Sentenza N. 39706 Ud. 30 settembre 2009 - Deposito del 12 ottobre 2009.
Delitti contro la Pubblica Amministrazione.
La Corte (Sezione Sesta Penale, Presidente A. Agrò, Relatore F. P. Gramendola) ha chiarito che oggetto materiale del delitto di rivelazione di segreti d’ufficio sono solo le notizie d’ufficio coperte da segreto e cioè quelle sottratte per legge o per regolamento alla divulgazione in ogni tempo e luogo e nei confronti di chiunque, ma non anche quelle indebitamente diffuse in violazione alle norme sul diritto di accesso in quanto svelate a chi non è titolare di tale diritto o senza il rispetto delle modalità previste. (Fattispecie relativa alla comunicazione alla stampa da parte di un consigliere comunale di informazioni non coperte da segreto relative all’amministrazione comunale alle quali lo stesso legittimamente aveva avuto accesso in ragione della propria funzione).
Testo Completo: Sentenza n. 39706 udienza del 30 settembre 2009 - depositata il 12 ottobre 2009
In proposito l'articolo di Roberto Codini da Kataweb Lex, 20 ottobre 2009.
Qualunque cittadino ha libero accesso agli atti amministrativi non dichiarati segreti per legge .
Non più inviolabile il segreto di ufficio. (Cassazione 39706/2009)
Qualunque cittadino può accedere liberamente agli atti ed ai documenti amministrativi relativi a provvedimento e procedimenti in corso tranne nei casi nei quali la legge impone espressamente il segreto di ufficio.
Lo ha stabilito la Sesta Sezione Penale della Corte di Cassazione confermando una sentenza del Giudice per le Indagini Preliminari del Tribunale di Bologna che aveva assolto un consigliere comunale dall’accusa di rivelazione di segreto di ufficio per avere divulgato documenti di natura riservata. Il consigliere comunale, che aveva accesso agli atti amministrativi riguardanti la gestione di una casa di riposo privata in regime di convenzione, aveva rivelato le notizie relative alla struttura ad un giornalista, che le aveva successivamente pubblicate sulla stampa. Per questo era stato accusato del resto previsto dall’art.326 del codice penale, che punisce “il pubblico ufficiale o la persona incaricata di un pubblico servizio, che, violando i doveri inerenti alle funzioni o al servizio, o comunque abusando della sua qualità, rivela notizie d'ufficio, le quali debbano rimanere segrete, o ne agevola in qualsiasi modo la conoscenza”. Il Giudice per le Indagini Preliminari del Tribunale di Bologna aveva però escluso che i documenti rivestissero la qualifica di atti segreti, in quanto la nozione di segreto di ufficio, tutelato dall’art.326 c.p., presupponeva l’esistenza di atti tipici, che per espressa disposizione legislativa fossero coperti dal requisito della segretezza, mentre nel caso in esame “mancava una specifica disciplina che come conseguenza e necessario corollario del diritto di accesso prevedesse l’obbligo del segreto di ufficio”, ed, inoltre, “la recente modifica di cui all’art.24 legge n.241/1990, che aveva sottratto altri atti al diritto di accesso, nulla aveva innovato rispetto al regime previdente di cui alle leggi 121/1981 e 668/1986, che nulla prescrivevano in merito all’obbligo della segretezza”, con la conseguenza che, “non potendo equipararsi il consigliere comunale ad un impiegato civile dello Stato, si doveva prendere atto che il reato non si era perfezionato per carenza dell’elemento materiale”. Per tale motivo aveva assolto l’imputato per insussistenza del fatto.
Contro la sentenza del G.I.P. il Procuratore Generale presso la Corte di Appello di Bologna aveva proposto ricorso in Cassazione, sostenendo che la nozione di “notizie di ufficio, le quali devono rimanere segrete”, assumesse “non solo il significato di informazione sottratta alla divulgazione in ogni tempo e nei confronti di chiunque, ma anche quello di informazione, per la quale la diffusione sia vietata dalle norme sul diritto di accesso, nel momento in cui viene indebitamente diffusa, perché svelata a soggetti non titolari del diritto o senza il rispetto delle modalità previste”, e questo non valeva solo per gli impiegati civili dello Stato ma per tutti i soggetti, trattandosi di un principio di portata generale.
La Suprema Corte, respingendo il ricorso e confermando l’assoluzione dell’imputato, ha affermato che, come ribadito anche in altre pronunce, “ai fini della configurabilità del reato il dovere di segreto, cui è costretto il pubblico ufficiale o l’incaricato di pubblico servizio, deve derivare da una legge, da un regolamento, ovvero dalla natura stessa della notizia che può recare danno alla Pubblica Amministrazione. La legge n.241/1990 ha infatti rivoluzionato la disciplina degli atti e dell’accesso agli stessi, sancendo in definitiva il principio che tutto ciò che non è segreto è accessibile: essa contiene soltanto la regolamentazione del diritto di accesso e non anche di un parallelo obbligo di segretezza, regolando tale diritto unicamente in base all’interesse del richiedente, ovvero alla giustificazione addotta dallo stesso; con ciò, secondo la Cassazione, “il legislatore ha inteso porre soltanto un freno all’ipotetico proliferare di richieste, che potenzialmente potrebbero paralizzare la Pubblica Amministrazione, esigendo il requisito dell’interesse, quale elemento regolatore del generico principio della completa accessibilità agli atti, restando quest’ultima comprimibile solo attraverso l’imposizione del segreto nei casi previsti dalla legge”. La sentenza apre pertanto una breccia nel principio dell’inviolabilità del segreto di ufficio nella Pubblica Amministrazione, riaffermando pienamente il diritto di accesso di ogni cittadino agli atti amministrativi, con l’unica eccezione di quelli espressamente dichiarati segreti dalla legge.