Rassegna stampa - Avvenire, Giuseppe Pennisi, 11 novembre 2009.
Si può attuare una exit strategy dalla crisi che dia la priorità alle nuove generazioni? Un articolo pubblicato su oltre cento giornali in tutto il mondo dal premio Nobel Paul Krugman critica America ed Europa che starebbero attuando politiche di bilancio troppo timide; non tratta però del peso, sui giovani, dell’indebitamento causato dai crescenti deficit dei conti pubblici. Negli Usa, ad esempio, il debito totale interno supera già tre volte il Pil e questo avrà certo notevoli conseguenze per le generazioni più giovani.
' The Economist' ha fatto eco a questa analisi arrivando a esaltare il «declino della fertilità» , come «un regalo inatteso giunto alle società a basso reddito» , addirittura «un volano» per uscire dalla crisi. In sintesi, tanto il premio Nobel americano Krugman quanto il famoso settimanale inglese puntano su politiche che penalizzano i giovani di oggi ( adulti di domani) e riducono il numero dei loro fratelli più piccoli.
Queste idee serpeggiano, purtroppo, anche nel G20. L’accento sul breve termine e l’elogio della denatalità trovano, in quella sede, una corrente di pensiero che si sta irrobustendo.
Qui non vogliamo fare obiezioni etiche, ma dare una risposta imperniata su argomentazioni economiche. La forniscono due lavori recenti. Il primo, di Matthew Adler della University of Pennsylvania, è apparso nell’ultimo fascicolo della ' George Washington Law Review'. Nello studio si definisce, in termini rigorosamente tecnico- economici, come dare la priorità alle nuove generazioni sia nelle politiche sia nella valutazione di provvedimenti e investimenti pubblici. Sono temi specialistici poco adatti a essere sintetizzati su un quotidiano, ma sarebbe bene che lo leggessero attentamente gli uomini di governo italiani (e i loro sherpa) coinvolti nel G20. Il secondo lavoro, un’analisi effettuata dall’Università della Ruhr verifica, in base ai dati relativi ai nati in Germania Ovest dal 1966 al 2008, in che misura la disoccupazione giovanile influisce sul capitale umano ( la risorsa più preziosa di un Paese). Nei Länder presi in considerazione, il numero dei giovani al di sotto dei 25 anni alla ricerca di lavoro è passata dal 4% all’inizio degli anni Ottanta al 10,5% nel settembre 2009. Nonostante il miglioramento dei livelli d’istruzione nei quattro decenni in esame e i vasti programmi di formazione sviluppati da governo federale e Länder, il rischio di disoccupazione di massa tra i giovani minaccia un deterioramento dello stock di capitale umano (la sola forma di capitale che se non si utilizza, si erode) con conseguenze negative sul futuro dal punto di vista sia sociale sia economico. Lo conferma anche uno studio comparato del Cnr: la crisi sta riducendo l’innovazione in Europa pure a ragione dei suoi effetti sul capitale umano.
Cosa fare? Un’idea buona viene dal 'gruppo di Bruegel', l’associazione di economisti animata da André Sapir (la si può leggere nel sito www.bruegel.org). Alla vigilia delle 'nomine europee', il gruppo ha delineato le priorità economiche dell’Unione nel periodo 2010- 2015, basandosi su un principio semplice ma chiaro: l’Ue e i suoi organi devono guardare al lungo periodo – il ruolo dell’Europa nella globalizzazione, la perdita di capitale umano anche a causa dell’invecchiamento, l’innovazione tecnologica, l’approvvigionamento energetico – mentre i singoli Stati sono meglio atti a trattare gli aspetti di breve periodo. Ciò non vuol dire scaricare sull’Ue le politiche per le giovani generazioni ma dare loro una collocazione alta e appropriata. E i giovani di oggi sono 'più europei' dei loro padri.
Nessun commento:
Posta un commento
Nota. Solo i membri di questo blog possono postare un commento.