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sabato 21 novembre 2009

BlogNotte - Il Mago di Oz

Blog Notte
Il Mago di Oz

21 novembre 2009

Un buon inizio può essere il quiz di Vauro nella puntata di giovedì scorso, 19 novembre, della trasmissione di Santoro "Annozero".



Particolarmente curiosa la conclusione, no? Ma ecco un'altra curiosità divulgata dallo staff del sito di Antonio Di Pietro.



E sempre dallo staff del sito di Di Pietro 10 buoni motivi per aderire al No B. Day.



È impensabile che qualcuno non si trovi d'accordo con almeno uno dei dieci motivi elencati da Di Pietro. Ma facciamo un passettino indietro. Ve la ricordate? I tre video che seguono contengono l'intera famosa intervista di Luttazzi a Marco Travaglio durante lo show sulla rai "Satiricon". Riguardarla ogni tanto è un buon viatico, una sorta di aglio contro i vampiri.








Nella tempesta che esplose dopo quella puntata di Satyricon, un punto di contrasto particolare riguardava l'ultima intervista rilasciata dal giudice Paolo Borsellino, ucciso da Cosa nostra nel 1992, poche settimane dopo la strage di Capaci in cui morì il suo amico Giovanni Falcone. L'intervista fu rilasciata da Borsellino il 19 maggio di quell'anno a due giornalisti francesi, autori di numerosi libri di inchieste, Jean Pierre Moscardo e Fabrizio Calvi.



Le parole di Borsellino furono abbondantemente citate da Luttazzi e Travaglio che parla nel suo libro dei presunti rapporti di Berlusconi con Cosa nostra.
Quelli che seguono sono tre spezzoni di un documentario francese di Canal +, il primo ricorda come Berlusconi sia stato salvato da Craxi, il secondo i rapporti con la mafia, il terzo i motivi della sua discesa in politica.







Un posto incredibile,... oltre l'arcobaleno,un posto dove poter star lontano dai guai...





Buonanotte, Italiani. Sogni d'oro.
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Sciopero della fame al 'Fatebenefratelli'

San Colombano,lavoratori in agitazione. Al Fatebenefratelli 59 i posti a rischio.
Rassegna stampa - Avvenire, Giacinto Bosoni, 21 novembre 2009.

Sciopero della fame al 'Fatebenefratelli' per difendere i 59 posti di lavoro a rischio: in caso di mobilità, i licenziati sarebbero senza tutele.
L’assemblea dei lavoratori ieri ha dato mandato di continuare la lotta con azioni molto dure. È già stata inoltrata al prefetto di Milano la segnalazione dello stato di agitazione, comunicazione obbligatoria per gli operatori dei servizi pubblici. Da subito però è scattato il blocco degli straordinari e sono partiti due presidi permanenti dei lavoratori, uno davanti al Fatebenefratelli a San Colombano, l’altro a Lodi davanti ala sede dell’Asl in piazza San Francesco. «E in questi presidi alcuni lavoratori hanno deciso, forse già da lunedì, di fare lo sciopero della fame proprio per richiamare l’attenzione delle istituzioni su questa vicenda e per fare in modo che qualcuno intervenga ad aiutarci», spiegano i sindacalisti. Il Fatebenefratelli aveva annunciato a gennaio un piano di ristrutturazione per risparmiare circa un milione e 200mila euro l’anno. Una cifra necessaria alla gestione della struttura, sempre più in sofferenza per i diversi tagli: così sono stati individuati 59 esuberi su circa 400 dipendenti. E dal primo dicembre i 59 lavoratori possono essere licenziati con procedura di mobilità in deroga. «La situazione è drammatica, faremo di tutto perché qualche soggetto istituzionale possa intervenire a riaprire il tavolo di trattativa – dicono i delegati sindacali –. Noi crediamo ci sia ancora uno spiraglio e i lavoratori ci chiedono di non mollare».
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Radiografia di un Paese

Cala ancora il tasso di fecondità. Rapporto Istat. Il nostro Paese è sempre più multiculturale: straniero il 6,5% della popolazione. Un italiano su due insoddisfatto del quadro economico.
Rassegna stampa - Avvenire, 21 novembre 2009.

Un’Italia più vecchia, più malata e impaurita dalla crisi economi­ca. Dove aumenta il numero de­gli immigrati e solo uno su dieci riesce a laurearsi. Un’Italia costretta a tirare la cin­ghia ma che non rinuncia al pc o al cel­lulare. Che si sposa di meno e si separa di più. È questa la fotografia scattata dal­­l’Istat nell’Annuario 2008.
Residenti oltre 60 milioni. Alla fine del 2008 i residenti in Italia sono 60.045.068, circa 426.000 in più rispetto all’anno pre­cedente. Questo incremento si deve al saldo attivo del movimento migratorio (+434.245 unità) che neutralizza l’effetto negativo del saldo naturale (-8.467 unità).
Italiani sempre più vecchi. Un italiano su cinque è ultrasessantacinquenne. I 'grandi vecchi' (dagli 80 anni in su) rap­presentano il 5,6% della popolazione i­taliana.
Meno di un figlio e mezzo a donna. Scen­de il tasso di fecondità delle donne che nel 2008 è passato a 1,41 figli da 1,37 del 2007.
Meno fiori d’arancio e più separazioni. Nel 2008 i matrimoni segnano una bat­tuta d’arresto dopo la ripresa osservata l’anno precedente, passando da 250.360 a 249.242. Le separazioni e i divorzi se­gnano un aumento dell’1,2% e del 2,3%. I minori coinvolti sono 66.406 nelle se­parazioni e 25.495 nei divorzi e l’affida­mento congiunto dei figli ad entrambi gli ex coniugi è percentualmente quasi raddoppiato.
Stranieri al 6,5% popolazione. Continua il trend di crescita della presenza di stra­nieri. A fine 2008 gli stranieri residenti e­rano 3.891.295: ben 458.644 in più ri­spetto all’anno precedente. In totale rap­presentano il 6,5% della popolazione to­tale.
Un italiano su due insoddisfatto situa­zione economica. Chi soffre di più sem­brano i lavoratori autonomi e i piccoli imprenditori ma soprattutto i giovani con contratti di collaborazione a tempo de­terminato.
Spesa media famiglie sale solo di 5 eu­ro. In Italia la famiglia tipo l’anno scorso ha sborsato per consumi in media 2.485 euro al mese, e il 19% della somma (475 euro) è andato a finire nel carrello, per l’acquisto di prodotti alimentari. Rispet­to al 2007 è cambiato poco: sul totale del­la spesa l’aumento è stato di soli 5 euro.
Più pc che lavastoviglie. Prosegue il pro­cesso di diffusione di alcuni beni dure­voli, dal cellulare (87,3% delle famiglie), al personal computer (48,7), alla lava­stoviglie (42,5), ai condizionatori d’aria (30,6).
1 su 3 ha diploma, solo 10% laurea. Cre­sce l’istruzione degli italiani, anche se re­sta una bella fetta di over65 con la sola li­cenza elementare. La quota di persone con diploma di scuola superiore è at­tualmente del 32,6% mentre i laureati so­no il 10,7.
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Collocazione del PD nel PSE in discussione

Choc nel Pd: che ci facciamo nel Pse? No a D’Alema. Merlo riapre il dibattito sulla collocazione europea. L’amarezza di Pittella. Bindi: «Hanno perso i veri europeisti».
Rassegna stampa - Avvenire, A. Pic., 21 novembre 2009.

«La bocciatura di Massimo D’Ale­ma a responsabi­le della politica estera euro­pea? Se è questa la conside­razione che il Pse ha del Par­tito democratico e di un suo illustre esponente, che c’en­triamo noi con quell’espe­rienza politica? Forse siamo considerati gregari perché non ortodossi a sufficien­za?». Giorgio Merlo riapre, nel Pd, il dibattito sulla col­locazione europea. «Il Pse può essere un valido alleato – sostiene – ma certo non sarà mai un contenitore in cui confluire».
«Sono dispiaciuto», afferma il segretario del Psi Riccardo Nencini. «È un peccato – ag­giunge – che sia stata fatta u­na scelta di basso profilo. D’Alema per le sue qualità e capacità, avrebbe avuto l’au­torevolezza necessaria per interpretare al meglio quel ruolo». «Ha prevalso la vec­chia concezione dell’Europa intergovernativa. Così han­no perso tutti gli europeisti convinti», interviene Rosy Bindi. Per la vicepresidente della Camera «D’Alema a­vrebbe dato forza e autore­volezza alle istituzioni e alla voce dell’Europa sulla scena mondiale». E parla a sua vol­ta di «scelta di basso profilo» e di «Unione prigioniera dei rapporti di forza tra gli Stati». «Tra una figura di ricono­sciuto livello istituzionale, autorevole ed esperta ed u­na di scarsa statura e di com­petenze tutte da dimostrare l’Europa ha scelto di non contare», sostiene il vicepre­sidente vicario del Parla­mento europeo, Gianni Pit­tella, del Pd. E il deputato En­rico Farinone si dice «irrita­to » con laburisti inglesi, so­cialisti spagnoli e socialde­mocratici tedeschi.
Di diverso avviso Gianfranco Fini, che parla di «pedaggio inevitabile pagato per que­sta fase di avvio. Non sono tra coloro che dicono che si è trattato di un giorno nefa­sto o che è stata persa l’oc­casione – spiega ancora il presidente della Camera –. Non sta a me dire se erano possibili scelte di diverso profilo. La scelta è dipesa an­che dalla necessità di com­parare varie esigenze, dagli stati nazionali alle famiglie politiche».
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White Christmass, la voce della diocesi bresciana

Natale senza stranieri? Bufera nel Bresciano.
Rassegna stampa - Avvenire, 19 novembre 2009.

«Caro assessore, francamente il cristianesimo è un’altra cosa: emarginando il povero (e guarda caso sempre il più debole), emarginiamo lo stesso Cristo e la cosiddetta identità, sbandierata a sostegno di politiche non affatto cristiane, sa solo di strumentalizzazione oltre che di improprietà interpretativa del Vangelo». È un passaggio dell’intervento firmato da padre Mario Toffari, direttore dell’Ufficio della pastorale dei migranti della diocesi di Brescia che sarà pubblicato domani sulla “Voce del popolo” il settimanale della diocesi lombarda. L’assessore in questione è quello di Coccaglio, paesino bresciano un po’ irrequieto, dove da alcuni giorni è partita un’azione del Comune, denominata “White Christmas”, cioè “Bianco Natale”, per controllare a tappeto tutti i clandestini che vivono nel territorio e per espellerli o per togliere loro la residenza nel caso che si tratti di immigrati che non hanno rinnovato in tempo il permesso di soggiorno.
Ma a frenare sulla vicenda è proprio il parroco di Coccaglio, don Giovanni Gritti, che assicura: «Il nostro paese non è razzista». E spiega come è nata la vicenda. Dalla pubblicazione di un’intervista all’assessore alla Sicurezza Claudio Abiendi sul “Giornale di Treviglio” che dedica ampio spazio a Coccaglio. «Il linguaggio riferito nell’articolo è pesante, tanto che un gruppo di fedeli mi porta a conoscenza di quest’articolo e chiede il mio intervento – racconta il parroco –. Si conviene che, in ogni caso, il riferimento al “Bianco Natale” è infelice perché coinvolge una festa cara ai credenti». Così alcune persone si incaricano di chiarire la questione con l’assessore.
«Viene chiesta “una maggiore attenzione per le parole e gli slogan adottati per quella che ci è stato detto non essere un’operazione di pulizia come traspariva dall’articolo – spiega – bensì una sorta di censimento per verificare l’effettiva situazione sul territorio di Coccaglio». Secondo quanto riferito il “bianco” Natale non fa riferimento al colore della pelle di chi lo celebra, me semplicemente è la citazione di un titolo di una nota canzone per indicare il termine delle verifiche. «Al di là della diversità di impostazioni, posso dire che, tra coloro che conosco, nessuno è razzista» conclude don Gritti.
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Un paese quasi come l'Italia ridotto alla fame

Stati Uniti. Sono 49 milioni gli americani che non possono mettere due pasti al giorno a tavola: il 15% della popolazione. Possono sfamarsi solo nei centri di supporto. Che però, per la crisi, vedono ridursi le donazioni.
I poveri del Paese più ricco salvati dalla carità.
Rassegna stampa - Avvenire, Elena Molinari, 19 novembre 2009.

Per qualcuno si è trat­tato di una cena sal­tata qua e là per poter pagare la bolletta della luce. Per altri di una cronica ca­renza di cibo che si è tradot­ta in un pasto al giorno per settimane, spesso consuma­to a una mensa dei poveri. In tutto sono quasi cin­quanta milioni gli america­ni che l’anno scorso hanno conosciuto l’ansia di non poter mettere due pasti al giorno a tavola. Poco meno della popolazione italiana, per dare un’idea.
I dati, resi noti dal ministero all’Agricoltura Usa dopo anni di silenzio da parte del­l’Amministrazione Bush, ri­velano il vero costo della re­cessione. Non si parla di per­centuali di disoccupati, né di punti persi dal Dow Jones, ma di fame, a vari livelli, per quasi il 15% della popola­zione degli Stati Uniti d’A­merica, il Paese più ricco della Terra.
A dimostrare che i numeri sono figli della crisi econo­mica, il governo Usa ha spie­gato che è il peggiore dato dal 1995. E ad aumentare è stato soprattutto il numero dei bambini che vivono sen­za «sicurezza alimentare», come viene definita ufficial­mente. Nel 2008 sono stati ben 17 milioni. L’anno pri­ma erano 12 milioni. Ma questi bambini possono an­cora considerarsi fortunati. A differenza dei loro coeta­nei in molte altre parti del mondo, Africa in testa, nati da ragazze madri (uno dei fattori principali dell’insicu­rezza alimentare), in fami­glie in cui scarseggia l’istru­zione, o in quartieri senza opportunità di lavoro, loro sono venuti al mondo negli Stati Uniti. Dove la filantro­pia ha da sempre un ruolo chiave nella vita dei cittadi­ni, che per questo sono più disposti a donare denaro a un’associazione caritatevo­le che a pagare la stessa cifra in tasse.
È grazie a questa realtà che le strade d’America non as­somigliano a un villaggio a­fricano in preda a una care­stia. Due terzi dei 49 milioni di persone che nel 2008 non sono riuscite a fare la spesa con regolarità, si sono infat­ti potute sfamare in centri di supporto per i meno ab­bienti: mense della carità, chiese, scuole, centri per la distribuzione di cibo in sca­tola. Strutture per lo più pri­vate – ma spesso sovvenzio­nate da fondi o incentivi pubblici – che anche in tem­pi difficili forniscono una re­te di supporto per chi è in ca­duta libera. Ma poiché, a differenza del­le tasse, le donazioni carita­tevoli sono volontarie, la re­te ha dei buchi che si allar­gano proprio nei momenti più duri, quando il numero delle persone che vi cercano rifugio aumenta. I maggiori gruppi benefici americani quest’anno hanno visto le loro entrare ridursi del 9%. E un sondaggio ha rivelato che solo il 38% dei cittadini Usa intende fare la tradizionale donazione di fine anno. Di solito è più del 50 per cento. È per questo che nei nume­ri diffusi dall’Amministra­zione Usa occorre andare a cercare, più dei 49 milioni che hanno temuto o sfiora­to la fame, le centinaia di mi­gliaia di famiglie che l’han­no effettivamente provata, e non solo una volta. Quelle che non hanno trovato posto nemmeno alla tavole dei po­veri. Non sono poche.
Solo le famiglie con bambi­ni (le più vulnerabili) in un anno sono salite a 506mila, dalle 323mila del 2007. E i bambini in evidente stato di denutrizione sono passati dai 700mila a più di un mi­lione. Quest’anno la situa­zione può solo peggiorare.
Una realtà spaventosa per l’America, che richiede un intervento immediato e non lasciato solo alla generosità dei cittadini.
Obama in campagna eletto­rale ha promesso di elimi­nare dagli Usa la piaga della fame tra i più piccoli (che colpisce soprattutto la mi­noranza nera e latina) entro il 2015. Come faceva notare ieri il New York Times in un editoriale, per arrivarci oc­corre che sia lo Stato a en­trare in gioco, con un piano di programmi nutrizionali destinati ai bambini, soprat­tutto attraverso le scuole.
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Ridotti a dieci consiglieri comunali

Il piano Enti locali, la «scure» di Calderoli.
Rassegna stampa - Avvenire, Giovanni Grasso, 20 novembre 2009.

Le forbici di Roberto Calderoli si abbattono senza pietà nella jungla degli enti pubblici italiani, sfoltendo, tagliando rami secchi e addirittura disboscando. Con un risparmio per le casse dello Stato che si annuncia considerevole.
Ieri il consiglio dei ministri ha licenziato un disegno di legge, dal titolo 'Carta delle autonomie', firmato dai ministri della semplificazione Calderoli, da quello dell’Interno Maroni e delle Regioni Fitto. Se approvato dal Parlamento, il testo, specificando notevolmente le funzioni fondamentali di province e Comuni, operarà cruenti tagli su enti superflui, doppioni e relative poltrone (che Calderoli ha addirittura stimato in 50 mila), compresa una riduzione del numero dei consiglieri comunali e provinciali tra il 18 e il 24 per cento. Qualche esempio? Il vulcanico ministro leghista non si fa pregare. Con la riduzione del solo numero di consiglieri comunali, che passeranno da 120.490 a 91.145 « si risparmieranno 150 milioni » .
Senza contare che la ghigliottina dovrebbe tagliare notevolmente anche il numero dei consiglieri provinciali (da 3.246 a 2.650) e drasticamente quello degli assessori (meno 16.500). Il metodo scelto è semplice: a Roma e Milano attualmente ci sono 60 consiglieri comunali? Si riducono a 45. A Torino, Napoli, Genova e Palermo 50? La nuova normativa li porterà a 40. E così via fino ai Comuni più piccoli.
Ma c’è di più: il ministro della Semplificazione avrebbe scovato 34 mila enti inutili o le cui funzioni possono essere trasferite senza grossi problemi agli enti locali: «Il principio base è stabilire chi fa che cosa, la grande questione irrisolta del nostro Paese. Ci sono troppi soggetti che fanno la stessa cosa. Quando furono trasferite le funzioni al territorio non si sono smontate le strutture a livello centrale, e la stessa cosa avviene a cascata per gli altri livelli». Nel mirino di Calderoli ci sono le Comunità montane, destinatarie di fondi notevoli: «Oggi – spiega il ministro – sono 367: un numero spaventoso, considerando anche che più del 50 per cento dei Comuni italiani si trovano all’interno di Comunità montane, il che non ha senso» . E allora? «Le Comunità montane – risponde Calderoli – cesseranno di esistere a livello dell’ordinamento statale e passeranno sotto le Regioni. Le Regioni se vorranno farle esistere dovranno fare una loro legge, rispondere rispetto ai loro elettori e pagarsele» . Di converso, il disegno di legge prevederà sostegni per i Comuni più piccoli. Ma riuscirà il provvedimento a essere approvato, superando resistenze corporative che già si annunciano cospicue? Un comunicato di Palazzo Chigi spiega che la strada è spianata: «In considerazione della peculiarità e dell’importanza che il governo annette alla materia – recita – il disegno di legge, costituisce provvedimento collegato alla manovra finanziaria; in questa veste, consultate le Regioni e le autonomi locali, verrà presentato al Parlamento e usufruirà dei percorsi preferenziali di approvazione previsti dai regolamenti parlamentari». Ma la guerra, che si annuncia difficile, è appena iniziata.


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Una tecnologia innovativa

Energia pulita dal vento e dal sole.
Rassegna stampa - Avvenire, Giacinto Bosoni, 20 novembre 2009.

La forza combinata del vento e del sole, una tecnologia innovativa, in sinergia con un’importante azienda mantovana. È questa la ricetta per un’energia pulita ed efficiente promossa dalla lodigiana Nuova Ggl e dai virgiliani della Green Age Europe spa, che in questi giorni stanno varando ufficialmente l’apparecchiatura 'solar wind hybrid generator', ovvero il generatore ibrido grazie al quale sarà possibile produrre energia pari a 9 kWa sfruttando tanto la potenza eolica quanto quella dei raggi solari. Già testato nelle condizioni estreme invernali del San Gottardo e in quelle torride dei deserti del Sudafrica, il generatore è in procinto di essere smontato e trasportato da Lodi a Migliarino Pisano per un ulteriore collaudo di verifica e la definitiva collocazione. L’efficienza del modulo, assicurano le due aziende, è garantita: ed è in grado, al di la dei puri aspetti commerciali, di riflettersi positivamente soprattutto nelle zone più 'depresse' del pianeta, sia per questioni geografiche che per altre annose problematiche: 'Pensiamo soprattutto all’aspetto umanitario, come l’installazione nelle aree rurali dei Paese emergenti - afferma Gianluca Galbiati, titolare della Nuova Ggl ­. Ma abbiamo tanta richiesta anche dagli agriturismi, dalle aziende agricole dalle zone ancora scarsamente elettrificate'.
L’azienda lodigiana è convinta che gli sforzi profusi nel progetto siano giustificati dalle potenzialità di un mercato, quello della 'green economy', in piena espansione: 'I generatori eolici tradizionali di solito sono alti, rumorosi, onerosi. La nostra apparecchiatura è invece agile, ha un buon impatto visivo, può servire fino a tre abitazioni e grazie alla propria flessibilità d’uso sfrutta le tecnologie più innovative: costerà circa 25mila euro, e sarà garantita per 20 anni'.
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Due euro troppo uno si può fare

I primi cittadini, capeggiati da Cordoni, dicono no alla richiesta di 2 euro per abitante: «La Provincia mette solo 40 centesimi». Fondo anticrisi, i sindaci alzano la voce. «Non siamo insensibili al problema, ma ci chiedono troppi soldi».
Rassegna stampa - Il Cittadino, Lorenzo Rinaldi, 21 novembre 2009.

«Ma quale egoismo? Ma quale insensibilità verso i lavoratori? Chi ci critica sa che sono proprio i comuni il primo argine contro la crisi economica?». È durissima la presa di posizione di Giancarlo Cordoni, sindaco di Lodi Vecchio e fresco di nomina alla presidenza dell’Associazione dei comuni lodigiani (Acl). Cordoni replica con forza a quanti, da più parti, in questi giorni hanno accusato la maggior parte dei comuni lodigiani di non aver sostenuto il fondo di solidarietà per i lavoratori colpiti dalla crisi. Tra i principali accusatori dei comuni c’è Rifondazione comunista, che chiede a gran voce ai sindaci di versare un contributo al fondo di solidarietà. Fondo che, finora, è stato costituito con i soldi della provincia di Lodi, del comune di Lodi, di pochissimi altri centri lodigiani e della Fondazione della Banca Popolare di Lodi. I 350mila euro raccolti, tuttavia, sono già stati spesi (aiutando circa 160 lavoratori di tutto il Lodigiano) e ora il fondo deve essere nuovamente “riempito”: per questo Rifondazione, ma anche altre realtà come la Provincia, invocano un contributo dei comuni pari a 2 euro per ogni abitante. Una cifra che, secondo Cordoni, moltissimi municipi lodigiani non sono in grado oggi di versare, stante gli impegni pressanti a cui sono chiamati per far fronte all’aumento delle richieste dei servizi sociali e i tagli ai trasferimenti attuati dal Governo. Ma c’è di più, perché Cordoni a nome dei sindaci lodigiani denuncia che mentre i comuni dovrebbero versare al fondo 2 euro per ogni abitante, la provincia di Lodi stanzia solo 40 centesimi per abitante. «E consideriamo - aggiunge il presidente dell’Acl - che i comuni devono già affrontare spese molto elevate sul fronte sociale perché offrono il primo aiuto a chi resta senza lavoro». Cordoni non si limita però ad attaccare, ma apre alla possibilità che in futuro i comuni contribuiscano al fondo di solidarietà, certamente con premesse diverse dalle attuali. «Per il 2010 i comuni lodigiani sono disponibili ad aderire al fondo - dice il presidente dell’Acl - ma vogliono essere coinvolti nelle decisioni. Il contributo richiesto ai singoli comuni, inoltre, deve essere sostenibile, non può essere definito in 2 euro per abitante. Un euro, al contrario, potrebbe andare bene. Oggi infatti tantissimi comuni lodigiani non hanno forze: i piccoli hanno pochissime risorse, i grandi sono imbrigliati dalle regole del Patto di stabilità. Con bilanci risicati, risorse sempre più scarse e la mazzata del taglio dell’Ici, i comuni del nostro territorio sono in vera difficoltà e accusarli di non dare soldi al fondo di solidarietà è ingiusto. I sindaci, lo ribadisco, non si devono occupare solo di questo fondo, ma di mille altre esigenze sociali, dai pasti a domicilio alla gestione degli asili nido, dalle scuole ai servizi per gli anziani». Lo sfogo del rappresentate dei comuni lodigiani si chiude con una riflessione ai tanti politici del territorio: «I partiti, se volessero dare un vero segnale in questo momento di crisi, potrebbero versare una quota per il fondo di solidarietà. Vediamo chi accetta la sfida».
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Polveri valori da capogiro

Polveri sottili, una settimana “nera”: smog alle stelle in tutta la provincia.
Rassegna stampa - Il Cittadino, Greta Boni, 21 novembre 2009.

Una settimana da incubo per i polmoni dei lodigiani. Le polveri sottili non hanno dato tregua e a partire da lunedì hanno toccato valori da capogiro.
Nel capoluogo, la centralina di viale Vignati, quella che prende in considerazione anche il traffico veicolare, ha registrato un Pm10 pari a 77 microgrammi al metro cubo, ma nei giorni successivi la situazione è peggiorata: martedì lo smog è salito a 90, mercoledì a 84 mentre giovedì è sceso a 70. Per legge le particelle non dovrebbero superare i 50 microgrammi al metro cubo, ma nel Lodigiano questa è una vera e propria “mission impossible”. Il problema è condiviso da tutta la Pianura padana. In realtà, l’inquinamento ristagnava in città già da diversi giorni, più precisamente da venerdì 13 dicembre, quando il Pm10 è salito da 68 a 80 nel giro di tre giorni. In città c’è poi una seconda centralina, posizionata in via Vittime della Violenza, all’interno di un’area verde lontana dal traffico più intenso: anche in questo caso il Pm10 si è rivelato fuorilegge.
In Provincia di Lodi non si sono salvati nemmeno i paesi, le polveri sottili hanno raggiunto quota 66 a Tavazzano, 74 a Montanaso, 76 a Codogno, 59 a Bertonico.
Il recente studio realizzato da Regione Lombardia, ”Rapporto dell’ambiente in Lombardia 2008 - 2009”, mostra che è stata superata anche la soglia anche per altre sostanze. Nel corso del 2008 in provincia di Lodi si è superata la soglia di 44 microgrammi per metro cubo per il biossido d’azoto, un valore che corrisponde al limite maggiorato del valore di tolleranza in vigore lo scorso anno, un margine di sopportazione che secondo diminuisce di anno in anno, fino quando, secondo quanto stabilito dalla normativa, nel 2010 si azzererà. Milano, Brescia, Como e Lecco si trovano esattamente nella la stessa situazione. Lo “sforamento” dei limiti è evidente anche per quanto riguarda l’ozono, che ha preso di mira la Pianura padana. Le particelle hanno effetti negativi soprattutto sulla vegetazione e sull’ecosistema.
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I comuni alle prese col taglio dei trasferimenti

I comuni lombardi sono quelli più penalizzati dai trasferimenti; ieri la protesta a Milano di duecento sindaci del nord. Una stangata per le tasche dei lodigiani. Roma restituisce solo 150 euro dei 350 versati a testa ogni anno.
Rassegna stampa - Il Cittadino, Greta Boni, 21 novembre 2009.

Si sborsano più soldi per le tasse, ma la cifra che torna nelle tasche dei lodigiani è sempre più bassa. Non è una novità, i comuni della Lombardia sono quelli che ricevono i minori trasferimenti pro capite da Stato e Regione, sia rispetto a tutti gli altri vicini di casa a nord dello Stivale, sia rispetto alla media nazionale. Per capirlo basta guardare le cifre: nel 2007 ogni cittadino della provincia di Lodi pagava allo Stato 354,7 euro, ma da Roma la somma che rientrava sul territorio era pari a 158,9 euro. Al centro dei pagamenti c’erano Ici, Tarsu e addizionale Irpef.
Il guaio è che mentre tra il 2003 e il 2007 l’importo che gravava sul portafoglio dei lodigiani cresceva a dismisura (più 10,5 per cento), la somma che lo Stato rispediva al mittente si abbassava in continuazione (meno 11,3 per cento). I dati emergono da uno studio realizzato dall’Ifel, l’Istituto per la finanza e l’economia locale che analizza il quadro finanziario dei comuni della Lombardia, confrontandolo poi con il resto d’Italia. Per quanto riguarda la città del Barbarossa, il discorso non cambia: gli abitanti del capoluogo, di fronte a un prelievo di 416,7 euro pro capite, nel 2007 hanno potuto fare affidamento solamente su di un trasferimento dallo Stato pari a 189,6 euro. Le tasse sono salite del 16 per cento, ma i trasferimenti sono calati del 5,2.Nel 2007 le entrate totali dei comuni lombardi hanno superato i 10 miliardi di euro e hanno rappresentato poco meno del 16 per cento del totale nazionale. In termini pro capite, il valore delle risorse complessive a disposizione degli enti lombardi, pari a 1.076 euro, è stato inferiore di circa 50 euro al totale delle entrate della media nazionale (quasi 1.122 euro pro capite). Il taglio dei trasferimenti rischia di mettere in difficoltà moltissimi comuni, obbligati a rispettare i vincoli del Patto di stabilità. I bilanci si sgonfiano, ma le amministrazioni sono chiamate a garantire sempre più servizi, soprattutto sul fronte dell’assistenza sociale. Nella giornata di ieri, duecento sindaci del Nord si sono dati appuntamento a Milano per alzare la voce nei confronti del Governo e chiedere che venga valorizzata al più presto la loro virtuosità finanziaria. Al momento, infatti, i primi cittadini devono fare i conti con un Patto di stabilità che blocca il pagamento delle imprese e impedisce investimenti, una situazione a cui si aggiunge il mancato gettito dell’Ici sulla prima casa. «Questa manifestazione - afferma Lorenzo Guerini, referente di Anci Lombardia e sindaco di Lodi che ha partecipato all’incontro presso palazzo Turati - sottolinea la gravità di una situazione ormai insostenibile. Le conseguenze sui comuni del patto di stabilità sono forti e reali, al punto che i comuni non possono neppure disporre delle risorse proprie. Con la mancata compensazione integrale dell’Ici e con i tagli nei trasferimenti, i comuni non hanno più soldi. La stretta finanziaria è diventata opprimente. Abbiamo avuto nei giorni scorsi rassicurazioni verbali da ministri e dallo stesso premier Berlusconi. Non è più tempo di dichiarazioni di intenti, ma di fatti e di certezze. Noi oggi ancora non le abbiamo e in questa situazione non si riesce a garantire qualità dei servizi e investimenti».
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Ma Brunetta non è lodigiano

I dipendenti a casa spiccano a Casale e Codogno mentre calano a Sant’Angelo e San Giuliano. Lodi, la “cura Brunetta” non incide. Nel 2009 in crescita le assenze per malattia nei comuni.
Rassegna stampa - Il Cittadino, Cristina Vercellone, 21 novembre 2009.

Nemmeno il ministro Brunetta può fermare l’influenza. La tradizionale tabella diffusa dal ministero della funzione pubblica questa volta segna un aumento dell’assenza dagli uffici. Il confronto tra ottobre 2008 e ottobre 2009 parla di un aumento della malattia del 28,3 per cento. Questo, nonostante gli interventi sulla busta paga effettuati da Renato Brunetta e ampiamente contestati per illegittimità da sindacati e lavoratori. Secondo i dati, che però vengono diffusi solo con le percentuali e quindi senza la possibilità di fare un confronto reale, nel Lodigiano hanno resistito all’influenza solo i comuni di Sant’Angelo e San Giuliano. Nei palazzi municipali di queste due città, infatti, nell’ottobre 2009 l’assenza per malattia è calata rispettivamente del 62,3 e del 51 per cento, rispetto allo stesso mese dell’anno precedente. Calo delle assenze anche a palazzo San Cristoforo: la differenza, infatti, è del 5 per cento. Nelle restanti realtà, invece, il 2009 è l’anno nel quale i lodigiani e i cittadini del Sudmilano si sono ammalati di più. Il record di assenze si è registrato nel comune di Casale, dove la variazione tra ottobre 2008 e 2009 è stata addirittura del 97,7 per cento, cioè le assenze sono quasi raddoppiate. Boom di assenti anche nel municipio di Codogno: qui nel 2009 le assenze sono state dell’84,1 per cento in più. «Abbiamo 120 dipendenti - spiega il sindaco Emanuele Dossena -. Sicuramente il personale è stato decimato da malattie di stagione». Nel comune del capoluogo, invece, la differenza si è limitata al 59,1 per cento. Più ammalati anche tra i lavoratori che si occupano di sanità. All’Azienda ospedaliera di Melegnano gli ammalati, nel mese di ottobre 2009, sono stati il 41 per cento in più e in quella di Lodi il 25,3. All’Asl, invece, la differenza si è limitata al 7,6. Quella di ottobre è comunque la terza variazione di segno positivo dopo l’incremento di agosto e di settembre, mentre il ministero si attendeva un assestamento del fenomeno. «Il recente trend crescente delle assenze per malattia - fa sapere il ministero in una nota - può avere diverse spiegazioni: aumento del rischio malattia, aggiustamento dei comportamenti individuali e ripresa dei comportamenti opportunistici. Nei due mesi estivi, infatti, non si sono registrati eventi epidemiologici di rilievo, mentre a ottobre il picco influenzale ha interessato soprattutto la popolazione più giovane. Le variazioni fortemente positive si sono verificate in un periodo nel quale sono state ripristinate le originarie fasce orarie di reperibilità, meno stringenti di quelle applicate fino a giugno 2009, con possibili effetti sulla propensione all’uso della malattia per motivi opportunistici. La riforma Brunetta prevede importanti novità in materia di assenze per malattia: possibilità data al ministro di modificare le fasce orarie di reperibilità per il controllo medico; digitalizzazione dell’attività di certificazione dello stato di malattia da parte del medico; responsabilizzazione dei dirigenti, con sanzioni disciplinari nel caso di mancata vigilanza. Per scoraggiare fin da subito una ripresa dei comportamenti opportunistici, Brunetta ha firmato un decreto nel quale vengono indicate nuove fasce orarie di reperibilità (dalle 9 alle 13 e dalle 15 alle 18) entro le quali devono essere effettuate le visite mediche di controllo».
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Firmato l'accordo che mette la parola fine

Fombio. Un’agenzia si occuperà del reinsediamento industriale del sito. Siglata l’intesa anche alla Nilfisk di Guardamiglio. Accordo raggiunto sul futuro dell’Akzo. Cassa integrazione di due anni e buonuscita fino a 50mila euro.
Rassegna stampa - Il Cittadino, Andrea Bagatta, 21 novembre 2009.

Fombio - Due anni di “cassa” con integrazione salariale, bonifica dell’area, assunzione di un’agenzia che favorisca il reinsediamento industriale del sito, attività di collocamento per i dipendenti lasciati a casa, anticipo di trattamento di fine rapporto e di parte del bonus, una tantum di 50mila euro lordi. È stato firmato ieri sera tra azienda e sindacati l’accordo che mette la parola fine alla difficile trattativa intavolata per far fronte alla crisi Akzo Nobel.
Dopo mesi di incontri e rassicurazioni, a metà settembre i lavoratori della Akzo Nobel di Fombio avevano rilevato nella rete Intranet aziendale un documento che indicava le tappe per la dismissione entro l’anno del sito produttivo. Messa alle strette, la multinazionale delle vernici pochi giorni dopo era costretta finalmente ad ammettere il piano che si stava portando avanti da mesi e che prevedeva la chiusura definitiva della fabbrica per giugno 2009.
Da allora, nessun tentativo è riuscito a far tornare sui suoi passi, nemmeno parzialmente, la multinazionale olandese che ancora al tavolo di crisi convocato dal ministero due settimane fa si era detta disponibile a trattare su tutto, tranne che sul mantenimento di unità produttive a Fombio. Almeno su questo è stata di parola. Chiarita in maniera definitiva l’impossibilità di mantenere i posti di lavoro, i rappresentanti dei lavoratori e i segretari provinciali dei chimici di Cgil, Cisl e Uil, che si erano impegnati pure in uno sciopero della fame pur di sensibilizzare l’azienda a restare, hanno cominciato solo una settimana fa a intavolare un accordo difensivo per i 185 dipendenti. Quello di ieri doveva essere il secondo di tre incontri programmati, ma ormai la trattativa era composta: raggiunta una bozza di accordo già in tarda mattinata, nel pomeriggio si è tenuta l’assemblea dei lavoratori che ha votato a stragrande maggioranza a favore della firma. Solo poco più di una dozzina sono stati i contrari.
I dettagli dell’accordo saranno resi noti lunedì, ma in sostanza i lavoratori hanno ottenuto tutto quello che avevano chiesto: richiesta di due anni di cassa integrazione con integrazione salariale, bonifica dell’area e assunzione di un’agenzia che cercherà nuovi possibili industrie da insediare, outplacement (attività di supporto alla ricollocazione professionale) dei lavoratori e ricollocamento fino a 60 unità su base volontaria in altre aziende del gruppo, anticipo del trattamento di fine rapporto e anticipo parziale del bonus, bonus finale da 50mila euro o da 30mila euro per chi volesse uscire subito dall’azienda.
«Per questa parte di trattativa c’è soddisfazione perché abbiamo ottenuto tutto quello che avevamo chiesto - dice Gianpiero Bernazzani segretario della Femca Cisl -. Non possiamo però dimenticare che la cosa più importante, il mantenimento di alcune attività produttive a Fombio, era stata tolta dal tavolo già in precedenza, e quella decisione brucia ancora».
Nilfisk advance. Intanto sempre ieri è stato siglato l’accordo per la cassa integrazione straordinaria di un anno alla Nilfisk Advance di Guardamiglio. La cassa, che partirà lunedì 30 novembre, è stata concordata per un massimo di 38 lavoratori a rotazione: in totale saranno coinvolti dal provvedimento 92 dipendenti. Giovedì sindacati e responsabili aziendali avevano avuto un incontro per definire gli ultimi dettagli della cassa straordinaria e approfondire il piano industriale della multinazionale danese che a Guardamiglio conta 171 occupati.
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La mia libertà al servizio di Dio

L’eccomi di Massimiliano Boriani; il primo passo sulla via del sacerdozio.



Siamo abituati a vedere questi ragazzi, i seminaristi, che girano per l’oratorio mescolandosi con i nostri, che giocano, fanno dottrina, servono messa e studiano per diventare preti. Lo sai, però quando è il momento, ti fa un certo effetto, quasi il loro fosse un altro mondo, distante, irreale, diverso dal solito. E non riesci a spiegarti questa scelta, perché immerso in una quotidianità che non ti lascia spazio né tempo per pensare all’Alto, né libertà tanto ti prende e ti lega stretto. Ci siamo visti domenica pomeriggio all’oratorio, per due chiacchiere, mentre i ragazzi al termine dei giochi gustavano le caldarroste. Macs, così lo chiamano i ragazzi, con molta tranquillità risponde alle mie domande, m’informa sul suo status di giovane, mentre scambia battute con questo o quel ragazzo che arriva e lo saluta. Nato trentadue anni fa, della parrocchia di Sant’Alberto, e come tanti altri ragazzi ha frequentato l’oratorio; grest, campi scuola, animazione e intanto gli studi. Consegue la laurea in sociologia; qualche lavoro occasionale per mantenersi e una puntata all’estero abbinando studio e lavoro. Il suo percorso di fede non è stato folgorante, ma un cammino graduale, libero di percorrere strade diverse con l’opportunità di accostarsi ai vari movimenti ecclesiali, per poi intravvedere quella giusta da percorrere. Fra poco il primo passo importante: un “eccomi” pronunciato davanti alla comunità, per percorrere la via al sacerdozio. Certo è che la strada è ancora lunga; ma la consapevolezza è quella di percorrerla nella libertà che Dio mi ha sempre lasciato, per poter fare la Sua libertà.


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Cineforum: Il nascondiglio di Pupi Avati

Il film in proiezione questa sera al cineforum organizzato dalla Biblioteca comunale.



22 dicembre 1957: durante una tremenda tormenta di neve, una grande casa isolata in una cittadina dell'Iowa è sconvolta da un terribile delitto. Cinquantacinque anni dopo, in quella stessa casa rimasta chiusa per mezzo secolo, una donna di origini italiane decide di aprire un ristorante. È appena uscita dalla clinica psichiatrica dove è stata ricoverata per quindici anni in seguito al suicidio del marito, ed è decisa a costruirsi una nuova vita, ma non appena mette piede nell'edificio i fantasmi del passato tornano a tormentarla. Sarà lei, sempre più in bilico tra ragione e follia, a dovere scoprire il mistero dei fatti oscuri accaduti tra quelle mura. Una verità che, dopo tanti anni, fa ancora paura a molti.



Dopo “La casa dalle finestre che ridono” (1976) Pupi Avati, per sua stessa ammissione, vuol provare se è ancora in grado di tenere fra le mani una macchina da presa e produrre spavento come trent’anni fa: nasce “Il nascondiglio”.
In effetti, essendo un po’ cattivi, questo film si potrebbe anche chiamare “La casa dalle finestre che ridono 2”, poiché gli elementi che portarono al grande successo il film del 1976 ci sono tutti di nuovo: una casa spettrale e misteriosa, una protagonista sola ed insicura, una comunità omertosa e chiusa, ed una realtà sepolta dal tempo da svelare.
Inizia il film ed abbiamo una piccola introduzione di quello che successe nella “Snakes Hall” cinquant’anni prima che la (stupefacente) Laura Morante arrivasse… il mistero, di fatto, inizia subito. Quello che vediamo nel film è una ripetizione della trama de “La casa dalle finestre che ridono” con forse più personaggi secondari a cui la Morante si rivolge per sciogliere il mistero. Ci sono due persone che diventano amiche della protagonista e la aiutano a svelare il mistero (come Gianni Cavina) finendo male, una che sembra voler aiutare ma invece non lo fa (il prete, uguale al sindaco nel primo film), e così via. La Morante è differente però da Capolicchio perché ha in sé lo spettro della pazzia ed un triste e macabro passato alle spalle, due cose che sicuramente aggiungono pepe al suo personaggio, rendendolo più saporito.
Non ci sono risate, non ci sono momenti leggeri, non c’è nessuna sequenza che smorzi l’attenzione e la tensione; “Il nascondiglio” è un film da vedere tutto d’un fiato. Certo i primi 15 o 20 minuti sono utili ad Avati per “settare” l’ambientazione, e questo rende quei minuti un poco noiosi; ma la noia verrà ripagata con tutto il resto del film che sarà coinvolgente ed intrigante arrivando ad un finale veramente ben studiato.
Passiamo al punto di vista tecnico. Il cast artistico è di buona fattura: Laura Morante, non abituata a recitare in film di questo genere, da un’ottima prova pur rimanendo ancorata al suo personaggio tipico (insicura ed isterica ma allo stesso tempo passionale); il resto del cast è solido, costituito da attori non famosissimi ma bravi (come Burt Young nel ruolo dell’agente immobiliare un po’ viscido, ed Yvonne Sciò, una delle due persone che aiuteranno Lei).
La regia di Avati è precisa, intrigante, e ci regala momenti che fanno sobbalzare dal seggiolino del cinema con trucchi tanto semplici quanto efficaci. Questo è il vero punto di forza del film: Avati riesce ancora a spaventare utilizzando dei cunicoli bui, delle vocine terrificanti, delle luci, dei lampadari che si spaccano, dei telefoni che squillano nei momenti più inopportuni possibili, ecc ecc; senza splatter (pochissimo solo nella parte finale) e senza effetti speciali incredibili ci tiene in suspance come pochi registi, ormai, sanno fare. La colonna sonora (firmata Riz Ortolani) è giusta e non risulta mai fastidiosa, ripetitiva, o noiosa; la fotografia è perfetta. Anche i dialoghi sono fatti molto bene, il doppiaggio è eccelso, e tutto risulta molto convincente. Dal punto di vista tecnico “Il nascondiglio” è veramente molto elegante e con dei valori di produzione altissimi.
Usciti dalla sala dopo aver visto questa pellicola si rimane inquietati, sorpresi, e felici di aver visto un bell’horror di produzione italiana, ma che elimina ogni aspetto negativo di quest’ultima.
Cosa dire quindi in conclusione? Un film ben realizzato, dal cast solido, dal regista ancora in splendida forma, e dalla trama intrigante ed inquietante. Riprende quegli aspetti che resero famosa “La casa dalle finestre che ridono” e li riporta sul grande schermo più in salute che mai, facendoci capire che basta poco per far uscire, anche nel 2007, le nostre paure più semplici, più bambinesche (il buio, le presenze, il pericolo della morte).
Pupi Avati ci dimostra che, fra le tante frecce al suo arco, non si è mai dimenticato di lucidare quella horror! Ne “Il nascondiglio” tutto è perfetto, forse fin troppo, ma quello che colpisce di più è la conclusione. Alcune cose nella trama non tornano (perché una donna che ha passato 15 anni in una clinica psichiatrica decide subito di aprire un ristorante e decide di farlo proprio in una casa sperduta nel nulla?) soprattutto per quanto riguarda il finale, ma questo nulla toglie ad un grande lavoro qual è quello fatto per questo film. Un consiglio: l’unica cosa che dovete tenere a mente prima di andare a vedere questo film è:”Ma Lei è ancora pazza o no?”. (dal sito "In the Mouth of Horror")
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