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domenica 26 luglio 2009

La pila esausta

Nucleare, il ritorno.
Speciale - Terza parte.

Claudio Scajola: «Il rilancio del nucleare sarà un affare per il Paese e uno ancora più grosso per i territori. Non possiamo farci influenzare dalle paure»

Sergio Rizzo su Il Corriere della Sera di lunedì 13 luglio ha evidenziato che, con la decisione di tornare al nucleare, è possibile che venga riattivato il monumento simbolo della sconfitta della politica energetica italiana.
La centrale (fallita) di Montalto è costata 250 euro a ogni italiano.
Spesi 7.000 miliardi di lire. E il nuovo impianto lavora 3.000 ore sulle 8.600 previste.

Sprezzanti del ridicolo l’hanno pomposamente battezzata «Centrale Alessandro Volta». Pensate! Dare il nome dell’inventore della pila, praticamente il padre dell’elettricità, a una centrale che sta quasi sempre spenta. Insomma, una specie di pila esausta.
Benvenuti a Montalto di Castro: monumento gigantesco al fallimento della politica energetica italiana costruita sulle ceneri del nucleare, inutilmente costato almeno 250 euro a ogni italiano, lattanti e vegliardi compresi. E come sempre accade in Italia le responsabilità di un simile disastro si dissolvono in una nebbia impalpabile, dove tutti sono un po’ colpevoli, quindi nessuno lo è. I politici della prima Repubblica, quelli della seconda, l’Enel, i petrolieri. Perfino gli ambientalisti che si battevano contro l’energia atomica. La centrale di Montalto di Castro è stata anzi la loro più grande sconfitta. A metà degli anni 80 erano agguerritissimi. Qualche anno prima c’era stato l’incidente di Three Mile Island che aveva dato spunto al famoso film “Sindrome cinese” e il movimento antinucleare si era diffuso in tutta Europa. Anche se non aveva molta udienza presso i governi.
Per gli oppositori dell’atomo, in Italia, non andava molto meglio. Finché, nella primavera del 1986 a Chernobyl, in Ucraina, si verificò la catastrofe nucleare più grave della storia. E gli eventi precipitarono. Il governo del segretario socialista Bettino Craxi cavalcò immediatamente l’onda antinucleare. Ben presto furono superate anche le resistenze all’interno della Democrazia cristiana e dello stesso Partito comunista. E il referendum del 1987 passò con un consenso mai registrato prima. Di colpo, in Italia, i nuclearisti erano scomparsi.
Era novembre, al governo Craxi era subentrato quello di Giovanni Goria: tutto avvenne con una rapidità impressionante, considerando i tempi geologici delle decisioni italiane. Con un paradosso, che gestire la fase di transizione toccò a un ministro, tra gli altri, Adolfo Battaglia, esponente dell’unico partito, quello repubblicano, che aveva sostenuto fino all’ultimo, contro tutto e tutti, la scelta nucleare.
Per prima cosa la chiusura delle centrali in attività. I quesiti referendari non avrebbero in teoria obbligato l’Enel a fermare i reattori. Ma il Psi e la Dc, con l’appoggio del Pci, interpretarono così la volontà politica degli elettori. E fecero spegnere gli interruttori. E i lavori alla centrale di Montalto di Castro, quasi completata, vennero interrotti. A quel punto cominciò una danza a suon di quattrini. L’Enel e le imprese fornitrici rivendicarono innanzitutto i danni. E pure il pagamento dei pezzi ordinati e non consegnati, come appunto il reattore di Montalto di Castro. Poi la società elettrica, allora guidata da Franco Viezzoli, fece presente che si rischiava il blackout. Bisognava provvedere e il Parlamento, nel quale erano entrati anche gli alfieri del movimento antinucleare, come Gianni Mattioli, non alzò un dito. Non lo alzò quando le importazioni di elettricità prodotta con il nucleare in Francia esplosero. Ma non le alzò neppure quando si decise di costruire, accanto alla centrale di Montalto di Castro, già costata 7 mila miliardi di lire e che non fu smantellata perché si sarebbe speso troppo (sic!), un secondo impianto da ben 3.200 Megawatt, a policombustibile. Grande quattro volte di più e con una specie di sberleffo agli ambientalisti costituito da una orrenda ciminiera alta 150 metri che si può ammirare da decine di chilometri. Altri 7 mila miliardi di lire, per una centrale nata già vecchia (non era a ciclo combinato, come quelle che venivano costruite allora in tutto il mondo) e con costi di esercizio insostenibili.
Tanto insostenibili che oggi una delle centrali più grandi d’Europa resta accesa soltanto 2 o 3.000 ore l’anno, sulle teoriche 8.600 ore, perché l’energia prodotta lì è troppo cara. Intanto i privati non se ne stavano con le mani in mano. Molti italiani che avevano votato sì al referendum antinucleare erano stati convinti dalla promessa che si sarebbe abbandonata la strada dell’atomo per quella delle energie rinnovabili. Il governo approvò una delibera, la famosa delibera del Cip 6 che concedeva incentivi profumati ai produttori di elettricità pulita. Soltanto che ci infilarono all’ultimo momento, dopo «energie rinnovabili», le paroline «e assimilate».
Spalancando un’autostrada agli industriali siderurgici ma anche ai petrolieri che intascarono migliaia di miliardi di contributi, bruciando i «Tar»: così si chiamano gli scarti della lavorazione del petrolio. Montedison, Falck, Riva, Moratti, fecero soldi a palate. E le famose energie rinnovabili? Di quelle per vent’anni neanche l’ombra. Nel 2007 l’Italia produceva con il solare un cinquantesimo dell’elettricità prodotta in Germania attraverso il fotovoltaico. In compenso siamo diventati il Paese con il record mondiale del consumo degli inquinanti idrocarburi per la produzione di energia elettrica. Per non parlare dei costi. Quanti italiani dopo aver già sborsato 8 miliardi di euro per pagare all’Enel e ai suoi fornitori i danni dell’uscita dal nucleare, sanno che ancora pagano sulla bolletta elettrica un sovraprezzo destinato a una società pubblica, la Sogin, per lo smaltimento delle vecchie scorie? E che lo pagheranno ancora per una quindicina d’anni nella migliore delle ipotesi? Se la fallimentare operazione di Montalto di Castro è costata 250 euro a ogni cittadino italiano, 15 miliardi e mezzo di euro in tutto compresi i maggiori costi del petrolio rispetto a quelli dell’uranio, l’uscita dal nucleare è stata ancora più cara: 424 euro procapite, cioè 25,5 miliardi di euro.
E con quale risultato? Che siamo il Paese europeo più dipendente dal petrolio e dove l’energia costa più cara, che siamo il fanalino di coda delle energie rinnovabili, che abbiamo il primato delle importazioni e che ora abbiamo deciso di tornare al nucleare, per volontà di alcuni politici che venti anni fa avevano persuaso gli italiani a uscirne. E Montalto? Tranquilli, ci sono buone probabilità che l’atomo ritorni anche lì. Secondo il presidente di Edf, il partner nucleare dell’Enel, Pierre Gaddonneix, quello è un posto ideale per una centrale nucleare. Come la chiameranno stavolta?
(3 - continua)

La libertà di critica non si baratta

Riprendiamo da L’Unità di lunedì 13 luglio un’intervista di Massimo Solani ad Andrea Olivero.
Andrea Olivero, nato a cuneo nel 1970, insegnante e sindacalista, è il dodicesimo presidente delle Acli, eletto nel 2006 dopo le dimissioni di Luigi Bobba. Da dicembre 2008 è portavoce unico del Forum del Terzo Settore.
«I cattolici non si faranno incantare da una destra che abbandona gli ultimi».
Rassegna stampa.

«Non accettiamo che qualcuno pensi di poterci fare l’occhiolino quasi fossimo soltanto i paladini di una battaglia su una specifica questione, e non invece portatori di valori molto più grandi e complessi». Andrea Olivero è da tre anni presidente delle Acli e dal dicembre 2008 è portavoce unico del Terzo Settore. Da cattolico militante rifiuta la possibilità, da più parti ventilata, di una “manovra” politica del centrodestra per riconquistare il favore delle gerarchie ecclesiastiche dopo gli scandali sessuali che hanno coinvolto il premier Berlusconi. «Certo – prosegue – i temi etici rappresentano argomenti sensibili, ma non credo proprio che gli attuali vertici della Conferenza Episcopale si presterebbero ad un discorso di questo genere. Del resto le prese di posizione arrivate dalla Cei sono state estremamente ponderate e precise».
E si rivolgevano proprio al comportamento e alla moralità del presidente Berlusconi.
«Non c’è dubbio. E credo anche che fossero doverosi, visto che in ballo c’è la fiducia dei cittadini nei confronti delle istituzioni. Non si possono liquidare queste vicende come se si trattasse unicamente di comportamenti privati, sono fatti che hanno per loro natura un rilievo pubblico. Per questo dico che bisogna stare ben attenti se si pensa di poter “comprare” il voto dell’elettorato cattolico. Anche perché certo la Chiesa non è disposta a barattare la propria libertà di critica a fronte di qualche convenienza tattica. Il centrodestra usi grande prudenza e se vuole riconquistare la propria credibilità agli occhi di una parte dell’elettorato cattolico lo deve fare cambiando alcuni atteggiamenti di fondo. Non bastano questi provvedimenti ad hoc».
Anche perché, solo per citare un esempio, le misure contro l’immigrazione contenute nel decreto sicurezza sono state tutt’altro che apprezzate Oltretevere.
«La nuova enciclica di Papa Benedetto XVI lo spiega benissimo. Oggi ci sono tante questioni sociali e non si possono scindere facendo una battaglia aspra sui temi del fine vita senza invece curarsi del diritto ad una vita degna per tutti, anche per i cittadini immigrati. Non si può condurre una guerra contro l’eutanasia e poi contestualmente abbandonare al proprio destino le persone che vivono in condizioni di esistenza precaria. E questo una parte consistente della nostra Chiesa lo ha ribadito più volte: le questioni che dal nostro punto di vista hanno rilievo sociale sono tante, e tutte vanno affrontate allo stesso modo e con la medesima sensibilità. Non si può apparire più cattolici e usare la fede come una bandiera su quei temi che fanno comodo in un dato momento dimenticando però tutto il resto».
Non trova che questa apparente schizofrenia di comportamenti sia in qualche modo figlia della necessità di rincorrere parti di elettorato difficilmente compatibili?
«Di sicuro alla base di certe scelte vedo una chiara tendenza di tipo demagogico. Ma ribadisco: credo che il mondo cattolico sappia giudicare guardando alla sostanza di questo o quel provvedimento. Noi non abbiamo mai fatto sconti a nessuno, non ne abbiamo fatti al centrosinistra e non ne faremo al centrodestra. Sbaglia chi pensa di blandirci usando una bandiera piuttosto che l’altra. Quel che chiediamo è coerenza».

A proposito di comuni verdi

Un premio ai Comuni verdi.
Fino al 5 agosto potranno iscriversi al Klimaenergy Award. L’anno scorso vinsero Padova, Laion, Stella e undici amministrazioni tra Modena e Bologna, come Giorgio Bonato ci racconta su Finanza Mercati di sabato 11 luglio.
Rassegna stampa.

Fino al 5 agosto i comuni e le province di tutta Italia, che abbiano promosso o cofinanziato progetti nel campo delle energie rinnovabili e dell’efficienza energetica, portati a termine tra gennaio 2006 e dicembre 2009, potranno iscriversi al Klimaenergy Award, concorso bandito in occasione di Klinaenergy 2009. Si tratta della Fiera specializzata delle energie rinnovabili per usi commerciali con un’attenzione particolare al loro impiego in sistemi integrati, in programma a Bolzano dal 24 al 26 settembre. La partecipazione è gratuita e rivolta a tre categorie di comuni in base al numero di abitanti: comuni con meno di 20.000 abitanti, comuni dai 20.000 ai 150.000 abitanti e, infine, comuni con più di 150.000 abitanti e province. Sono ammessi all’Award anche progetti di più amministrazioni che hanno lavorato insieme.
L’anno scorso furono premiati per la prima categoria i comuni di Laion (Bolzano) e quello di Stella (Savona). Il Comune di Laion è attivo su più fronti; particolarmente interessante l’utilizzo di biomassa legnosa in un sistema di teleriscaldamento per il territorio comunale e la realizzazione di una scuola elementare che, grazie alle misure di risparmio energetico e all’impianto fotovoltaico installato, produce più energia di quanta ne consuma. Vincitore a pari merito, il Comune di Stella che ha presentato la realizzazione di un parco eolico rispettando il passaggio dell’avifauna nell’area.
Per la seconda categoria, comuni dai 20.000 ai 150.000 abitanti, l’Award è stato conferito a 11 comuni dislocati tra le province di Modena e Bologna, un ottimo esempio di collaborazione pubblico-privato con la costituzione di una società specializzata, la Geovest srl. Sono stati presentati impianti fotovoltaci, la promozione di un gruppo di acquisto per l’installazione di pannelli solari termici «chiavi in mano», l’impostazione di nuovi Servizi Energia per la razionalizzazione dei consumi elettrici e per l’illuminazione pubblica. Ottimali le soluzioni di integrazione architettonica degli impianti fotovoltaici. Tra le amministrazioni più grandi il premio è andato al Comune di Padova, che ha intrapreso una serie di iniziative volte alla razionalizzazione dei consumi relativi alle strutture municipali. Le iniziative sono numerose e permettono un risparmio energetico ed economico: dagli acquisti di energia dal libero mercato, a impianti di illuminazione pubblica e impianti semaforici, alla valutazione dell’efficienza degli edifici.

L'Aler vende casa

La panacea mattone.
Speciale - Parte quarta.

Un articolo di Guido Bandera su Il Giorno di giovedì 23 luglio ci informa che l’Aler del Lodigiano vende.
«Cediamo immobili costosi per portare il riscaldamento nei condomini più vecchi».

L’Aler vende casa. L’azienda regionale che, a Lodi, si occupa come nelle altre province lombarde di gestire e gli immobili dati in affitto a canone sociale mette in vendita una parte del suo patrimonio. Vanno all’asta, sfitti, entro il 25 settembre 23 lotti sparsi per tutto il Lodigiano. Appartamenti e box o pertinenze a Casalpusterlengo, a Caselle Landi, a Castiglione d’Adda.
Una nutrita pattuglia di cinque appartamenti vengono venduti a Codogno, fra via Kennedy e via San Biagio. Poi ci sono case a Fombio, in via Giovanni XXIII, a Lodi, in via Calabria, a Mulazzano, e a Sant’Angelo, dove fra via Polli e Daccò e via Galilei sono cinque gli appartamenti che l’Aler vuole vendere. Chiudono la serie, appartamenti di Turano, Maleo e Orio Litta. Ma perché questo accade? Perché l’Aler, in un territorio dove la domanda di case a canone sociale è in crescita, decide di vendere. A sciogliere il mistero di un apparente paradosso, spiegando la strategia dell’azienda è Luigi Augussori, vicepresidente dell’Aler di Lodi. «Si tratta — spiega Augussori, che è anche consigliere comunale della Lega Nord — di una scelta che punta alla razionalizzazione del patrimonio dell’Aler. Gli immobili che vanno all’asta sono in contesti che spesso generano costi eccessivi. Sono spesso appartamenti isolati, in condomini magari di pregio, che richiedono costi molto superiori a quelli normali. Oppure — prosegue — di piccoli caseggiati in piccolissimi comuni, la cui gestione è molto complessa anche dal punto di vista tecnico. Ci sono poi lotti di appartamenti che sono in condomini che sono già stati in parte venduti, nei quali l’Aler non può gestire in autonomia tutto il caseggiato. Per questo si è deciso di vendere gli appartamenti, naturalmente sfitti, per potere realizzare una cifra che non sarà sprecata». Augussori spiega infatti che l’Aler «utilizzerà integralmente la cifra per altri investimenti». E la destinazione dei soldi è quella di ristrutturare le case più vecchie che possiede l’Aler nel Lodigiano. «Abbiamo ancora vecchi condomini che non sono dotati di impianti di riscaldamento, nei quali ci sono ancora vecchie stufe nei singoli appartamenti. Per una ragione di sicurezza e di miglioramenti delle strutture, quindi, quei soldi saranno interamente reinvestiti», conclude Augussori.
(4 - continua)

Il futuro di Caorso

Nucleare, il ritorno.
Speciale - Seconda parte.

Ma cosa è successo o succederà dei siti che hanno ospitato le vecchie centrali dismesse da tempo? Un articolo di Roberta Suzzani su La Cronaca Piacenza di sabato 11 luglio scorso ci parla di Caorso.
«Nel futuro di Caorso c’è un centro di ricerca».
Fiduciosi il sindaco Callori e l’assessore provinciale Allegri.
Rassegna stampa.


«Nessun freno alla dismissione di Caorso». Il giorno dopo il definitivo via libera del Senato al disegno di legge sullo sviluppo, che di fatto rilancia il nucleare civile in Italia, sono molte le voci che si alzano in difesa della scelta del Governo e gettano acqua sul fuoco delle polemiche – e sui timori – innescate dall’assessore regionale alle Attività produttive Duccio Campagnoli che, subito dopo il sì del Senato, aveva denunciato la «paralisi che subisce il percorso della dismissione, sin qui bene avviato, con impegni comuni di Sogin, Regione e Comune di Caorso, sindacati e lavoratori. Un percorso che è giunto ad una situazione molto delicata, come quella del trasferimento provvisorio del combustibile e delle scorie al deposito francese, trasferimento che deve invece proseguire senza interruzioni».
Il primo a tranquillizzare Campagnoli – e i cittadini – sul futuro di Caorso è Fabio Callori, sindaco del capoluogo della bassa e presidente della consulta Anci Comuni sede di servitù nucleari.
«Sogin è stata un partner affidabile e in questi anni abbiamo collaborato in modo fattivo raggiungendo significativi risultati. Per questo motivo il commissariamento non deve pregiudicare il lavoro fin qui fatto e, soprattutto, non frenare quello futuro. Mi attiverò come sindaco e come presidente dell’Anci affinché il processo di dismissione non cada in stallo. Già durante il nostro ultimo incontro con il ministro Claudio Scajola mi ero premurato di sollecitare un incontro immediatamente successivo all’approvazione del ddl.».
Sull’allarme lanciato da Campagnoli, Fabio Callori è diretto e schietto. «Ognuno fa il suo lavoro – commenta sorridendo e aggiunge – Credo che il fine dell’assessore regionale fosse quello di mantenere alto il livello di attenzione su quello che accadrà e che potrebbe accadere. In questo senso anche noi faremo la nostra parte affinché ci vengano date adeguate garanzie sul futuro di Caorso».
Un futuro senza più nucleare. Un futuro in cui il neo assessore provinciale all’Ambiente e agli interventi in materia energetica Davide Allegri colloca nella ricerca.
Ribadendo il suo «pieno appoggio alle decisioni del Governo» l’assessore provinciale della Lega Nord tranquillizza i cittadini assicurando che «il decomissioning va avanti senza intoppi, lo smantellamento delle barre continuerà senza ritardi e nel futuro di Caorso ci sarà l’insediamento di un centro di ricerca».
Per il futuro, quindi, i cittadini di Caorso possono dormire sonni tranquilli. Ma c’è anche chi non la vede così, come Legambiente, ad esempio, che coglie l’occasione del sì al ddl e rilancia la propria campagna antinucleare. Sulle pagine de La Niova Ecologia, l’associazione ambientalista prova a delineare i criteri di localizzazione del Governo e pubblica una cartina con papabili luoghi che stanno per finire nel mirino dei nuclearisti, tra cui Caorso.
(2 - continua)

12 centrali nucleari per il Bel Paese

Nucleare, il ritorno.
Speciale - Prima parte.


Con l'approvazione al Senato il 9 luglio del ddl "Sviluppo", il nucleare ritorna in Italia per ora almeno come prospettiva futura. Nelle scorse settimane avevamo ripreso e divulgato alcuni articoli che parlano della ripresa del fronte nuclearista sostenuto dal governo Berlusconi. Altri ne abbiamo raccolti e ci sembra opportuno ampliare la riflessione su un orizzonte che finirà con lo coinvolgerci tutti. Da qui l'idea di creare uno "speciale" dedicato al ritorno del nucleare per fornire a chi segue questo blog la possibilità d'essere informato sull'evolversi della questione. Cominciamo con un primo post che sintetizza l'evolversi della tecnologia nucleare e che dà una rapida informazione sullo "stato dell'arte" del problema attraverso il meccanismo delle faq, delle domande e delle risposte.

L'evoluzione. Domande e risposte sul nucleare prossimo venturo.


L’evoluzione delle centrali nucleari.
Prima generazione, anni 40-60
: sono i primi progetti dimostrativi su scala commerciale, costruiti negli anni 40 e 50. Una delle tecnologie era la GCR-Magnox, con la quale l’Eni ha costruito la prima centrale nucleare in Italia, a Latina. Ha funzionato dal ’63 all’86.
Seconda generazione, anni 70-90: sono i reattori ora in servizio. Costruiti dagli anni 70 in avanti hanno tecnologie differenziate ma anche una scarsa uniformità dei criteri progettuali. Dopo il 1986, con l’incidente di Chernobyl, i sistemi di sicurezza si sono evoluti.
Terza generazione, attuale: Sono le centrali di oggi. Questo tipo di tecnologia, che si chiami EPR, AP1000 o ABWR, è di fatto un’evoluzione della seconda generazione e non rivoluziona il concetto alla base del reattore precedente. Però sono più efficienti, più economiche nella gestione, più sicure delle precedenti. Ansaldo e Enel sono coinvolte nella costruzione di questo tipo di centrali.
Quarta generazione, dal 2030 circa: tutte le centrali producono scorie, rifiuti radioattivi con tempi di decadimento di migliaia di anni. La quarta generazione, in fase di studio, userà le scorie come combustibile, anche quelle prodotte negli anni precedenti.

Quando sarà pronta la prima centrale?
Il ministro dello Sviluppo economico Claudio Scajola, in diverse occasioni, ha preannunciato che la posa della prima pietra della prima centrale avverrà entro il 2013. L’obiettivo è quello di rendere la prima unità italiana operativa non oltre il 2020. È prevista la costituzione di società ad hoc per la costruzione, proprietà e messa in esercizio di ciascuna unità di terza generazione nucleare.
Come cambierà il mix energetico?
L’obiettivo tracciato dal governo è quello di modificare radicalmente la composizione delle nostre fonti energetiche, oggi sbilanciate su gas e petrolio. Il governo punta a raggiungere il 25% di produzione elettrica da nucleare entro il 2020.
Quante saranno le centrali italiane?
Per centrare l’obiettivo del 25% di produzione elettrica saranno necessarie almeno 12 centrali da 1.300 megawatt ognuna. Sulla base dell’accordo raggiunto il 24 febbraio scorso, in occasione del summit italo-francese, Enel e Edf si sono impegnate a sviluppare, costruire ed esercire almeno 4 unità di generazione.
Quanto costeranno gli impianti nucleari?
I costi di investimento sono alti, in compenso i costi per il “carburante” sono ridotti ad una frazione rispetto al petrolio, gas o anche carbone. Gli oneri da programmare per gestire una centrale nucleare sono comunque in crescita. Secondo un rapporto del Mit, in sei anni le stime sui costi di costruzione degli impianti (esclusi gli oneri finanziari, particolarmente pesanti per questa tecnologia) sono raddoppiati passando da 2.000 dollari/kW a 4.000 dollari/kW.
Chi realizzerà le centrali?
Proprio la struttura dei costi di investimento e la massa critica da raggiungere per rendere conveniente l’operazione rendono praticamente obbligatoria un’aggregazione consortile. Il modello di riferimento è quello adottato in Finlandia per il loro reattore Epr: un consorzio tra operatori e grandi consumatori che si impegnano con un accordo pluriennale a ritirare elettricità così prodotta ad un prezzo prefissato.
Quali compensazioni potranno ricevere le comunità che ospiteranno i siti?
Non si escludono agevolazioni tariffarie per il territorio circostante le centrali. Ma è più probabile il ricorso ad interventi a carico dei gestori del sito sulle infrastrutture (scuole, parchi, ecc.). In ogni caso la costruzione di una moderna centrale atomica garantisce almeno 2.500 posti di lavoro per quattro anni e l’assunzione permanente di almeno 500 tecnici specializzati per la gestione.
(Fonte: Il Sole 24 Ore)
(1 - continua)