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domenica 11 ottobre 2009

Se lo avesse fatto D'Alema una rivoluzione

La Casta, l'onda anti-privilegi è stata narcotizzata: è peggio di prima.
Intervista di Marco Lillo a Gian Antonio Stella.
Rassegna stampa - Il Fatto Quotidiano, 11 ottobre 2009.

La Casta oggi è più forte e il ripristino dell'immunità potrebbe rappresentare la chiusura di un processo di restaurazione. Però per Gian Antonio Stella, firma di punta del “Corriere della sera” e autore del best seller "La casta", scritto nel 2007 con Sergio Rizzo "l'azione dei magistrati non credo preoccupi più di tanto i politici. I pm non fanno paura al cittadino qualunque, figurarsi ai potenti".
Si riparla di immunità, la corruzione dilaga. Due anni dopo, cosa rimane dell'ondata di indignazione seguita al vostro libro nel 2007?
Bisogna accettare l'idea che l'indignazione collettiva non è un sentimento eterno ma un'onda che va e viene. Ora mi sembra siamo in piena risacca.
Ora si parla addirittura di ripristinare l'immunità. Secondo lei, se lo facessero, ci sarebbe una scossa?
Non mi stupirei se la destra introducesse una qualche forma di immunità. Anzi. Se saranno bravi ad agghindarla bene, il centrosinistra potrebbe anche accettarla.
E i suoi lettori? Quelli che protestavano contro i ministri Mastella e Rutelli che usavano gli aerei di stato per andare al Gran Premio? Non fiateranno?
Mi sono chiesto spesso cosa sarebbe accaduto se "La casta" fosse uscito oggi. Chissà se avrebbe avuto quel successo. Non credo. L'elettore di centrodestra è di bocca più buona. Berlusconi ha usato un elicottero della Protezione civile per andare al centro Messeguè a fare i massaggi. Ti immagini cosa sarebbe accaduto se lo avesse fatto D'Alema? Una rivoluzione!
Perché ai leader di destra invece perdonano tutto?
Magari non perdonano. Però ci passano sopra. Persino quando si vedono i vigili del fuoco che fanno da accompagnatori a Gianfranco Fini durante le sue immersioni, quasi nessuno si indigna. Gli elettori di sinistra no, loro hanno punito duramente i leader che avevano snobbato l'indignazione popolare come un sentimento "di destra". Non era così. Ma l'hanno capito troppo tardi.
D'altra parte perché l'indignazione dei cittadini su questi temi è sana in Inghilterra e qui è bollata di qualunquismo?
Sembra che i politici in questo periodo non abbiano limiti né controlli. Il periodo è quello che è. La magistratura mi sembra che abbia il morale basso, l'opposizione anche. Ma il primo controllo che non funziona è proprio l'elettorato. Se la Casta è più forte è perché ha il consenso. Oggi il dibattito è tutto qui: noi abbiamo vinto, voi perso. Fine.
Ma se i media raccontassero bene gli elicotteri di Berlusconi, e tutto il resto, sarebbe lo stesso?
Non credo. È chiaro che le tv hanno un ruolo fondamentale. I giornali, più o meno, fanno il loro dovere. Ma le televisioni che orientano gran parte dell'opinione pubblica non raccontano più tutto come due anni fa. E se non sai le cose, come fai a indignarti?

Tutto cominciò con le monetine contro Craxi.
Quando lo sdegno popolare costrinse il Parlamento ad abolire l’immunità che si era trasformata in impunità.
Rassegna stampa - Il Fatto Quotidiano, Marco Travaglio, 11 ottobre 2009.

Il 29 aprile 1993, di buon mattino, i ministri del nuovo governo Ciampi, subentrato ad Amato, giurano davanti al presidente Scalfaro. Nel pomeriggio la Camera deve votare pro o contro cinque richieste di autorizzazione della Procura di Milano contro Bettino Craxi, accusato di corruzione, concussione e finanziamento illecito. La giunta di Montecitorio ha già detto sí, escludendo che le accuse del pool siano viziate da fumus persecutionis. Craxi si difende per 53 minuti. Intona il “così fan tutti”, strilla contro i “processi sommari di piazza”, evoca complotti.
A favore dell’autorizzazione a procedere si dichiarano Rifondazione, Pds, Rete, verdi, radicali, Pri, Lega e Msi. La Camera vota a scrutinio segreto e per quattro volte respinge le richieste dei magistrati. Accolta (e per appena due voti) solo una richiesta. L’aula diventa una bolgia. ”Ladri! Ladri!”, gridano in coro le opposizioni di destra e sinistra. “Elezioni! Elezioni!”. Tra i socialisti c’è chi piange di gioia. Amato non è presente in aula e ci tiene a farlo sapere: “Per me sarebbe stato particolarmente difficile decidere come votare”. Gridano i leghisti, urlano i missini, che lanciano in aria pacchi di volantini. I commessi corrono cercando di sedare le risse, poi formano un cordone umano che divide in due l’emiciclo. Giorgio La Malfa protesta: “Abbiamo scavato un abisso con la pubblica opinione”. Il dc Francesco D’Onofrio accusa Msi e Lega di aver salvato Craxi nel segreto dell’urna, per delegittimare il Parlamento e scatenare la piazza. Gli risponde urlando Gianfranco Fini, suo futuro alleato: “È una mascalzonata, siete stati voi ladri a difendere un ladro”. E Bossi: “È una mascalzonata dei porci democristiani”. I socialisti si trasferiscono in massa all’hotel Raphael a festeggiare Craxi. Arriva anche Berlusconi. Maroni invoca “elezioni subito”. Diego Novelli annuncia che la Rete si autosospende dal Parlamento “per non confondersi con la palude del regime della corruzione” . Occhetto ritira dal governo neonato: i ministri Visco, Barbera e Berlinguer, seguiti a ruota dal verde Rutelli. Il “popolo dei fax” si mobilita. In piazza sventolano di bandiere rosse miste a quelle verdi della Lega e tricolori dell’Msi. Sul Corriere, il giustizialista Galli della Loggia si straccia le vesti: “E’ ormai chiaro che sulla scena pubblica italiana esiste un nocciolo duro di malaffare politico… Dc-Psi sufficientemente forte per tentare una battaglia di resistenza contro il cambiamento”.
Perciò intima a Ciampi di “mettere con le spalle al muro il nucleo della sua stessa maggioranza, spingerla a viva forza, con le buone o con le cattive, verso il suicidio politico di se medesima”. Craxi viene bersagliato di monetine e banconote false da una piccola folla riunita dinanzi al Raphael.
Da tutto il Paese, un solo urlo: basta impunità. E la classe politica, nel tentativo disperato di salvare la faccia, abolisce l’autorizzazione a procedere, nata per proteggere le opposizioni da processi per reati politici e trasformata in un salvacondotto per coprire i delitti più infami, dalla mafia alla corruzione, giù giù fino agli assegni a vuoto e alle percosse. Nella legislatura finita nel ’92, il Parlamento ha respinto 186 richieste su 229. E in un anno di quella nuova ne sono piovute ben 540: 107 per corruzione, 89 per concussione, 46 per ricettazione, 116 per finanziamento illecito, 108 per abuso. Così ben 11 gruppi parlamentari propongono l’abrogazione di quello che Fini, Gasparri e La Russa definiscono “un privilegio medievale” e uno “strumento per sottrarsi al corso necessario della Giustizia”, mentre la Lega (che ha appena sventolato un cappio da forca a Montecitorio) lo bolla con Bossi, Maroni e Castelli come “immotivato e ingiustificato privilegio senz’altra giustificazione se non un corporativo interesse di parte”, con “conseguenze aberranti e inaccettabili”. Il relatore è Carlo Casini, braccio destro di Forlani (ora eurodeputato Pdl): “Il principio del princeps legibus solutus è medievale e quindi superato. Se vi è istanza di eguaglianza, quindi, essa deve riguardare in primo luogo gli autori della legge”. Tutti i partiti di maggioranza e opposizione votano a favore. Il 12 ottobre la Camera approva con 525 sí, 5 no (fra cui Sgarbi) e un astenuto. Il Senato fa altrettanto il 27 ottobre, con 224 sí, 7 astenuti e nessun no. Oggi i superstiti sono quasi tutti per l’immunità. Anzi, per l’autoimmunità.
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