Rassegna stampa - Speciale - l'Unità, Federica Fantozzi, 10 ottobre 2009.
Un ceffone virtuale da Debora Serracchiani «per la maleducazione», la tranciante definitività di Emma Bonino a proposito delle «patetiche ingiurie di stampo misogino», l’invito a chiarire in Parlamento da Livia Turco. A tre giorni di distanza non si affievoliscono le reazioni alle parole sprezzanti rivolte da Berlusconi a Rosy Bindi nello studio di «Porta a Porta»: «Come al solito, lei è più bella che intelligente». Di sicuro, presidente, lei non è a sua disposizione, come gli ha risposto dopo venti lunghissimi secondi nel silenzio sbigottito o pavido dei signori in trasmissione. E, come rilancia adesso la campagna dell’Unità - che vedete nell’illustrazione di Beatrice Alemagna qui a fianco - speranzosa se non di “rieducare” almeno di provocare un istante di resipiscenza nel Misogino Finale.
Di questa sgradevole manciata di parole piombate via etere sulla tarda serata di migliaia di telespettatori, infatti, si continua a discutere. Vuoi perché il premier non si è scusato, vuoi perché la linea di difesa del portavoce Bonaiuti è stata incolpare i «momenti di concitazione» (come a dire: lo pensa, certo non doveva dirlo, ma gli avevano appena bocciato il Lodo e suvvia va compreso), vuoi perché da ministre e parlamentari del centrodestra la solidarietà se non di genere quantomeno di stile ha latitato, vuoi - infine - per il diffuso, quasi solido imbarazzo maschile. Solo ieri il ministro della Gioventù Giorgia Meloni, politica competente e grintosa, ha ammesso: «Mi dispiace per quella frase, io non l’avrei mai detta». Fermo restando che «non accetto lezioni dalle donne di sinistra». Lapidaria la solitamente fiammeggiante Michela Vittoria Brambilla: «Non mi attrae la solidarietà femminile». Interessante la motivazione: «È perché non credo alla distinzione di genere». Non si capisce se significa libertà di insulto di tutti verso tutti o che in politica l’estetica non conta per nessuno. Tutti uguali: Capezzone come la Matera, Bondi come la Savino. Sarebbe utile il contributo al dibattito della ministra per le Pari Opportunità, ma Mara Carfagna purtroppo tace. In molte non la pensano come la Brambilla, a giudicare dalle migliaia di messaggi ricevuti dall’interessata ma anche da centralini e segreterie di giornali. L’Unità ha ricevuto una grandine di commenti indignati da lettori e lettrici, così ha deciso di offrire a tutti il diritto di replica al presidente del Consiglio.
Sulla cartolina, la piccola dai capelli rossi (ogni somiglianza cromatica con la Brambilla è puramente casuale), braccia e gambe incrociate sul vestitino, broncio di sfida, proclama: «Non sono a sua disposizione». Indisponibile. Impermeabile. Inaccessibile. Un senso vietato che chi vuole può ritagliare, compilare e inviare all’indirizzo del Maleducato Finale (quello Iniziale pare sia stato Vittorio Sgarbi, che ha rivendicato con virile orgoglio il copyright della battuta). Rosy Bindi, intanto, ringrazia per i tanti segnali di simpatia, incassa il dividendo politico, e si proclama debitamente riconciliata con la sua bellezza nonché consapevole della sua intelligenza.
La lettera di Rosi Bindi.
l'Unità, Rosi Bindi, 10 ottobre 2009.
So che è un legame fatto di affinità umane e culturali e di una stessa concezione della vita pubblica. Da tutti traspare quanto sia ancora diffusa e pronta la capacità di reagire e di indignarsi di fronte all’arroganza del potere. Ed è in fondo questo che conta di più. Quindi, ancora, grazie davvero.
Mi sento però di rassicurare tutti gli amici e le amiche che mi hanno scritto: non sono affatto annientata dalle parole offensive e gratuite del Presidente del Consiglio. Anzi sono più che mai felice di essere una donna. Ho sempre pensato che gli insulti definiscono chi li pronuncia. E in questo caso Berlusconi non ha fatto che riproporre la sua concezione, ormai tristemente nota, delle donne.
Berlusconi avrà pensato che un suo intervento ci avrebbe zittito e ridato fiato ai suoi. Avrà pensato di potersi impossessare del video, come in altre occasioni, per l’ennesimo monologo incendiario. Quando però si è trovato di fronte un’interlocutrice che non lasciava passare i suoi commenti eversivi sulla Presidenza della Repubblica e sulla Corte Costituzionale, che non accettava il ruolo silenzioso di comparsa o connivente, non ha trovato altra soluzione che cercare di ridurla all’unica dimensione femminile che è capace di concepire: un corpo da svilire o apprezzare.
Mi ha chiamato ostentatamente «signora» mostrando di non considerare significativo il fatto che fossi un’esponente dell’opposizione e Vicepresidente della Camera dei deputati. Ma da tempo abbiamo capito che il nostro Presidente del Consiglio rifiuta di riconoscere competenze pubbliche alle donne ed è incapace di misurarsi con noi in modo paritario. Con quelle espressioni da cabaret, ha cercato di colpire me ma ha offeso tutte le donne e le stesse istituzioni. Lo hanno sottolineato meglio di me e in vario modo Chiara Saraceno sulla Repubblica di oggi, Cinzia Sasso e Stefania Rossini, sui siti di Repubblica e l’Espresso, Concita De Gregorio sull’Unità, Caterina Soffici sul Riformista, Ida Dominijanni sul Manifesto, e come ben riassume l’appello promosso da Michela Marzano, Barbara Spinelli e Nadia Urbinati, sempre sul sito di Repubblica.
Ripartiamo allora dalla Costituzione e dalla difesa della legalità democratica senza dimenticare che l’agenda dei problemi del paese è molto lunga e le donne sono le prime a pagare i costi della crisi economica e di una politica sociale che riduce i servizi, taglia le risorse alla scuola e alla sanità, smantella il sistema di solidarietà pubblica.
Rita Sanlorenzo: «Anche gli uomini devono alzare la voce».
l'Unità, Maria Zegarelli, 10 ottobre 2009.
Dopo gli insulti del premier a Rosy Bindi, c’è stata una vera e propria sollevazione da parte dell’opinione pubblica, soprattutto donne. È solo un fuoco di paglia?
«Dobbiamo lavorare affinché non lo sia, lo dico comedonna e comecittadina. Sarà un lavoro lungo e difficile, ma occorre intraprenderlo».
Un insulto o un tentativo di delegittimazione di un interlocutore politico donna?
«È esattamente questo il punto. la battuta rivela l’intenzione di togliere a Bindi ogni possibilità di essere visibile, al di là del proprio aspetto fisico: parole che investono unaconcezione dei rapporti tra sessi (e prima tra individui) che inquina tutta la dialettica della politica. Le parole di Berlusconi rivelano la sua concezione del ruolo della donna in relazione alla gestione del potere: è l’apprezzamento estetico il primo parametro, su cui ci si deve misurare se si vuole essere considerate seriamente come interlocutrici».
Le donne del centrodestra su questa vicenda tacciono. Addio alle battaglie comuni anche su questi temi?
«Non entro nelle questioni di parte, registro peròunprofilo di caduta culturale generale che allarma. Bianca Guidetti Serra nel suo bellissimo libro «Bianca la rossa» svolge una considerazione importante: il Novecento è stato il secolo dell’emancipazione e della crescita del protagonismo politico femminile. È stato parallelamente il secolo nel quale, anche grazie alle battaglie delle donne, si è arricchito il catalogo dei diritti per tutti. Oggi dobbiamo fare i conti con il ritorno ad una concezione della donna come elemento prettamente «de- corativo»: intanto assistiamo quasi con un senso di inevitabilità alla caduta generale dei diritti, intesi come un ostacolo al raggiungimento di un programma politico preciso. Su questo rifletto non solo in quanto donna, ma anche in quanto magistrato che crede fortemente nel ruolo della giurisdizione come luogo dell’affermazione dei diritti della persona».
Eppure qualcosa si è mosso: al nostro giornale arrivano migliaia di email di donne indignate. Non era scontato in un momento di velinismo imperante.
«Sono contenta che parta dalle donne questo moto di ribellione e spero che vada oltre. È una questione che non conosce differenze».
È arrivato il momento dell’indignazione maschile?
«La posta in gioco è unica, quella per l’affermazione dell’uguaglianza, la stessa per cui ci spendiamo ogni giorno nelle nostre aule di giustizia. È il messaggio forte e conclusivo che si alza dalla sentenza della Corte Costituzionale sul Lodo Alfano: la legge è uguale per tutti, non ci sono super pares ».
Arriviamo alla magistratura. Toghe rosse, una minoranza, che agiscono per conto della sinistra per delegittimare il voto degli italiani. Questa la tesi del premier.
«Guardi, quasi sorrido, ormai siamo tutte toghe rosse, per me è quasi un riconoscimento, sto alla testa di Md, questo appellativo mi tocca, anzi mi onora. Ma questa forzatura ormai investe tanti colleghi che non hanno mai aderito a nessun gruppo associativo, men che meno a qualsiasi partito, e che oggi si trovano così etichettati soltanto perché hanno fatto e fanno il loro dovere. Si spara nel mucchio per intimidirci».
Il premier oggi (ieri per chi legge, ndr) è tornato alla carica sul punto.Come si rimettono le cose al loro posto?
«In Italia esiste ancora il principio dell’obbligatorietà dell’azione penale. Per riconoscimento generale, il nostro è un sistema ipergarantista, soprattutto per chi, come il premier, ha i mezzi per assicurarsi una buona difesa. Con la teoria del complotto - mai provata e nemmeno meglio specificata, lo sottolineo - in nome di interessi prevalentemente personali si mette in atto un vero e proprio gioco al massacro delle istituzioni. Berlusconi non attacca soltanto il magistrato scomodo: alza il tiro e oggi investe tutte le istituzioni di garanzia, fino alla Consulta. L’effetto finale di questa strategia è un processo progressivo di intossicazione degli equilibri istituzionali che oggi sembra difficilmente reversibile. Quando finiranno i guai giudiziari del premier resteranno i frutti malati di questa campagna».
La lentezza della giustizia di cui gli italiani sono vittime senza dubbio non aiuta ad avere fiducia. Non crede che anche questo malessere aiuti il premier a far presa sui cittadini?
«Anzi, sono sicura di questo e penso che i cittadini abbiano tutte le ragioni per essere insoddisfatti. ricordo però che in questi anni abbiamo assistito all’anomalia di ministri della Giustizia, che si esercitano nella continua critica dei magistrati, senza nemmeno affrontare i doveri della politica sul punto. Noi vorremmo misure adeguate per ottenere il miglioramento del servizio, e così la fiducia dei cittadini. Non vogliamo ricevere attacchi da chi, come noi, fa parte delle istituzioni di questo Stato».