altra misura dalla Re­gione. Un contributo di 1500 euro per il sostegno dell’affitto riservato a chi ha per­so il lavoro tra il primo gennaio e il 30settem­bre. Potrà essere richiesto dall'1 al 30 ottobre.
«Il provvedimento – ha spiegato il presidente della Regione, Roberto Formigoni – s’inserisce nel quadro delle diverse misure regionali ema­nate a favore dei lavoratori colpiti dalla crisi (cas­sa integrazione in deroga, quoziente familiare, sostegno al reddito per precari della scuola, buo­no famiglia) e implementa il Fondo sostegno af­fitti di 5 milioni di euro» . «Fondo – ha aggiunto – che passa da 51 a 56 milioni, appunto per con­sentire un’integrazio­ne del contributo per disoccupati e cassinte­grati portando l’am­montare totale a 1500 euro».
Pronta quindi una ve­ra e propria integra­zione del Fondo soste­gno affitti, regolato dalla legge nazionale 133/08 che richiede gli stessi requisiti previsti dalla normativa statale, vale a dire la residenza da almeno dieci anni in Italia o da cinque in Lombardia. Il contributo straordinario sarà calcolato in base alla diffe­renza tra quanto assegnato dal Fondo sostegno affitti e la cifra di 1.500 euro.
Nel caso in cui poi non venissero esauriti tutti i fondi, potranno beneficiare del contributo an­che gli inquilini di Edilizia residenziale pubbli­ca che presentano il reddito Isee inferiore a 35mi­la euro (esclusi quelli che pagano il canone so­ciale, perché la legge regionale che lo regola già prevede riduzioni del canone stesso proporzio­nalmente alla diminuzione del reddito). «Nes­sun cittadino lombardo – ribadisce Formigoni – sarà lasciato solo».
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Tanto per gradire

Informazione in guerra.
VideoPost.

Da 8 e 1/2 del 23 settembre, ieri: il confronto tra Concita De Gregorio e Maurizio Belpietro che ha avuto una replica questa sera a Annozero.















Agiografia di Silvio il "grande".















Ipse dixit.















Caro amico ti scrivo.
Lettera di Berlusconi a Barack Obama.














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Biotestamento e disarmo ideologico

Le critiche di Roccella, Binetti e Mantovano.
"Quella lettera è fuori tempo massimo, ora tocca al Parlamento decidere".
Rassegna stampa - Il Foglio, Nic.Tit., 24 settembre 2009.

Roma. La lettera dei venti deputati del Pdl a Silvio Berlusconi per un "disarmo ideologico" in tema di biotestamento "presenta argomentazioni superate dalla campagna giudiziaria e politica che è stata fatta attorno al caso di Eluana Englaro", dice al Foglio il sottosegretario al Welfare Eugenia Roccella. La quale ricorda che "gran parte del mondo cattolico non voleva la legge. Riteneva che fosse sufficiente l'articolo 32 della Costituzione e che il resto andasse lasciato, più che a un'inesistente 'zona grigia', alle relazioni intime, private, amorose. Io stessa, sulla vicenda di Terri Schiavo, scrissi che la legge non poteva entrare così impudicamente in quelle relazioni. Credevo che in Italia non si sarebbe mai potuto verificare un caso analogo. Ma la morte di Eluana pesa: c'è una persona morta di disidratazione e di denutrizione, senza che nessuno possa dire se ha sofferto. Un giudice è entrato nella stanza di Terri Schiavo e ha tenuto lontani i genitori, che non la potevano baciare perché bisogna interromperle idratazione e alimentazione; altrettanto è accaduto con Eluana. Morta sola, lontana da coloro che l'hanno accudita per anni".
La lettera dei venti del Pdl chiede di fermarsi a riflettere per raggiungere soluzioni più condivise, "ma quale altro può essere il criterio, se non quello della decisione parlamentare a maggioranza? Le decisioni c'è già chi le prende: i giudici, l'Europa, l'Onu, i comuni di centrosinistra che aprono registri per il biotestamento, i notai e i fiduciari già all'opera, addirittura su Internet. C'è una campagna politica per creare situazioni di fatto che fatalmente porteranno a una legge. La dialettica parlamentare maggioranza-minoranza è il sistema più garantista". E, a proposito di libertà di coscienza, Roccella dice che "nel Pdl c'è sempre stata. Al Senato, i voti contrari al ddl Calabrò erano sempre gli stessi, a votazioni segrete e a votazioni palesi. È scontato che ci siano pareri diversi e si terrà conto di tutte le opinioni, ma poi c'è la logica parlamentare, l'unica che valga".
Per la cattolica del Pd Paola Binetti, "la lettera non considera le circostanze storiche che rendono necessaria la legge. Si è voluto cucirle addosso un abito negativo, che mette in ombra il suo aspetto di difesa della vita, di etica della cura, e che allude a un contenuto di sopraffazione dei diritti del paziente. Non è così, anche se nella stesura si possono mettere meglio in luce gli aspetti di garanzia contro l'accanimento terapeutico. Ma non si possono abbattere i due capisaldi: no all'eutanasia e sì alla vita. Dobbiamo cercare la maggior condivisione possibile? Ma condivisione non è unanimità. Condivisione deve esserci nel paese, nella classe medica, nelle associazioni dei malati. Ognuno può scrivere tutte le lettere che vuole. Ma ormai il treno ha raggiunto una sua velocità, bloccarlo sarebbe una manovra politica che può giovare soltanto a questo o quello nei due schieramenti. E un dibattito, sia pure con punte di forte contrasto, non deve far paura".
Il deputato Pdl Alfredo Mantovano, sottosegretario all'Interno, ritiene che "fatte salve le buone intenzioni dei firmatari della lettera, va notato che stiamo discutendo di una materia in cui parte dell'autorità giudiziaria non ha interpretato le norme vigenti ma ha elaborato veri principi di diritto, che hanno assunto una loro autonomia e sono stati applicati in più di un caso concreto {l'ultimo del quali quello di Eluana Englaro). Quello del Parlamento, se così stanno le cose, è un atto di difesa dallo straripamento della magistratura. Ben venga il 'disarmo ideologico' e d'accordo per non iper-regolamentare la materia. Ma tocca al Parlamento, che al contrario della magistratura ha avuto un'investitura da parte del popolo italiano, intervenire in modo chiaro su questa materia". La lettera paventa, su un tema così delicato, un'approvazione della legge a maggioranza ristretta: "E allora? Ristretta o vasta, è maggioranza. Le regole fondamentali della democrazia impongono maggioranze qualificate per rarissimi casi, e questo non vi rientra".

Per il ministro Sacconi un punto di larga intesa c'è.
Così si organizza il fronte della zona grigia sulla legge per il fine vita.
Il Foglio, pv, 24 settembre 2009.

Roma. L'appello al premier dei parlamentari del Pdl che chiedono un disarmo ideologico sul fine vita pubblicato ieri dal Foglio è stato accolto con favore dai componenti del cosiddetto "terzo partito", quello della "zona grigia", per cui se una legge sull'argomento deve esserci, è giusto che ponga dei confini ma non deve pretendere di regolare tutto. Finiani, berlusconiani, cattolici, laici e esponenti dell'opposizione, in tanti hanno apprezzato la richiesta di fermarsi e individuare "in Parlamento quei punti su cui si condensa un'amplissima maggioranza". Anche se, come spiega al Foglio il ministro dei Welfare Maurizio Sacconi, "un punto su cui si condensa un'amplissima maggioranza già c`è". È la cosiddetta "leggina Englaro", contenuta nel ddl Calabrò approvato dal Senato. Quella "leggina", dice Sacconi, è "il ddl che il Consiglio dei ministri approvò all'unanimità ai tempi del caso Englaro, frutto di una discussione intensa e positiva". Quel disegno di legge, figlio del "laicissimo criterio del dubbio e del laicissimo principio di precauzione per cui, nel dubbio, siamo per la vita", diceva che alimentazione e idratazione non costituiscono terapia e non possono perciò essere sottratte a una persona. Questo testo è entrato a far parte del più ampio ddl Calabrò sulle dichiarazioni anticipate di trattamento, e nello specifico "è stato votato a larghissima maggioranza in Senato a scrutinio segreto". A questo punto, spiega Sacconi, le possibilità sono due: continuare la discussione sul ddl presentando emendamenti al testo, "ma sapendo che il governo è fermo sulla 'norma Englaro', oppure "far emergere l'idea di estrapolare quest'ultima", farla diventare legge e eventualmente rimandare il dibattito sul biotestamento a tempi più maturi. "D'altronde - conclude il ministro - la 'norma Englaro' non riguarda l'accanimento terapeutico perché idratazione e alimentazione non sono terapie, nemmeno per il Pd, e non si riferisce alla fine di vita perché, come Eluana Englaro, riguarda persone che potrebbero vivere decenni".
La posizione di Sacconi è sottolineata anche dal deputato pdl Antonio Mazzocchi, che "da cattolico" spiega al Foglio di essere "d'accordo con l'appello dei laici". Mazzocchi pensa sia però il caso prima di "approvare il 'lodo Sacconi' che ci farebbe uscire dalla fase di emergenza, poi si discuta pacatamente in Parlamento". Non la pensa così Benedetto Della Vedova, primo firmatario della lettera, convinto che puntare solo sul "lodo Sacconi" sia rischioso: "Vuol dire andare allo scontro su una cosa controversa anche dal punto di vista costituzionale". Intanto il deputato del Pdl registra attorno alla sua posizione "un consenso ampio, non solo nello spirito ma anche nel merito: quelli erano venti nomi, ma non sono gli unici che l'hanno firmato". Un'idea che "ha già un riscontro in termini di proposta di legge: è quasi pronto l'emendamento", su cui Della Vedova è convinto si troverà una maggioranza, "soprattutto se Berlusconi lascerà libertà di coscienza".
Che ci sia un partito trasversale lo pensa anche Lino Duilio, deputato del Pd che ha accolto con "piacevole sorpresa" la lettera dei venti, Contrario alla "disciplina di partito" su questo argomento, Duilio pensa che si possa arrivare a una "essenzializzazione" del testo: "No a eutanasia e accanimento terapeutico, con alcune evidenze formali per evitare casi di abusi". Stessi paletti che andrebbero messi per l'esponente del Pd in commissione Affari sociali della Camera, Livia Turco. L`ex ministro della Sanità dice: "Quella lettera ha tutto il mio apprezzamento per il metodo che suggerisce nell'affrontare il tema del fine vita, per la ricerca del dialogo con l'opposizione e, soprattutto, per il merito".
Apprezzamenti che arrivano, con distinguo, anche dal ministro per l'Attuazione del programma Gianfranco Rotondi: "Sul biotestamento il Pdl è unito e la stessa lettera di Benedetto Della Vedova marca l`esigenza di una sintesi tra laici e cattolici, con esiti magari più liberali, ma dentro lo schema valoriale del partito".
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Fatto & misfatto

La gazzetta delle Procure debutta col copia-incolla. Il «Fatto» accusa il sottosegretario Letta riciclando notizie vecchie: «È indagato». Ma Palazzo Chigi smentisce: «Inchiesta archiviata».
Rassegna stampa - Il Giornale, Francesco Cramer, 24 settembre 2009.

Roma - Il fatto è che lo scoop del Fatto Quotidiano e uno scoop riciclato. Alla sua prima uscitail giornale di Padellaro & soci inciampa. «Indagato Letta», è il titolo-botto di prima pagina del neonato foglio travagliesco.
Un botto che fa rumore, tanto che Palazzo Chigi dirama nel pomeriggio una nota in cui si dice che quell`indagine è stata accantonata dai magistrati perché le ipotesi di illecito non stanno in piedi «Il procedimento a carico del sottosegretario alla presidenza del Consiglio è stato archiviato dal gip, su conforme richiesta della Procura, giudicando del tutto inesistenti le ipotesi di reato formulate», si legge nel documento rese pubblico dal governo, Tutte vero, ribadiscono dal Fatto Definitivamente morta, nulla di nulla, ribadiscono in serata da Palazzo Chigi.
Nell'articolo ieri in edicola, firmato Peter Gomez e Marce Lillo, si dava conto di un'inchiesta in cui è coinvolto Gianni Letta, inquisito per una vicenda legata a un appalto per la gestione di un Centro di accoglienza richiedenti asilo di Policoro, nel Materano. Sulla questione, il giudice per le indagini preliminari di Roma avrebbe scritto nel provvedimento di archiviazione: «Dal complesso degli atti esaminati non emerge alcun elemento relativo alla sussistenza degli estremi richiesti dalla giurisprudenza per la sussistenza del delitto di cui all'articolo 416 codice penale». (Associazione per delinquere, ndr.).
Per i presunti reati di abuso, turbativa d'asta e truffa, i magistrati sosterrebbero invece che «l'ipotesi di reato prospettata dalla Procura generale appare, pertanto, destituita di ogni fondamento», dicono da Palazzo Chigi. Insomma, nulla.
L'inchiesta è partita, guarda un po', dal pm di Potenza Henry John Woodcock. Il quale, ritenendo competente la Procura della Capitale avrebbe trasmesso gli atti a Roma. Qui, si sarebbe ritrasmesso tutto a Potenza, creando un corto circuito su cui è poi intervenuta la Corte di Cassazione. La quale avrebbe tagliato la testa al toro: non è competente né Potenza né Roma; se ne occupi il tribunale di Lagonegro. Un pasticcio, insomma. Sempre da Palazzo Chigi si fa sapere che la trasmissione degli atti nulla aggiunge al merito della questione ed è legata a ragioni procedurali, ma che non ci sono inchieste aperte.
Ma il flop riguarda il presunto colpo giornalistico del tandem Gomez-Lillo. La loro paginata non è altro che una riedizione di un'inchiesta già pubblicata su La Voce delle voci, edizione nazionale dello storico periodico La Voce della Campania, a firma di Andrea Cinquegrani. Gomez e Lillo, ripescato dall'archivio il papiro del collega andato in edicola lo scorso giugno, lo hanno riproposto e oplà, «prego si stampi». Sul sito del mensile, diretto dallo stesso Cinquegrani e da Rita Pennarola, non si fa mistero del copia-incolla. «Finalmente un quotidiano nazionale riprende la notizia dell'inchiesta della Procura di Potenza, pubblicata con ampio risalto dalla Voce...».
L'inchiesta di Cinquegrani, per la verità, aveva fatto il giro su Internet in lungo e in largo ed era stata già ripresa e rilanciata in numerosi blog. Dove l'autore, tra l'altro, a differenza che nel foglio di Padellaro, è sempre stato correttamente citato. A decidere la pubblicazione delle presunte beghe giudiziarie di Letta, il direttore del Fatto in persona. No, non Padellaro, quello che compare in gerenza e che firma l'editoriale del primo numero. Il vero direttore, occulto fino a un certo punto, pare essere Sabina Guzzanti: attrice, blogger, comica e motore della satira manettara. Proprio lei, nel suo sito internet, il 10 settembre scorso, dettava la linea del nuovo giornale e pubblicava il seguente post, dal titolo «Un fatto e il fatto»: «Ieri c'è stata la prima riunione del Fatto, è stata molto promettente... Sono intervenuta anch'io per dire che giornale vorrei leggere, quali notizie vorrei trovarci e in che ordine e con che rilievo... Aproposito di notizie che non vengono date ne ho citate un po' e qui sotto ne riporto una che penso vi possa interessare. Tratto da un giornale on line campano: La Voce delle voci. Nonostante l'evidente interesse non ve n' è traccia né nei Tg (e risale a qualche mese fa) né nei quotidiani nazionali. Solo due trafiletti nelle pagine locali di Corsera e Repubblica. Buona lettura». E via a riportare fedelmente il lavoro di Cinquegrani.
E pensare che proprio Peter Gomez in conferenza stampa, alla presentazione del Fatto lo scorso 18 settembre, aveva giurato: «Una cosa ve la posso dire: quello che vedete su internet non lo vedrete sulla carta. Uno dei più grossi difetti dei quotidiani di oggi, al di là della questione delle notizie, è il fatto di una impressione continua di già visto. Compriamo i grandi quotidiani e ci accorgiamo che i titoli di prima pagina li abbiamo già letti su internet. La nostra apertura di prima pagina e quello che troverete nel giornale sarà diverso».

Dal blog l'Antefatto riprendiamo due documenti in proposito.
Il comunicato di Palazzo Chigi

Roma, 23 set. - "In data 11 agosto 2009 il Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Roma, su conforme richiesta della Procura della Repubblica, ha definitivamente archiviato il procedimento a carico del Sottosegretario Gianni Letta giudicando del tutto inesistenti le ipotesi di reato formulate". È quanto precisa la presidenza del Consiglio in relazione alle indiscrezioni pubblicate stamane sul primo numero de "Il Fatto Quotidianò. Il quotidiano fa riferimento ad una indagine riguardante il sottosegretario relativa ai centri di accoglienza per gli immigrati extracomunitari. Secondo quanto scritto nell’articolo la Cassazione avrebbe inviato un fascicolo che lo riguarda al magistrato di Lagonegro, in Basilicata. "Dal complesso degli atti esaminati - precisa la nota di Palazzo Chigi- si legge a pagina 2 del provvedimento, non emerge alcun elemento relativo alla sussistenza degli estremi richiesti dalla giurisprudenza per la sussistenza del delitto di cui all’Art. 416 c.p.". Per quanto riguarda poi il presunto abuso d’ufficio, a pagina 4 dello stesso provvedimento, si legge testualmente: "l'ipotesi di reato prospettata dalla P.G. appare, pertanto, destituita di ogni fondamento". La stessa identica conclusione per le altre supposte ipotesi di reato. La "conseguente restituzione degli atti" alla procura di Potenza e la successiva trasmissione alla procura di Lagonegro da parte della Procura Generale della Cassazione nulla aggiunge al merito ed è legata a ragioni procedurali. Non è neppure vero che la notizia fosse inedita e che del fatto non si siano occupati gli atri giornali. Valga per tutti La Repubblica del 4 aprile 2009.

Il controcomunicato del direttore de "Il Fatto".

La direzione de Il Fatto Quotidiano, in relazione alla nota diffusa da Palazzo Chigi precisa che la richiesta di trasmissione degli atti alla Procura di Lagonegro da parte del Procuratore Generale della Cassazione è stata messa a disposizione dei lettori sul sito internet del quotidiano: www.ilfattoquotidiano.it. Nel provvedimento pubblicato on line si legge che: "si registra una radicale divergenza di opinioni fra il pm di Potenza e il pm di Roma. Il pm di Potenza... ritiene concretamente ipotizzabili alcuni reati fine (323,353,640 bis)", cioé abuso d'ufficio, turbativa e truffa. Mentre la Procura di Roma non li ritiene configurabili per varie ragioni. La Procura generale della Cassazione stabilisce che nessuna delle due procure è competente e invia il fascicolo a Potenza perché lo giri a Lagonegro. E aggiunge che "la definizione della competenza allo stato attuale non preclude e anzi sollecita lo svolgimento di opportune indagini". Pertanto la direzione de "Il fatto" conferma che: 1) Gianni Letta è indagato per abuso d'ufficio, truffa e turbativa. 2) I magistrati di Roma non hanno alcuna competenza ad occuparsi dell'indagine sui reati suddetti; 3) La Procura di Lagonegro è stata stimolata a svolgere "opportune indagini" sui presunti reati di abuso, truffa e turbativa descritti nell'articolo odierno de "Il Fatto". 4) I presunti reati del sottosegretario Letta non sono quindi stati oggetto di archiviazione né a Roma né altrove.
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L'integrazione necessaria

L'editoriale di Avvenire di ieri sul tema dell'immigrazione.
I modi dell’integrazione necessaria.
Alle Sanaa d’Italia dobbiamo una risposta di civiltà.

Rassegna stampa - Avvenire, Carlo Cardia, 23 settembre 2009.

La morte di Sanaa, uccisa dal padre per aver fatto delle libere scelte affettive, ha assunto i caratteri di una tragedia-simbolo della globalizzazione e dell’incontro tra i popoli. Questo incontro è facile quando i popoli si parlano da lontano, ed è necessario per rendere l’umanità una vera famiglia in cui tutti i membri abbiano eguali diritti. Diviene difficile quando i popoli trasmigrano, le tradizioni si confrontano sullo stesso territorio, quando si intrecciano livelli evolutivi diversi. Sanaa è il soggetto innocente e più debole che ha pagato l’egoismo più feroce di chi l’ha colpita, ma anche l’indifferenza di altri, e chiede a tutti noi una presa di coscienza di verità che a volte non vogliamo dirci.
Ci sono persone, tradizioni, modi d’intendere le religioni, che al primo posto della scala dei valori non pongono la vita e la dignità della persona, ma restano legate a logiche di sopraffazione, di crudeltà, fino all’esaltazione della violenza estrema. Lo sappiamo e lo vediamo in tutto il mondo, con regimi totalitari che fanno uso quotidiano della violenza contro gruppi etnici e nazionali, con fondamentalismi che alimentano persecuzioni religiose, in modo speciale contro il cristianesimo e i cristiani. A queste tragedie dobbiamo dare una risposta civile e internazionale con il riconoscimento e la difesa dei diritti umani fondamentali per tutti e dovunque. Ma anche con la pratica dei principi cristiani che chiedono rispetto degli altri, amore per il prossimo, amore per la vita, e che portano affinamento spirituale e civile.
Ancor più abbiamo il dovere di parlare e di intervenire quando la violenza si manifesta in modo così atroce in casa nostra, nel mondo dell’immigrazione, senza tacere per malcelato timore o sminuire i fatti per sottintesi opportunismi. La straziante tragedia di Sanaa nasconde una realtà di soggezione e subalternità delle donne nelle pieghe dell’immigrazione che non possiamo nascondere o fingere di non vedere, così come le parole della madre di Sanaa che ha giustificato l’uccisione della figlia appaiono terribili e feriscono il cuore di ogni genitore. Il primo compito dello Stato, di tutti noi, è evitare che le comunità dell’immigrazione divengano comunità chiuse, con leggi diverse, con gerarchie interne dispotiche. Anche perciò è giusto chiedere agli esponenti di queste comunità di intervenire, condannare tali gesti, parlare di diritti che non sono comprimibili da nessuno, in nessun momento. Come c’è da sperare che nei prossimi mesi qualche magistrato non giustifichi in qualche modo il gesto omicida con qualche eccezione di multiculturalità, sulla scia di sciagurati precedenti giurisprudenziali. Si è detto che l’uccisione di Sanaa non ha nulla a che vedere con la religione. In parte può essere giusto, ma non è sufficiente a risolvere il problema, bisogna riconoscere anche che la religione islamica è utilizzata da qualcuno per legittimare questo o altri gesti, intollerabili in una società rispettosa della dignità della persona.
Quanto accaduto, inoltre, pone allo Stato e alle istituzioni pubbliche la questione centrale dell’integrazione e dei modi per realizzarla. L’integrazione è necessaria, ma è una meta da raggiungere, non è già oggi una realtà per la maggior parte degli immigrati. Questo risultato non lo si raggiunge a parole, o con provvedimenti esclusivamente securitari, ma coinvolgendo le comunità degli immigrati in un processo di incontro, di dialogo, nel quale esse assumano anche precise responsabilità per far progredire costumi, mentalità, comportamenti, in chi viene da lontano, conosce arretratezze, ha sensibilità diverse su problemi cruciali della convivenza civile. Bisogna perciò fare ogni sforzo e dar seguito a ogni impegno, anche in sede istituzionale, perché il processo evolutivo vada avanti. Qui può celarsi il punto di non ritorno di una morte orribile come quella di Sanaa, che chiama in causa i nostri sentimenti, i principi più elementari di una società cristiana, ma chiede anche di coinvolgere la politica e i suoi protagonisti, perché il problema dell’integrazione sia affrontato con intelligenza e coraggio.
Senza impegnarsi, tutti insieme, per raggiungere questo obiettivo rischiamo che si creino delle "terre di nessuno" ove valgono leggi aliene e ingiuste, ove avvengono fatti mostruosi, che poi finiscono semplicemente in cronaca. Dobbiamo andare in direzione esattamente opposta.
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Strana giornata per la libertà di coscienza

Secondo noi.
Ma quali coscienze sono nel mirino?

Rassegna stampa - Avvenire, 24 settembre 2009.

C’è chi nel centrodestra la invoca come se non gli fosse riconosciuta. E chi nel centrosinistra la evoca con allarme, come se l’avesse vista troppo all’opera. Strana giornata, ieri, in Parlamento e nei suoi dintorni per la «libertà di coscienza». Strana e rischiosa. Basta mettere in fila i fatti. Il segretario in carica del Pd, Dario Franceschini, ha in sostanza annunciato che sul «fine vita» e sugli altri temi eticamente sensibili quel partito riconoscerà al proprio interno libertà di coscienza, ma la disciplinerà severamente in sede di voto parlamentare: perché anche su questo sarà il partito, e non il parlamentare, a decidere.
La prima applicazione di questa dottrina c’è stata a proposito dell’indagine che si svolgerà in Senato sui pericoli della pillola abortiva Ru486: Dorina Bianchi è stata messa nelle condizioni di rinunciare all’incarico di relatore nell’indagine che aveva ritenuto in coscienza di approvare. Il paradosso è che mentre avveniva tutto questo, il presidente della Camera Gianfranco Fini ha fatto sapere di aver solennemente ribadito ai radicali, e per loro tramite ai parlamentari di centrodestra che due giorni fa si sono appellati al premier (tutti dichiarati avversari dell’equilibrato testo sul «fine vita» varato in Senato, tutti sostenitori a prescindere dell’opportunità di autorizzare la Ru486), che avrebbe garantito il diritto di ogni deputato «a esprimersi secondo coscienza».
Perfetto. Solo che il Pdl non ha mai messo in questione questo diritto e che, oggi, gli unici parlamentari sotto schiaffo sono quelli che militano nel Pd e ritengono che in Italia non ci debba mai più essere un altro «caso Eluana» e che la Ru486 (che ha provocato decine di morti) non vada approvata a cuor leggero. Ma la libertà di coscienza (e di avveduto ascolto della scienza) è laicamente uguale per tutti. O no?

Fisichella: rispettare la vita sempre.
Rassegna stampa - Avvenire, 24 settembre 2009.

Roma. Ogni essere umano va rispettato «per il solo fatto di esistere», ha detto ieri il presidente della Pontificia Accademia per la Vita, l’arcivescovo Rino Fisichella, intervenendo al convegno per i 140 anni dell’ospedale pediatrico romano Bambino Gesù. Quello che conta, ha aggiunto Fisichella, «è la vita, che fin dall’inizio deve essere rispettata senza alcuna condizione. Non è necessario credere in Dio per capire che la vita è un dono prezioso di cui essere grati e riconoscenti a qualcun altro». «Ogni essere umano ha diritto alla dignità del suo sviluppo psicologico, psichico, materiale e alla tutela della salute», ha proseguito il presidente della pontificia Accademia per la Vita. Quindi ha concluso: «Intendiamo difendere la dignità di ogni essere umano per il fatto di essere tale».

Sempre da Avvenire (23 settembre) riprendiamo un resoconto di Pier Luigi Fornari su quanto è successo ieri.
Il dibattito.
Ru486, è bufera nel Pd. E Dorina Bianchi si ritira.


Rinvio al primo ottobre dell’inizio della indagine della commissione sanità del Senato sulla Ru486, su richiesta del Pd, dove al termine di una assemblea del gruppo di Palazzo Madama, Dorina Bianchi rimette al presidente della commissione l’incarico di relatore dell’indagine (assunto martedì insieme a Raffale Calabrò del Pdl). Nel partito dei democratici, dunque, la campagna congressuale porta ad una sorta di "normalizzazione" in materia di bioetica e di libertà coscienza. Infatti dopo le prime avvisaglie di critica alla Bianchi da parte di alcuni colleghi di partito per il suo voto favorevole martedì all’avvio dell’indagine conoscitiva, arriva una lettera del segretario Dario Franceschini alla Finocchiaro, capogruppo a Palazzo Madama. «Cara Anna – scrive il segretario – a seguito del nostro colloquio telefonico di stamattina, concordo con te che sulla scelta di avviare una indagine conoscitiva sulla Ru486 è necessaria una decisione del gruppo, anche attraverso una votazione. E, non essendo certo la scelta di una indagine conoscitiva una questione di coscienza, alla decisione del gruppo tutti devono attenersi».
Al termine dell’assemblea del gruppo, la Bianchi spiega la decisione di rimettere il mandato di relatore «alla luce della mancanza del coinvolgimento del Pd nell’individuazione dei tempi, dei contenuti e delle modalità di svolgimento dell’indagine conoscitiva». Dichiara: «Non voglio essere strumentalizzata dalla destra né lo vuole il mio partito». Assicura che «non era assolutamente» sua intenzione «prendere decisioni in solitudine».
Comunque la riunione del gruppo, che si era avviata dopo la comunicazione della lettera di Franceschini alla Finocchiaro, dopo una sospensione per attendere i lavori di aula, termina in serata. Ma non è tutto perché la sortita dell’ex vice di Veltroni è accompagnata dalla anticipazione di una sua esternazione all’Espresso in materia di bioetica. La pillola, sostiene Franceschini, è un modo di abortire «meno invasivo per la donna di un intervento chirurgico». Dunque «perché opporsi?». Semmai evitare che «venga vissuta come un contraccettivo. Ma questo dipende dal modo di usarla». E poi prospetta "un giro di vite" sul tema della libertà di coscienza, cruciale per i cattolici che militano nel Pd. «Discuteremo e decideremo», dice sul fine vita in discussione alla Camera. «Fino a poco tempo fa – spiega – su questi temi c’era solo la libertà di coscienza, in pratica significava che ognuno votava come voleva. La posizione prevalente è stata il superamento di quella linea. Ora i tempi sono maturi per un passo ulteriore: il Pd deve discutere, poi però deve decidere. La posizione del partito è una». L’ex dc delinea anche la tipologia di chi «in coscienza, laico o cattolico che sia, non si sentirà di condividerla». Il rispetto è assicurato, ma in una posizione che così diviene marginale, cioè esposta al pressing culturale del resto del partito. «Non si può imporre con la forza alimentazione e idratazione come norme di legge. Lo Stato deve fermarsi fuori dalla camera di quella persona», conclude.
L’assemblea del gruppo del Pd sull’indagine sulla Ru486, riflette indubbiamente le vicende congressuali del Pd sulle scelte di natura etico-politica. La Finocchiaro ammette di aver dato l’incarico alla Bianchi di votare "sì". Ma l’adesione sarebbe stata condizionata ad un previo accordo con il presidente della commissione Sanità, Antonio Tommasini (Pdl), per un inizio successivo al congresso del Pd. Dalle schiere della maggioranza, Tomassini ricorre ad una citazione di Carlo Goldoni, «le baruffe chiozzotte», per descrivere la situazione interna al gruppo del Pd, ed accoglie la richiesta della Bianchi, e del vice presidente della commissione, Enrico Bosone (Pd), di far slittare l’inizio dell’indagine al primo ottobre con l’audizione del ministro del Welfare, Maurizio Sacconi. «Avremmo dovuto sentire domani (oggi, giovedì) il ministro», ricorda il presidente della commissione, riferendo della domanda di rinvio dei democratici. «So che all’interno del Pd hanno le "baruffe chiozzotte"", e quindi capisco che debbano passare, così ho accettato la richiesta di uno slittamento», aggiunge.
Le reazioni nel Pd. «Un passo indietro»: non mancano nel Pd le voci di coloro che considerano tale la "svolta" in materia di libertà di coscienza di Dario Franceschini. «L’obiettivo forte con cui i partiti si devono confrontare è il livello di democrazia interna, a questo riguardo non è certo un segnale positivo il fatto – afferma Paola Binetti, ancor prima che Dorina Bianchi annunci la sua rinuncia alla carica di relatore dell’indagine sulla Ru486 – che parlamentari di area cattolica siano progressivamente collocati in situazione residuale, rispetto ad un posizionamento sostanzialmente simile in materia di bioetica di tutte e tre le mozioni congressuali del Pd». Secondo la deputata democratica, «questa situazione potrebbe comportare che al legislatore che voglia seguire la propria coscienza, una linea normale anzi doverosa, sia richiesto una condotta eroica». In altri termini in un partito che per sua vocazione deve essere plurale, la determinazione della posizione nei termini così perentori, come quelli usati adesso anche da Franceschini, «espone il parlamentare che si discosti dalla maggioranza del partito ad una pressione culturale così forte che potrebbe indurlo al silenzio». La laicità, aggiunge la Binetti, «dovrebbe presupporre quanto meno la libertà di espressione delle proprie opinioni politiche, soprattutto quando si tende ad identificarla con la autodeterminazione».
«Una maggioranza non cade o sta in piedi sui temi etici – osserva un altro esponente del Pd, Luigi Bobba – né su di essi si qualifica un opposizione, sono temi sui quali si auspica più libertà e dialogo. Quindi è normale che un partito riconosca a pieno titolo la libertà di coscienza su questa materia, come del resto prevedono i regolamenti parlamentari». Per l’ex presidente delle Acli del resto è «una tempesta in un bicchier d’acqua stare a discutere se la Bianchi ha fatto bene o male ad accettare la carica di relatrice dell’indagine sulla Ru486, nello stesso giorno in cui il Senato ha varato lo scudo fiscale, che sostanzialmente premia gli evasori».
«Un passo indietro», sono giudicate le dichiarazioni di Franceschini sulla bioetica da Claudio Gustavino membro pd della commissione Sanità, perché si finisce per considerare «un fattore drammatico» la posizione di chi la pensa diversamente dalla maggioranza del partito. «Un danno per il Pd». «Si sta perdendo il buon senso – puntualizza il parlamentare primario di ginecologia –, non si può rinunciare ad un atto politico come quello della commissione di indagine, anche se è richiesto strumentalmente dalla maggioranza. Dovremmo essere noi democratici a volerla per primi». «Non è vero» poi, mette in chiaro Gustavino, che la Ru486 non sia materia di coscienza.
Anche Lucio D’Ubaldo, pur ribadendo la sua «amicizia» ed il suo «sostegno» a Franceschini, ritiene che il tema possa costituire «una questione di coscienza per il parlamentare». «È giusto – dice Emanuela Baio – che attraverso l’indagine si individui la congruità» dell’adozione del farmaco ai principi della 194. È giusto anche indicare «buone prassi» d’applicazione visto che è stato sperimentato in modi diversi. «La laicità» del Pd sarà confermata anche dalla capacità di saper affrontare questi temi.
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Una situazione allarmante

Riceviamo e volentieri pubblichiamo.
Honduras: In forte aumento arresti, pestaggi e minacce nei confronti degli attivisti.

Amnesty International ha denunciato il forte aumento degli arresti, dei pestaggi ad opera della polizia e delle intimidazioni nei confronti dei difensori dei diritti umani in Honduras.
Il 22 settembre la polizia ha circondato la sede della Cofadeh, un’importante associazione per i diritti umani, lanciando gas lacrimogeni contro un centinaio di persone, tra cui donne e bambini. I dimostranti stavano protestando contro l’intervento della polizia, il giorno prima, nel corso di una manifestazione tenutasi di fronte all’Ambasciata brasiliana di Tegucigalpa, la capitale dell’Honduras, in cui è rifugiato il presidente deposto Manuel Zelaya.
‘La situazione nel paese è allarmante’ – ha dichiarato Susan Lee, direttrice del Programma Americhe di Amnesty International. ‘Gli attacchi contro i difensori dei diritti umani, le chiusure degli organi d’informazione, i pestaggi contro i dimostranti e l’aumento degli arresti di massa sono tutti segnali che i diritti umani e lo stato di diritto sono in grave pericolo’.
‘L’unica via d’uscita è che le autorita’ de facto cessino la repressione e la violenza e rispettino i diritti alla liberta’ di espressione e di associazione’ – ha proseguito Lee. ‘Chiediamo alla comunità
internazionale di ricercare urgentemente una soluzione, prima che la situazione precipiti ulteriormente verso una vera e propria crisi dei diritti umani’.
Dopo l’intervento della polizia di fronte all’Ambasciata brasiliana, in altre zone della capitale sono stati segnalati pestaggi e centinaia di arresti e ciò starebbe accadendo anche fuori Tegucigalpa. Gli arresti arbitrari, sebbene limitati a un periodo breve di tempo, possono dar luogo a maltrattamenti, torture e sparizioni.
Le preoccupazioni per la situazione dei diritti umani in Honduras sono aumentate dopo che il 28 giugno il presidente democraticamente eletto Manuel Zelaya è stato espulso dal paese e il potere è stato assunto dall’ex presidente del Congresso, Roberto Micheletti. Il presidente Zelaya è rientrato in Honduras il 21 settembre e si trova attualmente all’interno dell’Ambasciata brasiliana.
Amnesty International Italia
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Belpietro vs Santoro

Il migliore inquisitore.
Rassegna stampa - Libero, Lettera di Michele Santoro, 24 settembre 2009.



Caro Direttore, durante la nostra conferenza stampa di martedì 22 settembre ho spiegato con estrema precisione al collega di Libero, Enrico Paoli, come stanno le cose riguardo le troupe. Ma vedo che non è servito. Il vostro giornale titola infatti "Santoro licenzia i cameraman Rai: o i miei o niente". Non sono in grado di dire se i numeri da voi forniti siano esatti ma certamente essi comprendono gli operatori di ripresa in studio che, anche nel nostro caso, sono personale esclusivamente Rai. Per quanto riguarda le troupe di ripresa leggere (che realizzano le inchieste), se si escludono quelle a disposizione dei telegiornali, esse in Rai non dovrebbero raggiungere il numero di venti. Ribadisco che sarei stato ben felice di utilizzarle ma gli uffici competenti non ci hanno fornito alcuna disponibilità in questo senso.
A pochi giorni dalla messa in onda della trasmissione si voleva invece dar vita ad una gara di appalto, per una fornitura di generiche professionalità esterne alla Rai, che avrebbe ulteriormente ritardato la messa a regime del programma e non avrebbe garantito l'impiego dei nostri collaboratori storici.
Se volete continuare a scrivere per partito preso fatelo pure; se i vostri buoni rapporti con i nuovi dirigenti Rai vi permettono invece di pubblicare una lista degli operatori da noi licenziati o semplicemente rifiutati, fatelo. Sennò buon lavoro e... Cordiali saluti

I videoprocessi. Il migliore inquisitore.
Libero, Maurizio Belpietro, 24 settembre 2009.



So che mi attirerò le ire di molti, ma per me Santoro è bravo.Anzi, il migliore, senza allusione alcuna a quell'altro Migliore che di cognome faceva Togliatti, passato alla storia per aver assistito impassibile ai processi e alle purghe staliniane. Tra Michele e Palmiro ovviamente c'è differenza: pur appartenendo alla stessa parrocchia rossa dell'altro e più noto Migliore, il conduttore di Annozero i processi non li guarda ma li fa, istruendoli nei più minuti dettagli. Perché nel suo genere - inquisitorio più che giornalistico - Michele è maestro. Nessuno come lui è capace di mettere in piedi uno spettacolo giudiziario dove in ogni puntata si condanni qualcuno, facendolo a pezzi senza diritto di difesa, proprio come all'epoca di Baffone.
Nessuno meglio di lui sa usare la tv per raggiungere il suo scopo. Con le telecamere Santoro ci sa fare e le usa senza pietà, trasformando, se ce n'è bisogno, il reality organizzato in studio in una fiction. A suo modo ha creato un genere, la docufiction, in cui non si è ancora capito dove finiscano i documenti e quando inizi la finzione.
Anche per gli auto-spot Michele non teme rivali. Prendete l'ultima polemica: le doglianze nella firma dei contratti dei suoi collaboratori. Già si sapeva che la trasmissione sarebbe andata regolarmente in onda e nessuno ha mai pensato seriamente che Marco Travaglio non fosse al fianco del pubblico accusatore televisivo come è ormai da anni, facendogli da spalla. Eppure Santoro è riuscito a montare un caso, attirando l'attenzione attorno a quel che succederà stasera. Il suo pubblico di tricoteuse avrebbe potuto distrarsi e invece, dopo tutti gli articoli che la stampa ha dedicato al caso, sarà lì, di fronte alla tv, desideroso di vedere un'altra testa cadere sotto la ghigliottina del Robespierre del piccolo schermo. E state certi che lui non deluderà: la sceneggiatura sarà studiata con cura affinché tutto vada nel verso giusto e si dimostri che in Italia manca la libertà di parola a causa di Silvio Berlusconi, un signore pronto a toglierla a chiunque non la pensi come lui. Santoro riuscirà nello scopo, sebbene proprio la sua trasmissione sia la dimostrazione che qui da noi non manca certo la libertà di stampa: semmai abbonda, anzi, eccede. Il conduttore di Annozero a ogni stagione televisiva si presenta come un censurato, cui è impedito di esprimersi. In realtà Michele pianifica a tavolino la presunta censura: individua l'argomento da cui possa nascere un polverone, carica i toni e le provocazioni, in modo che qualcuno reagisca e minacci sfracelli. Se poi gli capita di beccarsi una sanzione (che paga la Rai, non lui) il gioco è fatto. Non c'è che dire: Michele è in gamba: ci vuole del talento a fare la vittima, soprattutto se si è il persecutore.
Come avrete capito ho una certa ammirazione per Santoro. Del resto, uno che riesce a presentarsi per il contrario di ciò che è, traendone un guadagno, merita considerazione: anche se nel male, bisogna riconoscerne la grandezza. È per questo che stasera parteciperò dallo studio di Annozero all'ennesimo processo, verificando dal vivo come ancora una volta riuscirà a rovesciare la realtà. Sul banco degli imputati, accusato di massima offesa alla libertà di stampa, ci sarà il solito Cavaliere.
Mentre, lo dimostra il nostro Franco Bechis a pagina 2, ci dovrebbero stare Antonio Di Pietro, Francesco Rutelli, Rosy Bindi e Romano Prodi, i massimi re delle querele. Ma proprio come nei processi staliniani, le prove sono secondarie, basta l`imputato.Dunque, godetevilo spettacolo.
Post scriptum: Per quanto riguarda le contestazioni di Santoro all'articolo di libero su Annozero, mettiamola così. Se si trattasse di una questione di numeri, non ci sarebbe nemmeno partita. Ma siccome non sono i dati che abbiamo pubblicato - rigorosamente verificati e controllati con le nostre fonti prima e con dirigenti sindacali poi - ad essere messi in discussione, bensì il sistema, l'ingranaggio che fa girare la giostra della Rai, siamo costretti ad addentrarci nel tecnico. Le troupe di ripresa leggere, come le definisce Michele Santoro, non sono venti, ma venticinque e la redazione di Annozero potrebbe tranquillamente farvi ricorso. L'unico problema è che Santoro le vuole per sé, senza condividerle con altri programmi. La presunta mancata disponibilità lamentata dal conduttore di Annozero dipende solo da questo dettaglio, non da altro.
Circa gli appalti esterni, il farvi ricorso è una regola comune a tutti, senza eccezioni. Inoltre, e qui il nodo è centrale, quando si affida all'esterno un lavoro la Rai fa ricorso agli operatori precari. Di questi esiste una lista di nomi (di cui Libero può fornire copia a Santoro) a cui si attinge per formare troupe esterne. Perché Santoro vuole solo e soltanto i sei operatori indicati nella lettera e che non compaiono fra i precari Rai? Un bel dilemma, ma se decidesse di fare un'inchiesta sui precari della Rai, forse i suoi dubbi sparirebbero.


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Se si ama il paese lo si tiene pulito

Il gusto di buttare la roba per terra.
(Tanto c'è sempre qualcun altro che la raccoglie, ma non sempre).

Corsivo.





È evidente che lo stradino, da solo, stante i molti compiti, non possa sobbarcarsi l’onere di tenere pulito il paese là dove la periodica pulizia delle strade non interviene (come ad esempio nel passaggio tra le due piazze o in ambiti verdi come quelli di Piazza Europa, dove sembra non essere compito di chi taglia l’erba rimuovere le bottigliette e le cartacce che l’erba tagliata nascondeva). Da qui un suggerimento che non è neppure nuovo: così come si è messo in breve tempo in piedi un distaccamento della protezione civile, perché non è possibile trovare volontari che si impegnino a proteggere il paese dallo sporco che l’incuria e la mancanza di educazione diffusa fa accumulare un po’ dappertutto? Aiuterebbe molto, certo, se la cittadinanza usasse i cestini disposti un po’ dovunque (non mancano!), oltretutto resi allegri dalle decorazioni dei ragazzi delle scuole; aiuterebbe molto anche se si insegnasse ai giovani un minimo di senso civico dicendo loro che non c’è nelle strade e nelle piazze del paese la mamma che pulisce il vater. E che dunque bottiglie e lattine, pacchetti di sigarette, fazzolettini e altre carte sarebbe buona cosa se fossero gettati nel vicino cestino, a due passi da dove si sta cazzeggiando. Ma evidentemente ciò non sembra possibile. E, dunque, non resta che inventarsi le ronde dei rifiuti: di queste sì si dovrebbe parlare visto che non siamo capaci di esprimere un minimo di civiltà, quel minimo di civiltà che chiediamo agli altri.

Le fotografie sono una scelta casuale di immagini scattate in momenti diversi nelle scorse settimane e nei giorni passati. Per lo più si riferiscono a Piazza Europa e al passaggio tra le due piazze.














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Verso il dibattito alla Camera sul biotestamento

Biotestamento: dibattito senza anatemi.
Una lettera inviata al premier da venti deputati del Pdl riapre il confronto politico.

Rassegna stampa - Il Secolo d'Italia, Guglielmo Federici, 24 settembre 2009.

Il dibattito alla Camera sul biotestamento è alle porte e l'impegno del presidente della Camera Gianfranco Fini è quello di far sì che la discussione parlamentare si svolga «nel doveroso rispetto del diritto di ogni deputato a esprimersi secondo coscienza». Più che un auspicio è un impegno quello che si è assunto il presidente della Camera, che ieri nel suo studio a Montecitorio ha ricevuto gli esponenti radicali Marco Cappato, presidente dell'Associazione Coscioni, Rocco Berardo, presidente dell'associazione "A buon diritto", Luigi Manconi e Mina Welby. L'auspicio ribadito da Fini è che il dibattito in aula si sviluppi «in un clima di pacatezza, scevro da ogni pregiudizio».
L'incontro è stato chiesto dai radicali stessi per consegnare a Fini un dischetto contenente oltre 3.300 testamenti biologici raccolti online in questi mesi. Questi tremila moduli consegnati e sottoscritti «sono molto più di un sondaggio», ha spiegato Marco Cappato, specificando che si tratta di testamenti biologici «già validi e vincolanti. Perché se la giurisprudenza ha riconosciuto la manifestazione della volontà, espressa in modo orale e ricostruita attraverso testimonianze, di Eluana Englaro, a maggior ragione una msposizione scritta ha valore e deve essere rispettata da un giudice che volesse ricostruire ex post la volontà del paziente. Parlano di un successo, i presidenti delle associazioni, Marco Cappato e Luigi Manconi, mentre illustrano al presidente della Camera i risultati raggiunti in neanche due mesi dalla iniziativa lanciata su internet. Dietro queste "firme" ci sono migliaia di persone che hanno espresso l'intenzione di rifiutare nutrizione e idratazione forzate, così come il ricorso alla respirazione meccanica, e hanno nominato un fiduciario per le scelte terapeutiche nel caso in cui si trovassero in stato di incoscienza.
Dal dibattito sul biotestamento, insomma, emerge la necessità di una riflessione più ampia e condivisa. Di questa esigenza si sono fatti interpreti venti deputati del Pdl che hanno firmato una lettera inviata al premier Berlusconi, pubblicata ieri per intero dal Foglio: «È preferibile e ancora possibile cambiare strada», si legge. «E preferibile fare una legge che consenta di accordarsi su ciò che accomuna gli italiani: la persuasione che il rapporto con la malattia, con le cure e con la morte appartengono a uno spazio personale». I venti deputati del Pdl chiedono al governo un passo indietro, una pausa di riflessione per modificare la legge sul testamento biologico approvata dal Senato. C'è bisogno di una legge che possa «porre dei confini senza pretendere di regolare tutto». L'iniziativa è partita da Adolfo Urso, viceministro allo Sviluppo economico e segretario della fondazione FareFuturo, insieme a Benedetto Della Vedova.
Nella lettera i "venti" chiedono a Berlusconi di evitare che la discussione della legge sul fine vita produca uno «scontro ideologico tra due impostazioni speculari» e che si produca una «lacerazione tra i partiti e dentro i partiti», con il rischio che venga approvata da una «maggioranza ristretta». La lettera fa un forte richiamo al "privato" che, spiegano i venti deputati del Pdl, «va inteso come riconoscimento dei limiti del legislatore e della sua incapacità di ordinare la complessità delle relazioni terapeutiche e di stabilire una disciplina più giusta di quella già oggi definita dal Codice di deontologia medica». La conseguenza del ragionamento è che occorra «una soft law, che ribadisca con chiarezza il no all'eutanasia e all'accanimento terapeutico e che per il resto istituisca una sorta di riserva deontologica sulla materia del "fine vita", demandando al rapporto tra pazienti, familiari, fiduciari e medici, la decisione in ordine a ogni scelta di cura».
L'iniziativa dei "venti" raccoglie consensi nell'esigenza di una sintesi tra valori laici e cattolici. Un'esigenza sulla quale «ìl Pdl è unito», si dice convinto il ministro dell`Attuazione del programma, Gianfranco Rotondi, intervenendo nel dibattito. Un dibattito dai toni pacati, una discussione tranquilla e senza "anatemi" si sta infatti delinenando all`interno del Pdl. Un risultato importante, quasi impensabile se si ritorna con la mente a un mese fa, quando sembrava un atto di lesa maestà soltanto il parlare di modificare la legge licenziata da Palazzo Madama. «Ci sono cose che appartengono alla coscienza di ciascuno e il testamento biologico è una di quelle», interviene il ministro delle Infrastrutture, Altero Matteoli che a proposito della lettera aggiunge: «Io ho sempre detto che su argomenti come questi non può esserci che libertà di coscienza. Che poi ci sia un dibattito per tentare di migliorare la legge approvata dal Senato, da parlamentare sono contento che questo accada». Anche Antonio Mazzocchi, presidente dei Cristiano riformisti condivide la sostanza dell'iniziativa dei colleghi di partito. «Con i colleghi sicuramente non posso condividere nel merito alcune posizioni, ma sono d'accordo certamente con la necessità che il Parlamento abbia a disposizione tutto il tempo necessario per legiferare su questa materia».

L'appello pubblicato ieri, 23 settembre, su Il Foglio.
La legge sul “fine vita” ponga dei confini ma non pretenda di regolare tutto.
Lettera a Berlusconi per un disarmo ideologico.


Al Presidente Silvio Berlusconi
Caro Presidente, la discussione del disegno di legge sul “fine vita” licenziato dal Senato pone la Camera e ciascun deputato di fronte a un’alternativa, che è insieme civile, politica e istituzionale. Da una parte c’è la possibilità di proseguire una discussione che contrapponga, in modo frontale, sempre meno dialogico e sempre più ideologico, due impostazioni speculari: quella di chi vorrebbe riconoscere e disciplinare compiutamente le dichiarazioni anticipate di trattamento, nel senso della piena autodeterminazione del paziente; e quella, che ha prevalso al Senato, di chi ritiene che la materia del “fine vita” vada disciplinata, altrettanto prescrittivamente, in modo uguale e contrario, impedendo che le direttive anticipate dei pazienti possano pre-determinare le scelte di cura.
Se si proseguisse su questa via, per come stanno oggi le cose, una delle due impostazioni finirebbe con il prevalere con una maggioranza comunque ristretta; e solo a costo di una lacerazione tra i partiti e dentro i partiti. Ma una legge che scaturisse da questo scontro non troverebbe un punto di equilibrio che assicuri a tutto il Paese di riconoscersi in essa. È preferibile e ancora possibile cambiare strada, non fare una legge che costringa i parlamentari e gli italiani a scontrarsi su ciò che più li divide, ma che consenta agli uni e agli altri di accordarsi su ciò che maggiormente li accomuna e umanamente li affratella: la persuasione che il rapporto con la malattia, con le cure e con la morte (la propria e quella dei propri cari) appartenga a uno spazio personale di cui la legge può prudentemente fissare i confini “esterni”, ma non i contenuti “interni”, che sono interamente affidati alle relazioni morali e professionali che legano il malato al suo medico e ai suoi congiunti.
Questo richiamo al “privato” non allude all’istituzione di una sorta di zona franca, un’area eslege in cui medici, familiari e pazienti possano muoversi spregiudicatamente, anche contra-legem. Va inteso nel senso esattamente contrario, come riconoscimento dei limiti del legislatore e della sua incapacità di ordinare la complessità delle relazioni terapeutiche e di stabilire una disciplina più “giusta” di quella già oggi definita, con grande chiarezza e prudenza, anche sulla materia del “fine vita”, dal Codice di deontologia medica.
L’iper-regolamentazione giuridica del “fine vita” non contrasta solo con il senso di giustizia, ma con il senso di realtà. L’infinita e drammatica casistica materiale e morale che emerge nelle relazioni di cura non può essere infilata a forza in una legge fatta di norme astratte e generali. L’equilibrio e il senso della misura spingono al contrario verso una soft law, che ribadisca con chiarezza il no all’eutanasia e all’accanimento terapeutico, e che per il resto istituisca una sorta di riserva deontologica sulla materia del “fine vita”, demandando al rapporto tra i pazienti, i loro familiari e fiduciari e i medici – nel rispetto dei principi del codice di deontologia medica, delle norme civili e penali e del dettato costituzionale – la decisione in ordine a ogni scelta di cura. Se emergesse questa disponibilità, sarebbe possibile giungere in breve tempo a un testo più semplice, comprensibile e difendibile sul piano giuridico-costituzionale rispetto a quello approvato dal Senato. Ci rivolgiamo a Lei come leader politico, per affidarle una richiesta di cui comprenderà l’urgenza politica e il significato istituzionale.
Con rinnovata stima,
Benedetto Della Vedova, Adolfo Urso, Antonio Martino, Fiamma Nirenstein, Mario Baccini, Flavia Perina, Peppino Calderisi, Giulia Bongiorno, Mario Pepe, Enzo Raisi, Antonio Buonfiglio, Santo Versace, Silvano Moffa, Roberto Antonione, Fabio Gava, Alessandra Mussolini, Deborah Bergamini, Marcello De Angelis, Giuseppe Moles, Giorgio Stracquadanio.
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Rischio di catastrofe irreversibile

Nuovi dati confermano che non si può non agire.
Allarmismo dannoso ma la bomba-clima è carica.

Rassegna stampa - Avvenire, Guido Caroselli, 24 settembre 2009.

Vi sono scienziati, politici e persone comuni che non ritengono necessario agire in alcun modo per frenare il cambiamento climatico e le sue conseguenze. Per la semplice ragione che il mutamento, a loro avviso, e del tutto naturale, e che l'uomo - quali che siano le sue scelte energetiche - in realtà non avrebbe nulla a che fare con tutto questo: per questa corrente di pensiero sarebbe solo la natura a decidere il futuro, com'è sempre è avvenuto nella storia della Terra. Tutti costoro hanno ovviamente il pieno diritto di argomentare le proprie convinzioni - su queste pagine se n'è dato più volte conto -, e anche quello di protestare per l'obiettiva difficoltà di farsi ascoltare in un panorama nel quale attualmente prevale in modo maggioritario l'opinione opposta.
L'"effetto serra" rappresenta tuttavia una questione di portata tale da sconsigliarci ulteriori dilazioni, inducendoci piuttosto ad adoperare il tempo per costruire stringenti accordi conseguenti il pensiero scientifico di larga maggioranza: il clima sta cambiando anche a causa dell'attività dell'uomo, per gli eccessi di emissioni di anidride carbonica e di altri gas-serra (metano, idrocarburi alogenati, ozono dei bassi strati atmosferici, protossido d'azoto).
L'allarmismo non serve, non porta da nessuna parte, contribuisce solo all'inazione (per paura, o per il sospetto che si tratti di un falso problema), al più spettacolarizza una questione che, per dimensioni e difficoltà, non ha bisogno di enfasi ulteriori. Però ecco nuovi dati.
Le analisi, appena sfornate dall'Enea e dal Cnr sulle temperature delle acque superficiali del Mediterraneo confermano i risultati comunicati in precedenza dalla Noaa (National oceanic and atmospheric administration): la tendenza al riscaldamento globale. La media dei valori estivi della temperatura di superficie degli oceani ha superato di oltre mezzo grado la media degli ultimi 30 anni. Per il Mediterraneo il surplus e stato di un grado e per il Tirreno di quasi due. L'ambiente marino svolge una funzione importantissima: quella di termoregolare il pianeta, cioe di moderare gli sbalzi di calore. Così è anche per l'effetto serra, che gli oceani riescono per ora a frenare assorbendo circa il 50% dell'anidride carbonica. Ma il calore assorbito lentamente dalle acque, prima in superficie e poi man mano in profondità, costituisce una bomba a orologeria: gli oceani restituiranno gradualmente all'atmosfera sovrastante gli eccessi termici, e dunque finiranno per contribuire al riscaldamento dell'aria. Il nostro termostato, in altri termini, comincia a funzionare male.
E allora una scossa è necessaria. È questo il senso delle parole del segretario generale dell'Onu Ban Ki-moon quando afferma che la comunità internazionale sta procedendo nei negoziati preparatori della prossima conferenza sul clima (Copenaghen, dicembre) con «lentezza glaciale». E il presidente americano Obama, con altrettanta energia, non è stato da meno, parlando di «rischio di catastrofe irreversibile». Tra i risultati positivi, nella storia dei negoziati, vi sono sicuramente i mutamenti delle posizioni dei governi di diverse nazioni, alcune di grande importanza quali gli Stati Uniti e la Russia, passati di recente da un'indifferenza sostanziale ai principi di Kyoto a una volontà virtuosa di collaborazione. Così anche hanno fatto l'Australia e - caso assai più importante - la Cina, anche se con generiche dichiarazioni di buona volontà. Ma ecco l'aspetto negativo: le conferenze sul clima, anziché produrre leggi e regolamenti di valore politico (cioè con ferree sanzioni per chi non li rispetta), rinviano la soluzione del problema a scadenze lontane, non sappiamo se oltre i confini della reversibilità. Quando cioè potrebbe davvero essere troppo tardi per rimediare.
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Stefania, pensaci tu

Il Comitato anti-discarica scrive una lettera alla Prestigiacomo.
«Ministro, serve il suo aiuto».
Rassegna stampa - Il Giorno, Tiziano Troianello, 24 settembre 2009.

Il comitato «Per Continuare a Vivere» si appella al ministro per l’Ambiente Stefania Prestigiacomo per scongiurare l’arrivo della discarica da un milione e 500 mila metri cubi di capienza in località Bellaguarda, a pochi passi da casa loro. Gli esponenti del gruppo hanno scritto una lettera all’esponente di Governo per sollecitare un suo intervento in difesa delle loro ragioni prima che si possa dare il via libera ad un progetto che potrebbe provocare danni irreversibili all’ambiente e alle persone. La lettera arriva a pochi giorni dalla conferenza di servizi regionale fissata per il primo ottobre e che si dovrà esprimere sulla concessione dell’Aia alla Cre di Arcore.
La missiva è stata inviata per conoscenza anche alla Provincia di Lodi, ai comuni di Senna, Somaglia e Orio Litta ed al professore Massimo Quaini dell’università di Genova il quale, nel suo rapporto della Società geografica italiana, denuncia una grave situazione ambientale per la penisola. «Ci riconosciamo appieno in ciò che sostiene Quaini - dicono dal Comitato - e anche nella nostra piccola e pregiata realtà di Lodi osserviamo una dissennata cementificazione cui ora si aggiunge il tentativo di attuare un nuovo scempio». Gli esponenti di «Per Continuare a Vivere», hanno messo il ministro al corrente di tutti i vari passaggi della battaglia del territorio contro l’impianto di smaltimento di rifiuti.
Nella lettera ricordano che la discarica sorgerebbe a pochi metri dall’argine maestro del fiume Po (con tutti i pericoli connessi in caso di esondazione) e da luoghi sensibili quali scuole, asili e case di riposo e che provocherebbe un aumento del traffico pesante che andrebbe ad influire sulla qualità dell’aria già notevolmente compromessa».
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Codogno leghista

In tutto il Lodigiano il vento del razzismo fischia sempre più forte. Eccone un esempio, una mentalità che purtroppo si inizia veder attecchire anche in alcuni personaggi che si qualificano di centrosinistra e cercano l'avventura politica in quell'ambito.
Verso i controlli.
Stranieri, la Lega nord adesso chiede i fatti.

Rassegna stampa - Il Cittadino, 23 settembre 2009.

Stranieri residenti in città: la Lega torna ad alzare la voce con i propri alleati. E lo fa ribadendo la necessità di un vero e proprio “pugno di ferro” sul rilascio dei certificati di residenza a persone di nazionalità straniera. Marocchini o romeni che si sia (ovvero stranieri extracomunitari oppure comunitari), la sostanza per il Carroccio è una sola: si diventa residenti a Codogno solo se si dimostra di possedere una soglia minima di reddito economico (fissata a 5mila euro annui, da alzare a 10mila se con familiare a carico) e un alloggio abitativo decoroso per spazi e condizioni igieniche. Ai funzionari comunali queste direttive erano state già date nel 2006, su esplicita comunicazione del sindaco Emanuele Dossena. Sempre queste stesse direttive erano poi state rimarcate all’inizio del mese settembre, nella discussione sul tema della sicurezza avuta assieme agli alleati del Popolo della libertà. Adesso su questo stesso tasto la Lega non vuole più lassismo. «Direttive ed impegni verbali non ci bastano più - incalza il commissario cittadino della Lega nord Andrea Negri -. Adesso vogliamo i fatti». L’alzata di scudi del Carroccio arriva all’indomani della assemblea che, nella sede leghista di via Mazzini, lunedì sera ha visto riuniti gli Stati generali del partito di Bossi, segretario provinciale Guido Guidesi in testa. Tra le tante considerazioni emerse dall’incontro, un’unica certezza: «La Lega a Codogno c’è ed è assolutamente intenzionata a portare avanti quelle questioni di principio che sono il nostro cavallo di battaglia e per cui i cittadini ci hanno votato - rimarca Negri -. L’iniziativa sulla residenza è una di queste. Sono state fatte promesse ai cittadini. Adesso è ora di mantenerle». In che modo è presto detto: far sì che le direttive già date dal sindaco nel 2006 vengano nella realtà davvero applicate, «soprattutto per i cittadini comunitari - incalza al proposito Negri -. Proprio per la libera circolazione tra gli stati della Comunità europea, spesso è proprio su queste persone che si limitano controlli e verifiche». D’ora in avanti, per la Lega, non deve essere più così. E per rendere più efficace il giro di vite, i lumbard fanno sapere agli alleati del centrodestra la loro prossima mossa: «Chiederemo delle verifiche sui certificati di residenza rilasciati in questi anni a cittadini stranieri - informa Negri -. Proprio per controllare che ogni concessione di residenza sia stata data in conformità ai criteri di reddito ed abitazione indicati dalla direttiva del sindaco. Lo diciamo chiaro: non diventa cittadino residente a Codogno il primo che passa per la strada e che potrà poi godere di contributi ed agevolazioni - conclude Negri -. Sappiano tutti che su questo fronte non indietreggiamo di un passo».
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Passaggio del testimone all'Anci regionale

Guerini lascia la presidenza dell’Anci di Lombardia.
Rassegna stampa - Matteo Brunello, Il Cittadino, 24 settembre 2009.

Cambio al vertice dell’Associazione dei comuni lombardi. Il sindaco di Lodi Lorenzo Guerini lascerà la guida dell’Anci regionale. Al suo posto come presidente dovrebbe arrivare il primo cittadino di Varese, Attilio Fontana (Lega nord). La conferma ufficiale ci sarà nel corso dell’assemblea dell’associazione, che si svolgerà sabato a Milano e avrà all’ordine del giorno il rinnovo delle cariche. Un’assise che dovrà anche indicare i delegati che andranno al congresso nazionale dell’Anci, che si terrà il 7 ottobre a Torino. Peraltro ai lavori dell’assise lombarda hanno già confermato la propria presenza diverse autorità, tra il presidente di regione Lombardia, Roberto Formigoni; il presidente della provincia di Milano, Guido Podestà; il sindaco di Milano, Letizia Moratti e il segretario generale di Anci, Angelo Rughetti. Dopo le ultime elezioni amministrative, che hanno modificato alcuni equilibri politici in Lombardia, è giunto il momento per il responsabile della giunta municipale di Lodi di abbandonare l’incarico di referente per i comuni lombardi. Dovrebbe raccogliere il testimone un altro sindaco, che è di diverso colore politico e appartiene al partito del Carroccio: si tratta di Fontana di Varese e il posto di vice presidente vicario dovrebbe andare al sindaco di Sesto San Giovanni, Giorgio Oldrini. Per Guerini invece si profilano altri impegni, sempre come rappresentante degli enti locali, in particolare a Roma. Nello specifico dovrebbe continuare ad occuparsi per l’Anci nazionale dei rapporti con il governo, con un mandato di capo delegazione Anci in conferenza unificata e in conferenza Stato-città, dove ha luogo il confronto istituzionale, ad esempio sui vari provvedimenti presentati dall’esecutivo, tra i vari organi dello Stato e le rappresentanze degli enti locali. Inoltre il sindaco di Lodi manterrà la sua partecipazione all’ufficio di presidenza dell’associazione nazionale dei comuni. In più nel corso dei prossimi mesi dovrebbe concretizzarsi per lui un ulteriore incarico, che riguarderà sempre il mondo degli enti locali. Secondo indiscrezioni e sulla base di accordi a livello nazionale, gli verrà offerta anche la poltrona di presidenza dell’Ages, l’agenzia dei segretari comunali a livello italiano.
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Refoli leghisti nel Casalese

Casale, Codogno, Castiglione, Somaglia e Brembio si affideranno a istituti privati per il pattugliamento del territorio. Immigrati e vigilantes, è fronte comune.
Ieri l’incontro dei sindaci: «Sugli stranieri una politica concorde».

Rassegna stampa - Il Cittadino, Andrea Bagatta, 24 settembre 2009.

Ordinanze in comune su immigrazione e sicurezza e vigilantes di società private per il territorio: le amministrazioni della Bassa vogliono una politica concordata a livello territoriale, senza distinzione di colore politico. È l’esito del primo tavolo intercomunale tenutosi ieri pomeriggio a Casale, e che ha visto la presenza delle amministrazioni comunali di Codogno, Castiglione d’Adda, Somaglia e Brembio, oltre Casale.
«È stata manifestata unanimità d’intenti rispetto alle politiche sull’immigrazione per evitare fenomeni di spostamento tra comuni limitrofi - spiega il padrone di casa Flavio Parmesani -. Si vuole evitare l’effetto macchia di leopardo, per cui a fronte di politiche restrittive in un comune, gli immigrati irregolari o i malintenzionati possano spostarsi in un comune vicino. In questo senso tutti ci siamo espressi a favore dell’utilizzo anche di alcuni strumenti come le ordinanze o gli ordini di servizio, per esempio quello sul reddito minimo per la concessione della residenza. Alcune amministrazioni come Brembio e Somaglia vogliono anche il coinvolgimento della Prefettura, ma sostanzialmente concordiamo su tutto».
L’altro argomento forte uscito dalla riunione riguarda la possibilità di accedere a servizi di società private specializzate in sicurezza per il controllo del territorio in orario notturno. «Alcuni paesi si sono già mossi, ma se riuscissimo a fare una convenzione tra più comuni per la vigilanza nelle fasce orarie notturne scoperte dalla polizia locale, da mezzanotte alle sette del mattino, potremmo ottenere condizioni migliori e garantire, anche in questo caso, una miglior copertura di tutto il territorio», afferma Parmesani.
L’incontro è stato l’occasione per valutare anche la disponibilità dei comuni a trovare una soluzione per il centro di consegna mobili dei Lavoratori Credenti, che entro dicembre lasceranno la sede di Zorlesco. L’impegno delle amministrazioni presenti è stato quello di valutare ciascuno il proprio mercato locale per cominciare a seguire la vicenda. Partirà a breve, inoltre, una mappatura dei fenomeni di insolvenza nel pagamento delle spese condominiali per capire se il fenomeno è da considerarsi saltuario o invece strutturale: Casale e Brembio lo avvieranno a breve. Accennato nel corso dell’incontro anche il tema della moschea, sul quale però non è stato fatto alcun approfondimento.
«L’incontro è stato molto positivo, e siamo tutti concordi nel volergli dare un seguito, magari allargandolo ad altri temi - fa eco a Parmesani il sindaco di Brembio Giuseppe Sozzi -. Non vogliamo provvedimenti targati da una parte politica o dall’altra, ma un approccio istituzionale, più corretto e proficuo per tutti. Su questa base, c’è la massima disponibilità ad attuare politiche comuni e condivise anche su immigrazione e sicurezza, che sono i problemi della gente, non dei partiti».

L'incontro di ieri era preannunciato su Il Cittadino da questo articolo:
Oggi un incontro tra Parmesani e i sindaci del territorio: si discuterà anche dello spostamento dei Lavoratori credenti. La moschea aperta sino al 26 novembre. Cambio di rotta della giunta dopo l’ultimatum agli islamici.
Il Cittadino, Andrea Bagatta, 23 settembre 2009.

Una soluzione territoriale per lo spostamento del centro Lavoratori credenti di Zorlesco, mentre sulla moschea è cambio di rotta: gli islamici avranno tempo fino al 26 novembre per trovare un’altra sede. Oggi si incontrano a Casale, su invito del primo cittadino Flavio Parmesani, i sindaci dei comuni della Bassa. L’invito diretto è stato fatto a Codogno, Somaglia e Castiglione d’Adda, ma è stato poi esteso a tutti i comuni della Bassa. All’ordine del giorno ci saranno i problemi affrontati dall’amministrazione casalina durante l’estate. Prima di tutto, la ricerca di un luogo alternativo per il servizio di consegna gratuita di mobili ai poveri da parte dei Lavoratori credenti di don Peppino Barbesta. Il capannone comunale in uso a Zorlesco presenta problemi di sicurezza, e amministrazione comunale e associazione hanno concordato un’uscita entro dicembre. I Lavoratori credenti stanno già valutando delle ipotesi alternative, in particolare su Codogno, ma l’amministrazione casalina vuole il coinvolgimento di tutto il territorio per una soluzione condivisa.«Quello è un servizio svolto a livello territoriale, e quindi è il territorio che deve dare una risposta, non una singola amministrazione - dice il sindaco Flavio Parmesani -. Avevo promesso a don Peppino Barbesta di interessare la Bassa del problema e ora lo facciamo. Le ipotesi su cui lavorare sono diverse, dalla disponibilità diretta di locali da parte di qualche comune alla possibilità di co-partecipare alle spese di affitto, oppure ancora al coinvolgimento della provincia».La riunione servirà anche per affrontare altri problemi comuni, a partire dalle possibili soluzioni alle questioni delle spese condominiali non pagate. «L’idea è che i comuni possano confrontarsi su tematiche che riguardano tutti - spiega Parmesani -. Magari qualche amministrazione ha già fatto percorsi che altri stanno iniziando, e lo scambio di informazioni e pareri può essere molto utile».
Infine, sul tavolo di confronto potrebbe arrivare anche la questione della moschea. «Non è previsto all’ordine del giorno, ma non lo escludo - conclude Parmesani -. La nostra posizione è che il problema vada affrontato a livello provinciale, con il coinvolgimento anche del capoluogo». Proprio sulla moschea, però, si registra un cambio di rotta della giunta di centrodestra: dopo averne annunciato la chiusura per la mancata variazione di destinazione d’uso dello stabile, non solo il Ramadan si è concluso regolarmente in via Fugazza, ma i musulmani potranno restarvi fino al 26 novembre. «Il risultato finale non cambia: la moschea lì non ci potrà più stare - spiega il sindaco Parmesani -. L’ufficio tecnico ha scelto lo strumento dell’ordinanza, e per legge ci sono 90 giorni di tempo per presentare una richiesta di sanatoria. Va bene comunque: non abbiamo mai voluto lo scontro, ma solo la regolarizzazione di una situazione fuori dalle norme. E così sarà».
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