Rassegna stampa - Avvenire, Salvatore Giuliano, 13 novembre 2009.
È impressionante come negli ultimi anni stia prendendo piede nel nostro Paese un movimento di chiaro stampo laicista guidato da alcuni volti e nomi più o meno noti che dilagano nel mondo dell’informazione e tentano di demolire il bene della fede attraverso la banalizzazione di tutto ciò che riguarda la sfera religiosa. L’obiettivo è chiaro e nemmeno più tanto originale: trasmettere la 'morte di Dio' che essi hanno nel cuore a quanta più gente possibile. Si fanno, insomma, sempre più forti i movimenti mediatici suscitati da quanti puntano presentare il cristianesimo come un fastidio da estirpare, con i suoi dogmi, i suoi principi morali e la sua organizzazione. Nuovi e vecchi esponenti del mondo dei mass media – attraverso trasmissioni radiotelevisive, libri e articoli sulla stampa scr itta – non perdono occasione per picconare ciò che è stato (e ancora per moltissimi è) un grande riferimento: credere in Dio e sentirsi parte della Chiesa. Per coloro che hanno fondato la loro fede sulla 'roccia' certamente non basterà un programma tv, per quanto sapientemente organizzato, o un articolo di giornale, per quanto avvolto da un’apparente erudizione, a confondere le idee sulle tradizioni bimillenarie che hanno nutrito e nutrono generazioni di uomini, donando alla vita senso, speranza e forza. Ma ci sono tanti che, come direbbe Gesù, hanno invece il «lumignolo fumigante» con la fiamma della fede un po’ «smorta». A questi, forse, bastano poche parole o qualche insinuazione romanzata, fatta passare per oro colato contro la Chiesa e la sua storia, per distruggere quella forza che ha creato eroi di umanità e di santità, che ha ispirato l’arte, che ha diffuso e promosso ovunque la cultura, la solidarietà e la speranza soprattutto in quei periodi in cui queste ultime non erano ancora sentite come valori da tutelare e diffondere. Si mina un bene, lasciando uno spaventoso vuoto nel cuore dei semplici che, proprio per il fatto di non aver approfondito la loro fede, stentano a trovare vere risposte consegnandosi a quella solitudine che l’uomo nietzschiano esprimeva gridando la «morte di Dio» e designando tragicamente l’inizio di un eterno precipitare.
Il rifiuto della fede, del resto, non è fatto inedito. La fede cristiana, anzi, è nata proprio tra le persecuzioni. E sono state ancora le persecuzioni a darle radicamento e vigore. D’altronde, Gesù stesso lo aveva preannunciato quando disse ai suoi Apostoli: «Se hanno perseguitato me, perseguiteranno anche voi… e tutto questo lo faranno perché non hanno conosciuto né il Padre né me» ( Gv15,20.16,3 ).
C’è quindi una radice motivazionale nel gesto del rifiuto della fede: il non conoscere Dio. Si demolisce perché non si conosce. Gli oppositori sono probabilmente coloro che non hanno mai assaporato la bellezza, il bene, il valore dell’incontro con Dio, perdendo così una delle avventure più esaltanti che all’essere umano possa capitare: incrociare nella propria contingenza storica lo sguardo d’amore dell’Eterno. La Chiesa come risposta a questa opposizione non è innanzitutto chiamata a ribadire le proprie ragioni e i propri diritti inasprendosi per il rifiuto o la demolizione mediatica dei suoi valori, ma dovrà elaborare sempre nuovi strumenti per far conoscere il volto del Padre attraverso quello di Cristo. Non è certamente con lo studio di nuove vie diplomatiche che si opera la diffusione della fede, ma reinvestendo sul fascino di ciò che di più prezioso si possiede: il tesoro del Vangelo di Gesù. Ogni singolo cristiano dovrà rivestire di bellezza e di coerenza il proprio credere affinché possa esserci una nuova fioritura di fede a cominciare proprio dal cuore di coloro che le fanno guerra. Non lasciamo, quindi, come l’«uomo folle» di Nietzsche che la nostra lanterna cadendo a terra si frantumi e si spenga, ma rimotiviamoci ancora di più nello slancio parenetico dell’annuncio, perché il Requiem aeternam Deo che tanti continuano a cantare sia sostituito dall’Exultet pasquale nella testimonianza gioiosa di essere Chiesa.
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