Rassegna stampa - Repubblica.it, 20 settembre 2009.
Roma - "Non sono un ipocrita, non mi scuso per i toni che ho usato: se i giornalini o i giornaloni si attaccano a una battuta ironica fatta in romanesco facciano pure, nel merito di quello che ho detto non ho ricevuto nessuna obiezione". Torna sulle polemiche scatenate dalle sue dichiarazioni il ministro Renato Brunetta che ieri aveva detto: "Sinistra golpista, vada a morire ammazzata".
"I benpensanti dicono che ho usato toni forti, ma qui è in gioco la democrazia", aggiunge. E spiega: "Io ho fatto un identikit delle èlites parassitarie che si appoggiano alla sinistra e che vogliono far cadere un governo democraticamente eletto. Non chiedetemi i nomi: la domanda la giro a voi, pubblica opinione e giornalisti, basta cercare sulle pagine dei giornali negli ultimi cinque mesi".
E a Dario Franceschini, che aveva commentato le dichiarazioni sulla "sinistra per male" con una battuta ("l'unica brunetta che rispetto è quella dei 'Ricchi e Poveri'"), il ministro della Pubblica amministrazione risponde: "Mi turba il commento di Franceschini, invece di interrogarsi sulla sinistra e le èlites parassitarie risponde con un commento da vero intellettuale, dobbiamo farcene una ragione".
Il commento.
Demagogia al governo.
Rassegna stampa - Repubblica.it, Michele Serra, 20 settembre 2009.
Ci sono "élite di merda che vivono di rendita" e tramano contro il governo e dunque contro il popolo sovrano. Così, in sintesi, ha detto ieri il ministro Brunetta, entusiasmando una platea amica e disgustando una volta di più l'altra metà degli italiani, si suppone in rappresentanza delle élite di merda.
Brunetta è il classico fanatico: uno che quando parla gli saltano uno dopo l'altro i freni inibitori, e gli esce fumo dalle orecchie. In quanto tale, in una fase così aspra dello scontro politico, ascoltarlo aiuta a mettere a fuoco almeno alcuni dei sentimenti profondi che muovono questa maggioranza. A partire dal fascismo, l'odio per le élite (vedi il complotto demo-pluto-giudo-massonico) è un classico del populismo autoritario. Ricchi malvagi, gelosi dei loro privilegi, tramano nell'ombra per contrastare l'avvento luminoso di una nuova era.
Gli archivi di Libero e del Giornale, quando gli storici vorranno occuparsene, sono da questo punto di vista una illuminante e annosa collazione di tutto o quasi il malanimo che la piccola borghesia di destra, elettrice dei Brunetta e lettrice dei Feltri, nutre per le cosiddette élite: gli Agnelli, la borghesia azionista, De Benedetti e Scalfari, gli intellettuali altezzosi, Miuccia Prada (?!), i professori snob, gli urbanisti, i cineasti, i radical chic, secondo una classificazione biliosa e scriteriata che non discende tanto dal reddito e tantomeno dalle persone, quanto, diciamo, dall'immagine sociale, vera o presunta, dei bersagli via via individuati. In blocco, e un tanto al chilo, essi sarebbero la spina dorsale di una sinistra debosciata, scroccona e classista. (Va da sé che i circa diciotto milioni di elettori di centrosinistra, forse non tutti urbanisti o rettori, per comodità non vengono inclusi nel quadro polemico: non è mai la realtà, è il suo fantasma a favorire le ossessioni politicamente più produttive).
Se il ministro Brunetta, piuttosto che un iracondo e un demagogo, fosse una persona ragionevole, e davvero parlasse per conto del popolo italiano e nei suoi interessi, saprebbe che il nostro Paese, nell'ultimo paio di secoli, ha molto patito non già a causa delle élite, ma della loro gracilità, o mancanza. Se, per esempio, la grande borghesia conservatrice non fosse stata spazzata via (vedi l'affaire Montanelli, vedi la morte di Ambrosoli, vedi eccetera eccetera) dalla piccola borghesia reazionaria e malaffarista che ha schiantato il senso dei diritti e il senso dei doveri, e oggi regge il timone del Paese, magari avremmo ancora ministri come Visentini e non come Brunetta e Bondi, altro fazioso vaniloquente.
Destra e sinistra, in tutto questo, sono un criterio piuttosto confuso, quasi un velame. Meglio varrebbe (e in questo, bisogna ammetterlo, il socialista Brunetta ci aiuta parecchio) provare a riclassificare lo scenario socio-politico italiano secondo i vecchi criteri dell'analisi di classe. Il poco che rimane della borghesia antifascista (certamente un'élite) e della classe dirigente repubblicana e costituzionale (un'altra élite) è l'ultimo argine culturale, etico e storico che si frappone al trionfo incontrastato dei Brunetta, del loro adorato leader e della piccola borghesia reazionaria che li vota in massa. Il loro capo, da solo, ha più potere dei fantasmatici "poteri forti" messi assieme, più denaro, più media, più altoparlanti e più balconi, più giornali, più giornalisti, più servitù e più tutto. Ma, effettivamente, nonostante questo potere fortissimo, Berlusconi non è élite, non è classe dirigente, non è statista (gli statisti uniscono i popoli, non li spaccano a metà come una mela). È potere senza rispetto, ricchezza senza status, popolarità senza prestigio. Brunetta, che è animoso e sincero, avverte nel profondo questa inadeguatezza. Ma piuttosto che investirne, con la dovuta umiltà, se stesso e il suo capo, si aggrappa al popolo e indica nelle "élite di merda" il Nemico da combattere.
In questo Brunetta (come parecchi ex socialisti, ahimè) è il berlusconiano perfetto: pur di non dubitare di se stesso, attribuisce ogni problema alla malvagità del Nemico. Urgerebbe un analista se anche gli psicanalisti non fossero, come è ovvio, una élite di merda.
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