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sabato 8 agosto 2009
Una tempesta di commenti invade il nostro blog
Quasi nulle, purtroppo, le proposte e i suggerimenti.
Un offerta a Casale per mille abitanti
Speciale, [10].
Rassegna stampa - Il Cittadino di oggi.
Il comune di Casalpusterlengo ha aderito al progetto della Regione Lombardia ribattezzato “Emergenza casa” per la costruzione di nuovi alloggi a costi calmierati. In questa ottica è stata accettata la proposta di intervento costruttivo della Cooperativa San Grato, che propone l’edificazione di una nuova palazzina con appartamenti residenziali di diverse metrature e box nell’ambito dell’area del cosiddetto Peep 4, in pratica un nuovo importante quartiere, per dimensione e potenzialità, che si estenderà su di una ampia area lungo la ex statale Mantovana, alle porte della città, tra il distributore dell’Agip e Via Labriola, con la possibilità di costruire su 103mila metri cubi. Trecento nuove abitazioni, mille residenti in più, un grande spazio libero, luogo centrale, luogo di incrocio delle relazioni che si assume il compito di identificare l’intera area, disponendo abitazioni a schiera e palazzine lungo uno spazio verde. Queste le caratteristiche dominanti del progetto “Immagine rossa” elaborato dall’architetto Alfonso Ventura di Maleo, con i collaboratori Roberto Verbina, Vittorio Uccelli, Antonio Mulinelli e Barbara Quarantini , che ha vinto il primo premio nel concorso di idee progettuali organizzato dal Comune di Casalpusterlengo e dall’Associazione provinciale lodigiana degli architetti, che aveva visto la partecipazione di ben 21 gruppi di progettisti, provenienti da tutta Italia. La proposta prevede per la residenza l’idea di aggregare il nuovo tessuto edificabile allo spazio verde collettivo, con la presenza di un edificio che offra la possibilità di accogliere funzioni pubbliche e commerciali. L’obiettivo dell’amministrazione è quello di impedire la nascita di un “quartiere dormitorio” periferico, privo dei servizi essenziali, bensì favorire lo sviluppo di un complesso edilizio residenziale perfettamente inserito nella struttura urbana cittadina.
Lodi e il suo sogno
Lodi adesso punta ai 50mila abitanti.
È l’Oltreadda la zona scelta per l’espansione immobiliare della città.
Rassegna stampa.
Il “tetto” fissato è quello dei 50mila abitanti. È questa la previsione di espansione urbana che il comune di Lodi stima per i prossimi anni. Un’indicazione che emerge dalla capacità insediativa programmata con il nuovo piano di governo del territorio, lo strumento di pianificazione urbanistica che sostituirà l’attuale piano regolatore generale. Il documento di sintesi del Pgt, insieme a un provvedimento che avvia l’iter per la valutazione ambientale strategica (Vas) del Piano di governo, è stato approvato nei giorni scorsi dalla giunta municipale. Sono i primi passi per un “disegno” complessivo della città del futuro, a partire dalla dislocazione dei servizi, le infrastrutture e le aree edificabili.
La città disumana
Debutta il regolamento di polizia urbana: nel mirino anche chi lava le auto e bagna i fiori.
Ordine pubblico, arriva il giro di vite.
Multe salate per chi si siede per strada e per gli accattoni.
Rassegna stampa.
Se avete intenzione di sedervi per terra in strada, oppure immergervi in fontane pubbliche o ancora sbattere i tappeti sulla via, fate molta attenzione. Con il nuovo regolamento di polizia urbana di Lodi potrebbe costarvi molto caro. Sono state infatti annunciate nei giorni scorsi le sanzioni per le violazioni al provvedimento varato dal comune. E il giro di vite è notevole. Si rischia infatti una contravvenzione fino a 150 euro per coloro che si siederanno o sdraieranno per terra, ostruendo l’ingresso di edifici pubblici (tra cui il municipio di Lodi) o privati. Immergersi nelle fontane pubbliche potrà avere un conto salato: si va dai 50 ai 300 euro. E ancora, soddisfare le esigenze corporali fuori dai luoghi a ciò destinati, d’ora in avanti sarà un bel problema: non solo è vietato, ma coloro che verranno scoperti potrebbero dover pagare una multa fino a 150 euro. Nel ricco prontuario, che comprende un fitto elenco di multe, ci sono anche disposizioni contro l’accattonaggio. Tanto che infastidire i passanti con assillanti richieste di denaro, può far scattare una sanzione anche da 300 euro. E coloro che hanno l’abitudine di lavare in luogo pubblico veicoli o cose personali dovranno trattenersi, visto che tale comportamento è giudicato un’infrazione alle disposizioni e potrebbe portare al pagamento di una multa dai 50 ai 300 euro. Anche utilizzare giochi o attrezzature destinate ai bambini, da parte di persone sopra i 12 anni, non è consentito e per coloro che vengono colti in fallo sono guai. Si parla di una somma da versare che va dai 50 ai 300 euro. Inoltre bagnare i fiori sui balconi e far cadere gocce di acqua in strada porterebbe a una multa cospicua (sempre dai 50 euro di minimo ai 300 di massimo).
La guerra dei rifiuti (III)
Un mese. È il tempo che la Regione Lombardia dà alla provincia di Lodi per rifare daccapo il suo Piano rifiuti, pena il commissariamento. La bocciatura del piano adottato dall’amministrazione uscente guidata da Lino Osvaldo Felissari era già stata comunicata verso la fine di luglio: ieri, la giunta regionale ha approvato la diffida attraverso la quale palazzo San Cristoforo è ufficialmente esortato ad adottare una serie di prescrizioni entro 30 giorni dalla pubblicazione sul Bollettino ufficiale della Regione Lombardia, che avverrà probabilmente tra martedì e mercoledì. Quali? «Sicuramente a livello cartografico e sicuramente sulle quantità di alcune tipologie di rifiuti, che non collimano con le nostre stime sulle produzioni - spiega l’assessore regionale all’ambiente, Massimo Buscemi -. Non è stato previsto come smaltire inerti e speciali: la precedente amministrazione ha sbagliato e adesso il piano va rimandato, modificato, con l’obbligo a rispettare le prescrizioni segnalate. Dal momento in cui verrà pubblicata sul Burl la provincia avrà 30 giorni di tempo: se no ci sarà il commissariamento». L’assessore ci tiene a sottolineare che quello del Pirellone «non è un atto d’imperio, ma un atto dovuto verso un piano adottato in maniera errata dalla precedente amministrazione». Porte aperte alle “correzioni” della giunta Foroni, insomma: a partire dalla nuova “partita” aperta da palazzo San Cristoforo, ampliare la discarica di Cavenago e ovviare così alle nette differenze sugli inerti rilevate dalla Regione. Nel suo Piano Rifiuti, infatti, la giunta Felissari aveva stimato di dover smaltire 300mila tonnellate di inerti, cifra ben lontana dai 2 milioni previsti dal Pirellone e che obbligherebbero il Lodigiano ad attrezzarsi per lo smaltimento dei restanti 1,7 milioni di tonnellate; lo stesso quantitativo, casualmente, garantito dalla osteggiata discarica di Senna. «L’ampliamento di Cavenago? Il piano non lo prevedeva, è una possibilità, ma deve essere chiaro che non c’entra con la discarica di Senna - replica Buscemi -: la discarica è sotto vincolo dell’assessorato all’Urbanistica per le valutazioni paesaggistiche». L’ultima considerazione è condivisa dal presidente della Provincia Pietro Foroni, che pure indica nel possibile ampliamento di Cavenago “una carta in più” contro la discarica di Senna e si confessa “tranquillo” sul futuro del Piano rifiuti: «Ci siamo già portati avanti e ho sentori positivi - conferma -. La diffida sarà l’occasione per mettersi al tavolo della Regione e affrontare tutti gli aspetti, è accaduto anche ad altre province. Se dovesse arrivare un commissario peraltro potrei essere io: per ottobre credo di poter sistemare tutto».
La guerra dei rifiuti (II)
Ma milioni di azioni sono in pegno alle banche.
Cavenago - È una delle più grandi aziende italiane del settore dei rifiuti il padrone della discarica di Cavenago d’Adda: la Waste Italia dei fratelli Colucci di Napoli, una famiglia partita da San Giorgio a Cremano all'inizio degli anni Novanta dopo la privatizzazione della nettezza urbana a Napoli e oggi titolare direttamente di nove tra impianti e discariche in tutto il Nord Italia e indirettamente impegnata in innumerevoli partecipazioni, dopo aver rilevato anche il ramo italiano di una multinazionale americana del settore. Formalmente la discarica lodigiana fa capo alla Ecoadda, una srl in cui la Waste Italia dal mese di marzo compare con circa 75mila euro di capitale e il resto è suddiviso tra Eal, che appartiene a Provincia di Lodi e decine di comuni del territorio, con circa 19mila euro, e Lge Srl di corso Mazzini, Lodi, con una partecipazione di poco meno di 4mila euro. Presidente del consiglio di amministrazione e amministratore delegato di Ecoadda è Nicola Colucci, 45 anni, di Napoli, e al suo fianco nel cda siedono come consiglieri i lodigiani Antonio Redondi, Gaetano Ballerini e Antonio Nava, il varesino Massimo Cozzi, il milanese Giuseppe Chirico e il bellunese Alberto Errico. Un altro lodigiano lo si trova tra i “sindaci” della Ecoadda, il 51enne Francesco Monteverdi di Casalpusterlengo. Fino al 1996 l'impianto era di proprietà della Sacagica, la stessa azienda che gestiva anche la maxidiscarica di Vizzolo Predabissi.
La guerra dei rifiuti (I)
La discarica si allarga e chiede spazio.
Ma l’ampliamento potrebbe “mangiarsi” la strada provinciale.
Rassegna stampa.
Cavenago - Ecoadda dovrà presentare un nuovo progetto per l’ampliamento della discarica di Cavenago, tenendo in considerazione tutti i punti critici sollevati dagli enti locali. Anche se inizialmente la società aveva presentato un’ipotesi di ampliamento di circa 600 metri cubi, ora potrebbe prevedere un incremento dei volumi fino a un milione di metri cubi, una proposta che è stata già valutata positivamente in termini di fattibilità. Questa settimana si è tenuta la conferenza dei servizi per valutare questa eventualità, un incontro a cui hanno partecipato la Provincia di Lodi, l’Arpa, il comune di Cavenago, il Consorzio bonifica Muzza Bassa Lodigiana e, naturalmente, Ecoadda. Palazzo San Cristoforo ha sottolineato che per il momento non sembrano esserci fattori escludenti che possano impedire l’ampliamento dell’impianto di rifiuti, tuttavia sarà necessario un approfondimento; l’unico problema, che però rappresenterebbe un criterio penalizzante, sarebbe la vulnerabilità del suolo, proprio per questo motivo l’ampliamento potrebbe essere consentito solo a fronte di una complessiva riqualificazione paesaggistica e ambientale della zona. Lo studio presentato della società, inoltre, prevede l’esaurimento dei volumi aggiuntivi in soli cinque anni, ma per la Provincia di Lodi sarebbe necessario un adeguamento delle previsioni, in grado di assicurare la copertura dei fabbisogni del territorio per almeno dieci anni. Il progetto dovrà poi confrontarsi con la pianificazione territoriale e urbanistica, Ecoadda dovrà così prevedere una serie di elementi di compensazione, accordandosi con il Parco Adda Sud e con il Consorzio Muzza. La criticità forse più importante sarebbe rappresentata dal tracciato della Sp 16, ma anche dalla pista ciclabile che scorre a fianco della strada provinciale. Il tracciato proposto non sembra rispettare le norme previste per la costruzione delle strade, soprattutto per quanto riguarda l’introduzione di flessi di raccordo che ridurrebbero la sicurezza in prossimità della rotonda. Le interferenze con la pista ciclabile, inoltre, potrebbero avere delle ripercussioni sull’attraversamento semaforico e sugli accessi carrabili. Infine, bisognerà verificare la fascia di rispetto stradale, che dovrà essere necessariamente mantenuta. Secondo alcune indiscrezioni, l’ampliamento della discarica sarebbe possibile solamente spostando la strada provinciale e la pista ciclabile, un intervento che Ecoadda dovrebbe realizzare a sue spese. L’impianto, infatti, ritaglia perfettamente i confini del Parco Adda Sud, per questo l’unica espansione possibile si affaccerebbe sull’asfalto. Il Consorzio Muzza non ha rilevato criticità dal punto di vista irriguo, ma sostiene che debbano essere approfonditi gli aspetti idraulici, relativi agli scarichi delle cunette stradali e delle acque meteoriche della discarica. L’Arpa ha osservato che esistono delle interferenze rispetto all’impianto esistente e che la nuova ipotesi porterebbe la discarica a circa 30 metri di altezza sopra il piano stradale, creando un maggiore impatto visivo; l’aumento dei volumi dovrà poi trovare corrispondenza nel piano di gestione operativa dell’insediamento. Il comune di Cavenago, infine, ha sottolineato l’importanza dell’aspetto paesaggistico e della valorizzazione delle piste ciclabili. Dal momento che il progetto della discarica di Senna, proposto dalla società Cre e osteggiato dal territorio, incombe sul Lodigiano, l’ampliamento dell’impianto di Cavenago potrebbe costituire un’arma di difesa in più. Il Piano rifiuti della Provincia di Lodi, varato dalla precedente amministrazione e commissariato da Regione Lombardia dopo una serie di vicissitudini, ribadisce l’autosufficienza del Lodigiano in materia di smaltimento rifiuti, allo stesso tempo prevede il divieto di costruire nuovi insediamenti, con la possibilità di ampliare quelli già esistenti.
Le lotte del 1980 alla Innocenti di Lambrate
Zoppetti e Colizzi furono alla mobilitazione Innocenti nell’‘80.
Rassegna stampa - Il Cittadino di oggi.
L’Innse non è nuova alle grandi mobilitazioni sindacali. Ne sanno qualcosa due lodigiani, l’attuale presidente del consiglio comunale di Lodi Gianpaolo Colizzi e l’ex parlamentare del Pci Francesco Zoppetti. Furono i primi politici a entrare nell’allora fabbrica Innocenti di Lambrate, all’inizio degli anni Ottanta, durante una feroce manifestazione dei lavoratori che si opponevano alla cessione e alla conseguente chiusura dell’azienda automobilistica che aveva “inventato” la Lambretta e la Mini. Zoppetti fu accolto benevolmente, Colizzi si prese sputi, monetine e pure una denuncia per violazione di domicilio («ma alla fine uscii tra applausi e qualche pacca sulla spalla»). Altri tempi, certo. Le fabbriche ribollivano di rabbia e forte era l’influenza delle ali estreme, tra infiltrazioni di gruppi extraparlamentari e supporters delle Br. Ma come oggi - si era nell’80 - la fabbrica era occupata dentro e blindata fuori da poliziotti schierati in assetto antisommossa. E la voglia che animava i metalmeccanici “occupanti” era la stessa che adesso anima la restistenza passiva di Merlo e dei suoi tre compagni: quella di difendere il diritto al lavoro. «Ricordo che presi quasi subito la parola - spiega Zoppetti - davanti a una mensa traboccante di lavoratori arrabbiati. Ma per me il clima non era ostile. Allora rappresentavo come deputato il Partito Comunista, che sosteneva i lavoratori e la Fiom Cgil». Ben altro clima trovò Gianpaolo Colizzi, allora responsabile dello Psdi - e dunque rappresentante dei partiti di Governo, considerati “rei” di non fare nulla per fronteggiare la crisi dello stabilimento - per le relazioni sindacali. «La fabbrica era occupata e l’assemblea non era autorizzata - spiega -. Per cui, partecipando alla manifestazione mi presi una denuncia, poi archiviata, per violazione di domicilio. Lo feci perché all’interno dello stabilimento avevo una settantina d’iscritti al Psdi che avevano chiesto l’intervento del partito. Quando iniziai a parlare beccai parecchi fischi e perfino sputi e monetine. Era logico, per loro io “ero” il pentapartito, che governava l’Italia in quegli anni. Ma il discorso andò bene, la platea ascoltò le mie parole e alla fine uscii perfino con qualche pacca sulla spalla». E oggi, cos’è cambiato? «Virtualmente nulla. È gente che sta difendendo un diritto, quello di avere un lavoro».
Innse, che le istituzioni smettano di giocare a scaricabarile
Rassegna stampa - Il Cittadino di oggi.
Anche lei non dorme da tre giorni. Ha un letto a disposizione, al posto dei tubi. Però si sente spaccata in due. Vorrebbe essere lì, al presidio della Innse, con i compagni di lavoro di suo marito. Ma deve anche lavorare (almeno uno in famiglia) e occuparsi dei figli. Cristina Vercellone, giornalista, moglie di Massimo Merlo, è affranta.

Suo marito è sul carroponte, lei come si sente?
«Divisa. Vorrei essere lì, con i compagni di lavoro di Massimo, far sentire la mia voce. Invece devo stare qua a lavorare (almeno uno in famiglia), a coccolare i nostri bambini».
È preoccupata?
«Sì, sono preoccupata perché hanno dormito su quella gru per tre notti e si avviano a passare lì anche la quarta (quella tra ieri e oggi, ndr). Fa un caldo atroce in quel capannone a pochi centimetri dal tetto. È vero che gli portano da mangiare e da bere, ma non hanno una doccia, devono fare la pipì nelle bottiglie. E poi sono tesi e stanchi. I loro nervi terranno?».
Cosa vuole dire a suo marito?
«Che noi siamo con lui. Lo sosteniamo in questa battaglia».
I suoi figli cosa dicono?
«Sono abituati alle lotte operaie del babbo. È da un anno che questa storia va avanti. Hanno capito, a modo loro, che quella di Massimo è una battaglia giusta».
È duro sopportare?
«Sì. Era a cavallo tra maggio e giugno dello scorso anno. Hanno chiamato mio marito avvisandolo di una lettera dell’azienda che dichiarava la cessata attività. Lui e gli altri rappresentanti delle Rsu non ne sapevano niente. È partito un giro di telefonate per avvisare gli altri è salito in macchina ed è iniziata la lotta. Si sono organizzati e hanno continuato a lavorare in autogestione per alcuni mesi, con gli stessi turni di prima, senza stipendio ovviamente, anche se il proprietario Silvano Genta ha preso i soldi dei pezzi usciti dall’officina. Hanno prodotto quelli che avevano nel capannone e hanno preso nuove commesse. Poi la fabbrica è stata messa sotto sequestro, hanno dovuto sgomberare ed è iniziato il presidio, giorno, notte, sabato e domenica. Non ci sono più stati giorni di vacanza insieme per la nostra famiglia».
Non ci sono stati momenti di tensione tra voi?
«Sì, ovvio, ma poi si capisce e si va avanti. Quando è arrivata la lettera dovevamo partire per il mare, non è venuto, ma ha insistito perché portassi almeno i bambini. E la stessa cosa, lo sento, succederà anche quest’anno. La sua mente non si schioda da lì, dal presidio, dalla lotta operaia. Ogni volta che sale in macchina lo fa per andare in via Rubattino. Qualche volta cambia meta, ma sempre per la fabbrica, per raccontare la storia di resistenza, condividerla con chi vive la stessa situazione».
Pensa che ne valga la pena?
«Ne sono convinta. È difficile trovare uomini così, come lui e certi suoi compagni».
Quale messaggio vuole lanciare alle istituzioni?
«Si muovano, blocchino lo smantellamento dei macchinari: nessuno acquisterà un capannone vuoto. Devono dare il tempo e il modo alla trattativa di svilupparsi. Speculare sulla pelle degli operai e sul futuro produttivo del nostro Paese non è un reato? Chiedo che le istituzioni si mettano una mano sulla coscienza, smettano di giocare allo scaricabarile, lascino che mio marito torni a casa a farsi abbracciare».
Gli eroi sul carroponte
La quarta notte lassù in cima alla gru.
Non si arrendono l’operaio lodigiano e i suoi quattro compagni.
Rassegna stampa - Ivana Castagnone, Il Cittadino di oggi.
Milano - Sono stanchi e sempre più accaldati, ma resistono. Il metalmeccanico lodigiano Massimo Merlo e i suoi quattro compagni della Innse sono lassù. Arroccati sul carroponte. Il tetto del capannone si intravede da via Rubattino. È il più alto, un po’ nascosto dagli altri. Il sole batte a picco e qualcuno, arrivato da Lodi apposta, monta l’ennesimo gazebo per quelli che vengono lì a presidiare. «Siamo stanchi e arrabbiati marci con le istituzioni che scaricano le responsabilità», commenta Merlo al telefono.
Quando la fabbrica rappresenta un pezzo di vita
Difendono un pezzo della loro vita.
Rassegna stampa.
Potrebbe sembrare normale, ovvio, quanto accade a Milano alla Innse: operai che da 15 mesi lottano per mantenere il loro posto di lavoro, padroni interessati solo al loro profitto legato alla speculazione e non alla produzione, forze di polizia che difendono la proprietà del padrone, politici che non vogliono responsabilità, magistratura che difende la proprietà privata. Tutto normale in uno stato capitalista, anche se dice fondato sul lavoro?
Ma questo padrone si è trovato tra le mani una fabbrica produttiva capace di costruire; turbine, macchine utensili, carrelli ferroviari, componentistica navale e aeronautica il tutto per cifra di 700.000 euro e l’impegno con il governo dello stato di mantenere e potenziare la produzione e la forza lavoro.
Ma dato che il capitale è ricchezza non gratuita, logica vuole che il capitalista che presta ricchezza la voglia ritornata con profitto; ma allora perché questo stato capitalista regala ricchezza (una fabbrica e i lavoratori) e non pretende da chi l’ha avuta quasi gratis un ritorno potenziato del giusto guadagno? Perché se ne dimentica e lascia che lo speculatore faccia gli affari suoi con il beneplacito di chi invece dovrebbe indagare e agire per dovere d’ufficio?
Io che sono cittadino di questo stato capitalista sono defraudato dalle scelte politiche di coloro che hanno permesso il regalo e lo sono ulteriormente da coloro continuano a regalare qualcosa che non è loro, anzi usano la forza di polizia per difendere la scelta a favore di un solo individuo contro la ragione di molti altri.
Ma al padrone e chi lo sostiene in questi lunghi 15 mesi non è andata del tutto liscia e i 49 lavoratori, che sono persone che ragionano e lottano, hanno resistito alla sue mire di speculazione sul territorio (con il silenzio interessato del comune di Milano) e hanno finora impedito che l’operazione di smantellamento della fabbrica avvenisse nel silenzio e con facilità, hanno legato con altre fabbriche in lotta anche nella vicina Svizzera, hanno costruito l’esempio da seguire per difendere ciò che si ha di caro e necessario.
Per ognuno di noi che lavora con altre persone, la fabbrica diventa un pezzo di vita perché essa è socialità, produzione e distribuzione di ricchezza e il lavoro e la professionalità diventano strumenti di costruzione dell’uguaglianza e dei legami fra persone. Come pensare allora che si possa non difendere ciò che si ha perché si è contribuito a costruirlo negli anni, come si può pensare che si possa accettare di perderlo senza reagire con la giusta forza e convinzione, come si può pensare che si lasci distruggere un bene comune (che appartiene allo stato democratico perché non si deve accettare che 700.000 euro siano il prezzo della Innse) per il vantaggio di pochi squalificati individui?
No, non si deve lasciare che tutto avvenga senza colpo ferire, è necessario sostenere i lavoratori della Innse, perché aiutando loro a vincere aiutiamo noi stessi ad essere umani, capaci di pensiero, analisi, emozioni, sentimenti e a ritornare a lottare per il diritto a vivere in pace fra uguali.
Innse, pieno appoggio agli operai in lotta
Rassegna stampa.
Milano, 5 agosto 2009. In merito alle vicende che stanno coinvolgendo gli operai della Innse Presse di Lambrate in questi ultimi giorni, il capogruppo in Provincia di Milano per Lista Civica un’Altra Provincia PRC PdCI, Massimo Gatti, che da domenica scorsa segue continuamente l’evolversi della situazione nella fabbrica di via Rubattino, dichiara: «Esprimo il mio pieno appoggio agli operai in lotta e all’iniziativa della Fiom che, impegnata fino in fondo in una difficile trattativa, ha gia proclamato due ore di sciopero in tutto il settore metalmeccanico di Milano e Provincia. Lo smantellamento dei macchinari della Innse va sospeso immediatamente prima che la situazione degeneri ulteriormente.
È inaccettabile che agli operai che da mesi lottano per difendere il loro posto di lavoro e la dignità della loro professionalità chiedendo di tornare a lavorare, il Governo risponda solo ed unicamente con provvedimenti di ordine pubblico. Chiediamo al Ministro degli interni, Roberto Maroni, di giustificare il motivo per cui una somma ingente di denaro pubblico e un tale spiegamento di forze dell’ordine vengano messi al servizio di un vero e proprio speculatore come Silvano Genta.
Riuscire a riprendere il lavoro, almeno nei settori dove ci sono ordini e commesse, come nel caso della Innse, assumerebbe un grande significato in una situazione di gravissima crisi per un numero sempre più alto di aziende. Chiedo che tutte le istituzioni locali Regione Lombardia, Provincia di Milano e Comune di Milano e il governo nazionale facciano la loro parte per coinvolgere tutte le parti in causa per una ripresa del tavolo delle trattative che porti finalmente ad una positiva conclusione della vertenza in corso, così come richiesto nella mozione a sostegno dei lavoratori dell’Innse presentata dal nostro gruppo, firmata da tutti i capigruppo e approvata all’unanimità dal Consiglio Provinciale il 29 luglio scorso».
Solidarietà con gli operai della Innse
Una lotta per non cedere alla logica di imprenditori rapaci.
Agosto, il mese dei blitz. Di solito i Governi aumentano la benzina, così giusto perché nessuno o in pochi possono protestare. Agosto è anche il mese in cui nella moderna Lombardia si compie una battaglia forse tipica di altri tempi, un film in bianco e nero o che, forse, presto torneremo a vedere a colori. Nel mese in cui le persone sono spesso in vacanza alla Innse di Milano la lotta dei lavoratori della storica azienda milanese sono arrivati al culmine delle loro lotte. Il quattro agosto cinque di loro, tra cui il lodigiano Massimo, hanno passato la notte, la loro notte estiva, sul “carro ponte” della loro azienda, quale segno di estrema protesta. Hanno voglia di tornare a lavorare e non vogliono cedere alla logica di imprenditori rapaci che preferiscono speculare sullo smembramento (vicenda Polenghi docet) dei macchinari piuttosto che lasciare che l’azienda possa tornare ad operare nelle mani di persone disponibili a investire non sul capitale finanziario ma su quello umano. In questi giorni, rivolgiamo il pensiero anche ai lavoratori della Innse che stanno facendo una dura, strenua romantica battaglia semplicemente per non avere il rimorso di non aver provato a difendere il loro sacrosanto posto di lavoro. E se ci capita di passare in via Rubattino a Milano, non voltiamoci dall’altra parte magari infastiditi dalla coda generata dal presidio dei lavoratori davanti alla Innse ma fermiamoci ad esprimere una “umana” solidarietà.