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mercoledì 25 novembre 2009

Anziani e lavoro

Anche il lavoro va adattato alla società che invecchia.
Rassegna stampa - Avvenire, Giuseppe Pennisi, 25 novembre 2009.

Dal «Rapporto Nazionale 2009 sulle condizioni e il pensiero degli anziani: una società diversa», presentato nei giorni scorsi, si evince che già il 20% degli italiani ha più di 65 anni (nel Nordest si sfiora il 30%), il 60% degli ultra­65enni sono donne e un terzo dei lavoratori attivi è nella 'terza età'. «Il welfare – conclude il documento – necessita di urgenti interventi per adeguarsi ai bisogni di queste nuove generazioni di anziani» in una società in cui nel 2050 l’aspettativa di vita raggiungerà gli 86,6 anni per gli uomini e gli 88,8 per le donne.
Gli interventi più importanti, a nostro avviso, riguardano l’adattamento del mercato del lavoro ad un processo di pensionamento graduale, l’implementazione di alcuni meccanismi previdenziali specifici e il sistema sanitario nel suo complesso. Tali interventi potranno essere compiuti dopo il superamento della crisi economica in corso ma occorre cominciare a rifletterci da ora. In materia di lavoro, la priorità è facilitare l’occupazione degli anziani che possono e vogliono restare attivi.
Negli Usa il risultato si è prodotto anche grazie a una sentenza della Corte Suprema che ha giudicato discriminatori, e incostituzionali, i 'limiti di età'. Rientrando in Italia, sarebbero probabilmente da ripensare norme recenti che, con l’obiettivo di svecchiare la dirigenza pubblica, hanno reso più stringenti tali 'limiti'. Lo scopo di poter disporre di una dirigenza giovane e nel contempo mantenere gli anziani al lavoro (se possono e vogliono farlo), si può raggiungere ponendo alle posizioni dirigenziali 'tetti di età' anche inferiori a quelli attuali (nelle organizzazioni dell’Onu, ad esempio, sono fissati a 57 anni) ma facendo sì che i dirigenti 'giovani' siano affiancati da 'anziani' in posizione di staff, magari anche a part-time, della cui esperienza possano avvalersi. Ciò potrebbe favorire anche la posposizione dell’età effettiva di pensionamento.
Ancora, da noi è di queste settimane l’accordo secondo cui gli avvocati non potranno fruire di pensioni di vecchiaia prima dei 70 anni di età e di 35 anni di contributi. Pur se il meccanismo 'contributivo' per il computo dei trattamenti previdenziali induce a ritardare l’età della pensione, è auspicabile che misure come questa vengano generalizzate al fine di evitare lo scenario di un’Italia in cui il 30-40% della popolazione sarà composta da anziani indigenti a causa di pensioni raggiunte troppo precocemente e di assegni che col tempo perdono troppo valore.
La revisione di alcune norme lavoristiche e previdenziali dovrebbe poi essere accompagnata da misure specifiche attinenti all’indicizzazione dei trattamenti. Quando il meccanismo 'contributivo' sarà pienamente in vigore, il rapporto tra ultimo stipendio e primo assegno pensionistico sarà attorno al 50%.
Tale livello può essere considerato adeguato dato che molti pensionati disporranno di capitali accumulati in vita attiva. Smentendo il teorema per il quale Franco Modigliani ebbe il Premio Nobel, infatti, un’analisi dell’Università di Chicago avverte che nell’America in cui il saggio di risparmio di individui e famiglie è rasoterra, solo gli anziani hanno tassi positivi di risparmio, sia per il desiderio di lasciare un’eredità a figli (il 25% degli anziani risparmia a questo scopo) sia per la preoccupazione di spese elevate quando non saranno autosufficienti. Negli Usa chi nel 2009 va in pensione a 65 anni deve accantonare, a seconda del reddito e del genere, tra i 135.000 e i 400.000 dollari per premi assicurativi sanitari e spese sanitarie non assicurabili.
L’invecchiamento sempre più elevato implica però la necessità di un maggiore tasso d’indicizzazioni delle pensioni a partire dai 75 anni e una politica mirata al miglioramento dei servizi sanitari per gli anziani.
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Una pena obbligata

Berlusconi, la rock star di un anno suonato.
Rassegna stampa - il manifesto, m.c., 24 novembre 2009.

Sorriso da Joker, il «Cavaliere oscuro», Silvio Berlusconi conquista la copertina di Rolling Stone Italia del numero di dicembre, dedicato come sempre alla «Rock star dell'anno». I colori violenti e pop della bandiera italiana nell'interpretazione di Shepard Fairey, il designer dell'icona Obama, accentuano l'effetto grottesco del presidente del consiglio, noto musicalmente per gli stornelli melodici con Apicella. Il rock infatti è tutto e solo nella sua «furia vitale e nel suo stile di vita inimitabile» motivazioni del voto all'unanimità decretato dalla redazione della rivista diretta da Carlo Antonelli, che ora deve difendersi dall'accusa di una celebrazione magari involontaria dell'uomo. Gli «evidenti meriti» dovuti ai suoi «comportamenti quotidiani» rimandano alle luci della ribalta di Villa Certosa che gli hanno regalato «un'incredibile popolarità internazionale». E sappiamo come i giornali stranieri hanno sbeffeggiato il presidente del consiglio tra escort-party e gossip fiammeggianti. Niente sospetti, perciò. Ma la scelta di «Rolling Stone», provocatoria e insolente, ci rattrista un po' pensando alla centralità mediatica di Berlusconi, all'impossibilità per tutti di sottrarsi alle sue performance deliranti che poco hanno a che spartire con Keith Richards o Mick Jagger. Miseria del vero rock. «Siamo ben fuori dal dispensare giudizi da destra o da sinistra» sostiene Antonelli che si limita a «osservare ciò che avviene tutti i giorni», uno spettacolo al quale non ci si può sottrarre. Dare la copertina a Berlusconi, lo sappiamo bene, è sempre una pena obbligata. «A volte nel mio lavoro - dichiara Fairey - cerco di mettere in dubbio personaggi autorevoli, specialmente quando sembrano avere ragioni ambigue alla base delle loro azioni». Insomma, d'ora in poi c'è da offendersi se ti danno della «rock star».



Il premier in conferenza stampa propone uno scambio tra Sandro Bondi e la "ministra" Maysa Yazmuhammedova. Insomma all'estero, o in presenza di governanti stranieri si sente quasi in dovere di fare il pagliaccio. Sempre con battute che alludono al sesso o alle donne trattate come oggetti.
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Il dopo-sisma scatena la corsa agli appalti

Terremoto. Puntellare l'Aquila, ecco il nuovo business.
50 milioni di euro entro dicembre per mettere in sicurezza gli edifici pericolanti invece di demolire. Un ottimo affare per le imprese a cui il Comune affida i lavori su chiamata nominale da un elenco. Il dopo-sisma scatena la corsa agli appalti. E arrivano anche i primi due arresti: un imprenditore e l'ex assessore regionale al Lavoro di Forza Italia, «interessati» a una commessa da 15 milioni.
Rassegna stampa - il manifesto, Eleonora Martini, 24 novembre 2009.

Foto numero 1: centro storico de L'Aquila; Palazzo Margherita, sede del comune, in piena zona rossa. L'orologio che ogni sera segnava i 99 rintocchi è fermo ormai, ma l'ingresso è di nuovo aperto e brulica di operai intenti da fine luglio a puntellare l'intero edificio. Con barre d'acciaio, legno e tiranti hanno già messo in sicurezza l'accesso, il portico e il cortile interno, le scale fino al primo piano, e una parte dei corridoi e delle stanze che prima del 6 aprile ospitavano la vita politica e amministrativa della città. Per chi in quelle stanze ha vissuto, entrarvi di nuovo, per la prima volta da allora, è un'emozione intensa. Palpabile e contagiosa, come se si varcasse la soglia di un sacrario. L'intera ala che ospitava il gabinetto del sindaco è sepolta sotto le macerie del solaio mentre la sala consiliare è congelata da una coltre di detriti. Quegli operai però non le toccheranno: a loro spetta solo il puntellamento.
Foto numero 2: Roio Piano, borgo da 600 abitanti, interamente zona rossa. Ma potrebbe essere Colle di Sassa, Santa Rufina, Camarda, Pesco Maggiore, una qualunque delle sessanta frazioni dell'Aquila. Qui, sotto le macerie rimaste esattamente dov'erano sette mesi fa sembra sia stato seppellito anche il tempo. Nessun brulicare di operai, solo qualche residente che non si dà per vinto e cerca testardamente di farsi strada fino alla propria casa, incurante del pericolo. Molte sono abitabili, altre avrebbero bisogno di piccole ristrutturazioni, ma sono irraggiungibili perché le strade sono intasate dai crolli, o magari solo da un'automobile sepolta dai detriti che nessuno ha portato via. Colpa di una legge punitiva inventata dal governo Berlusconi che parifica le macerie a rifiuti solidi urbani, rallentandone lo smaltimento e impedendo ai cittadini perfino di spostarle. Ma il vero mistero, qui, sono i puntellamenti: malgrado siano pochi, perché il pericolo delle rovine incombe anche sugli operai addetti ai lavori, il più delle volte mettono inspiegabilmente in sicurezza muri da abbattere o case semidistrutte anche prima del terremoto che andrebbero invece solo demolite. E come se non bastasse, le impalcature dei puntellamenti invadono le strette sedi stradali, bloccando l'intero paese che già assomiglia ai tanti borghi abruzzesi abbandonati dopo il sisma del 1915. Sul muro a fianco di un portone qualcuno ha scritto col giallo: «Ok, me ne vado».
Li chiamano lavori provvisionali: dopo la rimozione delle macerie (poco è cambiato da quanto riportato sul manifesto del 23 ottobre scorso), puntellare e demolire sono opere propedeutiche alla ricostruzione, una fase peraltro ancora al di là dell'orizzonte di cui si intravede al momento solo la nomina del governatore Gianni Chiodi a commissario straordinario - con vice il sindaco aquilano Massimo Cialente - e l'istituzione di una «Struttura tecnica di missione» con a capo un alto dirigente del ministero delle Infrastrutture, Gaetano Fontana. Ma se demolire - operazione veloce e che costa poco - non è nelle corde di chi oggi decide e che ha scelto una filosofia conservatrice a tutti i costi, l'opera di puntellamento invece potrebbe risultare un ottimo business grazie ad una procedura applicata per la prima volta in Italia, e forse non solo. Gli appalti, infatti, non vengono assegnati tramite gara ma su chiamata nominale delle ditte (un centinaio) presenti in un elenco stilato dalle associazioni di imprese artigianali locali (Ance, Api, Confartigianato) e vagliato dal prefetto per il controllo moralità e antimafia. La scelta e la distribuzione dei lavori, però, è tutta nelle mani dell'assessorato ai lavori pubblici dell'Aquila, settore emergenza sisma. Spetta all'assessore Ermanno Lisi e al dirigente tecnico, l'ingegner Mario Di Gregorio, (sui quali nessuno ha sollevato dubbi di onestà, ma non è questo il punto) decidere, per esempio, a chi assegnare il puntellamento di Palazzo Margherita, che vale sui 400-500 mila euro, e a chi invece quello da 5 mila euro di un edificio qualsiasi o di una piccola frazione. Non solo: il pagamento delle imprese per il lavoro svolto avviene a consuntivo e non a preventivo.
A sollevare per primo il problema in consiglio comunale è stato il capogruppo di Rifondazione comunista, Enrico Perilli: «Nelle frazioni stiamo assistendo ad una sorta di accanimento terapeutico sui ruderi - spiega - : si puntella tutto con grande spesa (circa il triplo, e con tempi enormemente più lunghi, ndr), inutilmente, e in più bloccando l'accesso a intere zone, abbandonate così dagli abitanti che via via si stabiliranno sempre più definitivamente altrove».
Proprio su richiesta di Perilli, qualche giorno fa l'assemblea consiliare ha chiesto lumi all'ufficio tecnico dell'assessorato competente sulla inedita modalità di appalto e di pagamento dei puntellamenti: «Quando mi sono accorto di quale responsabilità avessi con questa procedura adottata dalla protezione civile per snellire la burocrazia e procedere più rapidamente, prima che l'inverno faccia altrettanti danni che il terremoto, - spiega l'ingegnere Di Gregorio -, preoccupato e intimorito, ho chiesto l'intervento del prefetto che, nella veste di vicecommissario vicario, il 16 giugno scorso ha stipulato un'intesa con gli altri tre vice commissari, con le associazioni di categoria e il comune per controllare di volta in volta l'assegnazione dei lavori e l'equilibrio nella distribuzione degli appalti». Certo, spiega l'ingegnere, il problema del puntellamento di un immobile è che «non può essere progettato se non in corso d'opera perché si procede man mano che si entra nell'edificio e se ne scopre la condizione di stabilità. Impossibile quindi prevederne il costo». L'Aquila e le sue frazioni sono state divise in comparti, aggiunge Di Gregorio, «ciascuno dei quali viene affidato ad una ditta adeguata, scelta a seconda della classificazione Soa» (fatturato, maestranze, curriculum). Tanto per fare un esempio, la ditta Fiordigigli di Paganica che si è aggiudicata Palazzo Margherita (per la ricostruzione del quale la Federcasse ha donato qualche giorno fa 5 milioni di euro) «è classificata al quarto di otto gradi e quindi può accedere ad appalti fino a 3 milioni di euro». Ma siccome «al momento dell'assegnazione il costo dell'opera ancora non si conosce, è possibile che la ditta prescelta debba costituire assieme ad altri un'associazione temporanea d'impresa per aumentare la classificazione e poter così portare a termine il lavoro». Per evitare la speculazione, racconta l'ingegnere, «abbiamo adottato un metodo: man mano che si procede la ditta presenta gli stati d'avanzamento che vengono via via controllati anche in riferimento alla coerenza tecnica degli interventi realizzati, e liquidati. Il pagamento, in questo modo, non è del tutto a consuntivo». Finora, assicura Di Gregorio, «quasi tutte le ditte dell'elenco lavorano e con profitti che più o meno si equivalgono».
Eppure il grande dilemma resta: demolire o puntellare? Come ridurre le zone rosse e riportare all'agibilità totale le abitazioni non lesionate ma sotto incombente pericolo esterno? «Noi ci affidiamo alle schede Gts (Gruppi tecnici di sostegno, composti da vigili del fuoco, protezione civile, sovrintendenza e comune o, nel caso di demolizioni, allargati fino a 11 figure, ndr), ma non sempre la prima decisione adottata è quella giusta. Teniamo presente che si tratta di "danni vivi", che si trasformano di giorno in giorno». Per Di Gregorio, però, l'attenzione, anche politica, dovrebbe essere puntata ancora sulle macerie: «Qualche giorno fa un giovane operaio è rimasto ferito durante una rimozione e a volte le stesse imprese si rifiutano di lavorare ai puntellamenti in presenza di rovine pericolanti». E può accadere che, dopo un abbattimento, arrivi la squadra Ucv (Unità di controllo veloce) della protezione civile e bocci l'operato del comune: «Demolizione eseguita, macerie sul posto, dunque pericolo ancora presente», hanno scritto. Tutto inutile, insomma. E allora, meglio puntellare nel frattempo? «Secondo il settore finanze del comune - ribatte Enrico Perilli - il costo dei puntellamenti di qui a dicembre sarà di 50 milioni di euro, di cui solo 15 in cassa». Di questo passo, L'Aquila non starà più nemmeno in piedi, figuriamoci volare.
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La prima soddisfazione dell'Expo

Solidarietà. I due stipendi di Lucio Stanca.
Rassegna stampa - il manifesto, Alessandro Robecchi, 24 novembre 2009.

Care compagne e cari compagni. La solidarietà è un valore importante. Aiutare chi soffre, mettere mano al portafoglio, donare qualche spicciolo ai più sfortunati. È ciò che tutti gli italiani stanno facendo, da anni, con il signor Lucio Stanca, pensionato Ibm, senatore del Parlamento italiano (circa 190.000 euro annui) e amministratore delegato della società Expo Spa (circa 300.000 euro annui). A Report l'altra sera e a Repubblica ieri, questo povero signor Stanca ha risposto con un ringhio da animale ferito. La domanda era: come mai non rinuncia al doppio stipendio dimettendosi da senatore? Semplice: «La legge me lo permette». Oppure: «Rispondo al Pdl e non a Repubblica!». Insomma, un po' nervoso, ma gentiluomo.
Ma andiamo, cosa sono poche centinaia di migliaia di euro di fronte all'efficienza? E allora diamo un'occhiata all'efficienza di questo signor Stanca. Fece per cinque anni il ministro all'innovazione (dal 2001 al 2006) e infatti vedete voi stessi come si è innovato il paese, no? Perché stare fermi quando si può stare immobili? Meglio fermo, comunque: perché quando mister Stanca si muove ci costa una fortuna. Fu lui che volle Italia.it, il portale del turismo italiano, una grottesca voragine di soldi (45-50 milioni di stanziamento) per un sito più povero e schifoso del blog di un liceale.
A proposito di premiare il merito, Stanca come lo premiamo? Ecco fatto: messo da papi in persona a capo dell'Expo, il suo primo atto è stato battere i piedi istericamente perché voleva la sede in centro. Ora si mostra sprezzante con chi gli chiede il perché di due stipendi in cambio di una mediocrità sola (ma bella grossa). Cavalca oggi l'Expo 2015, quell'incommensurabile flop milanese che ogni giorno perde un pezzo, ogni giorno ha meno soldi, ogni giorno deve limare le promesse e le pretese, ogni giorno taglia su tutto, escluso, beninteso, lo stipendio di Lucio Stanca. Che deve rispondere al Pdl, mica a noi, per carità.
Ma se qualche operaio di quelli senza lavoro scendesse dal tetto della fabbrica e andasse a fargliela lui, qualche domandina, allora sì che vorremmo un posto in prima fila. Sarebbe la prima soddisfazione dell'Expo.

Leghisti cioè malvagi «stronzi» razzisti

Razzisti cioè cattivi.
Rassegna stampa - il manifesto, Alessandro Portelli, 24 novembre 2009.

È proprio vero che siamo un paese di poeti santi e navigatori. Solo in un paese di geni assoluti poteva essere concepita l'idea, scaturita dalla fervida immaginazione di un paese del bresciano, di lanciare di qui a Natale una campagna di pulizia etnica e chiamarla «White Christmas». La trovo un'idea entusiasmante. In primo luogo, perché spazza via tutte le menzogne mielate di quando ci raccontavano che a Natale siamo tutti più buoni: prendere spunto dal Natale per diventare più cattivi, e farlo in nome delle nostre radici cristiane mi pare un'operazione liberatoria di verità assolutamente ammirevole. Altro che cultura laica.
Qualche anno fa, quando il mio quartiere scese in piazza per impedire il trasferimento in zona di qualche famiglia rom, una compagna disse: «Non è razzismo, è cattiveria». Scrissi allora, e mi ripeto: non distinguerei fra le due cose (il razzismo è cattiveria), ma trovo giusta questa parola, «cattiveria», così elementare da essere caduta in disuso, perché qui è proprio l'elementarmente umano che è in gioco.
D'altra parte, un esimio leghista ministro della repubblica aveva già proclamato che bisognava essere cattivi con gli esseri umani non autorizzati. Disciplinatamente, fior di istituzioni democratiche eseguono: sbattono fuori dalle baracche i rom a via Rubattino a Milano e al Casilino a Roma e i marocchini braccianti in Campania, incitano i probi cittadini dei villaggi lombardi a denunciare i vicini senza documenti, premiano con civica medaglia intitolata a Sant'Ambrogio gli sgherri addetti ai rastrellamenti dei senza diritti. Fini dice che sono stronzi: no, non sono solo stronzi, sono malvagi.
Su un piano più leggero, trovo altrettanto geniale proclamare che l'operazione si fa in nome dell'incontaminata cultura lombarda e bresciana - e chiamarla con un nome inglese, per di più orecchiato da una canzone e un film americano. Non si potrebbe trovare un modo migliore per prendere in giro tutta la mitologia lombarda delle radici e della purezza culturale. Non è solo una bella presa in giro di quelli che mettono nomi lumbard sui cartelli all'ingresso dei paesi. Ma è anche un modo per ricordarci che non esiste cultura più paesana, più subalterna e più provinciale di quella che finge un cosmopolitismo d'accatto.
E infine, la trovata dell'inglese è una spietata denuncia dell'ipocrisia razzista. Dire «bianco Natale» significava mettere troppo in evidenza il colore della pelle, perciò lo diciamo con una strizzata d'occhio - dire le cose in inglese, non solo in questo caso ma più in generale ormai, significa dirle ma non dirle, è la nuova forma della semantica dell'eufemismo. E poi, «Christmas» invece di Natale: e hanno ragione, il nostro tradizionale Natale è sempre più sovrastato dall'americano Christmas, lasciamo perdere il misticismo e corriamo a fare shopping.
Aveva proprio ragione la mia amica appalachiana che diceva, «noi poveri di montagna non sognavamo un bianco Natale. Se nevicava, era più che altro un incubo». Io non so che Natale sognino i senza documenti del bresciano, dopo questo bell'esempio di cristianesimo. La cosa che immagino è che, cacciati dal villaggio, gli stranieri sbattuti fuori di casa andranno a dormire in una stalla e faranno nascere i loro clandestini bambini in qualche mangiatoia.

Un frammento di dieci minuti dell'apoteosi della Coccaglio razzista (o con parola di Fini «stronza») in diretta a Domenica Cinque sulla tv ammiraglia del premier «malvagio» Berlusconi.


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Testo unico per l'edilizia residenziale pubblica

Edilizia, arriva il Testo unico. Il Consiglio regionale approva l’elaborazione di una norma che raccoglie tutti i provvedimenti per l’edificazione residenziale pubblica.
Rassegna stampa - Avvenire, D. Re., 25 novembre 2009.

Un testo unico per normare l’edilizia residenziale pub­blica in Lombardia. Il Con­siglio regionale ha infatti approvato all’unanimità un provvedimento che racco­glie tutte le norme vigenti in materia e permette di a­brogare 27 leggi regionali, di cui 14 «non utilizzate da tempo», come ha ricordato il relatore del testo, Enio Moretti (Lega). Composto di sei titoli, il Testo unico in materia di edilizia residen­ziale pubblica riprende, da una parte, «materie – ha spiegato Moretti – già orga­nicamente disciplinate da singole leggi come la disci­plina delle Aler o dei cano­ni», mentre dall’altra «dà u­na visione sistematica del­le competenze regionali e degli altri soggetti Erp» a partire dalla struttura della legge regionale 1 del 2000. Del testo, ben accolto an­che dall’opposizione per la sua impronta di semplifi­cazione normativa, ha par­lato in aula anche l’asses­sore regionale alla Casa, Mario Scotti: «È un passo importante per il riordino delle norme sulla casa. Gra­zie a questa operazione – ha detto – semplifichiamo per operatori, enti locali e cittadini, una normativa stratificata, dando loro la possibilità di orientarsi me­glio tra le regole e le oppor­tunità dell’edilizia residen­ziale pubblica» . Intanto, Lucia Arizzi ha deciso di la­sciare la poltrona da asses­sore al Commercio e De­centramento in Comune a Monza per sedere dietro ai banchi del Consiglio regio­nale in quota Pdl. E alla lu­ce delle dimissioni dettate da un’incompatibilità tra le due cariche, l’aula lombar­da solo ieri ha convalidato all’unanimità l’elezione di Arizzi a consigliere regio­nale, incarico che ricopre dal 6 ottobre scorso. Il con­sigliere Arizzi, 61 anni, ha preso il posto di Dario Alle­vi, che ha rinunciato a se­dere sui banchi della mag­gioranza per incompatibi­lità con la presidenza della Provincia di Monza e Brian­za. Allevi era a sua volta su­bentrato al consigliere Massimo Guarischi, deca­duto dall’incarico dopo che, lo scorso 19 settembre, la Cassazione aveva reso definitiva una condanna in appello.
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L’Aquila che vuole tornare a casa

Chiusi tra pochi giorni tutti gli insediamenti provvisori.In quelle tende i nostri ricordi. Ma ora L’Aquila vuol rientrare a casa.
Rassegna stampa - Avvenire, Claudio Tracanna, 25 novembre 2009.

A un certo punto non ne potevo più di vedere tutte quelle tende blu dei campi di accoglienza, che riempivano molti angoli del nostro territorio, qui a L’Aquila. Un colore che parla, il blu. Non forte come il rosso che fa pensare all’emergenza, ma comunque un colore intenso che tende anche a rassicurarti. Sì, in effetti, i posti più sicuri per noi aquilani, in questi sette mesi, sono stati proprio quelle tende blu. Non ci proteggevano dal caldo o dal freddo ma dal mostro più cattivo: il terremoto.
Fra qualche giorno, però, non ci saranno più. A quelle tende sono legati ricordi indelebili della nostra vita. Luca, un volontario della diocesi, ieri mi ha mostrato il display del suo cellulare con la foto della tenda in cui ha vissuto fino a qualche settimana fa. «È parte di me – mi ha detto – e chi potrà mai dimenticare i giorni vissuti lì dentro!».
Gli angoli della città man mano stanno tornando del colore che avevano prima del 6 aprile. Non più il blu delle tende ma i colori dei campi sportivi, dei terreni o dell’asfalto dei piazzali in cui sono state installate le tendopoli. Tanti di noi, finalmente, hanno trovato un tetto sicuro, anzi, sicurissimo sotto cui ritrovare un po’ di normalità e di pace. I villaggi del progetto «Case» sono davvero all’avanguardia, hanno fatto il giro del mondo; in qualche modo, nonostante la tragedia, sono l’orgoglio dell’Italia intera. Il terremoto è riuscito a sfatare un mito tutto nostrano: quello di dare il meglio di sé solo all’estero.
Non c’è dubbio che all’Aquila lo Stato s’è palesato. Ma come non capire, tuttavia, chi si ostina a non voler lasciare le tende? Chi dice di non voler essere 'deportato' altrove? Certo questa parola evoca tragedie molto più grandi di quella aquilana. Ma, dopo aver perso tutto, lasciare anche la propria terra non è facile. Non è facile per i quasi ventimila aquilani che hanno sì un tetto ma sono sparsi tra gli alberghi della costa o della provincia. Francesco, un ex professore dello Scientifico, mi ha confidato: «Da poco sono andato in pensione e pensavo di poter stare tranquillo con mia moglie. Invece sto al mare, dove non manca l’ospitalità, ma quando sento parlare un dialetto che non è il nostro prendo la macchina e torno a vedere la mia casa in centro città». E ancora, due coniugi ottantenni che vivono in una roulotte ricevuta in dono: «Non ci siamo mai mossi dal nostro paese. Non possiamo andare altrove. Abbiamo sempre vissuto qui, abbiamo gli animali da accudire!». E poi i tanti che, scegliendo una sistemazione autonoma, ancora sono ospiti di parenti o di amici in attesa che possa decollare la ricostruzione cosiddetta 'leggera'.
Segni di normalità, dunque, per alcuni.
Per altri la normalità è ancora lontana.
Ogni mattina, all’uscita dai caselli dell’autostrada che viene dal mare, si forma una lunghissima fila di macchine dei pendolari che ancora non riescono a rientrare in città definitivamente.
Ecco, quella lunga coda è L’Aquila che vuole tornare a casa, che vuole ritrovare i suoi ritmi, i suoi colori, le sue montagne, la sua aria. Aria di montagna, una montagna che non ha mai regalato nulla e che ha messo sempre a dura prova la resistenza degli abruzzesi. Così come il terremoto.
Non è semplice nemmeno pregare all’Aquila perché, nonostante lo sforzo immane che si sta compiendo, non c’è più la bellezza delle nostre chiese che sapeva innalzare l’animo all’unica Bellezza in grado di dare fiducia e salvezza. Nonostante tutto, però, Dio è per noi «rifugio e forza». Perciò non temiamo se ancora trema la terra.
Anche quando le genti sono scosse, e i regni vacillano.
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Mille contro una, e ben distinte

Pd, mille piazze per l’alternativa l’iniziativa. L’11 e 12 dicembre Bersani chiama a raccolta i suoi, una settimana dopo il «no B day» organizzato da Di Pietro.
Rassegna stampa - Avvenire, R.d'A., 24 novembre 2009.

Mille contro una, e ben distinte. Le piazze del Pd prendono le distanze da quella del 5 dicembre, pro­mossa da Antonio Di Pie­tro. Tutte contro il governo Berlusconi, ma con tanti distinguo. E a farli, ancora una volta, sono i democratici, per niente convinti dei metodi dipietreschi e so­pratutto intenzionati a non lasciarsi 'invadere' dal lea­der dell’Italia dei valori, pronto a partecipare anche alle manifestazioni degli alleati. «Noi - ha aggiunto - non ci limiteremo ad an­dare in 1000 piazze, ma cercheremo di creare una occasione di aggregazione e dibattito su delle propo­ste su cui costruire l’alter­nativa al governo».
Ma dopo le parole grosse dell’ex pm contro il Partito democratico, gli uomini di Bersani preferirebbero te­nere i piani e le piazze di­stinti. Questa iniziativa non è alternativa al «no B day» del 5 dicembre, spie­ga la presidente democrat Rosy Bindi. «Siamo con­tenti che il 5 dicembre ci sia questa iniziativa promos­sa dai blogger e dal popo­lo della rete, e sono sicura che molti del Pd parteci­peranno; ma è giusto ri­spettare un’iniziativa pro­mossa dal basso, e per que­sto il Pd farà una propria i­niziativa». Dopo la due giorni dei Cir­coli, il Pd convocherà per il 14 dicembre a Milano 1.000 propri amministratori lo­cali: « Lì – anticipa il vice­segretario Enrico Letta – di­remo no al federalismo del governo fatto a parole, e sì a un federalismo dei fatti». I problemi dei cittadini da­vanti a quelli privati, è la sintesi piddì racchiusa nel­lo slogan: «Sempre i pro­blemi suoi, mai i problemi nostri». «La nostra – dice ancora Letta – sarà una manifestazione costrutti­va» , secondo le promesse iniziali di Pierluigi Bersani, che si presenta agli scon­tenti con un pacchetto di proposte, da contrapporre alle politiche del governo.
L’opposizione in versione Bersani, dunque, prende corpo, in attesa del com­pletamento delle nomine nella Direzione di oggi. An­cora qualche braccio di fer­ro tra le varie anime del partito. E dopo la grande delusione per la mancata nomina di Massimo D’Ale­ma a 'Mister Pesc', resta­no strascichi di polemica, tra chi se la prende con il governo e chi con i sociali­sti europei che corteggia­no il Pd ma poi lasciano so­li i suoi uomini. Respinge le accuse al governo Fran­co Frattini, che passa la palla a Schultz, «vero auto­re del fallimento clamoro­so di D’Alema: sono bugie e tutta l’Europa lo sa», se­condo il ministro degli E­steri. Schulz, però, insiste. il governo italiano «non lo ha sostenuto». Ma obietta l’ex ppi Fioroni: «Bisogna chiarire se il Pd incide nel gruppo europeo».
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Un fuciletto ad aria compres­sa per una battaglietta laicista

Fine vita, anche a Bologna un registro «ideologico». Approvato a maggioranza ieri sera in Consiglio comunale. Severo il giudizio della diocesi: un pasticcio etico e giuridico.
Rassegna stampa - Avvenire, Stefano Andrini, 24 novembre 2009.

Semaforo verde a Bologna per l’istituzione di un registro dei testamenti biologici. Il consi­glio comunale ha infatti votato ieri a maggioranza (l’opposizione è usci­ta dall’aula per protesta) un ordine del giorno del Pd che impegna la giunta ad adottare i provvedimenti attuativi necessari all’organizzazio­ne del registro e a definirne le mo­dalità operative. Fortemente critica la Chiesa di Bologna che ha affidato ad un doppio editoriale del settima­nale diocesano il proprio dissenso. Gravi perplessità manifesta il giuri­sta Paolo Cavana. «Oltre ai profili di illegittimità deri­vanti dalla nor­mativa sulla pri­vacy, che impo­ne grandi caute­le nel trattamen­to dei dati sensi­bili, ossia idonei a rivelare le con­vinzioni religio­se, filosofiche o di altro genere e lo stato di salute della persona e la previa autoriz­zazione del Ga­rante, sono stati confermati» sostie­ne il docente «gli altri dubbi, formu­lati dai medici, derivanti dalla con­troversa natura giuridica di simili di­chiarazioni in assenza di una legge nazionale in materia».
Altri aspetti problematici emergono da una più attenta lettura dell’ordi­ne del giorno proposto. «Prima fra tutti – ricorda Cavana – la comples­sità burocratica del meccanismo previsto, che prevederebbe il depo­sito della dichiarazione presso un notaio e la contestuale segnalazio­ne del suo nominativo in Comune, ovvero direttamente la sua consegna in busta chiusa presso il Comune: nel primo caso con un doppio pas­saggio, che renderebbe la sua eventuale modifica inutilmente gravosa, e nel secondo caso con la possibilità che il Comune divenga depositario di volontà di provenienza contro­versa, non avendone potuto accer­tare la sua formazione ma solo il suo deposito».
Altre pesanti riserve sono state e­spresse da Giorgio Carbone, docen­te di bioetica. La proposta di istitui­re un registro, afferma lo studioso «e­quipara tout court il testamento bio­logico e le dichiarazioni anticipate di trattamento e ritiene che questi testi debbano essere vincolanti per il medico. Il testamento biologico è un documento con il quale il citta­dino oggi sano dispone di sé e dei trattamenti sa­nitari per il tem­po in cui non sarà più sano e non sarà in gra­do di intendere e di volere. Si trat­terebbe perciò di un atto con cui il cittadino mani­festa il suo con­senso e/o dis­senso a certi in­terventi sanita­ri ». Le leggi e la giurisprudenza consolidata quando parlano di con­senso informato, prosegue Carbone «suppongono che il consenso sia contemporaneo alla diagnosi e alla prognosi. Infatti, come può dirsi 'informato' il consenso che io oggi do circa un eventuale intervento te­rapeutico cui potrei essere sottopo­sto fra tre anni, quando caso mai le tecniche mediche saranno partico­larmente evolute? Non è detto che le volontà che io oggi esprimo corri­spondano esattamente a ciò che io desidererò quando sarò colpito da una malattia grave e sarò incapace di esprimere i miei desideri. Posti tutti questi dubbi circa beni fondamen­tali, come la vita e la salute – conti­nua l’esperto – è prudente e doveroso astenersi da qualsiasi atto che possa pregiudicarla in forza del prin­cipio di precauzione». Un gruppo di consiglieri teodem ha tentato di giu­stificare il proprio voto a favore del registro sostenendo che «esso non è altro che un deposito, poco oneroso, di desideri privi di validità giuridica» e che quindi non ci sarebbe materia per uno scontro ideologico. Una te­si bocciata da un gruppo di cattolici della stessa area politica. «Siamo di fronte», sostengono Angelo Ram­baldi e Paolo Giuliani de 'L’Officina delle idee' «ad affermazioni politi­camente deprimenti. La verità è un’altra: il testamento biologico co­munale non è uno strumento al ser­vizio dei cittadini ma più semplice­mente un fuciletto ad aria compres­sa per una battaglietta laicista». In­tanto il vice presidente del consiglio comunale Paolo Foschini (Pdl) non esclude che nei confronti del regi­stro possano partire due possibili ri­corsi: al Tar e alla Corte dei Conti.

Palma: sono atti senza vero valore.
Rassegna stampa - Avvenire, Ilaria Nava, 24 novembre 2009.

Un altro strappo sul fronte del fine vita si è consumato ieri sera a Bologna, con l’approvazione ampiamente annunciata della delibera comunale istitutiva di un registro di raccolta dei testamenti biologici. E con l’aumentare del numero di Comuni che decidono di intraprendere questa singolare scelta crescono anche gli interrogativi sulla portata giuridica di simili delibere e sul valore formale che hanno gli atti depositati in Comune.
Più che risolvere problemi, queste delibere ne creano di nuovi. Ne è convinto Antonio Palma, ordinario di Diritto romano all’Università di Napoli Federico II e docente di Diritto amministrativo processuale all’Università Europea di Roma.
Professore, i Comuni hanno competenza in queste materie?
No: con l’approvazione di queste delibere i Comuni eccedono la propria competenza. Infatti, quando parliamo di diritti fondamentali della persona, come il diritto alla vita, lo Stato ha una competenza esclusiva, dettata dalla Costituzione, come indicato nell’articolo 117. È escluso, quindi, che i singoli Comuni abbiano qualche competenza.
Un testamento biologico depositato in Comune che valore ha?
Prova solo che a una certa data un determinato soggetto ha espresso una volontà in merito alle terapie che vorrà o non vorrà ricevere. Il problema della prova, che nel caso Englaro si è posto con particolare problematicità, viene in tal modo aggirato.
In che senso?
Come mi pare di cogliere dal dibattito attuale, il problema del valore delle dichiarazioni anticipate è legato alla loro attualità, al loro contenuto, non solo alla prova della loro esistenza. In altre parole, non è solo importante accertare formalmente che una dichiarazione è avvenuta, ma anche che contenuto sia possibile darle, che limiti sono previsti, in che modo renderla attuale. E in quest’ambito il Parlamento, che come abbiamo detto ha competenza esclusiva, sta lavorando su una legge che preveda i meccanismi accertativi anche dell’attualità e della permanenza delle volontà dichiarate nel tempo.
Alcune delibere comunali prevedono la possibilità di nominare un fiduciario. È valida questa nomina?
No, perché in assenza di una legge che lo prevede non è possibile istituire un mandato avente ad oggetto un diritto personalissimo come quello della vita. Una nomina fatta esclusivamente sulla base di una delibera comunale, quindi, non ha alcun valore.

«Non lasceremo in pace i deputati»
Rassegna stampa - Avvenire, Enrico Negrotti, 24 novembre 2009.
Massima vigilanza all’iter del disegno di legge sulle di­chiarazioni anticipate di trattamento. È quanto assicura Car­lo Casini, presidente del Movimen­to per la vita, concludendo a Mon­tecatini il 29° Convegno nazionale dei Centri di aiuto alla vita, di fron­te ai 500 delegati degli oltre 300 Centri di aiuto alla vita sparsi in tutta Italia: «Non la­sceremo dormire in pace i deputati». Nel convegno ampio spazio ha trovato il tema del fine vita e del di­segno di legge Calabrò, che è attende di essere esami­nata dalla Camera, dove lo attendono circa 2700 e­mendamenti.
E già da mercoledì, ha detto Casini, invieremo un pri­mo appello ai deputati: «È una coincidenza singolare che questo avvenga esattamente nel giorno, il 25 no­vembre, in cui si sarebbe festeggiato il 39° complean­no di Eluana Englaro, la donna che con la sua triste e inconsapevole vicenda ha introdotto la riflessione su fine vita ed eutanasia nel dibattito politico. Il Movimento per la vita ha sempre seguito con attenzione e partecipazione la vicenda. Come eravamo a Lecco e fuori dell’ospedale che l’ha accolta in Friuli, così sia­mo stai vicini alla riflessione di senatori e deputati. O­ra che si avvicina il momento delle scelte e del voto fa­remo sentire con ancor maggiore forza la nostra pre­senza». E sarà – ha detto ancora Casini solo l’avvio di una mobilitazione nella quale coinvolgeremo le tante realtà della società civile con le quali abbiamo già col­laborato per l’approvazione e la difesa della legge 40». Garantisce il suo impegno Paola Binetti (Pd): «Quello di Eluana non è stato solo il caso di un padre incapa­ce di veder più a lungo soffrire la figlia che prende un’i­niziativa improvvisa e disperata. È stato un caso lun­gamente studiato e preparato a livello nazionale ed in­ternazionale e che ha utilizzato la vicenda personale di Eluana e di Beppino Englaro per cercare introdur­re surrettiziamente l’eutanasia in Italia. Per questo è doppiamente importante far presto ad approvare una legge che ponga dei paletti chiari e che impedisca pos­sibili interpretazioni devianti da parte di istituzioni compiacenti. È una legge a cui tutte le persone di buon senso dovrebbero dare il proprio contributo costrut­tivo senza farne una bandiera politica che crea divi­sione e non unità di intenti». Anche il senatore Raffaele Calabrò (Pdl) aveva sottoli­neato all’apertura del convegno di Montecatini: «Do­ve possiamo pensare che arriverà mai uno Stato che presenti l’eutanasia come diritto, che deve garantire anche da un punto organizzativo e finanziario, facen­dolo rientrare nel Servizio sanitario nazionale, non più teso a difendere la vita ma a organizzare la morte? Que­sta supremazia indiscussa della mia capacità di auto­determinazione è un concetto profondamente distorto e fallace».
«È necessario che una legge esplicita – ha concluso do­menica Carlo Casini – impedisca le libere interpreta­zioni che della norma hanno fatto alcuni giudici con­sentendo che Eluana fosse lasciata morire. Va affer­mato quel che la sapienza dei semplici da sempre ha ben chiaro e cioè che togliere acqua e nutrimento a un paziente vuol dire uccidere un uomo».
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«Ur­lavo ma non sentivo la mia voce»

Belgio, si sveglia dopo 23 anni di coma.
Rassegna stampa - Avvenire, 24 novembre 2009.

Per ventitré anni è sta­to considerato in co­ma, in realtà era vigi­le: ma Ron Houben, rimasto paralizzato in un incidente stradale quando aveva 23 an­ni, non riusciva a dire che ca­piva ogni cosa di quel che gli accadeva attorno. «Sognavo di alzarmi», ha raccontato Houben, oggi 46enne e che secondo i medici era in per­sistente stato vegetativo. «Ur­lavo ma non sentivo la mia voce».
Dopo l’incidente, i medici di Zolder, in Belgio, utilizzaro­no i test in uso nella comu­nità scientifica prima di con­cludere che la sua coscienza era «estinta». Ma tre anni fa, nuovi scanner ultra-sofisti­cati hanno dimostrato che il suo cervello ancora funzio­na pressocché normalmen­te. Decisivo è stato quando Houben ha potuto schiac­ciare con il piede un tasto per rispondere si o no agli im­pulsi. Houben, la cui inquie­tante vicenda è stata raccon­tata dalla stampa britannica, ha descritto quel momento come la sua «seconda nasci­ta ». Il suo caso è venuto alla luce perché il neurologo che lo ha «salvato», Steven Lau­reys, l’ha raccontato in un ar­ticolo di una rivista scientifi­ca. «Per tutto quel tempo ho letteralmente sognato una vita migliore. “Frustrazione” è limitativo per descrivere quel che sentivo».
Secondo Laureys, potrebbe­ro esserci altri casi simili nel mondo; e la vicenda è desti­nata a risollevare il dibattito sul diritto a morire di chi è in coma. I medici a Zolder uti­lizzarono la Scala di Glascow, la stessa utilizzata interna­zionalmente, che valuta vi­sta, parola e risposte moto­rie. Ma solo quando il caso fu riesaminato dai medici dell’Università di Liegi si sco­prì che l’uomo aveva perso il controllo del corpo, ma era ancora perfettamente con­sapevole di quel che acca­desse. Houben probabil­mente non potrà mai lascia­re l’ospedale, ma adesso ha un computer sopra il letto che gli consente di leggere i libri mentre rimane sdraia­to.
«Voglio leggere, dialogare con gli amici, godermi la vi­ta ora che si sa che non sono morto». Secondo gli studi di Laureys, i pazienti in stato vegetativo spesso sono vitti­me di diagnosi sbagliate.

Cosa insegna alla scienza il caso del risvegliato dal coma. L’umiltà di tornare al capezzale di malati etichettati come persi.
Rassegna stampa - Avvenire, Marina Corradi, 25 novembre 2009.

Ventitré anni fa, dopo un incidente, i medici gli avevano diagnosticato uno stato vegetativo persistente. Tre anni fa Rom Houben, belga, è stato esaminato da un neurologo di fama internazionale. Con le tecniche di risonanza magnetica funzionale il professor Laureys dell’Università di Liegi ha accertato che l’uomo aveva attività cerebrale: un caso particolare di 'sindrome locked­in ', è la diagnosi, lo stato di chi dopo un trauma è paralizzato e 'chiuso dentro' di sé. Oggi Houben riesce a comunicare indicando le lettere su una tastiera, e può leggere. Racconta come un incubo i ventitré anni di silenzio. Quando per i medici la sua attività cerebrale era 'estinta'.
La storia non è un miracolo, né il caso di un uomo straordinariamente risvegliato dal limbo della incoscienza. È la storia di una diagnosi sbagliata.
Ventitré anni fa non c’erano gli strumenti di oggi. Simili errori non erano impossibili. Secondo quanto afferma Laureys nel suo più recente lavoro scientifico, tuttora «il tasso di diagnosi errate di stato vegetativo rimane alto: i segnali che distinguono gli stati vegetativi dagli stati di minima coscienza non sono così netti».
Non così netti, come dal bianco al nero. Non così semplici, che non ci sia ancora da studiare. La vicenda del ragazzo invecchiato in un silenzio da monade, e il suo esserne tornato, insegna qualcosa. Intanto, che ciò che vent’anni fa sembrava certezza scientifica oggi potrebbe essere superato da nuove tecniche, che leggono ciò che non si vedeva.
Forse, tra cinquant’anni, si saprà ancora di più sul cervello umano. Che è macchina straordinariamente complessa; troppo, per definirla irreversibilmente con diagnosi che rapidamente invecchiano.
Il sommo della ragionevolezza di fronte a tanta complessità sarebbe forse l’ammettere di conoscere ancora poco. Non pretendere di sapere 'tutto', né dare per scontato che ogni uomo immobile da anni in un letto sia perduto. Sapere almeno che occorre cercare ancora.
In fondo, questa storia prima che di scienza sofisticata è una storia di umiltà: l’umiltà di un medico di tornare al capezzale di un paziente assente da vent’anni, dato per spacciato. E di tentare ancora. Per venti giorni Laureys e i suoi assistenti hanno verificato semplicemente i riflessi oculari di Houben, ne hanno preso nota su un diario.
Prima ancora delle macchine più sofisticate, la pazienza dei medici.
Ed è la storia questa, anche, della tenacia di una donna. La madre, che per ventitré anni è rimasta accanto a quel letto. Un tempo lunghissimo. Quanti avrebbero ceduto, quanti si sarebbero umanamente rassegnati. Magari invocando una fine. Quella donna no.
Capace, davvero, di sperare contro ogni speranza. E quel figlio intanto, carcerato nel suo personale abisso. Lavato, imboccato, immobile. Eppure cosciente. Di una coscienza invisibile ai medici. Che crollavano il capo, certi del loro sapere: «È un vegetale».
Un errore di diagnosi, una sentenza incollata come un’etichetta, e mai più verificata. Possibile, quando dei medici sono troppo sicuri di aver capito tutto. Fosse un insegnamento per quanti hanno a che fare con i limbi di pazienti assenti. Se, di fronte al mistero della coscienza e dell’indecifrato ' hardware' che ne è sede, si alzasse un dubbio: occorre essere umili, di fronte alla vita di un uomo. Di fronte a ciò che è molto grande, somma ragionevolezza l’ammettere di non sapere abbastanza.
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Trasformare la democrazia in un contenitore vuoto


Basta un titolo forte su Berlusconi per sollevare nel blog qualche commento sulla politica nazionale? Non credo. Mentre questioni locali sono riuscite a "scaldare" il dibattito in più di una occasione, verso la politica più ampia, "nazionale", non c'è stata finora alcuna "sollevazione" di opinionisti nostrani. Quale il significato di una tale differenza? Può essere vero quello che una gentile commentatrice oggi solleva come ipotesi, che a Brembio non ci sia nessun sostenitore "vero" del premier, disposto cioè ad offrire testa e cuore nella sua apologetica? Che qui da noi la destra, insomma, proprio non esista? Oppure c'è una sorta di "destra del silenzio" che si concretizza col voto nelle urne alle politiche, un sentimento che preferisce restare nell'ombra, perché fa più comodo localmente non schierarsi per partecipare ai presunti benefici che il centro sinistra al potere - vox populi - concede alle proprie clientele? O è un semplice retaggio del dopoguerra, quando era meglio nascondere la propria passata ammirazione del duce? Oppure... potrei aggiungere a piene mani altre possibili motivazioni della mancanza di un contradditorio a destra. Dico soltanto che si è perso per strada il gusto della politica e del far politica - a destra come a sinistra, dopo la caduta del muro. Anzi c'è stata una sorta di rincorsa a chi era più neutramente di centro, a chi meglio dissimulava la mancanza di una storia, tanto che si è dato spazio a chi storia politica non ne aveva, ma aveva un progetto e i mezzi: usare lo stato per i suoi personali interessi. L'idea di rivedere in qualche modo e seppure in sintesi la storia politica italiana fino alle famose monetine lanciate a Craxi, attraverso documenti multimediali, c'è sempre e troverà spazio in uno o più articoli che sto preparando. Qui, oggi voglio proporre una riflessione sul presente, quello che finisce con l'essere "il problema" del nostro Paese: il berlusconismo. Lascerò però parlare le immagini e le parole di "Wide angle" che analizza il "fenomeno" Berlusconi ed osa dire cose censurate dai media televisivi italiani. Un utile esercizio per cominciare a disintossicarsi dalla modica quantità di droga berlusconiana spacciata dalle reti nazionali di proprietà e controllate. Quella cannabis televisiva che ci fornisce la quotidiana allucinazione che a far politica, a dire di politica, ad essere politica sia solo lui, Silvio Berlusconi, tanto da farne "il" modello da seguire. Attraverso i filmati proposti non si arriva all'oggi, ma a quel netto punto di svolta che ha svelato a tutti (anche se ancora molti non hanno realizzato la cosa) che "il re è nudo".










Tre nuovi tasselli per lo sport a Brembio

Brembio ora scommette sullo sport: nuovo centro e patto con l’Assigeco.
Rassegna stampa - Il Cittadino, Andrea Bagatta, 25 novembre 2009.

Brembio - Tre nuovi tasselli per lo sport a Brembio, guardando soprattutto ai più giovani e alla centralità del rinnovato centro sportivo comunale: sono già stati realizzati un percorso vita da mezzo chilometro e un campo da calcio regolamentare per gli allenamenti, ed è stato aperto un Assigeco Fan Club in attesa di far partire un progetto per il minibasket da condurre in collaborazione con le scuole locali. Le opere al centro sportivo sono state realizzate nei mesi di ottobre e novembre e sono pressoché definitive. Il percorso vita è lungo 550 metri ed è adatto alla corsa di tipo campestre, compresi alcuni saliscendi appositamente realizzati, e all’allenamento in genere, con una zona alberata adibita a palestra all’aria aperta con la posa di diversi attrezzi ginnici e lo schema per il loro utilizzo. «L’intero percorso è in completa sicurezza, essendo all’interno del centro sportivo - dice il sindaco Giuseppe Sozzi -. A breve sarà perfezionato con la posa di un sottofondo per evitare il fango in caso di pioggia, e ne sarà regolamentato l’uso per integrarlo con gli altri servizi del centro stesso».
E sempre all’interno del centro sportivo è già stato realizzato il campo da calcio regolamentare per gli allenamenti. «Un’opera non più rinviabile in base alle richieste delle società sportive - spiega il primo cittadino Sozzi -. Nella nostra ottica, questo secondo campo dovrebbe servire al potenziamento dell’offerta anche per andare a creare nuove squadre giovanili».
Il campo è stato seminato e ora è a riposo fino a primavera. Il suo uso effettivo inizierà con la preparazione della stagione 2010-11.Infine, nello stesso complesso sportivo è stata ricavata la sede dell’Assigeco Fan Club. «Movimento che ha aperto le sue adesioni e che conta di far crescere la passione per il basket a Brembio - commenta il sindaco -. Tuttavia, l’aspetto più rilevante è che tramite questi tifosi abbiamo preso contatto con la società di basket e stiamo organizzando un progetto per portare questa attività sportiva all’interno delle scuole».
A primavera ci saranno degli incontri tra sportivi, rappresentanti della squadra e piccoli studenti della scuola elementare e della media con l’obiettivo di arrivare alla stagione 2010-11 con l’apertura di un centro minibasket Assigeco a Brembio sfruttando le strutture del paese.
«Forse già alla fiera di marzo avremo una dimostrazione, e sicuramente ci saranno incontri nelle scuole a primavera - conclude Sozzi -. Poi l’idea è quella di far rivivere a Brembio una tradizione di passione per questo sport che aveva portato una trentina d’anni fa ad avere una propria squadra di basket con l’oratorio. Ci candidiamo a diventare polo d’attrazione per il basket nei confronti dei paesi vicini sfruttando la presenza di questa grande società sportiva, patrimonio di tutto il territorio».
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Turano Nuova e il sindaco brembiese: questione di feeling

Turano. Lo smemorato di Brembio si scusi.
Rassegna stampa - Il Cittadino, Lettere & Opinioni, 25 novembre 2009.

Poche parole per ricordare al sig. Ciampetti e al PD turanese che, non essendo in epoche medioevali, “avere la maggioranza” non giustifica ogni qualsivoglia azione. La sala consiliare non è da noi mai stata usata per congressi di partito (come falsamente riporta il sig. Ciampetti), ma solo per incontri informativi pubblici e aperti a tutta la cittadinanza anche di altri paesi, con la presenza di referenti nazionali o provinciali di istituzioni che hanno portato la loro importante testimonianza e la loro indiscussa esperienza per approfondire temi di carattere generale e di interesse per tutti (centrale, pgt eccetera). Ricordiamo al sig. Ciampetti , che pare piaccia farsi passare come “lo smemorato da Brembio”, la maleducazione istituzionale sua e del PD di cui fa parte di non aver accolto un Parlamentare della Repubblica con un saluto istituzionale doveroso e di averlo segregato all’interno di uno “sgabuzzino” irregolare, umido e insalubre chiamato ingiustamente biblioteca per non aver concesso senza alcun motivo reale la sala Consiliare ai consiglieri di minoranza. Forse sarebbe lui e tutto “il PD che comanda” a chiedere scusa per quell’ignobile gesto. Sappiamo di chiedere l’impossibile: ci vorrebbe modestia e bon ton politico.
Concludiamo prendendo atto di due cose: il PD e il sig. Ciampetti continuano a porre in essere un vergognoso attacco personale e gratuito sempre e solo al solito consigliere di minoranza: troppo facile; e che a Turano vige la filosofia del: “Ho vinto io, comando io. E degli altri… chissenefrega”. Alla faccia di tutte le belle parole sviolinate al vento sulla democrazia e sul confronto. Invece di attaccare sempre a sproposito, si impari eventualmente a chiedere chiarimenti, a mettersi al “tavolo” a collaborare sul serio. Maggioranza non significa “monarchia”. Tutto ciò ci spinge ancora di più a svolgere con maggiore puntigliosità, rigore e presenza il nostro ruolo di controllo come minoranza. I cittadini a Turano non sono tutti uguali: parola di sindaco. Parola del PD.
Gruppo Consiliare Turano Nuova
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L'assurdo Cordoni

Crisi. L’incredibile cinismo di Cordoni.
Rassegna stampa - Il Cittadino, Lettere & Opinioni, 25 novembre 2009.

La presa di posizione del sig. Cordoni presidente dell’Associazioni dei comuni lodigiani sul Fondo provinciale di solidarietà anticrisi è sconcertante. La drammatica emergenza della crisi nel Lodigiano è sotto gli occhi di tutti. Nel 2009 i cassintegrati lodigiani hanno superato le 5.000 unità, 3.000 lavoratori hanno perso il posto e nel 2010 saranno oltre 4.000, a questi vanno aggiunti più di 1.000 dipendenti delle cooperative inattivi e senza reddito che non figurano come disoccupati.
Di fronte a questo disastro sociale le istituzioni pubbliche, a partire dagli enti locali, hanno il dovere morale di dare priorità assoluta a provvedimenti immediati per l’emergenza 2009 e di rispondere adeguatamente alla crisi dei prossimi anni con programmi organici. Con questo spirito Provincia e Comune di Lodi, con 100.000 euro, e 12 comuni, con 2 euro per abitante, hanno costituito un fondo di solidarietà anticrisi di circa 350.000 euro.
Non è questo il sentimento del sig. Cordoni. Egli, anche a nome degli altri sindaci lodigiani (da lui rappresentati, ma che dubitiamo siano stati consultati), affermare che:
1) per il 2009 non bisogna fare niente perché la provincia stanzia solo 40 centesimi per abitante e moltissimi comuni non sono in grado di versare al Fondo provinciale anticrisi euro 2 per abitante a causa e di altri impegni sociali pressanti come i pasti a domicilio, gli asili nido, le scuole, gli anziani;
2) nel 2010 forse si potrebbe dare al Fondo 1 euro per abitante.
Come è evidente il presidente dei sindaci lodigiani, non solo non si sente in dovere di mettere al primo posto il bisogno di chi non riesce più a mantenere la famiglia o non arriva più pagare il mutuo e rischia di perdere la casa, ma infelicemente giudica tale bisogno meno importante delle sue particolari difficoltà nella gestione delle scarse risorse comunali mostrandosi prigioniero di un incredibile cinismo burocraticoamministrativo. Di fronte alla tragicità della crisi l’ultimo degli amministratori comunali sa quattro cose:
1) L’emergenza si aggredisce con un’azione immediata del comune;
2) O tutti i comuni e la provincia vi partecipano, o l’intervento immediato del comune diventa rapidamente inefficace;
3) Anche così l’effetto dell’azione immediata dei comuni si esaurisce in pochi mesi a causa della scarsità di risorse economiche comunali quindi l’azione immediata può sussistere solo se è sostenuta dalla regione, ossia dal primo livello legislativo territoriale con autonomia economica;
4) Oltre l’emergenza, solo un sistema difesa generale articolato su Stato, Regioni, Province e Comuni può realizzare un’azione anticrisi stabile ed efficace.
Se l’ultimo degli amministratori comunali è anche un buon amministratore sa che:
1) Deve impegnare immediatamente la propria amministrazione ad intervenire economicamente
anche se le risorse disponibili sono pochissime, anche se nessun’altra amministrazione interviene e indipendentemente dal fatto che altre amministrazioni danno di meno (al contrario Cordoni giustifica la negazione dell’aiuto comunale ai disoccupati per il fatto che la Provincia versa meno della metà della quota comunale);
2) Deve coinvolgere tutti i Comuni e la Provincia (a cui deve chiedere di contribuire alla pari dei comuni);
3) Deve deliberare assieme a tutti i comuni della provincia una proposta di legge regionale che costringa la regione Lombardia ad istituire un Fondo anticrisi regionale che permetta ai fondi comunali e provinciali di far fronte adeguatamente all’emergenza;
4) Deve contribuire a costruire un sistema difesa generale articolato su Stato, Regioni, Province e Comuni deliberando assieme a tutti i comuni della provincia quelle proposte di legge regionali e nazionali che puntano alla realizzazione di tale sistema (Rifondazione Comunista ne sta presentando sette, ma ce ne sono molte avanzate dal sindacato e da altre forze di sinistra).
Rifondazione Comunista apre con Cordoni e con tutti i “suoi” sindaci una vertenza che li costringa a diventare buoni amministratori. Vogliamo cioè che essi debbano:
1) Istituire il Fondo di solidarietà anticrisi Comunale che come minimo preveda il versamento di 2 euro per abitante al Fondo provinciale, prima di fine anno ovviamente se le risorse del comune lo permettono e comunque nel 2010 destinando una quota del prossimo bilancio di previsione;
2) Deliberare in Consiglio Comunale l’invito a tutti i comuni perché aderiscano al Fondo provinciale e la richiesta alla provincia di alzare a 2 euro per abitante il suo contributo al Fondo provinciale;
3) Deliberare la proposta di legge regionale di Rifondazione Comunista per costringere la regione Lombardia ad istituire un Fondo anticrisi regionale di sostegno ai fondi comunali e provinciali per
far fronte adeguatamente all’emergenza;
4) Deliberare il sostegno delle proposte di legge regionali e nazionali che puntano alla realizzazione di un sistema di difesa generale dalla crisi presentate da Rifondazione Comunista o anche quelle presentate dal sindacato e da altre forze di sinistra.
Andrea Viani - Segretario provinciale di Rifondazione comunista
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Le strade provinciali in mano ai privati

L’ente locale alle prese con la necessità di risparmiare: per migliorare il settore verranno vendute le case cantoniere. Strade, la manutenzione va ai privati. La Provincia assegnerà il servizio all’esterno, salvi i 22 dipendenti.
Rassegna stampa - Il Cittadino, Greta Boni, 25 novembre 2009.

Una piccola rivoluzione sulle strade della Provincia di Lodi: tutti gli interventi di manutenzione saranno esternalizzati, a gennaio sarà indetta una gara d’appalto per l’affidamento dei servizi a una o più società. I 20 cantonieri in servizio non dovranno temere per il posto di lavoro, tutti resteranno infatti alle dipendenze di palazzo San Cristoforo. La decisione è stata comunicata nella giornata di ieri dall’assessore al bilancio, Cristiano Devecchi, il quale ha sottolineato come l’operazione possa garantire risparmi e maggiore efficienza: «Prima di dare il via all’operazione - spiega -, abbiamo incontrato i cantonieri, per capire quali fossero i problemi del settore. Il servizio sarà esternalizzato, ad eccezione di una squadra d’emergenza composta da 4 o 6 operai, che però interverranno solamente in casi eccezionali. I dati a nostra disposizione mostrano che mentre nel 1998 la rete stradale si estendeva per 385 chilometri, a cui si aggiungono i 40 delle piste ciclabili, e aveva 39 addetti, oggi ci sono 840 chilometri per un totale di 22 operatori, 20 sul campo e 2 in ufficio». L’assessore assicura che i posti di lavoro non saranno in pericolo: «I cantonieri svolgeranno un’attività di controllo, in questo modo sarà possibile tenere maggiormente sotto controllo le strade del Lodigiano. Inoltre, il servizio esternalizzato ci costerà più o meno come in passato, ma avremo a disposizione i cantonieri, la cifra si aggira attorno a un milione e 500mila euro, una somma che potrebbe essere suddivisa in due parti: una per la manutenzione delle strade e l’altra per la manutenzione delle ciclabili». È possibile che per gestire il servizio entrino in gioco più società, la manutenzione potrebbe infatti essere suddivisa in tre diversi lotti, i dettagli saranno definiti nei prossimi giorni.La provincia di Lodi, inoltre, sta predisponendo un piano di alienazione per le case cantoniere, la prima ad essere venduta sarà quella di Sant’Angelo Lodigiano. «Al momento si contano sei case cantoniere - sottolinea Devecchi -, situate a Galgagnano, Ossago, Castiglione, Lodi, Mairano, Castelnuovo, a cui si aggiungono i magazzini di Brembio e Borghetto. La prima ad andare all’asta sarà quella di Sant’Angelo, per cui esiste già l’autorizzazione, il nostro obiettivo è quello di rimanere solo con un grande magazzino e tre case cantoniere, che potrebbero essere quelle di Galgagnano, Ossago e Castiglione. In ogni caso, la decisione definitiva sarà presa insieme agli uffici». Secondo una prima stima, la vendita della casa cantoniera santangiolina permetterà a palazzo San Cristoforo di incassare circa 300mila euro: «I soldi - conclude Devecchi - saranno utilizzati per sistemare il settore, dall’attrezzatura al decoro delle case cantoniere sul territorio».
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Tre cascine Brembiesi a rischio frane

L’acqua di due canali erode la sponda e la strada frana.



La strada che collega Ca de Folli, Pilastrello, Ca de Vertui è a rischio frane dovuta all’azione costante di due canali d’irrigazione che ne erodono la riva. Già da tempo alcuni residenti delle cascine che percorrono giornalmente questa strada che le collega al provinciale e quindi ai centri abitati limitrofi, lamentano questo stato di cose. Nell’andar del tempo, con l’ approssimarsi della brutta stagione e a causa delle piogge, la riva e di conseguenza la strada, sembrano adagiarsi nel letto dei canali per poi essere sciolte, disperse dall’acqua e trascinate via, restringendo di fatto la carreggiata. Il pericolo è dato anche dall’incrociarsi di due mezzi e il sapere di non essere in sicurezza, perché non è possibile sapere e quantificare l’erosione e di conseguenza lo spazio di tenuta della strada stante la lunghezza e la profondità dei canali. Un altro pericolo è dato dalle nebbie, che in questa stagione, rendono nulla la visibilità e poca la sicurezza.




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