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lunedì 10 agosto 2009

Il comune di Ca' del Bosco dal XVI secolo al 1837

Note storiche riguardanti Brembio e il suo territorio.
Riportiamo in questo post le notizie storiche riguardanti il comune di Ca' del Bosco dal XVI secolo al 1837, raccolte in alcune schede da LombardiaBeniCulturali, il progetto della Regione Lombardia sviluppato con l'Università di Pavia.
Il testo è riprodotto integralmente, comprese le note, per le quali si rimanda al testo originale.

In età spagnola, quando il Contado lodigiano fu suddiviso nei Vescovati Superiore, di Mezzo, Inferiore di strada Cremonese e Inferiore di Strada Piacentina, il comune di Arcagna Eugenia apparteneva al Vescovato Inferiore di Strada Piacentina (Tassa dei Cavalli), al quale risulta ascritto anche nella successiva documentazione a carattere amministrativo (Compartimento Ducato di Milano, 1751). Alla metà del Settecento, al momento dell’inchiesta disposta dalla Regia Giunta per il Censimento, Cà del Bosco contava 192 abitanti ed era feudo dei Rhò di Borghetto, ai quali era stato concesso da Galeazzo Maria Sforza nel 1481 (Agnelli 1917 a). Il giusdicente più vicino era quello di Borghetto; a questi, come pure al podestà di Lodi prestava giuramento il console del comune. Nonostante dipendesse giurisdizionalmente dal comune di Borghetto, Cà del Bosco era comune a sè. La comunità era priva di consiglio, ma in caso di necessità gli interessati si riunivano presso il domicilio del cancelliere e deliberavano in proposito; l’ordinaria amministrazione era affidata a un deputato, eletto annualmente tra gli interessati. L’organico amministrativo era completato da un cancelliere, residente a Brembio, al quale erano affidate le poche scritture del comune e che riceveva dalla comunità un salario annuo di 30 lire. La riscossione delle taglie era infine affidata a un esattore che rimaneva in carica per un biennio (Risposte ai 45 quesiti, 1751; cart. 3049). Ancora compreso nel Vescovato Inferiore di Strada Piacentina, nel 1753 comprendeva Cà del Parto (Indice pievi Stato di Milano, 1753). Nella seconda metà del Settecento, la suddivisione in Città e Contado venne meno in seguito all’applicazione della riforma teresiana: i Vescovati vennero suddivisi in 24 Delegazioni, ognuna delle quali composta da un numero variabile di comunità: in seguito a tale riassetto, dunque, Cà del Bosco con Cà del Parto , Sabiona e Cà de’ Tacchini risulta compreso nella XVII delegazione (editto 10 giugno 1757). Alla riorganizzazione del territorio non se ne affiancò una istituzionale; in linea di massima (con poche eccezioni), l’organizzazione politico – istituzionale delle singole comunità restò invariata. Quindi mantennero le tradizionali funzioni (naturalmente dove presenti) i convocati generali degli estimati, i deputati e i sindaci.

La riforma stabilita nel 1757 restò in vigore sino al 1786, anno durante il quale il governo austriaco decretò una nuova riorganizzazione dello Stato che prevedeva la suddivisione del territorio in otto province (Milano, Mantova, Pavia, Cremona, Lodi, Como, Bozzolo e Gallarate). In forza dell’editto del 26 settembre 1786, il comune di Cà del Bosco, con le frazioni di Cà del Parto, Sabiona e Cà de’ Tacchini faceva parte della provincia di Lodi e, in particolare, della XVII Delegazione, Vescovato Inferiore (editto 26 settembre 1786 c).

Secondo la legge dell' 1 maggio 1798 di organizzazione del dipartimento dell’Adda, Cà del Bosco, con le frazioni di Cà del Parto, Sabiona e Cà de’ Tacchini faceva parte del distretto VI di Borghetto (legge 12 fiorile anno VI a). L’assetto politico – amministrativo stabilito con tale legge, però, venne superato poco dopo. Il 26 settembre 1798 venne emanata la legge di organizzazione di diversi dipartimenti della Repubblica, tra i quali quelli relativi ai comuni del Lodigiano: il dipartimento dell’Alto Po e quello dell’Olona (legge 5 vendemmiale anno VII). Cà del Bosco ed Uniti venne incluso nel distretto V del dipartimento dell’Alto Po. Dopo i rovesci del 1799 e l’effimera restaurazione austriaca, il 13 maggio 1801 venne ripristinato il dipartimento dell’Alto Po (legge 23 fiorile anno IX), suddiviso in soli quattro distretti (Cremona, Lodi, Crema e Casalmaggiore). Il comune divenne parte del III distretto, con capoluogo Lodi. Con la strutturazione del territorio del Regno d’Italia in dipartimenti, distretti, cantoni e comuni (decreto 8 giugno 1805 a), il comune fu compreso nel distretto III di Lodi, Cantone V di Casalpusterlengo; comune di II classe, contava 4705 abitanti. Nel 1809 venne introdotta una nuova organizzazione territoriale che prevedeva l’aggregazione di più comuni in un unico comune denominativo. Il comune risulta così aggregato a quello di Brembio (decreto 4 novembre 1809 c).

Con l'attivazione dei comuni in base alla compartimentazione territoriale del regno lombardo-veneto, il comune di Cà del Bosco, con Cà del Parto, Sabiona e Cà de’ Tacchini, inserito nella provincia di Lodi e Crema, apparteneva al distretto V di Casalpusterlengo (notificazione 12 febbraio 1816). Con decreto governativo del 19 luglio 1837 Cà del Bosco fu infine aggregato a Brembio (decreto 19 luglio 1837).

Festambiente contro il nucleare

Nucleare, il ritorno.
Speciale, [12].
Appello da Festambiente contro il nucleare.
Legambiente: “Con il nucleare non si riduce la bolletta, né si ferma la Febbre del Pianeta”.

“Con il nucleare non si riduce la bolletta, nè si ferma la Febbre del Pianeta”. È questa la risposta di Angelo Gentili della segreteria nazionale di Legambiente alle dichiarazioni sul nucleare del Presidente del Consiglio, Silvio Berlusconi. Un appello che l'associazione ambientalista lancia nel corso di Festambiente, il primo Festival denuclearizzato che dal 7 agosto fino al 16 a Rispescia (Gr) offrirà ai visitatori buone pratiche di green economy, risparmio, efficienza energetica, fonti rinnovabili, le «ricette» per fermare la “febbre” del pianeta.

A lanciare il messaggio antinuclearista saranno gli stessi cantanti tra cui Eugenio Finardi, Bandabardò e Africa Unite, che saliranno sul palco di Festambiente, indossando il braccialetto di Legambiente “No Nuke” contro la scelta energetica dell'atomo. Il nucleare non è la risposta al mutamento climatico, né è una scelta condivisa dalla maggior parte degli italiani. Secondo un sondaggio della Lorien Consulting, infatti, sono oltre il 60% gli italiani contrari all'energia nucleare, quasi 7 italiani su 10 considerano pericolosa l'energia dall'atomo (65,8%), mentre cresce invece l'apertura verso le fonti alternative, a cui sono favorevoli 8 cittadini su 10.
“Il nucleare non è assolutamente la fonte energetica più economica – ha aggiunto Gentili – perché gran parte del costo dell'elettricità da nucleare è legato al costo di investimento per la progettazione e realizzazione delle centrali, che è almeno doppio di quanto ufficialmente dichiarato, e richiede tempi di ritorno di circa 20 anni. Se a questo si considerano anche i costi di smaltimento delle scorie e di decommissioning degli impianti i costi diventano addirittura poco calcolabili. Dove il kWh da nucleare costa apparentemente poco è perché lo Stato si fa carico dei costi per lo smaltimento definitivo delle scorie e per lo smantellamento delle centrali. E sono proprio queste spese ad aver scoraggiato gli investimenti privati negli ultimi decenni. Per fermare la febbre del pianeta e ridurre la bolletta energetica italiana la soluzione più semplice è fondata sul risparmio, sull'efficienza energetica e sullo sviluppo delle fonti rinnovabili: la via più immediata, più economica e sostenibile”.

(12 - continua)

La falsa soluzione

Nucleare, il ritorno.
Speciale, [11].
Il nucleare non serve all'Italia.
Costi, sicurezza, tecnologia e tempi: ecco perché l'atomo è una falsa soluzione.

Il nucleare è la fonte energetica più costosa che ci sia. Non ha risolto nessuno dei problemi di smaltimento delle scorie e di sicurezza degli impianti. Non è la risposta al mutamento climatico. Per Greenpeace, Legambiente e WWF la soluzione per fermare la febbre del pianeta e ridurre la bolletta energetica italiana è molto più semplice dell'opzione nuclearista rilanciata dal ministro Claudio Scajola: è fondata sul risparmio, sull'efficienza energetica e sullo sviluppo delle fonti rinnovabili. Semplicemente perché è la via più immediata, più economica e sostenibile.
Non è vero, infatti, che il nucleare sia economico. Gran parte del costo dell'elettricità da nucleare è legato al costo di investimento per la progettazione e realizzazione delle centrali, che è almeno doppio di quanto ufficialmente dichiarato, e richiede tempi di ritorno di circa 20 anni. Se a questo si considerano anche i costi di smaltimento delle scorie e di decommissioning degli impianti i costi diventano addirittura poco calcolabili. Tutti gli studi internazionali mostrano come sia la fonte energetica più costosa. Dove il kWh da nucleare costa apparentemente poco è perché lo Stato si fa carico dei costi per lo smaltimento definitivo delle scorie e per lo smantellamento delle centrali. E sono proprio queste spese ad aver scoraggiato gli investimenti privati negli ultimi decenni.
Tant'è che tutti gli scenari - persino quello dell'Agenzia internazionale per l'energia atomica - prevedono nei prossimi anni una riduzione del peso dell'atomo nella produzione elettrica mondiale. Secondo le stime dell'Aiea contenute nel rapporto Energy, elettricity, and nuclear power estimates for the period up to 2030 si passerebbe dal 15% del 2006 a circa il 13% del 2030, nonostante la ripresa dei programmi nucleari in alcuni Paesi.
Nucleare e liberalizzazione del mercato sono incompatibili.
Secondo le ultime stime disponibili del DOE statunitense il costo industriale dell'elettricità da nucleare da nuovi impianti è più alto rispetto alle fonti tradizionali. Tra costo industriale e sussidi per sostenere il nucleare il costo raggiunge circa gli 80 dollari al MWh.
Secondo l'agenzia di rating Moody's nonostante i generosi incentivi e sussidi negli USA solo uno o due centrali verranno costruite sulla trentina attese.
In Italia, il nucleare non consentirebbe pertanto di ridurre la bolletta energetica. Per renderlo un pezzo consistente della produzione energetica nazionale occorrerebbe costruire da zero tutta la filiera, con un immenso esborso di risorse pubbliche. Servirebbero almeno 10 centrali, per un totale di 10-15mila MW di potenza installata, e tra i 30 e i 50 miliardi di euro di investimenti (con il forte rischio di sottrarre risorse allo sviluppo delle rinnovabili e dell'efficienza energetica), senza dimenticare gli impianti di produzione del combustibile e il deposito per lo smaltimento delle scorie. Anche assumendo uno schema "finlandese" - con un consorzio di industrie consumatrici che si impegna a comprare per lungo tempo elettricità dai produttori nucleari i rischi finanziari, come dimostra proprio il caso finlandese, sarebbero elevatissimi. Le centrali, nella migliore delle ipotesi, entrerebbero in funzione dopo il 2020, e gli investimenti rientrerebbero solo dopo 15 o 20 anni.
Non è vero che il nucleare sia la risposta ai cambiamenti climatici. In Italia, scegliere l'opzione nucleare significherebbe mettere una pietra tombale su qualsiasi prospettiva di riduzione delle emissioni di CO2. Nella migliore delle ipotesi, senza incontrare quindi nessun problema nella localizzazione e nella costruzione delle centrali, il primo impianto entrerebbe in funzione tra almeno 10 anni, e l'obiettivo dichiarato da Enel e Edison è di coprire il 15-20% del fabbisogno elettrico al 2030 con 10-15 centrali. Se la priorità fosse realizzare centrali nucleari, poiché gli investimenti sono economicamente alternativi, dovremmo dire addio agli obiettivi comunitari e vincolanti del 30% di riduzione delle emissioni di CO2, del 20% di produzione energetica da rinnovabili e del 20% di miglioramento dell'efficienza energetica al 2020. Uno scenario che consente di sviluppare imprese innovative, realizzare migliaia di nuovi posti di lavoro nella ricerca e sviluppo, avere città più moderne e pulite, a portata di mano anche nel nostro Paese nonostante il suo grave ritardo rispetto agli obblighi di Kyoto.
Il nucleare, inoltre, può fornire solo elettricità: questa rappresenta il 15% degli usi finali di energia mentre l'85% è costituito da carburanti per i trasporti e calore per riscaldamento e processi industriali.
Non è vero che il nucleare di oggi sia sicuro. Sulla sicurezza degli impianti ancora oggi, a oltre 22 anni dall'incidente di Chernobyl, non esistono garanzie per l'eliminazione del rischio di incidente nucleare e la conseguente contaminazione radioattiva. Nella migliore delle ipotesi discusse a livello internazionale, con esiti positivi di tutti i possibili sviluppi tecnologici attualmente in fase di ricerca, si parla del 2030 per vedere in attività la prima centrale di quarta generazione. Ma le dichiarazioni di Scajola mostrano che nemmeno lui crede alla IV Generazione ("aspetteremo il 2100"): una ammissione che il nucleare sicuro è utopia.
Così, stando alle dichiarazioni del ministro per lo sviluppo economico, il governo italiano promuoverebbe a caro prezzo un programma arretrato e insicuro di centrali di terza generazione.
Rimangono tutti i problemi legati alla contaminazione "ordinaria", derivante dal rilascio di piccole dosi di radioattività durante il normale funzionamento delle centrali, a cui sono esposti i lavoratori e la popolazione che vive nei pressi.
Non esistono ad oggi soluzioni concrete al problema dello smaltimento dei rifiuti radioattivi derivanti dall'attività degli impianti o dalla loro dismissione. Le circa 250mila tonnellate di rifiuti altamente radioattivi prodotte finora nel mondo sono tutte in attesa di essere conferite in siti di smaltimento definitivi. Lo stesso vale ovviamente anche per il nostro Paese che conta secondo l'inventario curato da Apat circa 25mila m3 di rifiuti radioattivi, 250 tonnellate di combustibile irraggiato, a cui vanno sommati i circa 1.500 m3 di rifiuti prodotti annualmente da ricerca, medicina e industria e i circa 80-90mila m3 di rifiuti che deriverebbero dallo smantellamento delle nostre 4 centrali e degli impianti del ciclo del combustibile. Con quale procedura e garanzie avremo la localizzazione del sito? Sappiamo già la risposta: tornare a Scanzano Jonico.
(11 - continua)

La Lega? Una gabbia... di matti

Economia. Cicchitto: "Non ci sarà una legge sui differenziali salariali tra Nord e Sud". I sindacati bocciano le gabbie salariali. L'altolà di Angeletti: ''Sono una stupidaggine''.
Il sindacato boccia la proposta della Lega, rilanciata dal premier Silvio Berlusconi. Il segretario della Uil: "Dopo l'estate non ne parleremo più". Cgil: "Si cancellano i diritti acquisiti". Polverini (Ugl): ''Sono un errore''. Ma il governo rassicura. Scajola: "Nessuna discriminazione per il Sud, non siamo condizionati dalla Lega". E Fini con la sua Fondazione prepara l'offensiva sul Mezzogiorno.
Adnkronos/Ign.

Il sindacato dice no alle gabbie salariali, ultimo cavallo di battaglia della Lega che ha ricevuto l'appoggio anche del premier Silvio Berlusconi. Una proposta considerata un passo indietro anche da buona parte del Parlamento. Il segretario della Uil, Luigi Angeletti la stronca come "una stupidaggine''. Il dibattito su questo argomento, dice, ''appena passerà il mese di agosto verrà accantonato e a settembre non ne parleremo piu'''.
Angeletti sottolinea l'impossibilità di ritornare alle gabbie prima di tutto a causa delle ''difficoltà tecniche'' legate alla definizione dei differenziali retributivi a seconda delle aree geografiche. ''Infatti nessuno riesce neanche a spiegare come concretamente dovrebbero essere''. Anche Roberto Calderoli, precisa Angeletti, ''ha subito precisato che non voleva riproporre le gabbie ma la questione salari che tenessero conto dei costi vita, che è cosa molto più difficile da definire. La vera differenza non è tra nord e sud ma tra le grandi città e i piccoli centri''.
Il segretario spiega quindi che ''neanche le associazioni delle imprese sono favorevoli al ritorno al passato e forse ci sarà una ragione. La ragione -prosegue- è molto semplice: i salari sono il compenso per il lavoro che si fa non per dove lo si fa''.
Fortemente contraria la Cgil: ''L'ipotesi di istituire le gabbie salariali rappresenta la cancellazione di un diritto conquistato con le lotte dei lavoratori'' sottolinea il segretario generale della Cgil Sardegna Enzo Costa. ''Un diritto che ha rappresentato per anni l'idea di un Paese unico ed unito. Pensare che si possano retribuire identiche prestazioni e professionalità in modo diverso - afferma Costa - significa mettere in discussione i principi sanciti dalla Costituzione e la stessa unità del paese''. ''I sindacati chiedono un aumento del potere d'acquisto di salari e pensioni - conclude Costa - e come risposta dal governo ottengono un aumento delle disuguaglianze''.
Anche per il segretario generale dell'Ugl Renata Polverini, "le gabbie salariali sono un errore, servirebbero solo a penalizzare ulteriormente il Sud". "La differenziazione salariale, inoltre, vanificherebbe l'obiettivo, inseguito per tanto tempo, e raggiunto con grande fatica con la riforma contrattuale, di premiare i livelli di produttività, riforma che il governo dovrebbe sostenere, anche con politiche fiscali di incentivo" aggiune Polverini. Che spiega: "Crescere un figlio al Sud costa molto di piu'' che al Nord, così come mantenere un'automobile o sostenere i costi delle utenze domestiche. E per di più i salari partono già da un livello inferiore rispetto al Centro Nord, e parametrarli al territorio significherebbe ridurli ancora".
Il governo dal canto suo prova a rassicurare i sindacati. Il ministro dello Sviluppo Economico, Claudio Scajola dice "no alle gabbie salariali se queste sono intese come una discriminazione nei confronti del Sud d'Italia. Sì invece ad una contrattazione che tenga presente la produttività e la vicinanza al territorio dello stipendio delle persone". "La valutazione non è quella di accondiscendere alla terminologia gabbie salariali: il Presidente del Consiglio sostiene la tesi che la contrattazione si sposti dal livello centrale a quello territoriale. Dobbiamo avvicinare la contrattazione al territorio, alla specificità aziendale e anche alla produttività del territorio", spiega.
Al tempo stesso Scajola respinge l'idea di un condizionamento troppo pesante della Lega Nord sul governo. "la Lega è una componente essenziale del governo, ma il governo non è condizionato dalla Lega. Il Presidente del Consiglio è la sintesi di ciò che di buono bisogna fare per il governo del Paese. Mi pare una polemica sul nulla", conclude il ministro.
Anche il presidente dei deputati del Pdl, Fabrizio Cicchitto, assicura che non ci sarà una legge che stabilirà i differenziali salariali tra Nord e Sud. "Ci sembra che sulla questione dei salari al Nord e al Sud - premette Cicchitto - vengano fatte molte interpretazioni forzate.
Per il capogruppo del Pdl al Senato, Maurizio Gasparri, il termine gabbie salariali va tolto dal dibattito perché ingenera equivoci e giustamente si presta a polemiche. Il programma per il Sud che stiamo mettendo a punto deve lasciare spazio alla flessibilità contrattuale, affinché si tenga conto dei livelli di produttività e del costo della vita. Niente di più di quanto anche le forze sindacali reputano giusto e logico".
Dall'opposizione però il segretario del Pd, Dario Franceschini dice che "le gabbie salariali sono un'idea "vecchia e superata" che penalizzerebbe ulteriormente il Sud che non ha bisogno degli "show mediatici" del presidente del Consiglio ma di misure concrete per rivitalizzare l'economia e lo sviluppo. Le gabbie salariali, sottolinea Franceschini, sono già state bocciate da Confindustria e sindacati. "Mi stupisco che Berlusconi le rilanci. L'idea è vecchia e superata. Inoltre, si lascerebbero immutati gli stipendi del Nord mentre quelli del Sud diminuirebbero".
Fuori dal coro il segretario della Cgia Giuseppe Bortolussi, secondo cui le gabbie salariali esistono già "visto che i lavoratori del Nord guadagnano oggi mediamente il 30% in più dei colleghi del Sud" e se reintrodotte per legge avvantaggerebbero i lavoratori meridionali. Infatti, se teniamo conto che la Banca d'Italia ha dichiarato nei giorni scorsi che il costo della vita è del 16% circa superiore al Nord rispetto al Sud, l'introduzione delle gabbie salariali dovrebbe, quindi, far recuperare ai lavoratori dipendenti del Mezzogiorno un differenziale oggi esistente con quelli del Nord di circa 14 punti dato dalla differenza tra i maggiori livelli medi salariali e il maggior costo della vita presenti nel settentrione''.

Forse l'ultima notte sul carroponte

Sesta notte sul carroponte per gli operai dello stabilimento di via Rubattino.
Innse, il prefetto di Milano: ''Manca poco per la chiusura della trattativa''.

Gian Valerio Lombardi: ''Sono fiducioso, entro domani si chiude''. Ad avanzare l'offerta oltre al gruppo Camozzi ci sarebbe una cordata di imprenditori lombardi. Anche a Marcellina, vicino Roma, sette operai su una torre di 50 metri: la protesta dei lavoratori della ditta Cim contro la possibile chiusura dell'azienda.
Adnkronos/Ign.

Sembra davvero una questione di poche ore prima di trovare un accordo che possa scongiurare la chiusura della Innse di Milano dove è in atto una protesta degli operai. A rassicurare i 49 lavoratori che rischiano il posto di lavoro è il prefetto di Milano, Gian Valerio Lombardi: "Manca poco. Sono fiducioso. Entro domani si chiuderà". È questo il «verdetto» di Lombardi, che da stamane sta seguendo le trattative in corso tra i nuovi acquirenti, una cordata di imprenditori lombardi, la proprietà dell'area (Aedes) e il proprietario della Innse, l'imprenditore Silvano Genta. Una trattativa che va avanti da ore e che coinvolgerà in serata anche i sindacati.
"Domani sarà la giornata giusta - dice con ottimismo il prefetto - È una trattativa complicata dove ci sono ancora approfondimenti da fare". I nodi da sciogliere riguardano soprattutto il prezzo. "C'è una piccola distanza. Bisogna vedere - chiarisce - l'offerta che viene fatta". Più facili da risolvere, forse, le trattative che riguardano la vendita dei macchinari e l'affitto dell'intera area in cui si trova lo stabilimento. I dubbi, in questo caso, riguardano il cambio di destinazione d'uso che sarebbe stato richiesto ai nuovi proprietari. Ad avanzare l'offerta oltre al gruppo Camozzi ci sarebbe una cordata di imprenditori lombardi rappresentati dal legale Claudio Tatozzi.
In prefettura, intanto, continua il viavai degli interlocutori coinvolti nella trattativa. Per ben due volte il proprietario Silvano Genta ha incontrato i nuovi acquirenti. "Di solito quando le cose si prolungano - dice il prefetto - significa che proseguono. Se stiamo continuando è perché abbiamo la speranza di finire". L'intermediario disposto a rilevare la Innse è ora impegnato al tavolo delle trattative con la Aedes, poi intorno alle 10 è atteso un incontro con i sindacati per mostrare l'accordo che potrebbe essere stato raggiunto e che potrebbe convincere i «gruisti» a scendere dal carro ponte su cui «vivono» da ormai sei giorni.
Intanto, da Milano a Roma, sette operai della ditta di lavorazione di premiscelati per l'edilizia Cim sono saliti questa mattina su una torre di lavorazione alta circa 50 metri a Marcellina, in provincia di Roma. Gli operai protestano contro la possibile chiusura dell'azienda che potrebbe perdere la concessione del terreno. Sul posto sono intervenuti i carabinieri della compagnia di Tivoli, diretti dal comandante Emanuele Meleleo.

Per completezza di informazione riportiamo questo comunicato stampa della Regione Lombardia di venerdì scorso, che ci è stato segnalato.
Innse, il presidente Roberto Formigoni: "Fatto più del necessario".

In occasione della conferenza stampa di Giunta, il presidente della Regione Lombardia, Roberto Formigoni, rispondendo alle domande dei giornalisti, ha replicato a notizie non esatte diffuse da qualche esponente sindacale e circolate in agenzia. In particolare " è stato affermato da un responsabile sindacale - ha spiegato Formigoni - che la dichiarazione di interesse fatta dall'acquirente della Innse è stata formalizzata per iscritto al Comune, alla Provincia di Milano e alla Regione Lombardia. Posso dire, almeno per quanto riguarda la Regione, che ciò non corrisponde al vero.
A quanto mi consta una dichiarazione di interesse è stata rivolta alla società proprietaria dell'area, la quale ha segnalato a Regione Lombardia, in termini generali e succinti, l'esistenza di una manifestazione di interesse. Tra l'altro rilevo che una dichiarazione di interesse all'acquisto di una azienda andrebbe rivolta alla proprietà dell'azienda stessa e non alla proprietà dell'area".
"Evidentemente Regione Lombardia - ha comunque ribadito Formigoni - è sempre stata e continua ad essere disponibile a svolgere i suoi doveri e compiti, anche con un di più di iniziativa e di generosità, ma sempre nell'ambito delle sue competenze. Cosa che ha fatto in tutto questo periodo".
"Voglio anche smentire - ha aggiunto Formigoni - l'altra affermazione circolata, e cioè che non è stata finora ricevuta la delegazione sindacale. La verità è che Regione Lombardia ha aperto un Tavolo, il vicepresidente e assessore al Lavoro Gianni Rossoni vi ha partecipato, almeno in due riunioni, su mia delega, con le Rsu e le proprietà dell'area e dell'azienda, per verificare possibili soluzioni. In effetti erano sembrati appalesarsi imprenditori disponibili all'acquisizione, ma poi queste disponibilità sono scomparse. Nonostante la conseguente chiusura dei Tavoli formali, Rossoni ha comunque continuato a mantenere le relazioni utili e necessarie con le parti in causa".
"L'assenza però di un interesse vero all'acquisizione - ha chiarito ancora Formigoni - ha portato alla decisione del giudice, che conosciamo: siamo in presenza di un mandato preciso della Magistratura di Milano, cui il prefetto ha dato ottemperanza. Dunque - ha concluso Formigoni - Regione Lombardia è certamente sempre disponibile, ha fatto tutto quanto era suo dovere e anche più, è disponibile e pronta a farlo anche in futuro, ma in questo momento non ha poteri di interferenza con le decisioni della Magistratura e con le iniziative conseguenti del prefetto".

Verso i distretti agricoli

Agricoltura: per competere Regione Lombardia punta sui Distretti.

La Regione Lombardia prepara il debutto dei Distretti agricoli, strumenti - sul modello dei distretti e meta-distretti industriali - di competitività per le imprese e per l'intero territorio lombardo. Una delibera proposta dall'assessore all'Agricoltura, Luca Daniel Ferrazzi, approvata dalla Giunta, definisce i requisiti attuativi di legge per l'accreditamento dei Distretti agricoli.
Spiega l'assessore: "La Regione avvia una fase nuova per il sistema agroalimentare lombardo che comprende le produzioni certificate e tutelate e le produzioni tipiche o tradizionali". Dei circa 150 prodotti agroalimentari italiani riconosciuti a livello comunitario con i marchi DOP e IGP, 25 sono prodotti in parte o esclusivamente in Lombardia. Di questi, 24 sono già registrati e 4 sono in "protezione transitoria" garantita dal Ministero per le Politiche agricole, agroalimentari e forestali.
Le filiere interessate sono quelle relative a: lattiero-caseario con 11 formaggi; carne con 9 prodotti; olio d'oliva con 2 oli; frutticola con 2 prodotti. Poi, sul fronte vino, le produzioni viticole regionali si distinguono per la loro caratteristica di eccellenza e l'elevata incidenza di denominazioni geografiche riconosciute: 5 DOCG, 14 DOC, 14 IGT.
Secondo l'assessore, "La costituzione di Distretti agricoli permette di mettere in atto strategie integrate e condivise a livello di intera filiera o di territorio, di promuovere nuovi fattori di competitività e di contrastare efficacemente il rischio di marginalizzazione territoriale subita dal settore agricolo e agroindustriale".
In pratica Regione Lombardia accrediterà il Distretto sulla base di istanze presentate da gruppi di imprese che illustrino la rappresentatività in termini di numero di imprese aderenti, di significatività a livello settoriale o territoriale, di disponibilità del patrimonio scientifico e tecnologico.
"I distretti dovranno nascere con l'obiettivo di creare interrelazioni e interdipendenze produttive tra le imprese agricole e agroalimentari e possono rappresentare un'opportunità di sviluppo per produzioni certificate e tutelate, per realtà agricole caratterizzate da un'identità storica e territoriale o per comparti agroindustriali a elevata specializzazione", ha precisato Ferrazzi.

In difesa delle province

La visita a Lodi del presidente del Consiglio regionale raccontata dall'Ufficio stampa e comunicazioni della Provincia di Lodi.
Le Province non spariranno, realtà come Lodi sono una ricchezza da salvaguardare.

Giulio De Capitani, presidente del Consiglio Regionale Lombardo, ha visitato mercoledì 4 agosto la città di Lodi, ospite dell’assessore al bilancio della Provincia, Cristiano De Vecchi: un incontro denso di significati, da quelli culturali a quelli più prettamente politici. L’importante figura istituzionale ha voluto spendersi in prima persona nella “battaglia” per la difesa delle province: “esse sono parte costituente e imprescindibile della nostra Regione e così vengono individuate all’art. 1, comma 2 dello Statuto d’Autonomia della Lombardia, entrato in vigore lo scorso settembre 2008 e che ho avuto occasione e presentare agli amministratori locali – afferma De Capitani – per cui non ha nemmeno senso metterle in discussione. In ogni caso, mi faccio garante dell’impegno politico di difenderle strenuamente”. Il presidente si è confrontato con Cristiano De Vecchi sulla materia del bilancio e del patto di stabilità ed i due si sono ripromessi di approfondire l’argomento. Per il momento, nel rilasciare dichiarazioni, De Capitani afferma un concetto ancor più generale: “i cittadini lodigiani e quelli lombardi devono sapere che c’è un pesantissimo deficit tra il gettito erariale che esce dalla Regione e ciò che rientra. Stiamo parlando di circa 50miliardi di euro l’anno, una cifra pazzesca”. Secondo l’esponente leghista, “pretendere il rientro di una quota superiore a quella attuale, non c’entra nulla con la mancanza di solidarietà con le regioni più povere che qualcuno paventa. Le risorse, tra l’altro, non starebbero ferme in Regione, ma verrebbero ridistribuite sul territorio, e quindi alle province. La speranza è che il federalismo fiscale apporti presto novità in tal senso”. Certo, poter ragionare su approvvigionamenti economici diversi da quelli attuali, potrebbe permettere di pensare in grande: “ai cittadini lodigiani vorrei dire che oggi, loro ospite, ho visto cose stupefacenti, dal Museo della Stampa, un vero miracolo dovuto alla passione e allo sforzo dell’ing. Schiavi e dei suoi compagni di avventura, alla sede istituzionale della Provincia, recuperata anche grazie a fondi importanti messi a disposizione dalla Regione ed in particolare dal mio predecessore, Prof. Albertoni, nella sua precedente veste di Assessore Regionale alla Cultura. Ebbene, quanti altri siti meriterebbero più attenzione, riqualificazioni, investimenti di promozione che tornerebbero utili al territorio? Ecco un paio di semplici esempi per cui la Lombardia e le sue province necessitano di poter reinvestire il loro denaro”.
La visita del Presidente del Consiglio Regionale si è chiusa con un occhio al sociale, con il saluto alla Scuola Bergognone e al suo “motore” Angelo Frosio: “ho potuto costatare l’enorme lavoro svolto da Frosio con i suoi ragazzi – commenta De Capitani – veramente ammirevole”. Il presidente ha chiuso con un augurio agli amministratori lodigiani: “una giunta giovane, che si è assunta un impegno notevole. Fin dai primi passi, però, mi sembra che il lavoro venga affrontato al meglio. Garantisco vicinanza ed amicizia da parte del Consiglio Regionale”.

Veline sculettanti o mammine tutta casa

Il Cittadino oggi pubblica una lettera di Danila Baldo consigliera provinciale di parità (http://www.consiglieraparitaprovincialodi.it/).
Stipendi d’oro, ma soltanto agli uomini.
Rassegna stampa.

Prendo spunto dalla pubblicazione degli “Stipendi d’oro per i manager ospedalieri” (Il Cittadino del 6 agosto 2009 pag. 9) per darne una lettura di genere. Se qualcuno avesse ancora dei dubbi sulla disparità retributiva (anche a parità di mansioni) fra uomini e donne non ha che da guardare attentamente queste tabelle: 7 sono i manager ospedalieri citati, di cui solo 1 donna (poco più del 14%); 5 i capi dipartimento, nessuna donna (0%); 26 primari di cui 2 donne (8% scarso); 28 i medici citati più retribuiti, di cui 2 donne (poco più del 7%). Facendo una somma di tutte le categorie riportate, troviamo ai vertici degli “stipendi d’oro” 61 uomini e solo 5 donne, cioè in media solo l’8% di presenza femminile ai vertici delle retribuzioni!
Sono andata a controllare sul sito ufficiale dell’Azienda Ospedaliera (www.ao.lodi.it) e alla pagina dedicata all’Operazione Trasparenza nelle Informazioni Utili ho contato 378 nominativi (dal direttore generale a tutti i medici dei diversi reparti, indicati in ordine alfabetico) di cui 153 donne, ossia il 40,5% del totale. Ciò significa che le donne medico sono tante, ma pochissime quelle che arrivano agli stipendi più alti.
Se la forbice retributiva è più “comprensibile” per i settori manager e primari (anche lì, si sa, come in tanti altri settori della nostra società, le donne non hanno ancora sfondato il famoso tetto di cristallo, non hanno ancora accesso paritario ai posti di grande responsabilità, sono numericamente inferiori), più difficile da capire è la discriminazione retributiva fra i medici, cioè fra coloro che esercitano la stessa professione: che cosa porta, a parità di mansione, una così grande differenza fra gli stipendi? Sono meno “capaci” le donne in medicina? Ma di fronte allo stesso lavoro non dovrebbe esserci uno stesso stipendio? Andando a leggere bene le tabelle, si nota che ciò che fa lievitare gli stipendi (tutti uguali alla base, “stipendio tabellare”, prima colonna) sono gli importi delle altre due colonne, “retribuzione posizione totale” e “altre voci stipendiali fisse e ricorrenti”.
Che cosa significa? A questo punto chiunque abbia seguito bene il discorso sarà giunto al nodo del problema, che è il punto focale di tutte le politiche di pari opportunità e parità di genere: le donne hanno conquistato libero accesso agli studi e alle professioni, ma, a parità di merito e capacità, sono ancora bloccate nell’avanzamento della carriera e nell’attribuzione di incarichi aggiuntivi e più remunerativi dalla loro condizione di “donne”! Ossia se hanno famiglia, tutto il carico aggiuntivo del lavoro di cura ricade su di loro (e prende il posto di altre possibilità remunerative, lasciate appannaggio maschile); se non hanno famiglia (o non ne hanno una impegnativa) cade su di loro in ogni caso il pregiudizio che, in quanto donne, sono poco affidabili per incarichi di grande responsabilità, perché il tempo e la disponibilità che hanno al presente potrebbe sempre venir meno in caso di sopraggiunti impegni familiari!
Viviamo in una società che, certo, se non impone il burka e la sharia, ha però ancora tutta una lunghissima strada da compiere perché le donne siano considerate soggetti di pari dignità con autonomia di pensiero e azione, e non oggetti di proprietà o del piacere o dell’opportunismo maschile (vedi lo stupendo e terrificante video in http://www.ilcorpodelledonne.net/?page_id=89).
Le donne in primis dovrebbero ribellarsi dall’essere sfruttate o come corpi nudi sempre pronti alla seduzione o come corpi da riproduzione della specie, e a questo punto il compito di sottrarle al feroce condizionamento dei media, che le vogliono o veline sculettanti o mammine tutta casa, è il fondamentale compito di tutte le istituzioni delegate alle pari opportunità e alla parità di genere.
In realtà sono tantissime le donne impegnate nella ricerca scientifica, anche ad alti livelli, o in professioni impegnative, solo per fare degli esempi, ma il loro compito diventa doppiamente più difficile e faticoso se sommato anche alla totalità del carico familiare, e ciò può essere mitigato solo da un lato dall’applicazione seria di norme e leggi sulle pari opportunità anche in ambito familiare che ci sono e vanno migliorate e fatte rispettare e dall’altro dal favorire un cambiamento di mentalità che veda ugualmente importanti e presenti i due generi sia in famiglia sia in società.

Casale e gli stranieri

In un articolo precedentemente riportato nella nostra quotidiana rassegna stampa si parlava delle dichiarazioni dell'Associazione "Dacia" di Casalpusterlengo. Il Cittadino di oggi nelle pagine di "Lettere & Opinioni" riporta una lettera di Marco Baratto vice presidente dell'Associazione “Dacia”.
Casale. Dopo il rigore attuare anche l’integrazione.
Rassegna stampa.

Con molto interesse ho appreso dell’atto d’indirizzo trasmesso agli uffici comunali da parte del signor Flavio Parmesani in merito all’iscrizione di cittadini stranieri nel comune di Casalpusterlengo. Non voglio soffermarmi sulla parte riguardante i cittadini extra Ue, per fare alcune precisazioni per quanto riguarda i cittadini comunitari.
Per prima cosa e per correttezza sia giusto precisare che i sindaci non hanno alcun potere in merito allo stato civile in quanto esso è per riserva costituzionale (art 117) espressamente demandato allo Stato. Inoltre nell’articolo si afferma che verrebbero «inaspriti i requisiti per la residenza ai cittadini dei paesi Ue», tale atto non sarebbe possibile in quanto per i comunitari vigono delle norme che neppure uno stato membro può modificare arbitrariamente in quanto la libera circolazione dei cittadini è uno dei pilastri fondanti dell’Ue, figuriamoci pertanto se un sindaco può intervenire nel cambiare delle regole che de iure e de facto rientrano nella sfera del diritto comunitario.
Infatti, se si legge correttamente il provvedimento (come pubblicato nel sito del Comune) non vi è nessun inasprimento e chi ha disposto l’ordinanza sindacale si è limitato a fare un “copia incolla” del D.Lgs 30/2007 che dà attuazione alla direttiva comunitaria 2004/38/CE relativa al diritto dei cittadini dell’Unione e dei loro familiari di circolare e di soggiornare liberamente nel territorio degli Stati membri. Tali precisazioni servono essenzialmente a sgombrare il campo da ogni interpretazione maligna e anche ad essere accorti nel comunicare o prendere decisioni. Tale atto mi permette inoltre di invitare tutti i sindaci a rispondere positivamente all’appello del ministro Maroni che «è il momento di porre l’accento sulle politiche di massima integrazione per chi viene a lavorare onestamente nel nostro Paese». Politiche dell’integrazione che per quanto riguarda la comunità romena hanno dei buoni esempi nell’amministrazione leghista di Verona e Treviso dove i comuni hanno facilitato gli iter burocratici per la realizzazione di Chiese e centri culturali. Del resto questa comunità, come sostenuto dal Ministro Maroni «è una comunità ben integrata, è la più numerosa, porta grandi vantaggi all’economia e alla società italiana. Noi la riconosciamo come la comunità più importante presente in Italia », frasi che ogni amministratore locale dovrebbe tenere bene in considerazione e attuare dopo il rigore anche l’integrazione.

Resistenza alla Innse

Il Cittadino di oggi pubblica in prima pagina una lettera di Ercole Ongaro.
Non lasciare soli gli operai della Innse.
Rassegna stampa.

La Innse di Lambrate - assurta in questi giorni alla ribalta della cronaca per la lotta dei suoi 49 lavoratori - è l’ultimo segmento del grande complesso industriale Innocenti sopravvissuto al processo di deindustrializzazione dell’ultimo quindicennio. Il cav. Ferdinando Innocenti lo aveva costruito nel 1933 all’estrema periferia est di Milano per fabbricarvi tubi di acciaio, in particolare strutture per ponteggi edili, passerelle, tribune, palchi. Ma l’inizio della seconda guerra mondiale indusse i proprietari a una drastica riconversione produttiva per partecipare alle laute commesse belliche: l’Innocenti diventò così uno dei più efficienti stabilimenti per produrre bombe e proiettili per esercito, marina e aviazione. Le maestranze, inferiori al migliaio nel 1939, salirono a 2.000 nel 1940 e raggiunsero i 7.000 nel 1943. Ma, dopo l’8 settembre 1943, molti operai non furono più disposti ad assecondare un indirizzo produttivo che prolungava la guerra e favoriva l’occupante nazista. L’Innocenti diventò pertanto uno degli stabilimenti in cui fu più attiva la resistenza. Una lapide ancora presente oggi all’interno della fabbrica ricorda la deportazione nel marzo 1944 di 12 lavoratori della Innocenti, in occasione del grande sciopero operaio nel triangolo industriale del Nord. Quelli ricordati nella lapide non furono gli unici deportati, ma furono quelli che dal lager non tornarono. Tra di loro un lodigiano, Luigi (“Gino”) Marzagalli, che morì nel lager di Mauthausen il 22 aprile 1945. Per la verità storica Marzagalli non fu arrestato a seguito dello sciopero del 1944, bensì nel novembre 1943 e rimase detenuto a S. Vittore per alcuni mesi prima di prendere la via della deportazione.
Come non pensare a questo retroterra storico di fronte alla scelta delle maestranze della Innse di difendere la dignità di se stessi e del proprio lavoro? Questa lotta compendia tutte le lotte recedenti, perché è l’estremo tentativo di affermare che non tutto deve essere sottoposto alla legge del profitto puramente speculativo. L’Innse non è un’azienda decotta e senza prospettive di mercato, non è composta da lavoratori che lottano per spillare qualche migliaia di euro in più di liquidazione a chi la vuole chiudere: sono lavoratori che chiedono di poter continuare a lavorare, perché dal lavoro traggono dignità per sé e per le proprie famiglie. Ma attorno all’Innse si è addensata una bieca speculazione nella prospettiva di futuri lucrosissimi investimenti di edilizia residenziale e terziaria.
Gli operai che presidiano la fabbrica da quindici mesi impedendo lo smantellamento dei macchinari sono da ammirare per la tenacia con cui hanno resistito, nonostante siano stati spesso lasciati soli. Quella lapide che ricorda i lavoratori deportati nel 1944 ha però costitutito per loro un punto di riferimento, un orientamento nel cammino di resistenza intrapreso. Me lo hanno ribadito nel colloquio che ho avuto con alcuni di loro al presidio davanti al cancello chiuso della Innse e allo schieramento di polizia che impedisce l’accesso: ero andato per portare la solidarietà dell’Istituto lodigiano per la storia della Resistenza, in ricordo della lotta resistenziale del 1943-45.
Oltretutto tra i 49 operai della Innse c’è pure un lodigiano, Massimo Merlo, che appartiene al manipolo di lavoratori che sono perfino riusciti scaltramente a entrare nello stabilimento, eludendo la sorveglianza di decine di agenti, e da alcuni giorni vivono barricati su un carro ponte sospeso a dodici metri dal suolo.
Una società, attanagliata dalla crisi economica, in cui i posti di lavoro si vanno perdendo a centinaia di migliaia, non può assistere indifferente al sopruso di chi vuole impedire a degli operai di continuare semplicemente a fare il proprio lavoro. Mantenere ulteriormente questi lavoratori dell’Innse nel limbo della “mobilità” assistita un ridotto salario in cambio dell’inattività significa umiliare delle persone che hanno dimostrato un coraggio e una tenacia straordinari, pagando un alto prezzo in termini di tenuta fisica e psicologica.
Nella recente enciclica sociale Benedetto XVI, dopo aver affermato che “l’estromissione dal lavoro per lungo tempo oppure la dipendenza prolungata dall’assistenza pubblica o privata minano la libertà e la creatività della persona e i suoi rapporti familiari e sociali con forti sofferenze sul piano psicologico e spirituale” , conclude che “il primo capitale da salvaguardare e valorizzare è l’uomo” (“Caritas in veritate”, n. 21).
La vicenda della Innse può essere risolta soltanto se la società civile non lascia isolati questi lavoratori, così che i proprietari della superficie e dell’azienda rinuncino al proprio esclusivo profitto in nome del quale calpestano i diritti degli altri portatori di interessi, in questo caso i lavoratori. Dobbiamo gratitudine a questi operai che, con la loro strenua resistenza, ci ricordano che la valorizzazione della persona resta un principio imprescindibile di umanità e di civiltà.

L'affair mais arriva in parlamento

Moria delle api, mais e neonicotinoidi, presentata al Senato interrogazione parlamentare bipartisan.
Legambiente, Unaapi, Slow Food, Conapi e Aiab: “Il governo dica con chiarezza come continuerà a contrastare la moria delle api e l’esito della sospensione d’uso dei neurotossici per la concia del mais”.

Moria delle api, mais e neonicotinoidi. Sulla questione è stata presentata il 30 luglio al Senato un’interrogazione bipartisan. Ai ministri delle Politiche Agricole e Alimentari e Forestali, del Lavoro, della Salute e delle Politiche Sociali i firmatari (i vicepresidenti della Commissione agricoltura Sanciu e Andria, i capigruppo ambiente e agricoltura del partito democratico Della Seta e Pignedoli, i senatori Leoni, Alicata, Antezza, Bertuzzi, Bruno, De Luca, Di Nardo, Fluttero, Mazzuconi, Molinari, Mongiello, Perduca, Poretti, Pertoldi, Soliani, Tedesco, Ranucci, Viceconte, Zanoletti) chiedono “se le attività di ricerca avviate nel corso dell'ultimo anno abbiano dimostrato scientificamente le cause determinanti del fenomeno di moria delle api e, se sì, quali provvedimenti urgenti intendano adottare per continuare a contrastare tale fenomeno nei prossimi anni”.
Chiedono inoltre “se si intenda fornire delle informazioni sullo stato delle coltivazioni di mais in relazione alle infestazioni da diabrotica” (insetto parassita dannoso per il mais) e “quali provvedimenti si intendano adottare considerata l'ormai prossima scadenza del Decreto di sospensione dell'utilizzo di sementi di mais conciate con neurotossici e neonicotinoi”.
Le stesse domande rivolte, nei giorni precedenti, al governo da apicoltori, agricoltori e ambientalisti, affinché dica con chiarezza e tempestività come continuerà a contrastare la moria delle api e l’esito della sospensione d’uso dei neurotossici per la concia del mais. Una sospensione, dal 17 settembre 2008 al 20 settembre 2009, varata in seguito alla pesante moria che ha colpito le api in maniera crescente dalla fine degli anni 90 e, in particolare, tra il 2006 e il 2008.
“Le api hanno mandato quest’anno netti segnali di ripresa e non si sono più registrate denunce di spopolamento di alveari nelle zone del mais - dicono Unaapi, Legambiente, Slow Food, Conapi e Aiab -. Ecco perché vogliamo sapere se, veramente, si intende imputare al mancato uso dei neonicotinoidi la diffusione della diabrotica in alcune zone a forte vocazione maidicola di Piemonte e Lombardia”.
Un danno che secondo le associazioni è legato invece principalmente al sistema monoculturale intensivo poiché in intere Regioni, dove si è fatto uso di tecniche di prevenzione e metodi alternativi, senza eccesso di sostanze chimiche, la diabrotica non crea problemi.
“E’ indispensabile a nostro avviso - proseguono le associazioni - che i servizi agricoli regionali nei comprensori infestati da diabrotica attuino piani di contenimento del parassita basati sull’effettivo divieto della monocoltura in monosuccessione. Proseguire unicamente sulla via della chimica è un approccio destinato al fallimento, che può comportare solo pesanti danni all’ambiente, alla salute e all’economia”.

Come convertire i cellulari in pannelli fotovoltaici

My future – Energia e riuso a scuola.
I vecchi telefonini diventano pannelli fotovoltaici nelle scuole di 6 città italiane grazie a un progetto che coniuga le strategie di sviluppo sostenibile con l’educazione ambientale.

Il fenomeno sempre più allarmate dei mutamenti climatici rende necessario alleggerire l’impatto delle attività umane sul Pianeta. La scuola è uno dei luoghi fondamentali dove le giovani generazioni acquisiscono gli strumenti necessari per disegnare il presente e il futuro delle loro esistenze. Per questo lo stato di efficienza degli edifici scolastici gioca un ruolo determinante per favorire l’apprendimento, per veicolare il giusto esempio e le buone pratiche da replicare nella vita. Legambiente ogni anno realizza un’indagine sulla vivibilità degli edifici scolastici, Ecosistema Scuola, il cui obiettivo è accendere i riflettori sulla sicurezza e la sostenibilità delle scuole italiane. Ridurre l’impatto ambientale sui territori a partire dall’efficienza energetica nelle scuole, risparmiare emissioni di CO2 educando a comportamenti sostenibili, è l’obiettivo della collaborazione di Legambiente al progetto My Future – Energia e riuso a scuola che si sviluppa attraverso varie fasi: chiunque può recarsi negli oltre 800 negozi Vodafone che partecipano all’iniziativa e lasciare il proprio telefonino per rigenerarli, quando possibile, o smaltirli correttamente. Ogni telefonino ritirato contribuirà a finanziare l’installazione di pannelli fotovoltaici nelle scuole di sei città italiane individuate con il supporto dei circoli territoriali di Legambiente che garantiranno la fattibilità degli interventi e la realizzazione di un percorso di formazione ed educazione ambientale. Ogni impianto realizzerà un risparmio per la scuola e per l’ambiente di circa 5 tonnellate di CO2 all’anno ( pari all’anidride carbonica emessa da un’auto che percorre 1100km o dal consumo di tre barili di petrolio). La scuola, chiudendo il cerchio dell’operazione, potrà investire il risparmio in bolletta in nuovi progetti di educazione ambientale tesi alla formazioni di nuove generazioni consapevoli e informate: le nuove tecnologie per la produzione di energia impattano meno sull’ambiente e possono sottrarci alla schiavitù del petrolio.
Ecobag per My Future: on line si possono acquistare delle borse, veramente belle, tutti pezzi unici, che Vodafone ha realizzato riciclando i teloni delle sue vecchie pubblicità. Il ricavato delle vendite finanzierà il progetto My Future.

Legambiente contro il nucleare

Nucleare, il ritorno.
Speciale, [10].
Per il clima contro il nucleare.

La mobilitazione nazionale di Legambiente per un sistema energetico moderno, pulito e sicuro.

Il governo Berlusconi ha deciso per un ritorno del nucleare nel nostro Paese, con un obiettivo dichiarato di produrre il 25% dell’energia elettrica dall’atomo. Per promuovere questa decisione ha inaugurato da qualche mese una campagna di disinformazione sulle presunte opportunità che questa scelta garantirebbe al nostro Paese. Col nucleare, secondo l’Esecutivo, l’Italia rispetterà l’accordo europeo 20-20-20 per la lotta ai cambiamenti climatici (secondo cui entro il 2020 tutti i Paesi membri devono ridurre del 20% le emissioni di CO2 del 1990, aumentare al 20% il contributo delle rinnovabili al fabbisogno energetico, ridurre del 20% i consumi energetici), ridurrà il costo dell’energia e le importazioni, grazie a delle non meglio identificate centrali di “nuova” generazione, descritte come sicure, pulite e tecnologicamente avanzate.
Se l’Italia decidesse di puntare sul nucleare, causa le ingentissime risorse necessarie per sostenere questa avventura, abbandonerebbe qualsiasi investimento per lo sviluppo delle rinnovabili e per il miglioramento dell’efficienza, che sono invece le soluzioni più immediate ed efficaci per recuperare i ritardi rispetto agli accordi internazionali sulla lotta ai cambiamenti climatici, e rinuncerebbe alla costruzione di quel sistema imprenditoriale innovativo e diffuso in grado di competere sul mercato globale, che ad esempio in Germania occupa ormai 250.000 lavoratori.
Legambiente lancia una grande mobilitazione nazionale, fatta di tante iniziative, da organizzare insieme ad una ampia alleanza di sigle associative, ambientaliste e non, con l’obiettivo di rispondere alle bugie del governo e dei nuclearisti, ristabilire la verità sulla dannosità del nucleare e la sua inutilità per il raggiungimento del 20-20-20, alimentare il dibattito a livello territoriale sui due scenari energetici alternativi futuri che devono comprendere (secondo il governo) o meno (secondo noi) la produzione di elettricità dall’atomo.
Con la nostra mobilitazione non ci limiteremo a spiegare i motivi della nostra opposizione all’atomo, ma rilanceremo la nostra idea di modello energetico, fondato su politiche di efficienza e sviluppo delle rinnovabili e sul gas come fonte fossile di transizione. Senza il quale l’Italia resterebbe fuori da quel percorso di modernizzazione già intrapreso con successo da altri Paesi, come la Germania e la Spagna, che grazie ad una strategia energetica innovativa usciranno nei prossimi anni dall’era nucleare. Perché solo con una seria politica nazionale e locale, che promuova l’innovazione e renda più efficiente e sostenibile il modo con cui produciamo l’elettricità e il calore, si muovono le persone e le merci, consumiamo energia negli edifici e produciamo beni, l’Italia riuscirà a dare il suo vero contributo alla lotta ai cambiamenti climatici, rispettando la scadenza del 2020 dell’accordo comunitario 20-20-20.
(10 - continua)

Lodigiani in Abruzzo

Sara Gambarini su Il Cittadino di oggi ci racconta che la carovana da 15 comuni si è radunata venerdì sera a Guardamiglio, e che ritorneranno a Ferragosto.
Partiti altri 41 volontari per l’Abruzzo.
Tra di loro anche il sindaco di Ossago, Angelo Taravella.

Rassegna stampa.

Terza spedizione dal Lodigiano per non dimenticare il dramma abruzzese di un tragico terremoto che ha portato con sé conseguenze che tutta Italia ha scelto di condividere. Lodigiano compreso. nella serata di venerdì il comune di Guardamiglio è stato ancora una volta il punto di partenza per una missione che la Protezione civile ha deciso di intraprendere radunando questa volta 41 iscritti alla Protezione civile nazionale provenienti da Tavazzano, Caselle Lurani, Brembio, Bertonico, Ospedaletto Lodigiano, San Rocco al Porto, Ossago (tra cui il sindaco Angelo Taravella), Castiraga Vidardo, Crespiatica, Lodi Vecchio, Valera Fratta, Somaglia, Camairago, Turano e Caselle Landi. Tra loro però spicca anche la costante presenza del gruppo FIR CB del Lodigiano, ma è a tutti che è andato il sentito ringraziamento del sindaco di Guardamiglio Maria Grazia Tondini, presente al momento della partenza alle 22 dallo storico Bar Luigi, dove il primo cittadino ha dichiarato: «È la terza spedizione che la comunità guardamigliese vede partire dal proprio territorio e come sindaco, incoraggiando tutti i partecipanti, desidero salutare in maniera particolare i tre volontari della Protezione civile di Guardamiglio che partono con gli altri per il campo di Monticchio in Abruzzo e che sono Fulvio Fiorani, Matteo Molaschi e Mauro Zambarbieri, con cui al termine del loro viaggio intendo organizzare un incontro- testimonianza per la comunità di Guardamiglio».A questo punto non rimane che attendere il ritorno della spedizione Lodigiana previsto per il 15 di agosto, la giornata in cui tutti solitamente mettono al primo posto il riposo assoluto: un’esperienza che si va a sommare alle missioni precedenti, sottolineando la determinazione e l’impegno della Protezione civile del territorio lodigiano e lombardo per l’“emergenza Abruzzo”.

Innse, forse oggi la svolta

Niente ferie per gli operai della Innse: il lodigiano resta sul carroponte.
Rassegna stampa - Il Cittadino di oggi.

Loro no, non pensano alle valigie da fare e alle code sull’autostrada da sopportare. Gli operai della Innse di Milano, da sei giorni sul carroponte della fabbrica per bloccarne lo smantellamento, hanno solo un pensiero in testa: fare in modo che la loro protesta riesca a salvare l’azienda. A guidare la battaglia è proprio un lodigiano, l’operaio metalmeccanico Massimo Merlo, che insieme ai suoi compagni di lavoro si trova ancora lassù, sul carroponte. Oggi, però, potrebbero esserci delle buone notizie, la Fiom-Cgil ha annunciato l’esistenza di un terzo acquirente dopo una lunga riunione in prefettura, così potrebbe definitivamente chiudersi la trattativa con il proprietario dell’azienda, Silvano Genta, e con la proprietà dell’area. L’acquirente non è nè la Gadda srl nè la cordata di imprenditori torinesi che hanno manifestato interesse nei giorni scorsi. Solamente nel caso in cui la trattativa andasse a buon fine, i cinque operai tornerebbero a terra. «Finchè non ci sarà una situazione definita è meglio continuare con quello che stanno facendo», afferma il segretario generale della Fiom-Cgil, Gianni Rinaldini, dopo aver incontrato il gruppo. Rinaldini ha spiegato che «ci sono novità, si sono fatti avanti nuovi acquirenti con ipotesi di acquisizione in tempi stretti. Verificheremo in questi giorni». Ore di tensione anche per le famiglie dei lavoratori: «Speriamo che si arrivi a una conclusione - dice Cristina Vercellone, moglie di Merlo -, anche perché sono stanchi, fa caldo e devono stare in uno spazio di 4 metri per 5, dove ci sono anche altri macchinari». L’operaio è pronto anche a rinunciare alle ferie pur di non abbandonare la battaglia.
Riportiamo per completezza d'informazione due dichiarazioni del gruppo in Regione del Prc-Se che ci sono stati segnalati. La prima, del 3 agosto, è del capogruppo Luciano Muhlbauer, la seconda, del 4 agosto, di Alfio Nicotra, portavoce regionale del Prc Lombardia.
Innse: Formigoni intervenga immediatamente altrimenti lo riteniamo corresponsabile.
Come ladri di notte domenica 2 agosto le forze dell’ordine hanno sgomberato il presidio degli operai della Innse e hanno fatto entrare nello stabilimento le squadre per lo smontaggio dei macchinari.
Questa mattina una delegazione della Rsu Innse e della Fiom, che da ieri hanno chiesto pressantemente un incontro urgente con Formigoni, è stata ricevuta dal Direttore Generale dell’Istruzione, Formazione e Lavoro, Roberto Albonetti, perché dicono, in Regione, essere tutti in ferie, dalla Presidenza all’Assessore.
Un atto di forza ingiustificabile quello messo in atto da ieri di cui Regione Lombardia è corresponsabile se non interviene subito perché sia sospeso immediatamente lo smontaggio dei macchinari. Chiediamo ancora una volta a Formigoni di intervenire in prima persona per impedire lo smantellamento di una fabbrica sana.
Proprio l’ordine del giorno votato all’unanimità mercoledì scorso dal Consiglio Regionale chiedeva un impegno concreto di Regione Lombardia per sventare il pericolo dell’esecuzione forzata dello smantellamento dei macchinari proprio in questo periodo di ferie. E subito è successo: i ladri di polli sono arrivati! Oggi Formigoni deve scegliere da che parte stare: se dalla parte dei lavoratori e della continuità produttiva della Innse - come tante volte riconosciuto e sostenuto negli ultimi mesi -, o dalla parte di un singolo che fa solo i propri affari e delle speculazioni che si avventano sul sito produttivo di Lambrate.
Gli sgherri di padron Genta devono immediatamente uscire dallo stabilimento abbandonando lo smontaggio degli impianti.
Castelli si dimetta, ha spacciato per imprenditore un rottamatore. Trattativa subito, basta con la polizia.
Alla Innse si sta consumando un dramma insopportabile, con gli operai costretti a minacciare di gettarsi da una gru per farsi ascoltare. Un dramma sociale e umano, che da mesi e mesi coinvolge tante famiglie di lavoratori, e perciò non può essere risolto dalla polizia. Tanto più che si svolge attorno a una fabbrica sana consegnata ad uno speculatore unicamente interessato a smantellarla.
È il momento che Formigoni si faccia vedere ai cancelli, ascolti le RSU e si impegni politicamente a risolvere questa situazione intollerabile.
La polizia si ritiri, la Innse non è un problema di ordine pubblico. Difendere il diritto al lavoro negato dalla speculazione non è un reato. Fuori legge vanno considerati il bucaniere dell'economia Silvano Genta e chi gli ha consentito di ottenere per appena 700mila euro la proprietà di macchinari che valgono venti volte tanto, per poi andarsene lasciando sulla strada decine di lavoratori con le loro famiglie.
In questa storia ci sono responsabilità politiche enormi, a cominciare da quella del sottosegretario Castelli che, in base alla legge Prodi, presentò padron Genta alla provincia di Milano spacciandolo per imprenditore, quando invece era semplicemente un rottamatore.
Su quanto sta accadendo alla Innse Castelli non ha proferito parola fino ad oggi, dopo quelle spese per garantire la bontà delle intenzioni di Genta, che oggi si rivelano un imbroglio. Personaggi come lui, che prendono in giro i lavoratori del Nord, non devono stare al governo: Castelli si dimetta!

Quando il razzismo diventa politica amministrativa

Francesco Dionigi oggi su Il Cittadino ci dice che a Casale fanno discutere le norme sui bivacchi in centro e sulla residenza.
La città dei divieti non piace al Pd, critici anche i portavoce dei romeni.
Rassegna stampa.

Casale - Proseguono a Casalpusterlengo le proteste degli esponenti del centro sinistra sulle nuove ordinanze per la sicurezza e il decoro cittadino firmate dal sindaco Flavio Parmesani a metà luglio. Il punto del contendere è l’ordinanza relativa il divieto di bivacco nei luoghi pubblici e sui monumenti cittadini, la cui interpretazione è soggetta a dubbi attuativi. Proprio per questo una decina di esponenti del centro sinistra guidati dal segretario cittadino del Partito democratico Federico Moro e composta oltre che da simpatizzanti e iscritti dal consigliere comunali Pierangelo Ferrari e dall’ex consigliere comunale Giuseppe Riboni, oltre che dall’ex presidente del consiglio di circoscrizione di Zorlesco Ausonio Boriani, hanno effettuato nella mattinata di sabato un presidio di protesta e di sensibilizzazione dei cittadini sul tema nei pressi del sagrato della chiesa parrocchiale dei Santi Bartolomeo e Martino di piazza del Popolo, ripreso anche dalle telecamere di Rai 3.
«La giunta di centro destra - ha detto Riboni - invece di dare spazio alle persone sta limitando gli spazi quotidiani del vivere all’aperto in nome di una ipotetica sicurezza: parlare di bivacco all’aperto, sui gradini della chiesa o in piazza, non ha senso. Chiunque ha diritto di sedersi in luoghi pubblici e di riposarsi, conversare o mangiare un gelato sulle panchine, nel rispetto delle altre persone». Il segretario Pd Federico Moro ha aggiunto: «Sebbene possa essere presto per esprimere un giudizio su questa amministrazione comunale mi sembra che stia attuando una politica di divieti e di limitazioni che non può funzionare e non può essere accettata passivamente dai cittadini».
Sempre in merito alle ordinanze del sindaco Parmesani va registrata anche la protesta dell’associazione culturale italo-rumena Dacia per gli indirizzi trasmessi agli uffici comunali riguardo l’iscrizione di stranieri nel comune casalese, con particolare riferimento a un reddito minimo di 5mila euro se non si lavora o alla documentazione che attesti una occupazione. Da Dacia si precisa: «I sindaci non hanno alcun potere sullo stato civile che è costituzionalmente espressamente demandato allo stato. L’atto di inasprire i requisiti di residenza non è possibile per i cittadini comunitari in quanto vigono norme europee che neppure uno Stato membro può modificare».

Agosto senza biblioteche

Il calendario delle chiusure per ferie delle biblioteche del Sistema Bibliotecario Lodigiano.

Il servizio di prestito interbibliotecario, nell’ambito delle biblioteche del Sistema, è sospeso dal 10/8/09 al 23/8/09. Quanto segue è il calendario di chiusura delle diverse biblioteche che fanno parte del Sistema.
Biblioteca comunale Laudense
Dal 15 Giugno al 5 settembre osserverà i seguenti orari di apertura: Dal lunedì al sabato: 8.30-12.30. La Biblioteca resterà chiusa dal 10/08/09 al 22/08/09.
Biblioteca di Villa Braila
La Biblioteca resterà chiusa dal 10/08/09 al 22/08/09.
Biblioteca comunale di Bertonico
La Biblioteca resterà chiusa dal 07/08/09 al 28/08/09.
Biblioteca comunale di Borghetto Lodigiano
La Biblioteca resterà chiusa dal 10/08/09 al 23/08/09.
Biblioteca comunale di Borgo San Giovanni
La Biblioteca resterà chiusa dal 02/08/09 al 27/08/09.
Biblioteca comunale “Pier Vittorio Tondelli” di Brembio
La Biblioteca resterà chiusa dal 10/08/09 al 29/08/09.
Biblioteca comunale di Casaletto Lodigiano
La Biblioteca resterà chiusa dal 01/08/09 al 31/08/09.
Biblioteca comunale di Casalmaiocco
La Biblioteca resterà chiusa dal 06/08/09 al 21/08/09.
Biblioteca comunale di Casalpusterlengo (Mediateca provinciale)
La Biblioteca dal 29/6 al 13/9 adotterà il seguente orario di apertura: Martedì: dalle 15.00 alle 19.00; Mercoledì: dalle 10.00 alle 19.00 e dalle 20.30 alle 23.00; Giovedì: dalle 10.00 alle 19.00; Venerdì: dalle 10.00 alle 19.00; Sabato: dalle 10.00 alle 12.30 e dalle 15.00 alle 19.00. Rimarrà chiusa dal 9 al 16 agosto.
La biblioteca resterà chiusa dal 09/08/09 al 16/08/09.
Biblioteca comunale di Caselle Landi
La Biblioteca resterà chiusa dal 03/08/09 al 23/08/09.
Biblioteca comunale di Castiglione d'Adda
La Biblioteca resterà chiusa dall'08/08/09 al 22/08/09.
Biblioteca comunale di Cavacurta
La Biblioteca resterà chiusa dal 03/08/09 al 23/08/09.
Biblioteca comunale di Cavenago d'Adda
La Biblioteca resterà chiusa dal 03/08/09 al 30/08/09.
Biblioteca civica “Popolare – Luigi Ricca” di Codogno
La Biblioteca resterà chiusa dall’ 11/08/09 al 15/08/09.
Biblioteca comunale di Cornegliano Laudense
La Biblioteca resterà chiusa dall’ 08/08/09 al 23/08/09.
Biblioteca comunale di Crespiatica
La Biblioteca resterà chiusa dall'01/08/09 al 26/08/09.
Biblioteca comunale di Graffignana
La Biblioteca resterà chiusa dall'08/08/09 al 16/08/09.
Biblioteca comunale di Livraga
La Biblioteca resterà chiusa dal 03/08/09 al 23/08/09.
Biblioteca comunale di Lodivecchio
La Biblioteca resterà chiusa dal 10/08/09 al 30/08/09.
Biblioteca comunale di Mairago
La Biblioteca resterà chiusa dal 10/08/09 al 29/08/09.
Biblioteca comunale di Marudo
La Biblioteca resterà chiusa dall’ 01/08/09 al 31/08/09.
Biblioteca comunale di Massalengo
La Biblioteca resterà chiusa dal 03/08/09 al 22/08/09.
Biblioteca comunale di Meleti “Antonio Bravi”
La Biblioteca resterà chiusa dal 03/08/09 al 23/08/09.
Biblioteca comunale di Merlino
La Biblioteca resterà chiusa dal 06/08/09 al 27/08/09.
Biblioteca comunale di Montanaso Lombardo
La Biblioteca resterà chiusa dal 01/08/09 al 29/08/09.
Biblioteca comunale di Mulazzano
La Biblioteca resterà chiusa dal 01/08/08 al 31/08/09.
Biblioteca comunale di Ossago Lodigiano
La Biblioteca resterà chiusa dal 10/08/09 al 29/08/09.
Biblioteca comunale di Pieve Fissiraga
La Biblioteca resterà chiusa dal 17/08/09 al 30/08/09 e nella sola mattinata dell’11/8.
Biblioteca comunale di Salerano sul Lambro
La Biblioteca resterà chiusa dal 03/08/09 al 29/08/09.
Biblioteca comunale di S. Martino in Strada
Dal 01/08/09 al 14/08/09 la biblioteca avrà i seguenti orari di apertura: Martedì e mercoledì: dalle 15.30 alle 18.30; Giovedì: dalle 9.30 alle 11,30 e dalle 15.30 alle 18,30; Venerdì e sabato: dalle 14.30 alle 18.00.
Biblioteca comunale di S. Rocco al Porto
La Biblioteca resterà chiusa dal 20/07/09 al 26/08/09.
Biblioteca comunale di S. Stefano Lodigiano
La Biblioteca resterà chiusa dal 03/08/08 al 23/08/09.
Biblioteca comunale di Secugnago “Maria Grazia Ferri”
La Biblioteca resterà chiusa dal 07/08/09 al 28/08/09.
Biblioteca comunale di Somaglia
La Biblioteca resterà chiusa dal 03/08/09 al 25/08/09. Durante tale periodo sarà aperta Lunedì 24/8.
Biblioteca comunale di Sordio
La Biblioteca resterà chiusa dal 10/08/09 al 26/08/09.
Biblioteca comunale di Tavazzano
La Biblioteca resterà chiusa Sabato 15/8.
Biblioteca comunale di Turano Lodigiano
La Biblioteca resterà chiusa dal 10/08/09 al 29/08/09.
Biblioteca comunale di Valera Fratta
La Biblioteca resterà chiusa dal 10/08/09 al 30/08/09.
Biblioteca comunale di Zelo Buon Persico
La Biblioteca resterà chiusa dall’1/08/09 al 31/08/09.
Le Biblioteche del Centro intercultura Tangram, dell’Istituto Bassi, dell’Istituto Maffeo Vegio resteranno chiuse dal 01/08/09 al 31/08/09. La Biblioteca dell’Istituto Novello nel mese di Agosto potrà essere aperta su appuntamento.