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domenica 20 settembre 2009

Un intero popolo devastato dalla guerra

«Più diplomazia e maggiori risorse, nuova strategia per aiutare Kabul».
Rassegna stampa - Liberazione, Frida Nacinovich, 19 settembre 2009.

Un'altra strage. Decine di morti e feriti, militari italiani e civili afghani. Parliamo di Kabul con Rosa Villecco Calipari.
Il primo pensiero - e non potrebbe essere altrimenti - va ai soldati che hanno perso la vita cercando di onorare il compito che il nostro paese gli ha affidato, ai loro colleghi rimasti feriti. Sento forte il dovere di essere vicina ai loro familiari in un momento in cui sono costretti a misurarsi con un enorme shock, con un dolore insopportabile. Altrettanta pietà voglio rivolgere alle vittime civili di questo vile attentato e alle centinaia di afghani rimasti feriti. Non ci sono solo integralisti e kamikaze, c'è un intero popolo devastato dalla guerra.
Che fare? Stiamo parlando di uno dei paesi più poveri al mondo, dove ci sono appena state le elezioni, dove le Nazioni unite segnalano irregolarità, un paese diviso, sull'orlo della guerra civile.
Sappiamo dalle Ong operanti in Afghanistan - come ActionAid ed Intersos - che la situazione è drammatica. La popolazione vive da anni in condizioni di gravissima difficoltà, le donne sono le più colpite: il tasso di analfabetismo femminile supera l'85% e quello della mortalità durante il parto è il secondo più elevato al mondo, con 1.800 morti ogni 100.000 nati vivi. Ritengo sia giusto chiedersi, a questo punto, se il sostegno della comunità internazionale e specialmente dell'Italia alla democrazia afgana siano efficaci. È necessario pretendere un dibattito serrato e risultati concreti sul tema dei diritti umani e soprattutto su quelli delle donne. Donne, come ci ricorda la risoluzione 1325 delle Nazioni unite, che dovrebbero essere coinvolte nella promozione della pace e nella prevenzione della violenza, durante e dopo i conflitti.
In Parlamento si discute, palazzo Chigi annuncia una transition strategy. In Germania il governo sta predisponendo una via d'uscita con la consegna del paese alle autorità locali. Anche perché la cancelliera Merkel sa che i sondaggi rilevano come il 60% dei tedeschi sia favorevole al ritorno a casa dei soldati.
Non vorrei cadere nella retorica, non amo la retorica. E in momenti drammatici come questi bisogna cercare di non alzare i toni, altrimenti si fa male anche a chi rimane. Ne so qualcosa. Da tempo, non da oggi, come Partito democratico - sono capogruppo in commissione Difesa - abbiamo osservato che la missione in Afghanistan dava segnali sempre più preoccupanti, soprattutto per i nostri militari. La situazione andava peggiorando, con continui attacchi e molte vittime civili. Lo abbiamo denunciato in Parlamento discutendo l'ultimo decreto di rifinanziamento. Bisogna riflettere sulla strada che stiamo percorrendo da otto anni. Sembra che gli Stati Uniti di Obama abbiano cambiato strategia nel tentativo di stabilire un legame più stretto con le popolazioni locali. Potrebbe mutare il volto della missione Usa, che è diversa da quella della Nato. L'Afghanistan ha bisogno di sostegno e risorse. Di questo dobbiamo discutere nelle sedi internazionali, anche con Russia e Cina, al fine di assumere una forte e seria iniziativa politica da affiancare alla presenza militare internazionale. Il paradosso è che il nostro paese così fortemente impegnato nella missione militare non riesca a sviluppare un'iniziativa diplomatica altrettanto efficace, come sarebbe invece necessario soprattutto all'indomani dell'elezione di Karzai su cui si avanzano sospetti di brogli che ne mettono in discussione la legittimità.
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