Il prete sciacallo e il silenzio del Cardinale.
Rassegna stampa - Il Giornale, Alessandro Sallusti, 20 settembre 2009.
Ci sono parole e fatti che indignano i professionisti della protesta. Altri no. Basta che Berlusconi, Brunetta, la Gelmini, Bossi e suo figlio aprano bocca che subito le agenzie battono reazioni allarmate dei vari esponenti dell'opposizione e dell'intellettuale di turno. Di Pietro insegna. Non avendo un lavoro né nulla di interessante da fare, il leader dell'Idv passa la giornate a sfornare pareri non richiesti su tutto e tutti. Ma, dicevamo, a volte non è così. Per esempio ieri non abbiamo sentito o letto condanne e prese di distanza da quegli imbecilli che stanno imbrattando i muri delle nostre città con la scritta «-6» in segno di esultanza per il successo dei talebani nell'attentato di Kabul contro i nostri soldati. Mani anonime, si dirà. Certo, ma la matrice politica è chiara, ed è da cercare nell'area dell'antiberlusconismo radicale alla quale non pochi signori che vediamo ogni sera nei talk-show televisivi strizzano l'occhio. Sono curioso di vedere se oggi la democratica Concita De Gregorio scriverà qualche cosa contro questi mascalzoni sulla sua Unità sempre pronta a dare lezioni di morale. O se Ballarò e Santoro dedicheranno qualche minuto delle loro trasmissioni per smascherare e denunciare gli sciacalli di sinistra.
Ma soprattutto mi colpisce il silenzio del cardinale di Milano, Dionigi Tettamanzi, nei confronti di un suo dipendente, don Giorgio de Capitani, parroco a Lecco, diocesi ambrosiana. Questo prete, già noto per le sue violente omelie contro Berlusconi, ieri ha detto e scritto sul suo sito che i parà uccisi a Kabul «sono solo dei mercenari» che non meritano tanta commozione. Oggi, interpellato dal nostro inviato Luca Fazzo, rincara la dose e confida che «su tante cose anche il cardinale Tettamanzi la pensa come me, solo che non può dirlo». Ora, noi non ci permettiamo di mettere becco in casa altrui, sappiamo che nella Chiesa c'è posto per tutti, anche per gli svitati, ma è chiaro che delle due l'una: o oggi, subito, vengono presi provvedimenti tali da impedire a don Giorgio di offendere i nostri morti a nome e per conto di Dio, oppure ha ragione lui e il silenzio del cardinale diventa benedizione e complicità.
Anche perché ieri il Tettamanzi ha ricevuto parole di encomio importanti. Cito testualmente: «Il capo della diocesi milanese è l'unico che ci difende, appoggiando la nostra richiesta di costruire delle moschee. Fino ad ora è stato l'unico ad avere espresso nei nostri confronti parole cristiane e rispettose della costituzione che garantisce a tutte le religioni di avere propri luoghi di culto». A sbilanciarsi in tanto ringraziamento è stato Abdel Hamid Shaari, presidente del centro islamico milanese. Vorremo poter dire altrettanto, e cioè ringraziare il nostro cardinale per aver difeso senza indugio, oltre che i diritti degli islamici, anche quelli dei nostri soldati che non sono mercenari ma che erano a Kabul mandati dal nostro Parlamento, cioè da tutti noi, in pieno rispetto del dettato costituzionale.
Si potrebbe obiettare: don Giorgio è don Giorgio, Tettamanzi è altro. Giusto. Ma senza entrare in questioni ecclesiali, mi sembra ovvio che un fedele quando ascolta il suo parroco sia convinto che questi non parli a titolo personale ma che le sue parole siano ispirate ai sacri testi. E allora non vorremmo che qualche buon cristiano sia convinto che il buon Dio o il suo vicario in terra considerino i nostri soldati gente indegna. Senza contare che tutti i cristiani, e i preti in particolare, debbono obbedienza al proprio vescovo. Speriamo che quest'ultimo abbia tempo e voglia di farsi obbedire.
L’intervento Mai più sottomesse: la mia sfida all’umiliazione del burqa.
Rassegna stampa - Il Giornale, Daniela Santanchè leader del Movimento per l’Italia, 20 settembre 2009.
Perché lanciare una mobilitazione contro il burqa? E perché farlo proprio ora, all’indomani dell’ennesimo assassinio di una ragazza musulmana giustiziata dal padre in nome della purezza dell’islam e dell’odio contro i cristiani infedeli? Non so quante saranno le immigrate che si presenteranno questa mattina alla nuova moschea di Milano nascoste dalla testa ai piedi sotto un burqa o la sua versione ridotta - il niqab - per celebrare la fine del ramadan. Io ci sarò. Ma fosse anche una sola, dovrà esser fermata, identificata e sanzionata come prescrive la legge italiana. Non per punirla, sappiamo bene che non è sua la prima responsabilità di quella scelta, ma per lanciare un messaggio chiaro di solidarietà a tutte le donne dell’immigrazione che lottano per strappare nelle loro comunità un minimo di emancipazione e di diritti. E per inviare un segnale ancora più chiaro della presenza dello Stato agli imam che hanno armato e guidato la mano di quel padre santificando nelle loro moschee la sottomissione e l’umiliazione della donna.
Di questa umiliazione il burqa è il manifesto, il libretto di circolazione. Nei Paesi dove la faccia più barbara e oscura dell’islam prende il sopravvento, il primo provvedimento del regime è sempre quello di imporre alle donne il burqa o qualcuno dei suoi derivati. E anche noi, come in Francia, dovremmo impedirne la circolazione non per soli motivi di sicurezza, ma per ciò che rappresenta. Nell’Afghanistan dei talebani che oggi riempie le pagine dei giornali, le donne che usavano ribellarsi al burqa e alle sue leggi venivano decapitate negli stadi o nelle piazze ed era ai loro familiari che toccava l’onore di eseguire l’esecuzione. Il burqa viola la donna musulmana tanto quanto l’infibulazione. Tutte e due cancellano la sua identità più profonda. Tutti e due, burqa e infibulazione, per sottomettere la sua femminilità, la annullano come persona. Tutte e due le assegnano un’unica missione, quella di trasformarsi in una fabbrica di figli e di sottomettersi ciecamente alla volontà degli uomini della famiglia. Così come appare evidente nell’ultimo episodio avvenuto nei giorni scorsi in Italia. E se tradisce la sua missione, se si avventura fuori dallo stretto recinto che le è stato assegnato, nei luoghi del fondamentalismo c’è la lapidazione o la forca. Da noi si ricorre al coltello. E poi non ci sono solo le 37 povere donne sgozzate, ce ne sono centinaia di cui non si parla. Finite in ospedale con le ossa rotte, la testa spaccata, i segni dei calci e del bastone stampati su tutto il corpo. È proprio di questo che stamattina tutti noi siamo chiamati a rispondere davanti all’ingresso della nuova moschea di Milano.
Risultato sotto l'occhio di fotografi e telecamere che non potevano perdere il ghiotto evento di provocazione: Milano, protesta contro il burqa: aggredita Santanchè.
Il leader del Movimento per l'Italia è stata strattonata e gettata per terra da islamici davanti al teatro Ciak dopo avere cercato di strappare il velo ad alcune musulmane.
A Milano il leader del Movimento per l'Italia Daniela Santanchè è stata strattonata e gettata in terra da un gruppo di islamici. La Santanchè stava protestando contro l'uso del burqa davanti al Teatro Ciak, dove si sta svolgendo una festa islamica per la fine del Ramadan. Esponenti della comunità musulmana milanese hanno negato che ci sia stata aggressione e, a loro volta, hanno denunciato l'atto della Santanchè.
La leader del Movimento per l'Italia, impegnata da tempo in una battaglia per l'integrazione e contro il fondamentalismo islamico, era giunta stamane con l'intento di vietare l'ingresso delle donne in burqa.
Dopo i tafferugli Daniela Santanchè ha ottenuto di poter entrare nel luogo dove i musulmani stanno pregando. L'europarlamentare è entrata in un clima di forte tensione scortata dalla polizia ed ha parlato con alcune donne. Esponenti della comunità musulmana hanno stigmatizzato l'aggressione e gli insulti verso la leader del Movimento per l'Italia, ma hanno anche rivendicato il diritto delle loro donne ad indossare il burqa e hanno fornito la loro versione dei fatti, parlando di "atto propagandistico fatto sulla pelle dei musulmani".
Alla Fabbrica del Vapore i partecipanti negano l'aggressione e sostengono che sia stata l'esponente politico, con le persone che l'accompagnavano, "ad aggredire strappando il velo alle donne e a gettarsi a terra" aggiungendo che "comunque la festa non è stata assolutamente rovinata". Il presidente dell'Istituto culturale islamico di viale Jenner, Abdel Hamid Shaari, molto sereno, ha affermato: "Se la signora Santanchè ritiene che qualcuno l'ha aggredita faccia la sua denuncia e poi ci sono organi preposti ad accertare la verità. Comunque nessuno l'ha aggredita o minacciata, cosa impossibile visto che c'era un cordone delle forze dell'ordine che ringraziamo. Oggi siamo in festa e lei ha cercato con un manipolo di persone di strappare il velo alle donne velate. Una provocazione vera e propria".
Analoghe le accuse del portavoce dell'Ucoii e imam di Firenze, Izzeddin Elzir: "L'ex parlamentare Santanchè è andata a provocare le donne musulmane con un gruppetto di squadristi. È un atto gravissimo togliere il velo. C'è stata una reazione e nel caos è successo quel che è successo".
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