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venerdì 14 agosto 2009

Il Gibelli pensiero

Guido Bandera su Il Giorno di oggi intervista il parlamentare leghista Andrea Gibelli. Andrea Gibelli, 42 anni a settembre, è nato a Codogno. È nella Lega Nord dal 1987, parlamentare di lungo corso, è stato anche capogruppo del Carroccio alla Camera. Oggi è presidente della Commissione attività produttive. L’unico parlamentare del Lodigiano è accreditato come uno dei principali artefici della candidatura di Pietro Foroni alla guida di Palazzo San Cristoforo, che ha portato dopo quindici anni di governo del centrosinistra alla prima vittoria del centrodestra in Provincia. Oggi, pur negando di ambire a un ruolo diretto nella trattativa che porterà alla scelta dello sfidante di Lorenzo Guerini nel 2010, sicuramente sarà decisivo nell’orientare le scelte della Lega Nord sul territorio, in vista di una sfida chiave come quella delle comunali.

Parlamentare leghista, Andrea Gibelli presiede uno degli snodi principali del Parlamento in una stagione di crisi economica: la Commissione attività produttive. A lui chiediamo di tracciare il ritratto della stagione economica che attraversa il Lodigiano, come il resto del Paese.
Onorevole Gibelli, da qualche settimana escono dati contrastanti, da un lato il calo del Pil prosegue, dall’altro sembra in alcuni settori di intravedere segnali di ripresa. Qual è la verità?
«Dati recenti dicono che entrate dello Stato per le imposte sulla produzione stanno tenendo. Ma si tratta ancora dell’esercizio 2008. Non ci sono stati grandi investimenti, se non quelli dello Stato. Le manovre che il Governo ha fatto, sette in un anno, tanto criticate, stanno dando i loro effetti. La recessione è generalizzata, ma ci sono alcuni indicatori forse non tanto rilevanti dal punto di vista giornalistico che però danno il segno di un’inversione di tendenza. Penso ad esempio all’acquisto di oli lubrificanti e per la produzione. Le macchine stanno ripartendo, ma non è detto che il peggio sia passato: i mancati incassi degli ultimi sei mesi si faranno sentire, anche in relazione al periodo in cui cade l’anticipo di imposta per le aziende».
E voi che provvedimenti avete previsto?
«Abbiamo tirato gli strumenti ordinari e straordinari verso il basso. Alle Attività produttive abbiamo spinto verso l’allargamento del fondo di garanzia per gli investimenti, il fondo per l’accesso e la compartecipazione agli investimenti esteri verso le piccole e medie aziende. Noi siamo il secondo Paese manifatturiero d’Europa, mentre le piccole e medie imprese, per dimensioni e tradizioni sono escluse dagli strumenti di sostegno e garanzia. Noi abbiamo lavorato per riformare gli strumenti vecchi e prevederne di nuovi».
Poi c’è il problema dei costi energetici...
«Per la prima volta dopo 10 anni, nel 2008, abbiamo tolto dall’economia e trattato nel settore attività produttive il provvedimento sullo sviluppo economico. Con questo abbiamo aperto alla rintronandone del nucleare in Italia. Per le esperienze che ho avuto in Francia e in Slovacchia, dove ci sono investimenti italiani sul nucleare, i reattori oggi sono più potenti e i sistemi di sicurezza sono direttamente integrati nella tecnologia. Quello che ho visto è anche la nascita di distretti industriali attorno alle centrali, con piccole e medie aziende che prendono energia a costi ridotti e hanno a disposizione un centro di ricerca che forma giovani tecnici, una ricchezza per i luoghi che diventano sede di centrale. In un periodo in cui l’economia va male e abbiamo un tessuto produttivo fatto di piccole aziende manifatturiere, paghiamo l’energia più degli altri. Ecco perché serve il nucleare, non come unica energia, ma come sistema di differenziamone dell’offerta».
E i timori per la sicurezza?
«Negli ultimi sessant’anni ci sono stati due incidenti rilevanti. Uno, che non ha avuto conseguenze, negli Stati Uniti, l’altro a Cernobyl, dove in un Paese allo sfascio si affidò a ingegneri chimici la gestione di un reattore nucleare vecchio... Oggi i sistemi non sono più manuali. Un folle non potrebbe toccare il funzionamento di una centrale. E poi il nucleare di terza generazione è già compatibile con la quarta, che non produrrà scorie».
Ma non c’è solo il nucleare?
«No. Chi sa ad esempio che i tedeschi di E.on stanno osservando la tecnologia di Enel che trasforma una centrale a carbone in un impianto che abbatte gli inquinanti nocivi, quasi a emissioni zero, come a Civitavecchia?»
Come giudica i casi di occupazione delle fabbriche come alla Innse di Milano? La tensione sociale cresce?
«In questi mesi ho incontrato i rappresentanti di tanti diversi distretti produttivi d’Italia, ognuno con i suoi problemi e le sue richieste. Ho visto imprenditori, associazioni di artigiani, Confindustria e i sindacati. Tutti chiedevano più che accesso al credito, la continuità nel credito e pagamenti più rapidi da parte dei clienti. Centottanta giorni sono troppi. Ecco perché abbiamo appoggiato l’idea di accorciare i termini di pagamento della Pubblica amministrazione. Gli effetti forse non si vedono subito, ma è una piccola rivoluzione. In generale, dagli imprenditori ai sindacati, tutti concordano sulla ricerca di modelli comuni con cui uscire dalla crisi. Tutti temono i disagi e i contraccolpi sociali della crisi, ma nessuno politicizza il disagio come negli Anni Settanta. Questo sarebbe un dramma. Ho notato il senso di responsabilità di lavoratori e imprenditori. Ma ho visto sia operai occupare le aziende per difendere il proprio posto, sia imprenditori suicidarsi per non dover licenziare o chiudere... Bisogna essere equidistanti, dare soluzioni senza cavalcare la situazione per cercare consenso politico».
Chiudiamo parlando di politica locale. Come vede la sfida per le prossime comunali?
«Io mi occupo di altre cose, ho il mio incarico a Roma. Penso però che come l’aria in Provincia è cambiata, così cambierà anche in città. Si è percepito dopo il cambio di amministrazione in Provincia un rapporto più diretto con il territorio, un modo più fresco di porsi. Alla città non è piaciuto il tentativo maldestro di inventarsi liste con dentro tutti, compresi i cosiddetti scontenti del centrodestra, che a me sembrano più dei trombati. Mi sembra un tentativo di raschiare il fondo del barile. Non ci si inventa “Braveheart” di Lodi solo dicendo di voler fare le ronde, pur con qualche distinguo. Poi non capisco perché le ronde della Lega non vanno bene, mentre quelle del ministro della Lega sì. A sei mesi dal voto ci si prova a spostare, recitando la parte della sicurezza. Ma è ancora la sinistra a governare nel classico stile da campione di immobilismo. Io non ho visto grandi cose in 4 anni. Le elezioni porteranno sorprese, stimolate proprio da questo tentativo di creare un’alleanza con dentro tutto e il contrario di tutto. Una politica che forse è meglio lasciare fare a Franceschini».

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