FATTI E PAROLE

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giovedì 3 settembre 2009

Parola di cinque lettere

Il re nudo.
Feltri a Scherzi a parte.
VideoPost.

Anche in situazioni strane, tra il costruito e no - è sempre dubbio che le trasmissioni di "Scherzi a parte" siano completamente "genuine", - si conoscono i bipedi di questo mondo. Forse ancor di più, perché le difese della quotidiana decenza sono allentate. Così questa clip di pochi minuti ci racconta molto di più che caterve di parole allineate a comporre articoli per il popolo. Il video mostra lo scherzo a Vittorio Feltri quand'era ancora direttore di Libero. Buona visione e buona riflessione.


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Fare domande senza risposta, una mania

Anche il giornale di Bossi ci aveva provato.
VideoPost.

Nel 1998 già "La Padania" nell'edizione dell'8 luglio aveva rivolto dieci domande più una a Berlusconi. Rimaste senza risposta anche quelle. Il video, pubblicato qualche giorno fa da StaffGrillo le ripropone. Chi volesse leggersi le quattro istruttive pagine de "La Padania" di allora in formato pdf, le può scaricare cliccando qui.


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Luttazzi reloaded

In democrazia le domande sono lecite.
VideoPost.

È questo il video in cui Daniele Luttazzi racconta la vicenda giudiziaria contro Berlusconi. Querelato per 40 miliardi ha vinto. Il linguaggio è ovviamente quello di Luttazzi, ma ciò che conta è il contenuto delle considerazioni, manco fossero dette oggi.


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Italia paese inospitale

Ritorniamo sulla questione di Codogno e delle decisioni del suo sindaco con questo articolo di Mario Borra su Il Giorno di oggi.
Veto di Dossena sulle segnalazioni anonime via mail.
Irregolari, il sindaco frena.
Rassegna stampa.

La Lega Nord accelera sul «pacchetto sicurezza» e il sindaco, almeno per un punto, frena. E la questione per quale Emanuele Dossena ha posto un veto è quella riguardante la divulgazione di un indirizzo mail e di un numero di cellulare attraverso i quali i cittadini, in maniera anonima, avrebbero potuto segnalare la presenza di extracomunitari irregolari all’interno di abitazioni. Il primo cittadino ha infatti ritenuto di dover «istituzionalizzare» l’iniziativa ribadendo di volersi fare carico, soprattutto durante le ore di ricevimento in municipio, delle eventuali segnalazioni che perverranno da parte dei cittadini e quindi, se ne riterrà opportuno, di darne comunicazione al comando di polizia municipale o ai carabinieri. Resta confermato invece il contenuto degli altri provvedimenti per cui la sezione della Lega Nord vuole spingere, aprendo di fatto una stagione politica nuova dopo gli anni bui degli scontri interni che hanno portato a molte defezioni tra i militanti della sede di via Mazzini. «Durante la prima seduta della commissione servizi sociali, di cui Gianpiero Campagnoli è presidente, verrà messo all’ordine del giorno la richiesta di cambiamento del regolamento con l’introduzione della clausola dei cinque anni di residenza per l’ottenimento dei contributi sociali - spiega Andrea Negri, commissario della sezione del Carroccio codognese -. Inoltre, l’indirizzo di Giunta di alcuni mesi fa che riguardava la questione del reddito minimo (cinquemila euro per ogni singola persona) per ottenere la residenza da parte dei cittadini comunitari, il sindaco ha ribadito che si farà carico perché i funzionari facciano rispettare la disposizione». La proposta di inserire la discriminante dei cinque anni di residenza è stata bollata come negativa dal consigliere di minoranza di centrosinistra Mario Zafferri. «È assurda. Per voler colpire gli extracomunitari, si va contro a tutti», ribadisce l’esponente progressista. Per quanto riguarda l’istituzione delle ronde, invece, Negri ribadisce che il progetto resta in piedi, ma verrà rimandato nei prossimi mesi. «Dobbiamo sentire alcune associazioni e vedere se vi è la disponibiltà. Dobbiamo definire il percorso. Per ora le spostiamo più avanti nel tempo». Secondo Negri, la «situazione in città è tranquilla», ma ribadisce ancora una volta che dopo la stretta sull’immigrazione a Casale «è tangibile uno spostamento verso altre realtà compresa Codogno». Per la verità il trend di crescita dei cittadini stranieri in città è molto sostenuto ormai da anni ed, in termini percentuali, è superiore anche a Casale.

E ci pare piacevolmente curioso, anche se triste, molto triste, allegare alla vicenda questo articoletto che è rimasto per giorni nel blocco degli appunti. Il fatto è successo a Brescia.
«Non ce la faccio più a vivere in Italia».
Irregolare chiede di tornare in Africa.

«Sono stanco di vivere in Italia, stanco di vivere così» . Con queste parole un immigrato irregolare di origine senegalese si è autodenunciato mercoledì mattina agli agenti della questura di Brescia e ha chiesto di essere rimpatriato. Si è arreso di fronte alle tante difficoltà incontrate, S. A., 39 anni, che viveva nel nostro Paese dal 2003. Era arrivato con il sogno di un lavoro e di una vita normale, ma già da tempo le cose non andavano bene per lui, costretto a dormire per strada, davanti a un palazzo in via Raffaello. Senza fissa dimora, dal 2007 non aveva più chiesto il rinnovo del permesso di soggiorno e ad agosto era stato colpito da un ordine di espulsione. «Non ce la faccio più a continuare così» , ha spiegato agli agenti. Pochi oggetti personali chiusi in una valigia che portava sempre con sé, si è arreso alle difficoltà e ai numerosi esposti dei condomini dello stabile, indispettiti per la sua presenza. Così l’uomo con nessun precedente penale, si è fatto identificare. In serata è stato accompagnato in all’aeroporto di Malpensa, dove si è imbarcato per il Senegal.
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I nuovi strumenti urbanistici

Il Cittadino oggi pubblica una lettera "didattica" di Alfredo Ferrari, consigliere provinciale della Lega Nord.
Lodigiano. Nel territorio ci sono 21 siti da recuperare.
Rassegna stampa.

Traendo spunto dalle linee guida regionali in tema di urbanistica e con l’approvazione da parte della Regione Lombardia della legge in materia di urbanistica, si delinea l’accantonamento della “vecchia” legge del 1942 che, sull’onda della forte spinta federalista, appariva ampiamente superata dalle leggi emanate negli ultimi dieci anni dalle Regioni e anacronistica in relazione agli indirizzi di governo del territorio non più attuali anche per l’assenza di qualsiasi richiamo all’ambiente e allo sviluppo sostenibile.
La nuova legge delinea, innanzitutto, uno strumento di programmazione il piano urbanistico comunale più flessibile del precedente Prg che si compone di un piano “strutturale” contenente gli indirizzi di fondo e i vincoli ambientali valido a tempo indeterminato e privo di efficacia conformativa della proprietà e un piano “operativo” che detta la disciplina d’uso delle aree.
Pone, poi, quale obiettivo primario del piano urbanistico non più “l’incremento edilizio”,ma il rinnovo urbano, la ristrutturazione e l’adeguamento del patrimonio immobiliare esistente, limitando alle aree urbanizzabili gli interventi di trasformazione edilizia, che, comunque, devono essere finalizzati ad assicurare lo sviluppo sostenibile sul piano sociale, economico e ambientale.
Nelle aree destinate all’agricoltura e in quelle di pregio ambientale la nuova edificazione potrà essere consentita, infatti, solo per realizzare opere pubbliche e per la dotazione di servizi. Il legislatore infatti ha riformato anche il concetto di standard urbanistici, abbandonando il rigido rapporto quantitativo fra aree edificabili e aree da destinare agli interessi collettivi. Ha privilegiato, invece, la ridistribuzione delle attrezzature urbane in funzione della necessità delle singole aree mediante la realizzazione di servizi pubblici e di interesse pubblico o generale (centri sportivi, parcheggi, aree per lo svago, ecc.) che potranno anche essere forniti da privati, senza, quindi, attivare procedure di espropriazione che comunque determinano rallentamenti.
L’attuazione del piano urbanistico viene, inoltre, resa più flessibile dall’introduzione di strumenti di ridistribuzione dei diritti edificatori all’interno di comparti omogenei come: la perequazione realizzata mediante l’assegnazione dei diritti edificatori alle proprietà immobiliari, in ragione della loro estensione o del loro valore e indipendentemente dalla specifica destinazione d’uso; la compensazione, che si realizza mediante il trasferimento dei diritti edificatori di pertinenza di un’area da espropriare su un’altra area di disponibilità del proprietario ovvero attraverso la permuta con un’area di proprietà dell’ente di pianificazione o ancora mediante la realizzazione diretta degli interventi di interesse pubblico o generale, previa la stipula di una convenzione con l’amministrazione per la gestione dei servizi.
Nella stessa direzione muovono i principi di sussidiarietà, cooperazione e partecipazione.
Il principio di sussidiarietà elimina infatti le sovrapposizioni di competenza fra Regioni e Enti locali assegnando ai Comuni le competenze in materia di pianificazione urbanistica e di «soggetto primario titolare delle funzioni di governo del territorio».
Il principio di cooperazione introduce la concertazione fra i soggetti pubblici per la definizione delle linee guida per la pianificazione del territorio, anche mediante accordi di programmi, nonché le conseguenze in casi di inadempimento.
Il principio di partecipazione, infine, riconosce ai cittadini il diritto di partecipare alla formazione degli atti.
Sostituito infine il silenzio rifiuto con il silenzio assenso per il rilascio della concessione edilizia che non può essere condiviso se non per le azioni di recupero del patrimonio edilizio esistente, mentre, nella lotta agli abusi edilizi, viene confermata la potestà delle Regioni di prevedere sanzioni di natura reale, ripristinatoria, pecuniarie e interdittiva, ma non vengono depenalizzati gli abusi
minori.
Quindi si spera che nel lodigiano i comuni si adeguino alla svelta a questa nuova normativa per non creare problemi di insediamenti “strani” sul nostro territorio ma progettando con responsabilità da parte dei comuni per non farci diventare la “costola sud del milanese”, con logistica a dismisura, in linea di coordinamento diretto con la Provincia di Lodi per l’adeguamento del P.T.C.P. provinciale, che ha riaperto i termini per le osservazioni degli enti locali fino al 31 ottobre per permettere di rimuovere le distonie programmatiche o migliorare l’esistente impianto urbanistico vigente in ogni singola realtà urbana.
Sarà un preciso compito monitorare il tutto anche alla luce dell’ordine del giorno approvato in data 29 luglio 2009 dal Consiglio regionale sul consumo del territorio che trovate sul burl n.35 serie ordinaria del 31 agosto 2009 su proposta diretta del presidente del consiglio regionale dott. De Capitani, con riferimento particolare alle aree dismesse che constano statisticamente nel Lodigiano addirittura 21 siti specifici da recuperare e fare rispettare i criteri approvati nel PTR regionale approvato in data 30/07/2009 burl 1’ suppl. straord. n. 34 del 25 settembre 2009.
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Il premier che ci meritiamo

Il Berlusconi che l'Italia ama: raccontato dalla satira e nella realtà.
VideoPost.

Facendo ricerche su la rete mi sono ritrovato questo video cult di Corrado Guzzanti che alla luce di quanto sta succedendo è quanto mai di attualità.



Mi sono imbattuto anche in quest'altro video che esageratamente mostra la fine cavalleria del nostro premier nei confronti delle giovani ministre del suo governo. Particolarmente gli affiliati di "Azione giovani" saranno felici di come il presidente del consiglio tratta il loro idolo e mito Giorgia Meloni.



Nel contempo colgo l'occasione per raccontare del commento di Feltri alle dimissioni di Boffo, direttore di Avvenire.
La replica del direttore del Giornale non si è fatta infatti attendere. «Il direttore di Avvenire si è dimesso a causa mia e dell'attacco del mio giornale? Mi si attribuisce un potere che so di non avere, se lo ha fatto e se il Vaticano ha accettato le sue dimissioni, ci sarà un buon motivo», così ha risposto Vittorio Feltri all'Ansa spiegando di non sentirsi «né di aver vinto, né di aver perso. Non c'è niente né da vincere, né da perdere, piuttosto qualcuno si deve rimangiare gli insulti e tutto quello che è stato scritto su di me, compreso il Vaticano. Da questa vicenda l'unica cosa chiara alla fine è che c'è un evidente doppiopesismo intollerabile».
«Per quanto mi riguarda - ha aggiunto Feltri - mi interesserebbe solo che il Gip mettesse gli atti a disposizione degli altri come si fa in una montagna di altri casi». Mentre denuncia «che in tutta questa vicenda sono stato bersaglio di attacchi intollerabili, mentre Il Giornale non ha fatto che portare in prima pagina una vicenda. Il resto - ha concluso Feltri - è solo sfera delle indiscrezioni, come quella che sono manovrato da Berlusconi». Il carnefice vittima alla fine? e a dar man forza alle vendite edicolari di Berlusconi oggi è uscito Panorama che "spiega" con altro gossip la vicenda. A modo suo ovviamente.
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La pallida foglia di fico

Dal blog di Luca Telese del 28 agosto, una lettura istruttiva.
La storia di Feltri, di Dino Boffo (e della moglie di Ezio Mauro).

Leggo sulla prima pagina del Giornale che Feltri attacca Dino Boffo direttore di Avvenire, pubblicando una sentenza con l’unico scopo di sputtanarlo: omosessuale e molestatore della moglie del suo amante. Meraviglioso il dispositivo giustificatorio, approntato dell’anziano (per testa, non per età) neo direttore di via Negri. Siccome Avvenire ha attaccato il Cavaliere, noi adesso lo massacriamo, così impara. Sembra di sentire quella canzone in cui Lillo e Greg si fingevano naziskin all’amatriciana e cantavano con il manganello di plastica in mano: “E noi a Gino lo menamo/ lo menamo lo menamo/ pampà…”. A lui – dice Feltri – rovistare nei fatti personali fa schifo. Però è costretto a farlo purtroppo, poverino.
È così fragile questa pallida foglia di fico da moralizzatore-inzaccheratore-castigatore, che pare un brutto scherzo. Invece è tutto vero. Ovviamente, avendo rassegnato da pochi giorni le dimissioni da quel giornale, tiro – se non altro per fatto personale – un sospiro di sollievo. Ma sono, ovviamente, solidale con i miei colleghi rimasti ostaggio della linea mettinculista, e dispiaciuti per il fatto che siano costretti a fronteggiare il cattivismo mannaro del nuovo corso “feltrusconiano” (come lo definisce Dagospia), con licenza di uccidere tutti i nemici del capo, a partire da quei pretacci bolscevichi (i prelati di Ratzinger!) e dei loro giornali che si permettono di difendere gli extracomunitari. C’è qualcosa di surreale, negli articoli del Giornale in questi giorni: le telescriventi di De Benedetti del 1991, la sentenza di Boffo per un fatto del 2002… Non è l’Almanacco del giorno dopo, insomma, ma un fenomeno nuovo, il primo quotidiano del secolo prima (Aspettiamo trepidanti nuove rivelazioni sul caso Montesi).
Ma c’è di più. In questa estate, ben due direttori di area di centrodestra hanno lasciato i loro posti, sia pure in modo diverso, perché non hanno sposato questa linea disperata, il Muoia-Sansone-ma-tutti-i filistei, il vendetta-tremenda-vendetta il big stick, il grande bastone da abbattere sulle teste del "nemico". Come molti sanno, nelle redazioni di questi giornali e delle testate vicine al centrodestra, circola da mesi un mandato particolare che nessuno, per fortuna, ha ancora voluto (o potuto) portare a termine: quello di colpire Ezio Mauro e la sua attuale compagna. Sarebbe la vendetta finale di Papi, quella che fa il paio con la denuncia presentata dal Cavaliere contro le domande (avete letto bene, "le domande", del quotidiano di piazza Indipendenza). Adesso: per quanto molti antiberlusconiani siano convinti che tutti i giornalisti di destra siano dei prezzolati e dei pennivendoli, non è e non non sarà mai così. Di più: considero una fatto di grande civiltà che molti colleghi – anche molti che sono solidamente su posizioni di centrodestra – non condividano una virgola della campagna occhio-per-occhio di Feltri, perché la considerano aliena ai principi del giornalismo (anche di quello schierato) e sostanzialmente truce. Però attenzione, gli obiettivi originari erano almeno quattro: la Chiesa, l’Opposizione, l’editore progressista e il direttore di piazza Indipendenza. Se nei prossimi giorni non troverete questo articolo sulla moglie di Ezio Mauro sulle pagine del Giornale, dovrete fare un po’ di conto, e capire che se non c’è è per un solo motivo: perché qualcuno si è rifiutato di scriverlo. Sarebbe molto bello, dopotutto, se l’anziano (di testa, non di anagrafe) cavallerizzo di via Negri, questa, e altre polpette al cianuro, fosse costretto a cucinarsele da solo.
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Un'ipotesi che comincia a girare

Dietro l'improvvisa decisione di Boffo forse l'intervento del Papa.

Secondo Marco Tosatti che su La Stampa.it cura il blog "San Pietro e dintorni", è probabile che dietro le dimissioni improvvise di Dino Boffo dalle cariche che deteneva nella comunicazione ecclesiale ci sia una sollecitazione di Benedetto XVI.
Scrive il giornalista de La Stampa: «Non ci sarà mai nessuna conferma di questa ipotesi; ma forse non è lontano dal vero pensare che dietro le dimissioni del direttore di "Avvenire", da vari giorni nella bufera in seguito agli attacchi che gli ha riservato "Il Giornale" ,ci sia una sollecitazione di Papa Ratzinger.»
Ed il blogger continua: «Rileggiamo insieme il comunicato con cui si dava notizia della telefonata fra l'Appartamento pontificio e il cardinale arcivescovo di Genova, Angelo Bagnasco: "La Cei ha reso noto che oggi pomeriggio è intercorsa 'una telefonata tra Papa Benedetto XVI e il presidente della Conferenza episcopale Italiana e arcivescovo di Genova, card. Angelo Bagnasco'. Nel corso della conversazione - riferisce una nota dell’Ufficio per le comunicazioni sociali della Cei - il Papa 'ha chiesto notizie e valutazioni sulla situazione attuale ed ha espresso stima, gratitudine ed apprezzamento per l’impegno della Conferenza episcopale Italiana e del suo presidente'"».
Insomma, per Marco Tosatti, «Papa Ratzinger ha chiesto "notizie e valutazioni". E alla fine della riflessione forse non sbagliamo a pensare che l'orso che figura nel suo stemma abbia assestato una zampata decisiva, per togliere la Chiesa e lo stesso direttore di Avvenire da un'impasse micidiale, destinato inevitabilmente a peggiorare con il passare dei giorni».
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Il mandante del delitto

Sempre da Repubblica.it riprendiamo per divulgarlo nel nostro piccolo il commento di Giuseppe D'Avanzo.
Il commento. Mandante e utilizzatore.
Rassegna stampa.

Mai come oggi, i caratteri del "male italiano" sono il conformismo, l'obbedienza, l'inazione. Anche ora che un assassinio è stato commesso sotto i nostri occhi. Assassinio.
Con quale altra formula si può definire - in un mondo governato dalla comunicazione - la deliberata e brutale demolizione morale e professionale di Dino Boffo, direttore dell'Avvenire, "reo" di prudentissimi rilievi allo stile di vita di Quello-Che-Comanda-Tutto? Un funzionario addetto al rito distruttivo - ha la "livrea" di Brighella, dirige il Giornale del Padrone - "carica il fucile". Così dice. Il proiettile è un foglietto calunnioso, anonimo, privo di alcun valore. Si legge che Boffo è un "noto omossessuale". La diceria medial-poliziesca ripetuta tre o quattro volte assume presto la qualità di un prova storica. Non lo è. Non lo è mai stata. Brighella è un imbroglione e lo sa, ma è lì per sbrigare un lavoro sporco. Gli piace farlo. Se lo cucina, goloso. Colto con le mani nel sacco delle menzogne, parla ora d'altro: qualcuno gli crede perché sciocco o pavido. Non è Brighella a intimorire. È Quello-Che-Comanda-Tutto. È lui il mandante di quel delitto. È lui il responsabile politico. Contro Silvio Berlusconi ci sono quattro indizi. Già in numero di tre, si dice, valgono una prova.
Il primo indizio ha un carattere professionale. Qualsiasi editore che si fosse trovato tra i piedi un direttore che, con un indiscutibile falso, solleva uno scandalo che mette in imbarazzo Santa Sede, Conferenza episcopale, comunità cattoliche gli avrebbe chiesto una convincente spiegazione per l'infortunio professionale. In caso contrario, a casa. A maggior ragione se quell'editore è anche (come può accadere soltanto in Italia) un capo di governo che tiene in gran conto i rapporti con il Papa, i vescovi, l'opinione pubblica cattolica. Non è accaduto nulla di tutto questo. Gianni Letta ha dovuto minacciare le dimissioni per convincere Berlusconi a mettere giù due righe di "dissociazione". Può dissociarsi soltanto chi è associato e tuttavia nei giorni successivi, mentre il lento assassinio di Boffo continua, non si ode una parola di disagio dell'editore-premier a dimostrazione che il vincolo dell'associazione è ben più stretto di quella rituale presa di distanza: Berlusconi vuole far sapere Oltretevere che non ammette né critici né interlocutori né regole.
Il secondo indizio è documentale. Il 21 agosto, Mario Giordano, direttore del Giornale, è costretto a lasciare la poltrona a Brighella. Ne spiega così le ragioni ai suoi lettori: "Nelle battaglie politiche non ci siamo certi tirati indietro (...) Ma quello che fanno le persone dentro le loro camere da letto (siano essi premier, direttori di giornali, editori, ingegneri, first lady, body guard o avvocati) riteniamo siano solo fatti loro. E siamo convinti che i lettori del Giornale non apprezzerebbero una battaglia politica che non riuscisse a fermare la barbarie e si trasformasse nel gioco dello sputtanamento sulle rispettive alcove". Giordano non poteva essere più chiaro: mi è stato chiesto (e da chi, se non dall'editore-premier?) di fare del mio quotidiano una bottega di miasmi, per decenza non me la sono sentita e lascio l'incarico a chi quel lavoro sporco è disposto a farlo. Che il Giornale sia diventato un'officina di veleni lo conferma un redattore in fuga. Luca Telese, sul suo blog, racconta di dossier e schifezze già pronte al Giornale contro "giornalisti o parenti di giornalisti di Repubblica". L'indiscrezione è confermata in Parlamento da "uomini vicini al premier" (la Stampa, 29 agosto)
Il terzo indizio è, diciamo così, politico e cronachistico. Berlusconi, incapace di governare nonostante i numeri in eccesso e un'opposizione fragile, ha "rinunciato al suo profilo riformatore" (Il Foglio, 31 agosto). Non ha più alcun "fine". Difende soltanto "i mezzi", il suo potere personale. Lo vuole assoluto. Conosce un unico metodo per tenerselo ben stretto nelle mani: un giornalismo pubblicitario e servile che consenta di annullare ciò che accade nel Paese a vantaggio di una narrazione fatta di emozioni e immagini composte e ricomposte secondo convenienza; un racconto che elimina ogni criterio di verità; un caleidoscopio mediatico che produce un'ignoranza delle cose utile a credere in un'Italia meravigliosa senza alcun grave problema, in pace con se stessa, governata da un "Superman". Per questa ragione Berlusconi ingaggia l'obbediente Augusto Minzolini al telegiornale del servizio pubblico Rai. Per la stessa ragione, ma di segno opposto, liquida in un paio di mesi tre direttori di giornale. 2 dicembre 2008. Il Corriere della sera (direttore Paolo Mieli) e la Stampa (direttore Giulio Anselmi) rilevano il conflitto d'interessi dietro la decisione di inasprire l'Iva per Sky, diretto concorrente di Mediaset. Da Tirana, Berlusconi lancia il suo "editto": "I direttori di giornali, come la Stampa e il Corriere dovrebbero cambiare mestiere". 10 febbraio. Enrico Mentana, fondatore del Tg5 e anchorman di Matrix, non riesce a ottenere uno spazio informativo da Canale5 per raccontare la morte di Eluana Englaro. Protesta. L'Egoarca lo licenzia su due piedi. In aprile l'editto di Tirana trova il suo esito. Il 6, Mieli lascia il Corriere. Il 20, tocca ad Anselmi. Mentana non è più tornato in video. Anselmi e Mieli non fanno più i giornalisti. Hanno davvero cambiato mestiere.
Il quarto indizio contro Berlusconi è concreto, diretto e recente. Quando non può licenziare o far licenziare i giornalisti che hanno rispetto di se stessi, Quello-Che-Comanda-Tutto organizza contro di loro intimidazioni: trascina in tribunale Repubblica colpevole di avergli proposto dieci domande e l'Unità per gli editoriali - quindi, per le opinioni - che pubblica. O dispone selvagge aggressioni. È il responsabile politico dell'assassino morale di Boffo preparato da Brighella. La maschera salmodiante combina campagne di denigrazione contro l'editore e il direttore di questo giornale. Poi l'editore-premier - come utilizzatore finale - si incarica di far esplodere quelle calunnie con pubbliche dichiarazioni rilanciate al tiggì della sera dall'obbediente Minzolini, che tace su tutto il resto.
Questa è la scena del delitto perfetto della realtà e del giornalismo. Sono in piena luce gli assassinii, gli assassinati, gli uccisori, il mandante. Vi si scorge anche un coro soi-disant neutrale. Vi fanno parte politici di prima e seconda fila che dicono: basta, torniamo alla realtà dei problemi del Paese. È proprio vero che "la pratica del potere ispessisce le cotenne". Queste teste gloriose, soffocate nella propria autoreferenzialità, non comprendono che è appunto questa la posta in gioco: la possibilità stessa di portare alla luce la realtà, di evitarne la distruzione, di raccontarla; di non fare incerta la distinzione tra reale e fittizio come Berlusconi pretende dai giornalisti anche a costo di annientare chi non accetta di farsi complice o disciplinato. Il dominio di Quello-Che-Comanda-Tutto passa, oggi e prima di ogni altra cosa, da questa porta. La volontà di tanti giornalisti "normali" che chiedono soltanto di fare il proprio lavoro con onestà e dignità ne esce umiliata. La loro inazione oggi non ha più una ragion d'essere di fronte alla brutalità dei "delitti" che abbiamo sotto gli occhi. La prudenza che induce tanti, troppi a decidere che qualsiasi azione o reazione sia impossibile, non li salverà. Il conformismo non li proteggerà. Il mandante dei delitti è un proprietario che conosce soltanto dipendenti docili e fedeli. Se non lo sei, ti bracca, ti sbrana, ti digerisce.
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«Dalla carta stampata colerà sangue e qualcosa d'immondo»

Per problemi di connessione con il sito di Avvenire, raccogliamo e contribuiamo a divulgare il testo completo della lettera del direttore Boffo, dal sito di Repubblica.it
"Un attacco capzioso e feroce, qualcuno dovrà spiegare"
Ecco il testo integrale della lettera con la quale Dino Boffo ha rassegnato le dimissioni dalla direzione di 'Avvenire'.

Rassegna stampa.

Dino Boffo si è dimesso dalla direzione del quotidiano dei vescovi "Avvenire". Ecco il testo integrale della sua lettera di dimissioni inviata al cardinale Angelo Bagnasco, presidente della Conferenza Episcopale Italiana.

"Da sette giorni la mia persona è al centro di una bufera di proporzioni gigantesche che ha invaso giornali, televisioni, radio, web, e che non accenna a smorzarsi, anzi. La mia vita e quella della mia famiglia, le mie redazioni, sono state violentate con una volontà dissacratoria che non immaginavo potesse esistere. L'attacco smisurato, capzioso, irritualmente feroce che è stato sferrato contro di me dal quotidiano 'Il Giornale' guidato da Feltri e Sallusti, e subito spalleggiato da 'Libero' e dal 'Tempo', non ha alcuna plausibile, ragionevole, civile motivazione: un opaco blocco di potere laicista si è mosso contro chi il potere, come loro lo intendono, non ce l'ha oggi e non l'avrà domani".
"Qualcuno, un giorno, dovrà pur spiegare perchè ad un quotidiano, 'Avvenire', che ha fatto dell'autonomia culturale e politica la propria divisa, che ha sempre riservato alle istituzioni civili l'atteggiamento di dialogo e di attenta verifica che è loro dovuto, che ha doverosamente cercato di onorare i diritti di tutti e sempre rispettato il responso elettorale espresso dai cittadini, non mettendo in campo mai pregiudizi negativi, neppure nei confronti dei governi presieduti dall'onorevole Berlusconi, dovrà spiegare, dicevo, perchè a un libero cronista, è stato riservato questo inaudito trattamento.
"E domando: se si fa così con i giornalisti indipendenti, onesti, e per quanto possibile, nella dialettica del giudizio, collaborativi, quale futuro di libertà e di responsabilità ci potrà mai essere per la nostra informazione? Quando si andranno a rileggere i due editoriali firmati da due miei colleghi, il 'pro' e 'contro' di altri due di essi, e le mie tre risposte ad altrettante lettere che 'Avvenire' ha dedicato durante l'estate alle vicende personali di Silvio Berlusconi, apparirà ancora più chiaramente l'irragionevolezza e l'autolesionismo di questo attacco sconsiderato e barbarico".
"Grazie a Dio, nonostante le polemiche, e per l'onestà intellettuale prima del ministro Maroni e poi dei magistrati di Terni, si è chiarito che lo scandalo sessuale inizialmente sventagliato contro di me, e propagandato come fosse verità affermata, era una colossale montatura romanzata e diabolicamente congegnata. Fin dall'inizio si era trattato d'altro.
"Questa risultanza è ciò che mi dà più pace, il resto verrà, io non ho alcun dubbio. E tuttavia le scelte redazionali che da giorni taluno continua accanitamente a perseguire nei vari notiziari dicono a me, uomo di media, che la bufera è lungi dall'attenuarsi e che la pervicace volontà del sopraffattore è di darsi ragione anche contro la ragione. Un dirigente politico lunedì sera osava dichiarare che qualcuno vuole intimorire Feltri; era lo stesso che nei giorni precedenti aveva incredibilmente affermato che l'aggredito era proprio il direttore del 'Giornale', e tutto questo per chiamare a raccolta uomini e mezzi in una battaglia che evidentemente si vuole ad oltranza".
"E mentre sento sparare i colpi sopra la mia testa mi chiedo: io che c'entro con tutto questo? In una guerra tra gruppi editoriali, tra posizioni di potere cristallizzate e prepotenti ambizioni in incubazione, io, ancora, che c'entro? Perchè devo vedere disegnate geografie ecclesiastiche che si fronteggerebbero addirittura all'ombra di questa mia piccola vicenda? E perchè, per ricostruire fatti che si immaginano fatalmente miei, devo veder scomodata una girandola di nomi, di persone e di famiglie, forse anche ignare, che avrebbero invece il sacrosanto diritto di vedersi riconosciuto da tutti il rispetto fondamentale? Solo perchè sono incorso, io giornalista e direttore, in un episodio di sostanziale mancata vigilanza, ricondotto poi a semplice contravvenzione?
"Mi si vuole a tutti i costi far confessare qualcosa, e allora dirò che se uno sbaglio ho fatto, è stato non quello che si pretende con ogni mezzo di farmi ammettere, ma il non aver dato il giusto peso ad un reato 'bagatellare', travestito oggi con prodigioso trasformismo a emblema della più disinvolta immoralità.
"Feltri non si illuda, c'è già dietro di lui chi, fregandosi le mani, si sta preparando ad incamerare il risultato di questa insperata operazione: bisognava leggerli attentamente i giornali, in questi giorni, non si menavano solo fendenti micidiali, l'operazione è presto diventata qualcosa di più articolato. Ma a me questo, francamente, interessa oggi abbastanza poco. Devo dire invece che non potrò mai dimenticare, nella mia vita, la coralità con cui la Chiesa è scesa in campo per difendermi: mai - devo dire - ho sentito venir meno la fiducia dei miei Superiori, della Cei come della Santa Sede.
"Se qualche vanesio irresponsabile ha parlato a vanvera, questo non può gettare alcun dubbio sulle intenzioni dei Superiori, che mi si sono rivelate sempre esplicite e, dunque, indubitabili. Ma anche qui non posso mancare di interrogarmi: io sono, da una vita, abituato a servire, non certo a essere coccolato o ancor meno garantito. La Chiesa ha altro da fare che difendere a oltranza una persona per quanto gratuitamente bersagliata".
"Per questi motivi, Eminenza carissima, sono arrivato alla serena e lucida determinazione di dimettermi irrevocabilmente dalla direzione di 'Avvenire', 'Tv2000' e 'Radio Inblu', con effetto immediato. Non posso accettare che sul mio nome si sviluppi ancora, per giorni e giorni, una guerra di parole che sconvolge la mia famiglia e soprattutto trova sempre più attoniti gli italiani, quasi non ci fossero problemi più seri e più incombenti e più invasivi che le scaramucce di un giornale contro un altro.
"E poi ci lamentiamo che la gente si disaffeziona ai giornali: cos'altro dovrebbe fare, premiarci? So bene che qualcuno, più impudico di sempre, dirà che scappo, ma io in realtà resto dove idealmente e moralmente sono sempre stato. Nessuna ironia, nessuna calunnia, nessuno sfregamento di mani che da qui in poi si registrerà potrà turbarmi o sviare il senso di questa decisione presa con distacco da me e considerando anzitutto gli interessi della mia Chiesa e del mio amato Paese. In questo gesto, in sè mitissimo, delle dimissioni è compreso un grido alto, non importa quanto squassante, di ribellione: ora basta.
"In questi giorni ho sentito come mai la fraternità di tante persone, diventate ad una ad una a me care, e le ringrazio della solidarietà che mi hanno gratuitamente donato, e che mi è stata preziosa come l'ossigeno. Non so quanti possano vantare lettori che si preoccupano anche del benessere spirituale del 'loro' direttore, che inviano preghiere, suggeriscono invocazioni, mandano spunti di lettura: io li ho avuti questi lettori, e Le assicuro che sono l'eredità più preziosa che porto con me. Ringrazio sine fine le mie redazioni, in particolare quella di 'Avvenire' per il bene che mi ha voluto, per la sopportazione che ha esercitato verso il mio non sempre comodo carattere, per quanto di spontanea corale intensa magnifica solidarietà mi ha espresso costantemente e senza cedimenti in questi difficili giorni. Non li dimenticherò. La stessa gratitudine la devo al Presidente del CdA, al carissimo Direttore generale, ai singoli Consiglieri che si sono avvicendati, al personale tecnico amministrativo e poligrafico, alla mia segreteria, ai collaboratori, editorialisti, corrispondenti.
"Gli obiettivi che 'Avvenire' ha raggiunto li si deve ad una straordinaria sinergia che puntualmente, ogni mattina, è scattata tra tutti quelli impegnati a vario titolo nel giornale. So bene che molti di questi colleghi e collaboratori non condividono oggi la mia scelta estrema, ma sono certo che quando scopriranno che essa è la condizione perchè le ostilità si plachino, capiranno che era un sacrificio per cui valeva la pena.
"Eminenza, a me, umile uomo di provincia, è capitato di fare il direttore del quotidiano cattolico nazionale per ben 15 degli straordinari anni di pontificato di Giovanni Paolo II e di Benedetto XVI: è stata l'avventura intellettuale e spirituale più esaltante che mi potesse capitare. Un dono strepitoso, ineguagliabile. A Lei, Eminenza carissima, e al cardinale Camillo Ruini, ai segretari generali monsignor Betori e monsignor Crociata, a ciascun Vescovo e Cardinale, proprio a ciascuno la mia affezione sconfinata: mi è stato consentito di essere, anzi sono stato provocato a pormi quale laico secondo l'insegnamento del Concilio, esattamente come avevo studiato e sognato negli anni della mia formazione.
"La Chiesa mia madre potrà sempre in futuro contare sul mio umile, nascosto servizio. Il 3 agosto scorso, in occasione del cambio di direzione al quotidiano 'Il Giornale', scriveva Giampaolo Pansa: 'Dalla carta stampata colerà il sangue e anche qualcosa di più immondo. E mi chiedo se tutto questo servirà a migliorare la credibilità del giornalismo italiano. La mia risposta è netta: no. Servirà soltanto a rendere più infernale la bolgia che stiamo vivendo'.
Alla lettura di queste righe, Eminenza, ricordo che provai un certo qual brivido, ora semplicemente sorrido: bisognerebbe che noi giornalisti ci dessimo un po' meno arie e imparassimo ad essere un po' più veri secondo una misura meno meschina dell'umano. L'abbraccio, con l'ossequio più affettuoso".
Firmato, Dino Boffo
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Assassinio nella redazione d'un giornale

Il direttore dell'Avvenire Dino Boffo ha rassegnato le dimissioni con una lettera al presidente del consiglio di amministrazione del quotidiano mons. Marcello Semeraro. "Eminenza Reverendissima, da sette giorni la mia persona è al centro di una bufera di proporzioni gigantesche che ha invaso giornali, televisioni, radio, web, e che non accenna a smorzarsi, anzi. La mia vita e quella della mia famiglia, le mie redazioni, sono state violentate con una volontà dissacratoria che non immaginavo potesse esistere". Inizia così la lettera con la quale il direttore di Avvenire, Dino Boffo ha rassegnato le dimissioni. La missiva è indirizzata al presidente della Cei, Angelo Bagnasco.
"Nonostante le polemiche, e per l'onestà intellettuale prima del ministro Maroni e poi dei magistrati di Terni, si è chiarito che lo scandalo sessuale inizialmente sventagliato contro di me, e propagandato come fosse verità affermata, era una colossale montatura romanzata e diabolicamente congegnata". È quanto scrive Dino Boffo nelle sue dimissioni da direttore di Avvenire, presentate oggi al presidente della Cei, Angelo Bagnasco. "Questa risultanza è ciò che mi dà più pace, il resto verrà, io non ho alcun dubbio - continua -. E tuttavia le scelte redazionali che da giorni taluno continua accanitamente a perseguire nei vari notiziari dicono a me, uomo di media, che la bufera è lungi dall'attenuarsi e che la pervicace volontà del sopraffattore è di darsi ragione anche contro la ragione".
"Mentre sento sparare i colpi sopra la mia testa mi chiedo: io che c'entro con tutto questo? In una guerra tra gruppi editoriali, tra posizioni di potere cristallizzate e prepotenti ambizioni in incubazione, io - ancora - che c'entro?". È quanto si chiede Dino Boffo nella lettera di dimissioni da direttore di Avvenire presentata oggi al cardinal Angelo Bagnasco, presidente della Cei. "Perché - continua - devo vedere disegnate geografie ecclesiastiche che si fronteggerebbero addirittura all'ombra di questa mia piccola vicenda? E perché, per ricostruire fatti che si immaginano fatalmente miei, devo veder scomodata una girandola di nomi, di persone e di famiglie, forse anche ignare, che avrebbero invece il sacrosanto diritto di vedersi riconosciuto da tutti il rispetto fondamentale? Solo perché sono incorso, io giornalista e direttore, in un episodio di sostanziale mancata vigilanza, ricondotto poi a semplice contravvenzione?". Boffo sostiene poi che "mi si vuole a tutti i costi far confessare qualcosa, e allora dirò che se uno sbaglio ho fatto, è stato non quello che si pretende con ogni mezzo di farmi ammettere, ma il non aver dato il giusto peso ad un reato 'bagatellare', travestito oggi con prodigioso trasformismo a emblema della più disinvolta immoralità".
Boffo si rivolge poi al direttore del 'Giornale' Vittorio Feltri: "Non si illuda, c'è già dietro di lui chi, fregandosi le mani, si sta preparando ad incamerare il risultato di questa insperata operazione: bisognava leggerli attentamente i giornali, in questi giorni, non si menavano solo fendenti micidiali, l'operazione è presto diventata qualcosa di più articolato. Ma a me questo, francamente, interessa oggi abbastanza poco".
Il presidente della Conferenza Episcopale Italiana, cardinale Angelo Bagnasco, ha preso atto, "con rammarico, delle dimissioni irrevocabili del dottor Dino Boffo dalla direzione di Avvenire, TV2000 e RadioInblu. Nel confermargli, personalmente e a nome dell'intero episcopato, profonda gratitudine per l'impegno profuso in molti anni con competenza, rigore e passione, nel compimento di un incarico tanto prezioso per la vita della Chiesa e della società italiana, esprime l'inalterata stima per la sua persona, oggetto di un inqualificabile attacco mediatico. Apprezzando l'alta sensibilità umana ed ecclesiale che lo ha sempre ispirato, gli manifesta vicinanza e sostegno nella prova, certo che il suo servizio alla Chiesa e alla comunità civile non verrà meno.
Questa mattina Avvenire pubblicava una lista di faq che metteva in evidenza il complotto ed il killeraggio mediatico attuato contro il suo direttore.
La vicenda Feltri.
Quelle dieci falsità e la realtà dei fatti.

Rassegna stampa.

1) Boffo "noto omosessuale" e protagonista di una 're­lazione' con un uomo sposato segnalata in atti del Tribunale di Terni.
FALSO - Questo è stato affermato dal 'Giornale' sulla base di una lettera anonima diffa­matoria, definita falsamente 'nota infor­mativa' di matrice giudiziaria e fatta altrettanto falsamen­te assurgere addirittura alla dignità di risultanza 'dal ca­sellario giudiziario' che in realtà, come ogni altro atto del procedimento, non conteneva alcun riferimento alle 'in­clinazioni sessuali' e a 'relazioni' del direttore di ’’Avveni­­re’’. Lo ha confermato il gip di Terni Pierluigi Panariello il 31 agosto: «Nel fascicolo riguardante Dino Boffo non c’è as­solutamente alcuna nota che riguardi le sue inclinazioni ses­suali ».

2) Boffo "attenzionato" dalla Polizia di Stato per le sue 'frequentazioni'.
FALSO - Anche questa affermazione, grave e ridi­cola al tempo stesso, è tratta non da atti giudiziari ma dalla stessa lettera anonima che il 'Giornale' ha utilizzato per il suo attacco a Boffo. La schedatura è stata smentita dal ministro dell’Interno do­po pronta verifica fatta compiere nella struttura centrale e periferica della pubblica sicurezza.

3) Boffo "querelato" da una signora di Terni.
FALSO - A Terni fu sporta denuncia/querela non contro Boffo, ma contro ignoti da sogget­ti che ben conoscevano Boffo e la voce di Boffo e che, quando hanno scoperto che era stato ipotiz­zato il coinvolgimento del cellulare in uso al suo ufficio, hanno rimesso la querela.

4) Ci sono "intercettazioni" che accusano Boffo.
FALSO - Solo la lettera anonima parla di intercetta­zioni. Agli atti, invece, ci sono tabulati dai quali emergono telefonate partite da una delle utenze mobili che erano nella disponibilità di Boffo. Il gip di Terni Panariello lo ha confermato il 31 agosto.

5) Boffo ha dichiarato di "non aver mai conosciuto" la donna di Terni colpita da molestie telefoniche.
FALSO - Come già detto, Boffo conosceva i desti­natari delle telefonate, i quali, dunque, co­noscevano la sua voce. Il "Giornale" non può, tuttavia, nella sua montatura accettare un elemento antitetico alla sola idea della colpevolezza di Boffo.

6) Boffo si è difeso indicando un’altra persona come coinvolta in una storia a sfondo "omosessuale".
FALSO - L’omosessualità in questa vicenda è stata pruriginosamente tirata in ballo dall’e­stensore della famigerata "informativa" a­nonima e dal 'Giornale' che ha coagulato l’attacco diffa­matorio proprio su questo punto. Boffo ha solo e sempre dichiarato ai magistrati di essere ar­rivato alla conclusione che quel telefono cellulare, che era nella disponibilità sua e del suo Ufficio, fosse stato utiliz­zato da una terza persona che si trovava nelle condizioni lavorative per farlo. Il gip di Terni ha dichiarato che tale pista sul piano giudi­ziario non è stata "approfondita" perché non 'ritenuta at­tendibile da chi indagava', il quale evidentemente non co­nosceva i tempi e gli orari della professione giornalistica.

7) Nelle telefonate attribuite a Boffo ci sarebbero state 'intimidazioni' e "molestie" a sfondo 'sessuale', anzi 'omossessuale'. E sarebbero state accompagnate da 'pedinamenti'.
FALSO - Le affermazioni del "Giornale" sono prive di fondamento. Boffo si è sempre dichiarato e­straneo a una vicenda nella quale, anche presa solo come è stata presentata, sul piano giudiziario non include "pedinamenti" né molestie legate alla sfera 'ses­suale'. L’appiglio per chi ha cercato di far circolare un’idea opposta giace nel fatto che agli atti c’è un riferimento ad 'al­lusioni' a 'rapporti sessuali'. Ma, ha specificato il gip di Ter­ni il 1° settembre, "tra la donna e il suo compagno".

8) Boffo in qualche modo ammise di essere colpevole e diede incarico al suo legale di "patteggiare" la pena.
FALSO - Boffo non ha patteggiato alcunché e ha sempre rigettato l’accusa di essere stato au­tore di telefonate moleste. Ha considerato a lungo la questione giudiziaria ternana senza sostanziale im­portanza, in particolare successivamente alla remissione di querela sporta dalle persone interessate, tanto che in occa­sione della ricezione del decreto penale di condanna – lo si ri­badisce: successivamente alla remissione di querela da parte delle interessate – non si rivolse ad alcun legale. Boffo non aveva dato soverchio peso al decreto in questione, in quan­to l’aveva ritenuto una semplice definizione amministra­tiva, conseguente agli effetti della remissione.

9) Boffo ha reso pubbliche "ricostruzioni" della vicenda.
FALSO - Boffo non ha reso pubblica alcuna rico­struzione della vicenda e ciò che Avveni­re ha pubblicato è sotto gli occhi di tutti. Nessun’altra persona, nessun particolare, nessun ente e i­stituzione è stato indicato, citato o chiamato in causa dal direttore di Avvenire. Boffo nonostante il pesantissimo at­tacco diffamatorio del "Giornale" non intende consegna­re niente e nessuno al tritacarne mediatico generato e col­tivato dal 'Giornale'. Sul 'Giornale' anche a questo proposito si scrive il con­trario. È l’ennesima dimostrazione di come su quella te­stata si stia facendo sistematica e maligna disinformazio­ne.

10) La "nota informativa" non è una lettera anonima diffamatoria e una "patacca" ma il contenuto del decreto penale relativo alla vicenda di Terni.
FALSO - La cosiddetta "informativa" è un testo gra­vemente diffamatorio contro Boffo di in­certa (per ora) origine, ma sicuramente non scritto in sede giudiziaria né per sede giudiziaria e non attinente alla vicenda ternana alla quale è stato surretti­ziamente 'appiccicato' all’interno di una missiva anonima dopo essere stato ideato allo scopo. Sul "Giornale" i giornalisti autori dell’aggressione contro il direttore di Avvenire continuano, persino dopo i chiari­menti intervenuti, a sostenere la sua autenticità. Dire che è una 'patacca', secondo costoro, sarebbe una "bugia". E questo è comprensibile visto che la campagna diffamato­ria incredibilmente ingaggiata dal "Giornale" si basa, sin dal­l’inizio, sulle gravissime affermazioni e deformazioni con­tenute in quel testo anonimo.
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Quasi un lapsus freudiano

La gag dello sparare sui giornalisti.
VideoPost.

Ho faticato in Internet a trovare una copia del Tg3 che raccontava del gesto tanto sconsiderato quanto premonitore di Berlusconi verso una giornalista russa alla conferenza stampa seguita al suo incontro con Putin qui da noi in Italia. A dire il vero ne ho trovato altri, ma purtroppo tanti youtubisti vogliono metterci del proprio nei filmati che condividono nella rete indulgendo al proprio narcisismo ma spesso danneggiando, quando non rovinando, documenti che assumono o possono assumere valenza storica. Anche il filmato riportato non è esente da questa pecca, per evidenziare inutilmente il gesto viene forzatamente rallentato e ripetuto. Tuttavia è il migliore che ho trovato - se qualcuno ne conosce una copia esente dal "difetto" ce la segnali.
Dicevo gesto sconsiderato perché rivolto ad una giornalista russa, e la cronaca ci ha reso ben informati di come il suo paese sia un luogo dove i giornalisti vengono uccisi per molto meno. Premonitore perché in fin dei conti la domanda rivolta dalla giornalista a Putin, che ha scatenato l'inconscio di Berlusconi, era del genere di "colpa" che viene imputata al nostro premier. E quanto sta succedendo in questi giorni sembra essere un passare in casa nostra ai fatti.

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Un gioco di numeri

Il bilancio provinciale.
Niente fondi ai lavori sull’Adda.
Ma è solo un gioco contabile.

Rassegna stampa - Guido Bandera, Il Giorno di oggi.

Alla fine nessun taglio reale. Solo una manovra economica legata a contributi regionali. I lavori sull’argine dell’Adda fra Lodi e Boffalora si faranno. Ad incaricarsene è il Comune di Lodi che è la «stazione appaltante» del progetto. Per questo, la Regione, che aveva destinato a questi lavori 700mila euro dal proprio bilancio, non verserà più la cifra del contributo sul bilancio della Provincia, che a sua volta avrebbe dovuto girarli a Palazzo Broletto, ma li verserà direttamente all’Amministrazione comunale di Lodi.
Ecco perché la variazione di bilancio di Palazzo San Cristoforo, varata ieri mattina dalla Giunta di Pietro Foroni, ha cancellato l’entrata di 700mila euro dalla Regione e il contributo destinato ai lavori per le difese spondali dell’Adda. In sostanza, quindi, la manovra economica della Provincia sarebbe senza «salassi» per il Lodigiano. I fondi necessari per far quadrare il bilancio sono stati trovati direttamente nelle casse di Palazzo San Cristoforo.
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Come ti denuncio l'Unità

Anche oggi daremo ampio spazio ai protagonisti dell'armageddon mediatico. Cominciamo con questo articolo di Liana Milella su Repubblica.it.
Il documento. Ecco la denucia di Berlusconi all'Unità.
Trenta pagine per sostenere che il premier è stato "diffamato e calunniato".
Il Cavaliere tra intercettazioni hard "delirio senile" e "sesso malato".
Rassegna stampa.

Roma - No. Basta. Chi dice che Berlusconi è "un soggetto aduso a pretese iniezioni sui corpi cavernosi del pene oppure è affetto da problemi di erezioni" va punito. Lo ha scritto l'Unità il 13 luglio e il 6 agosto? Il premier, per mano del suo "legale rappresentante" a Roma avvocato Fabio Lepri, attacca il quotidiano, gli chiede tre milioni di euro di risarcimento, sostiene di essere stato ripetutamente "diffamato e calunniato".
Trenta pagine, in due distinte citazioni per due numeri del giornale, che vengono scritte per sostenere un'unica tesi. Questa: "Berlusconi viene presentato come protagonista di telefonate hard, come persona che impone, a fronte di collocazioni nel consiglio dei ministri o candidature elettorali, pesanti prestazioni sessuali". Affermazioni "false e lesive del suo onore, della sua reputazione, della sua immagine" scrive Lepri traducendo "l'indignazione del premier" in un atto giudiziario. Perché il presidente del Consiglio "viene presentato come soggetto che di certo non è", visto che è descritto "come una persona con problemi di erezione, che fa ricorso a misteriose iniezioni, che in modo spregevole impone prestazioni non gradite e le baratta con posti di governo o candidature elettorali". Insiste Lepri: "Il premier viene presentato come persona che intrattiene telefonate hard, poi intercettate, e i cui contenuti confermerebbero quanto sopra. E poi tenta di farle passare sotto silenzio, manipolando le televisioni, oppure per fini personali spingendo la Rai alla "guerra" contro Sky".
L'ossessione del delirio senile. L'avvocato Lepri traduce nelle citazioni contro l'Unità i leit motiv del Cavaliere. Scrive: "In scritti palesemente diffamatori, sia perché contengono falsità, sia perché sono comunque caratterizzati da forme insinuanti e diffamatorie, si presenta il dottor Berlusconi come persona affetta da una malattia, da un delirio senile di onnipotenza, che frequenterebbe perciò minorenni, parteciperebbe ad orge, incontrerebbe sessualmente prostitute e per tali attività non rispetterebbe neppure gli impegni istituzionali e opererebbe baratti col Vaticano per rifarsi una reputazione facendo approvare leggi contrarie agli interessi dei cittadini".
Sesso malato. Scrivendo ai giudici l'avvocato Lepri insiste: "L'Unità presenta Berlusconi come soggetto che di certo non è, ossia come una persona spregevole, "malata", che per il sesso (peraltro a pagamento) trascura i propri impegni istituzionali, arrivando addirittura a frequentare minorenni. Comunque una persona che sfrutta la propria carica politica per fini personali, promuovendo leggi al solo fine di "ingraziarsi" il Vaticano".
"Silvio è un porco". Il legale di Berlusconi contesta all'Unità di aver "recepito in toto facendole proprie le deliranti dichiarazioni" dell'ex parlamentare di Forza Italia Paolo Guzzanti, "aggiungendo del suo, condividendolo o addirittura utilizzandole per costruire altre falsità come la mendace "guerra" contro Sky". Il quotidiano non avrebbe dovuto "addirittura riportare dettagli a sfondo erotico". Contesta Lepri: "Si spazia da "rapporti anali non graditi", a "ore e ore di tormenti in attesa di una erezione che non fa capolino", da "discussioni sul prossimo set", a "consigli fra donne su come abbreviare i tormenti di una permanenza orizzontale pagata come pedaggio"". Il tutto, ci tiene a ribadirlo il legale del premier, "è completamente falso" perché "il dottor Berlusconi è stato presentato coram populo come persona diversa dalla realtà, sia nel privato che nel pubblico, la di lui immagine è stata deformata con attribuzione strumentale di fatti del tutto falsi e di condotte riprovevoli".
Intercettazioni hard. È uno dei peggiori incubi del premier. Le telefonate "calde" intercorse tra lui e alcune delle sue ministre. Per cui l'avvocato Lepri accusa l'Unità di aver messo in piedi una "premeditata strategia" quando ha titolato in prima pagina "L'intercettato" e ha poi dato conto delle notizie di colloqui tra il capo del governo e le esponenti di Forza Italia poi entrate a palazzo Chigi. S'indigna Lepri quando legge: "Vi sarebbero nastri di "celebri intercettazioni telefoniche tra signorine poi diventate ministro rimaste sui tavoli delle scrivanie delle redazioni, dei ministeri, degli uffici parlamentari il tempo necessario, poco, ma sufficiente a essere letti, fotocopiati, spediti in allegato per email a decine di persone"".
La D'Addario più di Silvio. "La reputazione del dottor Berlusconi è descritta come inferiore a quella di una prostituta". Così scrive l'avvocato Lepri contro l'Unità contestando i resoconti sul caso della escort barese Patria D'Addario e prendendosela con il direttore Concita De Gregorio quando afferma che "sarebbe più integra la reputazione della D'Addario piuttosto che quella di un uomo di Stato che promette solennemente una somma concordata per chi muore di fame in Africa e poi ne dispensa solo il 3%, cioè niente".
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Zittire con ogni mezzo il dissenso

Dal blog "Invece" di Concita De Gregorio, direttore de l'Unità riprendiamo il post di ieri sera.
Se non può comprare.

Così siamo al dunque. Quel che non si può comprare né corrompere deve tacere. Eccola qui la strategia d'autunno: zittire con ogni mezzo il dissenso, che ormai questo è diventato il semplice dovere di cronaca e diritto di critica. Il presidente del Consiglio, lo avete letto, è in guerra in queste settimane con i commissari europei, con le gerarchie ecclesiastiche, con i giornali che nel nostro paese e nel mondo documentano le sue gesta. Non ci sono in Italia molti organi d'informazione che non dipendano direttamente o indirettamente dal suo favore, dal suo smisurato potere economico e dal suo potere di influenza e di minaccia. Premere, corrompere o comprare. Dove non si può pagare, allora uccidere. Lo squadrismo mediatico di governo, forte di nuove reclute, è difatti al lavoro per distruggere le reputazioni dei giornalisti non a busta paga. Mezzi leciti e illeciti, menzogne, false prove, non importa. L'aggressione al direttore di Avvenire, che ieri persino Fini ha definito killeraggio. L'aggressione personale all'editore e al direttore di Repubblica, insieme la richiesta di risarcimento al giornale per aver posto dieci domande. L'Unità, unico quotidiano in Italia, le ha per due volte ripubblicate: è possibile giudicare diffamanti delle domande, non sarebbe doveroso rispondere? Il gruppo Prisa, editore del Paìs, è sotto offerta economica da parte di emissari spagnoli del premier. Ecco adesso l'attacco all'Unità. Due richieste di danni per una somma complessiva di 3 milioni di euro riferite non a un articolo o a un commento ma a due numeri del giornale nella loro interezza. Due numeri in cui ad alcune delle dieci domande si offriva risposta. I temi: lo stato della trattativa tra governo e Vaticano (indulgenza sulla condotta del premier contro leggi gradite oltretevere), il divieto di usare le intercettazioni telefoniche come strumento di indagine, lo stato della guerra privata del premier contro Sky e i danni che agli italiani ne derivano. Servizi di cronaca e libere opinioni, del resto da molti giornali anche stranieri condivisi. La novità, oggi, è che non si contesta un articolo ma un giornale intero. Una scrittrice, una editorialista, due giornaliste sono accusate insieme al direttore di aver concorso alla diffamazione che si dedurrebbe dal complesso generale dei loro scritti. È l'insieme che non gli piace. È il giornale: la sua linea, il suo tono. Chiedere un milione per ogni numero suona come un avvertimento: potrebbe farlo ogni giorno. Non vuole giustizia in sede penale, non gli interessa stabilire se quegli articoli riferiscano il vero. Vuole soldi. Minaccia di chiederne così tanti da ridurci al silenzio. Non accadrà, se accadesse sarà per sua mano. Come durante il fascismo, come quando la censura imponeva i sigilli.
È venuto il momento non solo di una grande mobilitazione, necessaria ma non sufficiente. È il momento di opporre allo strapotere dei soldi la politica, che sia quella l'argine al declino della democrazia. È anche venuto il momento, cari cittadini, di sostenere con forza rinnovata chi si sottrae alla logica del plutocrate. Di dare più forza alle voci del dissenso, ogni giorno. Non tanto e non solo per noi, che dal 1924 abbiamo conosciuto stagioni peggiori. Per tutti, per l'Italia che verrà.
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Solidarietà, ognuno pensa per sé

Pochi aderiscono al versamento di 2 euro ad abitante per gli aiuti a chi è senza ammortizzatori.
Fondo anticrisi, i Comuni si defilano.

Rassegna stampa - Il Giorno di oggi, Laura De Benedetti.

Sono stati 39 i lavoratori che sono stati ammessi alla prima tranche del Fondo di Solidarietà Provinciale e che dunque hanno ottenuto in questi giorni un primo concreto aiuto economico, anche se di differente entità, per un totale complessivo di 72.400 euro. Le più ‘premiate’ sono state le persone rimaste senza lavoro e senza sussidi che abitano nel capoluogo perché il contributo era raddoppiato solo per i lavoratori residenti in Comuni che avessero aderito al Fondo territoriale. Ma ad oggi risulta che, nonostante gli appelli lanciati dalle istituzioni e dai sindacati, solo la giunta di Lodi abbia effettuato questa scelta (versando 100 mila euro, la stessa quota della Provincia e della Fondazione Bpl, per un totale di 300 mila euro). Gli altri grandi centri del Lodigiano ed i paesi minori sembrano aver optato per formule di aiuto più dirette verso la propria cittadinanza. Alla prima scadenza del bando, il 31 luglio scorso, erano giunte in Provincia, attraverso i Caf e i Centri per l’Impiego 42 domande (chi non aveva i requisiti, piuttosto restrittivi, veniva subito respinto). Per la prossima scadenza, del 10 settembre, però sono già arrivate altre 98 domande di contributo e probabilmente ne arriveranno ancora in questi giorni.
«Ad agosto — spiega Elga Zuccotti, del Centro per l’Impiego della Provincia — abbiamo vagliato le prime 42 richieste dal punto di vista tecnico, per accertare che, effettivamente, il richiedente non stesse lavorando o ricevendo altri sussidi. Successivamente il Consorzio dei servizi alla Persona ha effettuato una verifica dal punto di vista strettamente sociale. Alla fine 3 domande sono state scartate per mancanza dei requisiti: in due casi il reddito era troppo alto, in uno il richiedente risultava occupato. Ai 39 ammessi al fondo, suddivisi tra uomini e donne pressoché equamente ma tutti con familiari a carico e situazioni economiche davvero drammatiche, sono stati erogati nei giorni scorsi contributi diversi, a seconda della situazione socio lavorativa, su valutazione del Consorzio». Ad una persona è stato assegnato un contributo una tantum; una seconda riceverà un contributo trimestrale; 14 persone verranno aiutate per 6 mesi; la maggior parte, 22 precari senza più lavoro o persone con contratti a tempo indeterminato licenziate, invece, avranno un contributo mensile per 9 mesi, seppur con verifiche periodiche di mantenimento dei requisiti; per un’ultima persona si sta decidendo la formula di aiuto. Il contributo varia: 6 residenti nel comune di Lodi riceveranno, con versamenti trimestrali, 400 euro al mese. Gli altri, residenti nei comuni che non hanno aderito, solo 200 euro al mese. Sei persone sono di Casale, quattro di Sant’Angelo, nessuna di Codogno (ma ve ne sono tra i 98 nuovi richiedenti), il resto sono distribuite a macchia di leopardo nei piccoli centri del Lodigiano. Le richieste che verranno presentate entro il 10 settembre saranno vagliate entro il 30 settembre, con erogazione dei fondi a partire da metà ottobre.

Gli scettici Sant’Angelo e Lodivecchio non si affidano al modello provinciale: ognuno spende per sé.
«Noi conosciamo meglio i cittadini, sappiamo cosa fare».

I Comuni del Lodigiano hanno scelto di non aderire al Fondo di Solidarietà provinciale preferendo, in un periodo di ristrettezze, riservare una quota ad iniziative dirette. Sia Sant’Angelo che Lodi vecchio, hanno, ad esempio, messo in campo fondi di solidarietà comunali. «Prima di tutti gli altri, già dall’anno scorso, abbiamo destinato 7.500 euro per assicurare il secondo anno di cassa integrazione speciale ad alcuni dipendenti dell’ex Sinterama — afferma il sindaco di Sant’Angelo, Domenico Crespi —. Il 26 marzo abbiamo approvato una variazione di bilancio appostando 100mila euro per un nostro fondo. Ora stiamo ridefinendo i requisiti di accesso anche se c’è già la possibilità di chiedere aiuto in caso di bisogno, come aggiustare la macchina rotta necessaria per andare al lavoro. Questo senza contare che ogni 2mesi la commissione servizi sociali assegna 4-5 mila euro a diversi beneficiari per circa 100 mila euro all’anno, a cui vanno aggiunti 50mila euro di contributo per gli affitti, erogati insieme alla Regione. A breve avrò un incontro con la Provincia: l’adesione al fondo provinciale, che per noi corrisponderebbe a circa 26mila euro calcolando 2 euro per abitante, non è esclusa. Abbiamo 4 milioni e 700 mila euro sui conti ma c’è il patto di stabilità da rispettare, con vincoli molto stretti».
«Lodivecchio ha 7.300 abitanti. I circa 15 mila euro che avremmo dovuto destinare al fondo provinciale li abbiamo invece dedicati ad un fondo di solidarietà extra, nostro, che si aggiunge alle normali agevolazioni in base al reddito sui servizi comunali — spiega il sindaco Giancarlo Cordoni —. Intendiamo aiutare soprattutto chi, perdendo il lavoro, non può pagare i servizi, valutando anche interventi con contributi diretti su segnalazione dei servizi sociali. La nostra comunità è piccola ed è più facile monitorare la situazione. Abbiamo almeno una decina di casi sotto controllo; in più due nuclei familiari sono stati aiutati dal fondo diocesano gestito dalla Caritas. È un periodo difficile anche per i comuni: quei 15 mila euro erano il nostro avanzo di amministrazione. Di risorse nuove non ce ne sono. Ma dedichiamo più di un milione di euro ai servizi sociali: è il nostro capitolo maggiore di spesa: siamo forse uno dei Comuni che si impegna di più su questo fronte».
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Clandestini, Codogno sceglie la delazione

Nel “pacchetto sicurezza” varato dalla giunta sono contenuti anche criteri più rigorosi per ottenere la residenza.
Il sindaco: «Segnalate a me gli irregolari».
Iniziativa di Dossena, farà da “ponte” fra i cittadini e i carabinieri.

Rassegna stampa - Il Cittadino di oggi, Luisa Luccini.

Immigrazione e sicurezza: riparte dal controllo del territorio l’azione del centrodestra che governa Codogno. E tra le novità una investe direttamente la figura del sindaco: aprendo una sorta di canale privilegiato (e riservato) di dialogo con i cittadini, proprio il primo cittadino Emanuele Dossena d’ora in avanti potrà ricevere direttamente le segnalazioni dei codognesi in merito a situazioni di ordine pubblico e sospetta legalità. Sarà poi compito di Dossena segnalare queste stesse situazioni alle forze dell’ordine e ai servizi territoriali competenti. Tenendo riservata l’identità di chi ha inoltrato la segnalazione.
«Sono convinto che ogni cittadino debba essere attore protagonista della tutela della legalità della propria città - commenta Dossena -. Il compito che ora mi assumo intende favorire proprio questa collaborazione. Perché ci possono essere cittadini che vedono o sospettano la presenza di una situazione di illegalità ma non vogliono esporsi in prima persona. Adesso potranno fare riferimento al sottoscritto, in forma riservata. Con segnalazioni, si badi bene. Non con denunce».
La decisione è stata presa dopo che proprio la sicurezza è stata al centro di approfondimenti tra le forze politiche del centrodestra. A preoccupare anche le voci su un possibile centro culturale islamico alla Mirandolina, sostitutivo di quello di Casale. A premere sull’acceleratore è stata la Lega Nord, che adesso esulta: «Ci siamo fatti promotori di una serie di proposte per il potenziamento della sicurezza di Codogno - interviene il commissario cittadino del Carroccio Andrea Negri -. Gli alleati le hanno condivise e le hanno fatte proprie».
Non è un caso che proprio in queste ore Negri parli di «segnale forte e chiaro dato alla città». E del resto “l’impronta” della Lega sul pacchetto sicurezza varato dal centrodestra è ben chiara. Soprattutto in tema di immigrazione. Annunciata già a giugno dal Carroccio, diventa adesso ufficiale la proposta di inserire come criterio per l’accesso ai contributi comunali la residenza a Codogno almeno da cinque anni. La proposta sarà presentata nella prossima commissione comunale ai servizi sociali. Nuovo fiato avrà poi la direttiva già emessa in passato da Dossena in tema di residenza: d’ora in avanti non ci sarà più margine di tolleranza, la residenza a Codogno sarà concessa solo a chi dimostrerà di avere un reddito annuo minimo di 5mila euro, alzato a 15mila euro se si ha familiare a carico. «Popolo delle Libertà e Lega vanno di pari passo - incalza Severino Giovannini, coordinatore cittadino del Pdl -. Il centrodestra è da anni che a Codogno investe sulla sicurezza. E così vuole continuare a fare, per il bene e la qualità di vita della città. Ce lo chiedono i cittadini, ce lo chiede il rispetto delle regole e della legalità».

Il Pd: «La destra cerca consenso con la paura»
Rifondazione: «Stiamo tornando al Ventennio».

«Sono estremamente preoccupato. Qui si sta recuperando l’amaro sapore del Ventennio. Mi stupisco come l’assessore Luigi Mori, iscritto all’Anpi, non abbia sollevato obiezioni». Non usa troppi giri di parole il consigliere comunale di Rifondazione Comunista Mario Zafferri: la sua è una contrarietà netta alla novità decisa dal centrodestra di designare il sindaco a “terminale riservato” delle segnalazioni dei cittadini in tema di sicurezza e ordine pubblico. «Diciamola tutta: questa è una decisione di sapore poco democratico, come cittadino mi sento alquanto preoccupato - sbotta Zafferri -. Il sindaco parla di segnalazioni? Io le definirei piuttosto delazioni. E poco mi piace che si accetti una delazione garantendo l’anonimato al delatore».
E così la polemica si allarga. Perché ci sono i dubbi di ordine oggettivo: «Il provvedimento garantisce il riserbo all’identità del delatore - riflette Zafferri -. Ma se poi si scopre che il segnalato non era colpevole? Quest’ultimo contro chi potrebbe rivalersi?». Ma ci sono anche (e soprattutto) le perplessità di ordine politico. «Queste decisioni testimoniano la debolezza del sindaco Emanuele Dossena, che cede ai ricatti della Lega - sbotta Zafferri -. Una Lega che recupera comportamenti poco democratici, non a caso guidata dal nuovo commissario cittadino che è un ex esponente del movimento di estrema destra Forza Nuova, partito che mai ha fatto mistero della sua identità xenofoba e razzista».
Per Zafferri sono discriminatori anche i nuovi vincoli di reddito e di residenza stabiliti per poter ottenere i contributi comunali o la residenza in città. «È ovvio che questi provvedimenti vadano a colpire essenzialmente gli stranieri e gli immigrati - sottolinea Zafferri -. E allora mi chiedo: ma il Pdl non era il partito dei garantisti? Oppure questo stesso partito usa una misura con i forti e un’altra misura con i deboli?». Sempre in ordine politico, l’ultima riflessione è rivolta all’Udc, partito di maggioranza: «Mi chiedo come abbia potuto accettare simili proposte», conclude Zafferri.
Sulla questione interviene con voce critica anche il capogruppo della minoranza di centrosinistra Francangelo Riboldi. Che, più che puntare ai singoli provvedimenti, polemizza con l’uso della vicenda. «Questa giunta la smetta una volta per tutte di strumentalizzare la sicurezza per ottenere consenso dai cittadini - questo lo sfogo di Riboldi -. Basta agitare lo spauracchio della paura per fare della semplice propaganda politica».
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Questa sera si parla di crisi impresa e lavoro

Scatta il rush finale alla festa del Pd: al Capanno arriverà anche Bersani.
Rassegna stampa - Matteo Brunello, Il Cittadino di oggi.

Rush finale per la festa dei Democratici a Lodi, l’ex festa dell’Unità. Nel programma manca ancora all’appello un lungo elenco di dibattiti, con l’arrivo di big della politica nazionale. Sabato 5 settembre (ore 17) toccherà a Pier Luigi Bersani, in corsa per la segreteria, illustrare il suo documento programmatico. Interverranno i sostenitori locali della sua mozione congressuale. Questa sera si terrà invece un confronto sui temi dello sviluppo economico. Intitolata “La Crisi, l’impresa, il lavoro. Che settembre si prospetta per il Lodigiano?”, la tavola rotonda incomincerà alle ore 21, con la partecipazione di Enrico Perotti (presidente della Camera di commercio di Lodi), Lorenzo Guerini (sindaco di Lodi), Osvaldo Felissari (capogruppo Partito Democratico in consiglio provinciale ed ex presidente della provincia di Lodi), Maurizio Galli (direttore dell’Associazione degli industriali), Vittorio Boselli (segretario di Confartigianato), Domenico Campagnoli (segretario generale della Cgil lodigiana), Mario Uccellini (segretario generale della Cisl lodigiana) e Carlo Daccò (direttore dell’Ufficio per i problemi sociali della diocesi di Lodi). È annunciata anche la presenza di un esponente della giunta provinciale in carica. A coordinare il confronto sarà il responsabile organizzativo del Pd, Alessandro Manfredi. Venerdì 4 settembre (ore 21), si terrà invece un incontro con Salvatore Borsellino, fratello del magistrato ucciso, e Peter Gomez giornalista de La Voce. Coordinerà il dibattito l’assessore comunale di Lodi, Andrea Ferrari. Domenica 6 settembre (ore 21) sarà di scena il tema della libertà d’informazione e la censura. “Liberi di informare. Tra diktat e censure a rischio la libertà di informazione nel nostro Paese?”, è il titolo di un confronto con Francesco Dayala (giornalista del Tg3 Rai), Paola d’Amico (comitato di redazione del Corriere della Sera) e Lirio Abate (redattore della agenzia Giornalistica Ansa). Coordinerà il presidente del consiglio comunale di Lodi, Gianpaolo Colizzi.
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Fuori di metafora

Un video o meglio audio di non molto tempo fa.
Paolo Guzzanti attacca il Cavaliere: "Che disgusto per i suoi comportamenti".
VideoPost.

Nel video (audio), siamo il 5 agosto 2009 e l'intervista è quella rilasciata a Radio Capital, Paolo Guzzanti, l'ex parlamentare del Pdl, tira in ballo le intercettazioni dell'inchiesta di Napoli (poi distrutte e quindi mai diventate pubbliche) non usando metafore per dire che Berlusconi ha un atteggiamento che mina il rispetto della donna. "È una persona che ha corrotto la femminilità italiana schiudendo carriere impensabili a ragazze carine che hanno imparato solo quanto sia importante darla alla persona giusta al momento giusto, sollecitate in questo anche dalle madri, quando necessario", scrive sul suo blog Guzzanti.
Ghedini, avvocato di Berlusconi, giudicò di "nessuna importanza" la vicenda: "Quelle intercettazioni sono state distrutte". Ma sorvolò sulle critiche di Guzzanti, suo ex compagno di partito.
Al parlamentare, padre dei comici Sabina e Corrado, un tempo esponente di primo piano del Polo ed ex vicedirettore del Giornale, si deve l'invenzione del termine "mignottocrazia". Lo usò al culmine dello scontro con il ministro Mara Carfagna quandò puntò il dito contro le presunte "nomine di scambio". Dove la merce di scambio sconfinava nel pettegolezzo sessuale.
Da allora Guzzanti non ha smesso di attaccare il premier su questo tema, su quell'atteggiamento "puttaniero" che "corrompe la gioventù e mina il rispetto della donna".
Mesi fa, intervistato da Repubblica.it, Guzzanti non si nascose dietro le parole: "Siamo in presenza di un capo di governo che è circondato da pettegolezzi a sfondo sessuale. E questo è un danno per il Paese. Non faccio processi sommari, ma Berlusconi ha fatto della sua sessualità un evento politico e su questo, dicono anche alcuni del suo partito, prima o poi potrebbe inciampare".

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